RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO VOLENTIERI UNA INTERVISTA
RILASCIATA DAL M° MAURIZIO SILVESTRI, NELLA QUALE RETTIFICA E APPROFONDISCE
ALCUNE NOTIZIE RESE SU QUESTA RIVISTA ELETTRONICA, IN OCCASIONE DI ALTRE
INTERVISTE A NOI RILASCIATE DA ALTRI TECNICI DEL SETTORE.
INTERVISTA CHIARIFICATRICE DEL M° MAURIZIO SILVESTRI
(n.d.r.) Siamo spiacenti per quanto di
eventualmente impreciso possa essere stato scritto nella articolata e vasta
recensione del Congresso WJJF a Pisa (VEDI:
Lo stage WJJF al palasport di Pisa ) a cura del nostro collaboratore Franco
Piccirilli e nello specifico, durante l’intervista al M° Stefano Mancini (VEDI:
Intervista a Stefano Mancini ) rilasciata all’altro nostro collaboratore
Roberto Fragale, che ha lavorato “in tandem” per la stessa recensione del
Congresso WJJF. Interpellatili entrambi, ci hanno dichiarato e confermato che le
notizie sono state fedelmente trascritte e corrispondono a quanto dichiaratogli
dal personaggio intervistato. Siamo pertanto felici, che il M° Maurizio
Silvestri abbia voluto aiutarci a puntualizzare più precisamente, l’effettiva
situazione tecnica e politica di questa Federazione. A sua presentazione (oltre
le informazioni riportate nella sua intervista) rinnoviamo la notizia che il M°
Maurizio Silvestri è il Direttore del riedito periodico cartaceo di arti
marziali “ZEN PROJET” e con il quale auspichiamo una prossima attiva
collaborazione. (n.d.r.)
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Di: Redazione Zen Projet
LIVORNO – Non è facile intervistare un personaggio come
Maurizio Silvestri, ottavo dan, direttore tecnico nazionale della Wjjf. Prima di
tutto perché, vista l’attività che ha svolto in trent’anni e più di arti
marziali occorre una notevole capacità di sintesi. Secondo perché abbiamo a che
fare con un giornalista professionista e c’è il rischio di fare qualche errore
tecnico o di farsi prendere la mano da uno che conosce il mestiere. Iniziamo
dall’ultimo evento cui Silvestri, che guida da anni la Federazione voluta da
Robert Clark e Spartaco Bertoletti, ha partecipato con un folto gruppo di suoi
atleti e tecnici.
Zen Projet: Maestro, si è appena concluso il
congresso dell’amicizia per i trent’anni della Wjjf in Italia.
Maurizio Silvestri: “E’stata una bella iniziativa, un
incontro positivo con gli amici inglesi che indubbiamente ha fatto crescere
tutti.
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Zen Projet: Ma non mi sembra del tutto soddisfatto.
Maurizio Silvestri: E’ vero. Questa manifestazione che
soke Clark ed il presidente Bertoletti hanno ideato secondo i principi della
Wjjf come una grande famiglia, è stata eccessivamente monopolizzata dal mio
allievo Stefano Mancini, bravo
ragazzo ma che a volte esagera un pochino e perde il senso della misura”
Zen Projet: Ovvero?
Maurizio Silvestri: Ha fatto di tutto tramite
Internet, volantini e passa-parola perché l’evento si trasformasse in una grande
kermesse del suo gruppo ovvero la Wjjf-Uk della quale si proclama direttore
tecnico nazionale. Il loro compito era invece solo logistico organizzativo,
niente di più.
Zen Projet: Mi scusi ma in una intervista
su un giornale Web, Mancini si dichiara Dt per l’Italia. Ed anche sul suo
sito.
Maurizio Silvestri: Purtroppo l’intervistatore, l’amico
Roberto Fragale, deve aver dimenticato di aggiungere
alla sigla Wjjf quell’Uk (United Kingdom) che sta a significare che Stefano
dirige il suo gruppo e basta. O forse si è dimenticato Stefano di dirglielo?
Strano perché lui sa benissimo come stanno le cose: esiste un solo direttore
tecnico ed un solo rappresentante generale per l’Italia della Wjjf ed è il
sottoscritto. Ricopro la carica da quasi vent’anni ormai. E’ strano che compaia
lo stesso errore sui siti di Stefano e di qualche suo collaboratore. Dopo le
ripetute proteste mie e gli avvertimenti di soke Clark e Bertoletti dovrebbe
averli tolti tutti, quegli errori.
