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ECCO UN ALTRO INTERESSANTE
ARTICOLO DEL NOSTRO COLLABORATORE REDAZIONALE FRANCO PICCIRILLI, CHE CI PARLA DEL Kimono. CONOSCIUTO COME L’ABITO TRADIZIONALE
GIAPPONESE, SCOPRIAMO TUTTI I RISVOLTI ED I SUOI SIMBOLISMI. MA CON SPIRITO
OCCIDENTALE CE NE ILLUSTRANO ANCHE LE PECULIARITA’ STILISTICHE E MANIFATTURIERE.
NON MANCA, IN ULTIMO, DI PARLARCI DELL’INTERIORITA’ CHE ESSO RAPPRESENTA:
ATTRAVERSO LA GRAZIA E L’ARMONIA DEI MOVIMENTI… DA OGGETTO CHE PUO’ APPARIRE
PURA ESTERIORITA’ NASCONDE IN REALTA’ MOLTO DELLA FILOSOFIA ORIENTALE CIRCA LA
CURA DELL’INTERIORE.
Kimono
Di: Franco Piccirilli
Con il termine Kimono generalmente si intende un
indumento tradizionale giapponese. Si legge che la parola Kimono può avere come
significato “cosa addosso” ( ki = abito e mono = cosa). E’ un
indumento che ha subito molte modificazioni nel tempo e che varia molto a
seconda delle diverse occasioni e stagioni; viene portato dagli uomini, donne e
bambini.
Kimono
Questa parola venne in uso solo nel XIX secolo per poter
distinguere gli abiti giapponesi (Kimono) da quelli occidentali (Yofuku).
Sembra che il Kimono sia il risultato di influenze di altri
popoli quali i Mongoli e i Manchù e che dalla Cina arrivò poi nella cultura
giapponese.
Nel periodo che va dal 710 al 794 d.C. in Giappone era in uso
il così detto Kosode (lett. maniche piccole). Questo, durante il periodo Ahikaga
(1333 - 1568 d.C) era un indumento indossato solo dalle classi sociali
inferiori, portato sotto l’abito. Successivamente anche le classi più elevate
cominciarono a far uso del Kosode, ma non sotto l’abito, bensì come indumento
esterno. Già verso la fine del XVI secolo il Kosode era l’abito di uso
quotidiano tra i giapponesi, indistintamente maschile e femminile.
Il suo uso restava comunque distinto per le varie classi
sociali, evidenziando per quelle più elevate un diverso e più appariscente
aspetto. L’evoluzione nei tessuti, nelle decorazioni (famosi i kimoni delle
cortigiane del periodo Edo 1600 - 1868, spesso riprodotti un magnifiche stampe
dell’epoca) fu parallelo allo sviluppo delle tecniche di trattamento dei
tessuti e delle tecniche di pittura e decorazione degli stessi.
Si racconta che i modelli più antichi prevedevano addirittura
la sovrapposizione di 12 Kimono di diversi colori (naturalmente per le classi
più nobili).
Trattasi di un Kimono da cerimonia a 12 strati che risale al
periodo Heian (794_ 1192) chiamato Juni hitoe (Juni : 12; il termine hitoe
indica un abito non foderato da porre sotto al Kimono). Ma il nome in realtà
deve attribuirsi anche al richiamo al nome di un fiore, lo Ajuga nipponensis,
che cresce solo in Giappone; fiore molto particolare perché i suoi fiori
sbocciano gli uni sugli altri, da cui il richiamo alla sovrapposizione di strati
dell’abito. Lo Junihitoe era un abito da cerimonia, dunque formale, usato solo
dall’Imperatrice e dalle gran dame di Corte. Anche oggi viene usato soltanto
dalle principesse della casa imperiale, nel giorno del loro matrimonio.
Durante l’ottocento con l’incremento dei contatti commerciali
con l’occidente, per il Kimono comincio un lento ma inesorabile declino, pur
tuttavia rimanendo ancora per molto tempo ancora l’abito più indossato in
Giappone.
Nonostante i tempi moderni, il passaggio delle guerre e
l’influenza occidentale, il Kimono continua comunque ad essere confezionato e
indossato, specie, come nell’esempio sopra visto, nelle cerimonie.
Nel XVII secolo, insieme allo sviluppo della tecnica di
produzione e di trattamento e coloritura dei tessuti, migliorarono anche le
decorazioni dei Kimono, specie quelli delle cortigiane.
Il Kimono viene spesso considerato anche un’opera d’arte, per
il fatto che alcuni grandi artisti giapponesi si sono dedicati alla decorazione
dei tessuti per realizzarlo.
