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Dopo avervi presentato su
queste pagine elettroniche il Festival
della cultura Giapponese, vi proponiamo la recensione della
manifestazione, attraverso il racconto e le impressioni della nostra
collaboratrice Ilaria LO DICO
Una visita lampo alla cultura giapponese
Di: Ilaria Lo Dico
Alla stazione Leopolda di Pisa tra
sabato 25 e domenica 26 Ottobre si è tenuto il Festival della
cultura giapponese, organizzato su iniziativa di alcuni studenti
dell'Università di Pisa (la quale ha fornito un contributo), e
patrocinato dal
Comune di Pisa: è stata sicuramente un'importante occasione per la
città di conoscere tradizioni, usi e costumi di un paese lontanissimo
(sia geograficamente che culturalmente) ed affascinante. Purtroppo
l’affluenza di pubblico non è stata particolarmente elevata: ci
chiediamo se questo sia dovuto alla mancanza della solita martellante
pubblicità attraverso i canali tradizionali di informazione, cui siamo
ormai avvezzi. Trattandosi di un evento autogestito e con risorse
finanziarie limitate a disposizione, non si poteva certo ricorrere ai
media più costosi e che presentano la maggiore visibilità. O forse
sarebbe più corretto dire…la maggiore “accessibilità passiva”. Tuttavia
l’evento è stato pubblicizzato ampiamente: tra le varie strategie
adottate, ricordiamo soltanto il sito web appositamente dedicato al
festival, gli spazi messi a disposizione dal portale
www.saimicadove.it e, naturalmente, e immancabilmente come ogni
qualvolta che si tratti di un evento legato ai temi da noi trattati,
attraverso la pubblicazione di un
lungo articolo sulla nostra rivista
www.ilguerriero.it.
Vediamo dunque, grazie all’ausilio della
nostra “inviata speciale” che si è recata al festival per vedere
quali attività vi si svolgevano, per apprezzarle e partecipare a
qualcuna di queste, come si è svolta questa manifestazione.
Aggirandosi tra i vari allestimenti si è
potuto subito notare la varietà di proposte presentate al pubblico: a
molte di esse i visitatori hanno potuto prender parte attivamente,
appassionandosi in prima persona.
In un angolo della stazione sono stati
allestiti dei tavoli dove i visitatori potevano provare a giocare alcuni
giochi da tavolo tradizionali, assistiti da maestri che ne spiegavano le
regole. Ecco che ci si poteva così imbattere:
-
nel
Go, che si gioca a due, con pedine bianche e nere disposte su
una griglia. I giocatori collocano alternativamente le loro pietre
sulle intersezioni vuote di una "scacchiera" (detta goban) dotata di
una griglia 19 × 19. Lo scopo del gioco è il controllo di una zona
del goban maggiore di quella controllata dall'avversario; a questo
scopo i giocatori cercano di disporre le proprie pietre in modo che
non possano essere catturate, ritagliandosi allo stesso tempo dei
territori che l'avversario non possa invadere senza essere
catturato. È infatti possibile catturare una pietra o un gruppo di
pietre avversarie circondandole completamente con pietre proprie, in
modo che non abbiano intersezioni libere adiacenti. Disporre le
pietre vicine tra loro permette di rafforzarle a vicenda ed evitarne
la cattura; d'altro canto, disporle distanti tra loro permette di
creare influenza su tutto il goban. Parte della difficoltà
strategica del gioco consiste nel trovare un equilibrio tra queste
necessità opposte. I giocatori cercano di soddisfare
contemporaneamente le esigenze offensive e difensive e scelgono tra
le priorità tattiche e i loro piani strategici. Il gioco termina
quando i giocatori passano consecutivamente, indicando che nessuno
dei due può incrementare il proprio territorio o diminuire quello
dell'avversario. A parte la dimensione del goban e delle posizioni
di partenza, le regole sono state mantenute nei secoli, cosicché può
essere considerato il gioco più antico ancora giocato;
-
nel Shogi, versione giapponese
del gioco degli scacchi;
-
e
nelle Carte hanafuda: “Hanafuda” Hanafuda è il termine con
cui si denomina uno speciale mazzo di carte: tradotto letteralmente
significa "Carte dei fiori". Le carte Hanafuda infatti raffigurano
proprio dei fiori. Il mazzo Hanafuda è usato per praticare diversi
giochi anche se sovente si tende a chiamare Hanafuda il gioco più
praticato, ovvero il koi-koi, le cui regole ricordano vagamente la
nostra italianissima scopa. Le carte Hanafuda derivano da una "giapponesizzazione"
delle carte da gioco occidentali, importate dai marinai portoghesi
verso il 1550. Esse vennero ridotte di dimensioni per adattarsi alle
minute mani nipponiche. L'attuale formato standard delle carte
Hanafuda, oltre ad essere ridotto rispetto a quello a cui siamo
abituati, presenta caratteristiche simili alle tessere del domino,
in quanto le carte Hanafuda sono solitamente molto più spesse delle
carte da gioco occidentali.