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Zen Projet: Dunque lei dirige tutti i vari gruppi Wjjf?
Maurizio Silvestri: No, in accordo con la presidenza e
la direzione tecnica internazionale, alcuni gruppi hanno piena autonomia, pur
restando io il Dt nazionale. Lo stesso Mancini, anni fa, mi chiese di essere
indipendente rispetto alla Federazione nazionale che io dirigo. Aveva bisogno di
creare qualcosa di suo, pur muovendosi nella Wjjf. Ed io ho acconsentito: mai
tarpare le ali agli uomini di buona volontà…
Zen Projet: Che però possono approfittarsene
Maurizio Silvestri: Ho parlato di uomini e quindi di
persone che possono sbagliare. Stefano a volte sbaglia anche se lui mi dice che
a sbagliare sono suoi allievi che fraintendono, capiscono male il suo messaggio
ed il mio. Io voglio crederci anche perché so che, in fondo, Stefano è una
persona molto semplice. Lo conosco da quando insegnavo lettere nell’Istituto
professionale che lui frequentava. E’ lì che gli parlai del ju-jitsu. Poi venne
in palestra e non ha mai smesso anche se, da giovane birbante qual era, magari
ogni tanto qualche scappatella se la faceva. L’ho valorizzato perché meritava,
l’ho perfino fatto partecipare alla Pasqua del Budo come ospite, insieme a
Riccardo Sanna. Fu un favore personale di Bertoletti e
Falsoni. Ma loro non l’avevano capito e chiesero agli organizzatori di
essere pagati. Ci fu un po’ di pandemonio ma tutto è finito bene.
Zen Projet: Ma soke Clark che dice?
Maurizio Silvestri: Ogni tanto mi bacchetta perché
ritiene che a Stefano, come ad altri, abbia dato troppo spazio nel passato. Mi
ricorda di quando inviai lui e Sanna in Inghilterra, raccomandando al maestro di
trattarli come se fossi io. Fu un errore? Può darsi ma mi sono sempre fidato
ciecamente dei miei allievi ai quali ho sempre cercato di dare tutto me stesso.
Non sempre hanno capito e contraccambiato. Ma non mi aspetto gratitudine. Io so
quello che ho fatto e lo sanno anche loro. Non porto rancori.
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Zen Projet: Ma ogni tanto è bene puntualizzare le cose
Maurizio Silvestri: Quando si esagera, come è accaduto
a Pisa certo. Anche perché il gruppo di Mancini è solo uno dei gruppi italiani e
certo non il più numeroso. Gli altri devono sapere come stanno le cose e che,
dunque, la Wjjf in Italia sono stato e sono io a portarla avanti. Mi ricordo
ancora il primo incontro con il presidente Bertoletti alle polisportive
Salesiane di Milano, trent’anni fa. Da lì sono nate molte cose.
Zen Projet: Cambiamo argomento, Lei dunque non ha iniziato
il ju-jitsu con soke Clark?
Maurizio Silvestri: No, ho cominciato, a Livorno, con
Francesco Avellino, maestro di ju-jitsu dello stile Yoseikan che aveva appreso
da Minoro Mochizuki, il padre di Hiro. Avellino lo aveva adattato alla
formazione militare. A quei tempi infatti teneva corsi per gli istruttori di
difesa personale della Folgore. Io fui inserito in quel gruppo. Inutile dire che
gli allenamenti erano duri e che ogni volta che salivi sul tatami dicevi
“speriamo che mi vada bene” e quando scendevi: “Meno male anche stasera non sono
finito all’ospedale”. Ma a volte male te lo facevi davvero. E per evitare che i
miei genitori mi proibissero di tornare in palestra (erano contrari perché
troppo pericoloso), facevo finta di niente e nascondevo, per quanto possibile,
bernoccoli ed occhi neri.