Abbiamo detto che le tecniche sono cambiate nel corso del
tempo: ciò accadde anche grazie ai rapporti commerciali con Cina e Corea,
durante l’epoca di Nara (710 – 784). Le tecniche di base furono:la tintura Batik
a cera (Roketsu), la Hasami, con l’uso di bastoncini di legno che, messi nelle
stoffe piegate, vanno a formare i disegni), la Shibori, tintura con disegno
screziato; in seguito le tecniche si raffinarono: la Kaki-e, pittura ad
inchiostro nero di disegni calligrafici; la Suri-e, con l’uso di matrici di
legno per le stampe dei disegni; la Bokashi-zome, con tintura sfumata. In
seguito queste stesse tecniche subiscono perfezionamenti, con arricchimento in
ricami e l’uso di fogli d’oro e di argento sulle stoffe (surihaku).
L’utilizzo della cera, prima prevalente, viene poi a poco a
poi sostituito dall’amido ottenuto dalla cottura a vapore del riso.
Una delle più famose tecniche in uso ancora oggi è denominata
Yuzen. In realtà si tratta di un’insieme di tecniche di decorazione di Kimono la
cui origine viene attribuita al maestro Yuzensai Miyazaki, un illustre pittore
di ventagli. Infatti sembra che il maestro, che aveva esperienza degli stili e
tecniche precedenti, introdusse come novità un diverso stile nel disegno, più
lineare, ma estremamente personale, specie attraverso l’uso di una vasta gamma
di colori mai usata prima.
La tecnica yuzen prevede l’uso dell’amido ottenuto dalla
cottura del riso a vapore. Il disegno scelto viene riportato a mano sul tessuto
mediante un particolare inchiostro vegetale, adatto a non mescolarsi coi colori.
I profili del disegno vengono poi ripassati con l’amido che funziona da collante
e “argine” per i colori, in modo che non si spandano; a questo punto l’artista,
a mano, riempie con i colori l’intero disegno. Il colore così steso, viene
fissato con vapore caldo in apposite stufe. L’amido viene steso nuovamente su
tutto il disegno colorato perché dopo si passa a colorare lo sfondo del Kimono e
l’amido impedisce che il colore dello sfondo vada sul disegno. Ancora un
passaggio nelle stufe per fissare il colore e poi si passa al lavaggio del
Kimono, in acqua corrente, per togliere l’amido. C’è da dire che, in tempi più
recenti, l’amido è stato sostituito da una gomma chimicamente prodotta.
Non tutti i Kimono solo uguali nel taglio. Possiamo infatti
distinguere tre principali tipi di Kimono distinguibili dall’attaccatura e
nell’ampiezza delle maniche e precisamente:
-
il “kosode”, che ha la manica stretta,
-
il “hirosode”, che ha le maniche ampie
-
il “furisode”, che ha le maniche che pendono
I Kimono possono essere in seta oppure in broccato, cioè un
tessuto sempre in seta, ma più pesante. I broccati sono spesso usati nelle
cerimonie. Le decorazioni presenti sui tessuti sono varie e multiforme, ad
esempio possono essere diverse al variare delle stagioni.
Questi indumenti inoltre sono diversi anche in relazione al
sesso e alla cerimonia alla quale si deve presenziare.
Il Kimono è formato da diverse parti. Di queste forse la più
importante è l’Obi. Questa è la fascia che chiude il Kimono. Può essere una
semplice fascia come qualcosa di più complesso usato negli abiti da cerimonia.
Nei Kimono femminili la legatura posteriore dell’Obi dava
imponenza all’abito e quindi importanza alla donna che lo indossava. Questa
fascia poteva raggiungere anche svariati metri.
Il Kimono è privo di tasche, per cui l’Obi veniva usato
spesso come porta oggetti. In particolare questa fascia veniva dotata di alamari
ai quali poter appendere gli oggetti da portare. Ad esempio questo era il modo
in cui i samurai portavano la katana.
Si dice che i telai utilizzati per tessere la seta dei Kimono
erano larghi appena 37 centimetri. Per non dover quindi sprecare il prezioso
tessuto, i Kimono venivano assemblati unendo i rettangoli secondo lo schema
sotto riportato.
-
yuki – lunghezza delle maniche
-
sodetsuke – 袖付 cucitura del
giromanica, parte attaccata della manica
-
furi – 振り parte della manica
non attaccata al corpo.