In un'altra area, ricoperta da tatami, si sono svolte diverse
dimostrazioni di arti marziali. Posto che sarebbe impensabile fare una
rappresentazione esaustiva dei molti stili in cui si suddivide ciascuna
arte marziale, gli organizzatori hanno voluto presentare al pubblico un
breve assaggio delle seguenti discipline:
-
Karate
Shotokan, lo stile più diffuso, che deriva dagli insegnamenti
del maestro Funakoshi, una cui foto è di solito immancabile nei vari
dojo, e Karate Shidokan, che predilige un contatto fisico pieno e
totale;
-
Iaido, un’arte influenzata dalla
dottrina zen che trae le sue radici dalle antiche scuole di
Iaijutsu frequentate dai
samurai e che hanno avuto il loro massimo splendore intorno al
XVI secolo.
Lo Iai è l'arte dell'estrazione della spada.
Lo Iaido veniva utilizzato nei duelli tra samurai e chi combatteva
sapeva che il duello sarebbe finito dopo uno o al massimo due
scambi. Alla fine del combattimento uno dei due sarebbe sicuramente
morto. Ovviamente era altrettanto possibile che un duello si
concludesse soltanto con l'estrazione della spada di uno dei due
Samurai e l'uccisione del suo avversario in un colpo solo.
-
Jodo,
ovvero la via del bastone corto, nata all’inizio del 1600 a opera
del Samurai Muso. Questa arte si compone di un di un amplissimo
curriculum di Kata, esercizi individuali che rappresentano un
combattimento contro più avversari immaginari, eseguiti sempre in
coppia, in cui uno dei praticanti impugna un bastone, l'altro una
spada lunga o corta, o entrambe [solitamente la parte dello
spadaccino viene sostenuta dall'insegnante o dal praticante più
avanzato, in quanto più esperto e capace di meglio impostare il
ritmo]. I Kata sono eseguiti tenendo conto di distanza, ritmo,
velocità, forza, secondo il grado del praticante;
-
Judo, la via dell'adattabilità (alla forza
nemica): questa disciplina insegna che il modo per vincere una forza
non è opporvisi, bensì il contrario, sfruttandola e dirigendola per
il proprio fine;
-
Katori
Shinto Ryu, riconosciuto come Tesoro Nazionale dell'arte e della
cultura giapponese e fondato da Izasa Iienao presso il tempio di
Katori il quale è dedicato a Futsu-nushi no Mikoto divinità
guardiana della sicurezza dello stato, dello sviluppo del lavoro e
del valore marziale. Per volere del fondatore la scuola è sempre
rimasta indipendente e non si è mai legata ad alcuna famiglia
nobiliare. La scuola è basata sullo studio della
Katana (arte della spada) che è considerata l'arma principale, e
con essa vengono affrontate varie armi. Il metodo d'insegnamento si
basa sull'apprendimento di
Kata, movimenti codificati di attacco e difesa tra il maestro e
l'allievo. Di norma il maestro utilizza una Katana di legno e
l'allievo di volta in volta le varie armi previste dalla scuola;
-
Goshindo, la via dell’autodifesa, che si
basa su antiche tecniche usate per la formazione dei samurai e
riprende le scuole di Karatedo, Aikido e Jujutsu, nonché numerose
altre discipline.