Zen
Projet: Poi è passato alla Wjjf
Maurizio Silvestri: “Non ancora. Siamo nei primi anni
settanta. La Fik assorbe il ju-jitsu codificato, dopo la morte di Gino Bianchi
da Rinaldo Orlandi, suo allievo. Il mio maestro decide di non insegnare quel
metodo che non ritiene valido e si dedica al kendo ed all’aikido. Io mi fermo un
paio di mesi per una brutta frattura al polso destro. Nel frattempo si sono
svolti gli esami a nera (ero cintura marrone) a Porto Recanati. Quando torno in
palestra, trovo in segreteria una lettera dell’avvocato Ceracchini (al quale
avevo scritto spiegando la situazione) nella quale mi si invitava intanto a fare
l’esame a nera col mio programma. Ma ormai era tardi ed avevo deciso di seguire
un’altra strada, mettendomi in cerca di maestri che praticassero uno stile
quanto più simile a quello che avevo fatto. Ne incontro tanti di maestri veri e
meno veri. Tra i primi senz’altro Gianni Rossato di Padova che mi esamina
insieme a Sauro Soliani di La Spezia con Shirai presidente della Commissione che
lavora per la Fesika. Sono nera: è il 1975. Continuo a studiare con un gruppo di
amici-allievi come Patrizio Rizzoli, Stanislao
Stefanelli, Mario Dotolo invitando docenti da tutt Italia e anche dall’estero.
Il nostro scopo è provare l’efficacia delle tecniche. Andiamo anche nelle
palestre di karate, allora in gran voga, per dimostrare che il ju-jitsu non è
un’arte marziale di serie B. Troviamo spesso scetticismo e ironia ma riusciamo
sempre a farci rispettare. A volte ci scappa un colpo di troppo da entrambe le
parti. E si rischia anche la rissa, come quella volta in un night dove ci
eravamo esibiti, tra il nostro Dotolo ed il campione italiano di karate, poi
tragicamente scomparso, Sergio Pardini. E’ in quegli anni che incontriamo la
kick boxing.
Zen Projet: Chi avete conosciuto?
Maurizio Silvestri: Proprio quel
Fragale che ho citato prima. Lo invitai in palestra dopo averlo visto in una
manifestazione. Poteva essere la nostra strada perché si faceva sul serio. Fu
una bella serata, storica per noi. In particolare per Patrizio Rizzoli che
iniziò allora a seguire la Via della kick boxing e ad avviare al nostro interno
la kick jitsu, disciplina che scoprimmo poi essere già diffusa in Gran Bretagna.
Noi praticavamo un combattimento a calci-pugni-proiezioni come lo chiamavamo. E
dunque eravamo interessati ad un certo lavoro.
Zen Projet: Poi è stata Wjjf.
Maurizio Silvestri: Sì, nel 1978 andammo al primo
congresso mondiale a Liverpool. Fu una bella esperienza. Non avevamo mai visto
tanti praticanti di ju-jitsu. Eravamo sulla strada giusta. Intanto avevo aperto
una mia palestra, lo Zen club, 95 metri quadrati in tutto. Anni bellissimi
quelli che seguirono. Anni in cui si viaggiava molto, dietro agli stage
internazionali, si conoscevano maestri e studiavo con docenti del calibro di
Victor Lucien Ott, ex capitano della legione straniera, ex guardia del corpo di
Degol, superstite di Dien Bien fu. Ott mi aveva preso in simpatia e mi ha
insegnato molte cose sia nell’addestramento militare che nell’uso del coltello.
Mi portò, come suo assistente, a tenere un corso per gli agenti del supercarcere
di Favignana, nel 1979. Quella volta mi “aprì” anche un occhio con un colpo ma
di lui ho un bellissimo ricordo. Naturalmente la guida erano soke Clark oppure i
suoi assistenti, come John Steadman e poi Alan Campbell. Dallo Zen club sono
nati tanti maestri, Enrico Fatichenti, Fausto Cionini, Riccardo Sanna,
Patrizio e Massimo Rizzoli. Poi anche Mancini e
tanti, tanti altri ancora. Fino ad arrivare ad oggi.
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Zen Projet: Attività agonistica?
Maurizio Silvestri: Personalmente un bel po’, in
particolare nel settore dei Demo Team che è un po’ la specialità che ho
sviluppato in Italia. Ma anche combattimenti, a cominciare dalla Coppa Italia
del 1971 (quinto posto), al titolo italiano del 1977. Poi le vittorie
consecutive alle gare della Pasqua del Budo, dall’80 all’82. Primi posti ai
congressi Wjjf di Bruxelles e Liverpool negli anni seguenti e via via fino al
terzo posto individuale del campionato mondiale Us Open, prova di difesa
personale, nel 2000. I miei allievi e gli allievi di miei allievi hanno brillato
sui tatami di tutto il mondo, posso dirlo senza esagerare e nelle più diverse
specialità, dalla kick boxing al sandan, kung fu, judo, karate…
Zen Projet: E siamo ai nostri giorni, con qualche capello in
meno, magari un po’ più bianco
Maurizio Silvestri: Credo che l’età conti fino ad un
certo punto. L’importante è continuare a crescere, interiormente e tecnicamente.