-
miyatsuguchi – apertura sotto il giromanica
-
ushiromigoro – 後ろ身頃 sezione
principale della parte posteriore
-
fuki – orlo
-
sodeguchi – 袖口 apertura delle
maniche
-
tomoeri – esterno del colletto
-
uraeri – interno del colletto
-
sode - 袖 manica
-
eri - 襟 colletto
-
tamoto – “borsa” della manica
-
doura – fodera superiore
-
okumi – parte frontale sotto il colletto
-
maemigoro – 前身頃 sezione
principale della parte frontale
-
hakkake – 八掛 fodera inferiore
una particolarità dei Kimono sta nel fatto che tutti i pezzi
non sono cuciti come un normale abito: sono assemblati con una semplice
imbastitura. Questo perché quando occorre lavare il Kimono (non spesso, per non
sciupare i tessuti e i colori, ed è proprio per questo che sotto si indossano
altri kimoni in tessuto più leggero), ogni pezzo deve essere lavato
singolarmente e dopo l’asciugatura, riassemblato. E’ buona norma, inoltre, non
lavare mai l’obi. Il Kimono va riposto negli armadi piegato avvolto in carta di
riso e non appeso (a meno che non si disponga di appositi appendi-Kimono).
Se negli adulti la fascia e la legatura posteriore poteva
avere un senso pratico, questa veniva comunque realizzata anche per i Kimono dei
bambini. Un’altra particolarità, e l’elemento che può far riconoscere un
autentico antico Kimono, è la presenza di un taglio di cucitura lungo la parte
posteriore del Kimono. Questo, infatti, viene sempre assemblato con due elementi
di stoffa longitudinali: la cucitura lungo la schiena, quasi pari ad un taglio, serverebbe a far allontanare gli spiriti maligni che dovessero attaccare alle
spalle. Ecco che, infatti , questo “taglio” è presente anche nei Kimono dei
bambini, dove basterebbe un unico pezzo di stoffa per fare la parte posteriore
del Kimono.
Naturalmente vi sono diversi modi di tagliare e assemblare il
Kimono. Uno di questi prevede ad esempio il taglio e l’imbastitura dei vari
pezzi dandogli la forma che si vuole. Successivamente, si traccia il disegno che
si ricamerà sul Kimono. Infine, prima della sua esecuzione, i vari pezzi vengono
scuciti per dar loro il colore usando una delle speciali tecniche viste sopra.
Una volta colorati si assemblano nuovamente i vari pezzi, ma senza finire il
Kimono, in quanto questa operazione viene generalmente eseguita insieme al
cliente che deciderà gli accessori e la fodera da inserire.
In occidente noi siamo soliti dare importanza all’originalità
delle forme e nel taglio dei vestiti. Il Kimono sostanzialmente è rimasto come
era anticamente. Quello che distingue e che dà valore, importanza e pregio, non
è la sua forma e taglio, bensì forse e soprattutto sono le decorazioni che lo
ornano.
Come
possiamo immaginare, quindi, il Kimono non esaltava le curve del corpo come noi
occidentali siamo invece soliti fare con il nostro modo di vestire, bensì
tendevano a coprire totalmente il corpo. In questo modo, chi indossava il Kimono
mostrava ed esaltava la sua personalità muovendosi con grazia ed eleganza. Per
questo era importante la scelta del modello, dei colori, l’accostamento degli
accessori: erano dimostrazione del gusto e della personalità di chi indossava il
Kimono.
Per i giapponesi il Kimono era l’abito che metteva in mostra
quelli che essi ritengono siano i punti forti della bellezza femminile, e cioè
la nuca, i polsi delicati, la struttura sottile e l'incedere aggraziato, mentre
nascondeva, le gambe corte e la mancanza di curve, caratteristiche, queste, dei
corpi orientali rispetto a quelli occidentali.
Un tempo questo abito veniva indossato, almeno dalle nobili
dame, senza ripiegarlo in vita, lasciandolo quindi strusciare sul pavimento come
uno strascico, conferendo alla figura una naturale eleganza.
La maestosità, il portamento di queste persone veniva
enfatizzato dal modo di portare l’abito. Sembra, dunque, che l’abito venisse
anche utilizzato per mostrare l’animo delle persone più che il corpo e,
apprezzandone l’animo, non si poteva non apprezzare anche il corpo che contiene
quell’animo; non è un negare il corpo, ma manifestare l’anima attraverso il
corpo. Il corpo, infatti, poteva solo essere ciò che naturalmente la persona
tendeva a mostrare nel modo di indossare il Kimono. Pertanto, il Kimono era
anche un modo di comunicare.
Ecco che la conoscenza di quest’abito ci porta all’interno di
un mondo affascinante che si esprime non con le parole, bensì con le…
sensazioni. Il complesso modo di indossare e portare il Kimono diventa un vero e
proprio linguaggio con cui comunicare agli altri ciò che si è, o forse quello
che si vorrebbe che gli altri pensassero.
In ogni caso quello che appare in primo piano è la bellezza.
Per i giapponesi, ma forse per gli orientali in genere, la
bellezza è qualcosa da scoprire, qualcosa di esclusivo e allo stesso tempo di…
misterioso. Il bello che sia immediatamente visibile, può anche talvolta
diventare un po’ volgare e quindi non viene apprezzato quanto invece la naturale
interiorità.