All’arte
della calligrafia giapponese, lo
Shodo, è stato dedicato
ampio spazio: oltre ad una lezione sulla sua origine e significato
(tenuta da Franco Pagliarulo), una gentile volontaria scriveva e
regalava ai visitatori che lo chiedevano alcune parole e nomi in shodo;
inoltre tutti potevano cimentarsi in questa difficile arte con pennelli
e carta di riso messi a disposizione dagli organizzatori.
La
calligrafia è un’arte che implica un lungo apprendimento e una pratica
costante. In Oriente è intimamente legata alla pittura, ne è anzi il
fondamento. Un buon pittore è prima di tutto un buon calligrafo, dal
momento che l’apprendimento delle due arti avviene parallelamente:
entrambe infatti sono accomunate dai medesimi materiali e si eseguono
con procedure analoghe.
Come la pittura, l’arte dello Shodo richiede innanzitutto la
padronanza del tratto, l’immediatezza del gesto, la continuità del
ritmo, il controllo della forza impressa al pennello e non tollera
ritocchi o correzioni.
Verso il 500 d.C. la cultura cinese penetra in Giappone, che ne
adotta il sistema di scrittura, adattandolo, dopo un lungo periodo, alla
propria lingua. I monaci che si recavano in Cina per il loro
apprendistato trapiantarono nel paese anche l’arte della calligrafia. La
scrittura cinese ha uno sviluppo verticale e procede dall’alto al basso
e da destra a sinistra. Le sue origini risalgono al secondo millennio
a.C. e sono incise su gusci di tartaruga e ossa oracolari. Seguì
un’evoluzione che portò all’uso del pennello ed alla formazione del
complesso dei caratteri Kanji che ancora oggi rimane in gran parte
invariato.
Fonte:
http://bokushin.org/shodo
Gli
spettatori hanno potuto partecipare anche alle lezioni di origami
tenute da Nicola Bandoni, che esponeva anche alcune delle sue belle
creazioni: con pazienza e precisione adulti e bambini si sono impegnati
a piegare i quadrati di carta colorata forniti dal maestro, per cercare
di ottenere delle semplici figure.
Il periodo di affermazione di questa arte
di ripiegare la carta nella religione shintoista e nella cultura
giapponese è riconducibile al periodo Heian (VIII-XII sec. d.C.),
durante il quale la corte imperiale raggiunse l'apice della propria
raffinatezza.
È
in questo periodo che si afferma, durante quella che sarebbe poi
diventata l'Hinamatsuri
o festa delle bambine, la tradizione della bambola fluttuante: una
bambola di carta veniva posta su una barca, anch'essa realizzata ad
origami, e lasciata trasportare dalla corrente di un fiume fino al mare.
Successivamente quest'usanza venne sostituita da quella, più complessa,
di ricostruire ritualmente con l'origami la corte imperiale, con i suoi
personaggi negli abiti rituali.
Taluni fanno invece risalire l'origine
dell'origami all'epoca
Muromachi (1392-1573),
riconducendola alle cerimonie del dono augurale del noshi-awabi ai
samurai: questo particolare mollusco, simbolo dell'immortalità,
veniva offerto all'interno di un astuccio di carta, che con il passare
del tempo divenne piegato in modo sempre più complesso fino ad
acquistare dignità di dono in sé.
Sul palco principale della stazione
Leopolda hanno avuto luogo alcune delle attività di maggiore richiamo,
come le canzoni giapponesi, la
cerimonia del tè
(agli spettatori sono stati offerti dolcini giapponesi per accompagnare
il tè verde, chiamato maccha) e la vestizione del kimono (alcuni
spettatori si sono prestati come modelli, mentre la presentatrice
illustrava le particolarità del kimono giapponese femminile e maschile,
sottolineando la differente concezione di bellezza che hanno gli
orientali rispetto agli occidentali).