A crescere in…altezza ci ho rinunciato da quando ero adolescente. Sì, siamo ai
nostri giorni con la soddisfazione di vedere migliaia di atleti formati da me o
dai miei istruttori o da istruttori di istruttori. Qualcuno neanche mi conosce.
Ma porta, comunque, il mio imprinting, un “marchio” di fabbrica creato in anni
di studio e lavoro.
Zen Projet: Il suo sapere non è dunque esclusivamente quello
attinto nella Wjjf.
Maurizio Silvestri: No. Come ho detto alle mie spalle
ci sono tantissime esperienze che mi hanno portato ad arricchire l’ottimo
sistema elaborato dal grande soke Clark. Ed a renderlo anche più accessibile
agli italiani, realizzando video e manuali tecnici esplicativi ed impostando un
lavoro didattico che attinge, ad esempio, alla grande scuola francese delle arti
marziali. O a quella cinese. Tra l’altro sono insegnante di judo, di krav maga,
ho studiato jeet kune do, kendo, iaido, kenjitsu, tai chi, wing chun, arti
marziali occidentali (ho scritto anche un libro su questo argomento) ed altro
ancora. Ma tutto finalizzato al miglioramento del ju-jitsu, ricercando le
origini, le radici della tecnica e, dunque, la purezza e l’efficacia del
movimento.
Zen Projet: Dunque un ju-jitsu diverso?
Maurizio Silvestri: Assolutamente no. Un ju-jitsu
ancora più ricco ed in continua evoluzione. Soke Clark ha del resto sempre detto
che i programmi sono le basi, l’alfabeto per poi scrivere ognuno il proprio
ju-jitsu. Noi diamo queste basi esattamente come insegna soke Clark
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Zen Projet: Ma allo stage dell’Amicizia abbiamo visto molti
scimmiottare, scusi il termine, i maestri inglesi, neanche parlando in italiano.
Maurizio Silvestri: L’ho detto, Stefano è un ragazzo
semplice ed i suoi sono, indubbiamente, d’accordo con lui. Se preferiscono
ripetere pedissequamente quello che vedono fare dai maestri inglesi, buon per
loro. E’ la loro Via. Io ed i miei collaboratori abbiamo invece puntato sulla
ricerca, sul perfezionamento, l’adeguamento della tecnica ad un combattimento
reale. Perché non bisogna dimenticare che il ju-jitsu è difesa personale per
antonomasia. Alla base di ogni tecnica ci deve essere lo studio degli squilibri
e degli sbilanciamenti, del kime; c’è una strategia del combattimento. Loro non
fanno nessun tipo di gare ma io ritengo che il ju-jitsu sia confronto con gli
altri e la competizione (nel giusto spirito e senza sfrenato agonismo) è una
occasione per capire quello che siamo in grado di fare. Quando ci muoviamo
sempre tra noi è più difficile crescere. In quanto alla lingua, ognuno si
esprime come vuole. Io preferisco l’italiano e sono contro ogni forma di
colonizzazione, come del resto il maestro Clark che si è sempre sforzato di
adeguarsi al paese che lo ospita.
Zen Projet: Rancori per nessuno?
Maurizio Silvestri: L’ho detto che non riesco o non
voglio provarne, il che è lo stesso. Tra l’altro le emozioni in genere e quelle
negative in particolare fanno male allo spirito, almeno così dice qualcuno in
oriente... A Livorno poi le cose si preferisce affrontarle subito e magari poi
berci qualcosa insieme. Certo che non ci piacciono i furbastri, quelli che si
appropriano di titoli che non hanno, che giocano sulle sigle, che mettono in
giro bugie o mezze verità. Non capisco la bramosia di tante persone di
attribuirsi dei titoli, magari che non hanno. Pensi che malgrado sia un mio
diritto non mi sono mai fatto chiamare dottore ed ora che ho preso una nuova
laurea continuerò su questa strada. Gli altri facciano come vogliono. Se basta
così poco a farli felici….
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