Forse, l’autentica bellezza, per poterla apprezzare e vederla
per come realmente è, deve essere scoperta e riconosciuta. Qualcosa che si
potrebbe accostare anche all’illuminazione: non si può dire e far comprendere,
si può comprendere solo facendone esperienza. Quindi non si può vedere e godere
la bellezza quando questa viene ostentata: la bellezza può essere solo e
soltanto una nostra conquista: l’illuminazione forse non è il significato della
bellezza, ma ne è forse la sua esperienza.
Anche questo concetto è espresso nel Kimono: nonostante
l’indubbia bellezza e magnificenza esteriore, la scelta dei tessuti,
l’equilibrio di forme e colori, in realtà le parti artisticamente e anche
tecnicamente più raffinate si trovano all’interno dei Kimono, almeno in quelli
più elaborati. Le fodere, infatti, spesso recano disegni di squisita fattura. Un
altro mondo dentro un mondo. Allora, in realtà, dopo avere ammirato l’esterno
del Kimono, scoprire un disegno ancora più bello al suo interno, colpiti dal
magnifico disegno della fodera, vorremmo magari indossare il Kimono a
rovescio…ma non è possibile. Il Kimono in questo modo ci ricorda e ci insegna
che la vera bellezza non è quella ostentata, ma qualcosa da custodire con cura,
da non rivelare se non in particolari modi e circostanze, una ricchezza che non
può essere sbandierata, ma coltivata in silenzio. Ci insegna anche a godere
della bellezza con una sensibilità diversa, quando non abbiamo cioè bisogno di
esibirla, quando, indossando il Kimono, non sentiamo più il desiderio di
“rovesciarlo”, ma lo indossiamo con la consapevolezza della sua bellezza che
andiamo a nascondere, ma che portiamo con noi. Solo un abito, il Kimono, ma come
tante cose della cultura giapponese ed orientale in genere, uno strumento di
conoscenza di noi stessi, dei nostri limiti ma anche della nostra infinita (pur
spesso insondata) capacità di vedere ed andare “oltre”.
L’esperienza della bellezza non si identifica con il bello,
ma forse con ciò che arriva dentro ognuno senza che si riesca a capire
razionalmente cosa questa sia, ma godendo la piacevole sensazione di benessere
che pervade tutto ciò che siamo.
Ecco che apprezzare la bellezza, la personalità di una
persona, potrebbe anche apparire come un cammino spirituale, un tendere verso il
profondo delle cose, verso l’anima della persona, quella che forse è l’essenza
della persona, il suo… Essere.
Certo,
l’abito e i suoi vistosi ornamenti attirano l’attenzione, ma come potrebbe
essere paragonato a qualcosa di bello se chi lo indossa non trasmettesse ciò che
l’abito, il tessuto pregiato le decorazioni vorrebbero mettere in risalto?
Forse, al di là di tutto, quello che viene in essere è la
sensualità della persona nel suo procedere e stare in mezzo agli altri, nel suo
distinguersi dagli altri non tanto per l’abito, ma per il modo con cui viene
indossato. E’ la persona che dà all’abito quell’apparente bellezza, proprio
perchè quell’abito non potrebbe essere altro che la persona che lo indossa.
Dentro un abito di una certa fattura non può abitare un animo diverso da quello
che appare. Così la bellezza è forse l’armonia tra ciò che appare e ciò che
siamo dentro: siamo ciò che sentiamo di essere. Quando invece accade che la
persona voglia mostrare non ciò che è, ma ciò che crede piaccia agli altri…
inevitabilmente, prima o poi questo suo conflitto interiore sarà palese, e
allora come potrà essere bello ciò che appare? Tutto risulterà falso e anche
portare un Kimono dai disegni e decorazioni raffinati non ne esalterà la
persona, così come la persona non esalterà quello che potrebbe anche essere un bell’abito.
Quel conflitto interiore non potrà essere mascherato dal
cambiare abito con un indumento che si pensa migliore; tutto questo potrà
cessare solo nel momento in cui si diventa consapevoli del conflitto, nel
momento in cui si ritrova la naturale armonia con la quale ogni indumento
diventa davvero l’espressione di ciò che… sentiamo di voler essere.
Naturalmente la percezione della bellezza è possibile solo
per un’anima sensibile, un Essere puro, esattamente corrispondente a chi esprime
quella bellezza.
Una simile persona non si ferma alle fattezze dell’abito,
anche se, attraverso l’abito, può entrare in intima risonanza con l’essere che
lo indossa e quindi riconoscerne l’esclusiva sua bellezza.
Forse questo non è poi così diverso dall’Amore che si esprime
anche attraverso l’arte di portare l’abito. Ecco perché potremmo avanzare
l’opinione nostra personale che l’Amore potrebbe anche essere l’arte di… saper
vivere nei panni che indossiamo.
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Bibliografia
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