Il
kimono, abito tradizione
giapponese, una veste a forma di T, dalle linee dritte, che arriva fino
alle caviglie, con colletto e maniche lunghe. Le maniche solitamente
sono molto ampie all'altezza dei polsi, fino a mezzo metro.
Tradizionalmente, le donne nubili indossano kimono con maniche
estremamente lunghe che arrivano fin quasi a terra. La veste è avvolta
attorno al corpo, sempre con il lembo sinistro sopra quello destro
(tranne che ai funerali dove avviene il contrario), e fissato da
un'ampia cintura annodata sul retro chiamata obi.
Il kimono viene generalmente abbinato a
delle calzature tradizionali giapponesi, specialmente ai sandali geta e
zori (simili alle infradito) e a dei calzini che dividono l'alluce dalle
altre dita chiamati tabi.
Proveniente dalla cultura cinese, divenne
popolare in Giappone intorno all’VIII sec. d.C.
Contemporaneamente nella sala conferenze
hanno avuto luogo gli interventi di alcuni esperti su vari argomenti (ad
esempio i manga – i famosi fumetti giapponesi - l'animazione giapponese
indipendente, la cultura gastronomica giapponese, gli haiku, ecc.)
L’haiku è un componimento poetico
di tre versi caratterizzati da cinque, sette e ancora cinque sillabe. È
una poesia dai toni semplici, che trae la sua forza dalle suggestioni
della natura e le sue stagioni. L'haiku fu creato in Giappone nel secolo
XVII e deriva dal tanka, componimento poetico di 31 sillabe che risale
già al IV secolo. Il tanka è formato da 5 versi di 5-7-5-7-7 sillabe
rispettivamente. Eliminando gli ultimi due versi si è formato l'haiku.
Per l'estrema brevità richiede una grande sintesi di pensiero e
d'immagine. Tradizionalmente l'ultimo verso è il cosiddetto riferimento
stagionale o kigo, cioè un accenno alla stagione che definisce il
momento dell'anno in cui viene composta o al quale è dedicata. Soggetto
dell'haiku sono scene rapide ed intense che rappresentano, in genere, la
natura e le emozioni che esse lasciano nell'animo dell'haijin (il
poeta). La mancanza di nessi evidenti tra i versi lascia spazio ad un
vuoto ricco di suggestioni, quasi come una traccia che sta al lettore
completare. Gli haiku tradizionali non hanno alcun titolo. Nei licei
americani e in Marocco si insegnano tutt'oggi le tecniche per scrivere
haiku.
E
dopo questa “passeggiata” nella cultura e nella storia del Paese del Sol
Levante, non ci si poteva certo far mancare un salto nello spazio della
manifestazione occupato dai banchetti di alcuni prodotti tipici, noti
agli occidentali grazie anche ai cartoni animati giapponesi. Come ad
esempio gli onigiri, le famose polpette di riso con l'alga; l’oyakodon,
un’insalata di pollo, riso e uova cotti nel sake; i dolci di azuki,
fatti con zucchero, castagne e azuki, ovvero fagioli rossi che si
coltivano in tutta l’Asia Orientale.
Gli azuki sono tradizionalmente cucinati
per celebrare situazioni favorevoli… e quale migliore occasione dunque
che riproporre questo piatto dolce in questa piacevole manifestazione,
che ha saputo coniugare divertimento e cultura in modo omogeneo ed
accattivante?
Il festival della cultura giapponese è
stato dunque un evento divertente per coloro che vi hanno partecipato,
sia per lo spettatore più “distratto”, che si è fatto incuriosire da una
cultura così profondamente differente da quella occidentale anche solo
per un pomeriggio, che per quello più attento ed appassionato, che ha
potuto cogliere alcuni stimoli interessanti da approfondire
personalmente.
Chi avesse perso la manifestazione pisana può “recuperare”
prossimamente:
dal 14 al 16 Novembre 2008 a Firenze
presso la Limonaia
di Villa Strozzi (via Pisana, 77)
si svolgerà il X festival giapponese.
Nota:
le informazioni
sulle varie arti e discipline sono state tratte da
www.wikipedia.it |