TUTTI NOI NE ABBIAMO SENTITO PARLARE, MOLTI LA IMMAGINANO,
MA POCHI FORSE LA CONOSCONO. ECCOVI SPIEGATE IN QUESTO INTERESSANTE ARTICOLO,
ATTRAVERSO I SUOI RISVOLTI E CONCOMITANZE STORICHE, FATTE DI TRADIZIONE,
LEGGENDA, FILOSOFIA, ARTE E CULTURA… LE VARIE FASI CRONOLOGICHE IN CUI QUESTA
SEMPLICEMENTE SI SVOLGE. FORSE… L’APPARENTE COMPLICATEZZA IMPUTATAGLI, RISIEDE
NELL’IMPORTANZA DATA AI MINIMI DETTAGLI PER NOI APPARENTEMENTE FUTILI?
Cerimonia del Tè
- Cha-no-yu -
Di: Franco Piccirilli
Il
Tè occupa un posto certamente importante tra le bevande più consumate, forse in
virtù di quelle qualità che gli vengono attribuite e che hanno determinato il
sorgere di numerose leggende circa la sua origine.
Una di queste, forse la più accreditata nella tradizione dei
monaci zen, vuole che sia lo stesso
Bodhidharma (leggendario monaco buddista indiano del VI secolo d.C),
l’artefice della nascita di questa pianta.
Si racconta infatti che il monaco Bohidarma, che portò il
buddismo dall’India in Cina, dopo varie vicende rimase nove anni in meditazione
in una grotta nei pressi di
Shaolin. Per evitare di addormentarsi e quindi di venire meno all’impegno
che si era preso, preferì tagliarsi le palpebre che gettò in terra poco lontano
da dove egli stava meditando. In quel punto, poco tempo dopo, si dice nacque la
pianta da Tè.
Certo la storia sembra inverosimile, ma non forse il
messaggio che questo racconto ci tramanda. Il consumo di questa bevanda, infatti
sembra aiuti a mantenere quella vigilanza e attenzione che è condizione
essenziale nella pratica della meditazione, in particolare quando è richiesto di
stare in meditazione per molto tempo. Quindi il consumo di questa bevanda
favorirebbe una maggiore consapevolezza nella pratica della meditazione che i
monaci sostenevano giornalmente.
Inoltre la pratica di bere Tè si lega inscindibilmente alla
filosofia zen tanto che sembra sia divenuta parte integrante all’interno della
vita dei monasteri, inizialmente per quelle sole cerimonie dove si onorava il
monaco Bodhidarma, poi tale abitudine venne utilizzata sempre più anche in molti
altri momenti della vita del monastero.
In questi ultimi tempi sembra si stia scoprendo, o meglio
riscoprendo, non tanto il gusto per questa bevanda, quanto forse l’uso di questa
bevanda, il modo di prendere il Tè, quella che viene definita la… Cerimonia del
Tè.
Questa bevanda era conosciuta da tempi antichissimi e la sua
origine non chiara ha forse determinato lo sviluppo di numerose leggende. Queste
probabilmente non sono altro che mezzi per far conoscere e distinguere questo
infuso da altri decotti del tempo. Potremmo supporre che esistessero anche altre
piante i cui infusi avessero almeno gli stessi benefici effetti, se non
addirittura migliori, ma questo è divenuto nel tempo l’infuso più conosciuto,
grazie anche alle numerose leggende che ne hanno decretato il successo,
attribuendogli qualità apparentemente superiori, forse proprio perché legate
alla spiritualità dei monasteri: il fatto che lo si usasse frequentemente nei
monasteri non poteva non far pensare a qualcosa di sacro e quindi buono per la
salute. Oppure, al contrario, proprio perché se ne conoscevano gli effetti
benefici dai tempi antichi non poteva non essere considero qualcosa di sacro e
quindi il posto migliore dove questo poteva essere custodito erano i monasteri.
Più verosimilmente l’ipotesi più plausibile non ha niente a che fare con tutto
questo, ma è solo la naturale conseguenza della sua diffusione nel territorio.
In effetti, per quanto riguarda il Tè, sembra che ci sia un
qualche legame con una spiritualità dell’uomo verso la ricerca di quell’unione
con il tutto, ma forse non tanto per le qualità della bevanda, quanto piuttosto
per il modo con cui questa veniva ed ancora viene consumata, cioè il particolare
rituale con cui ancora oggi, in particolari occasioni, viene servita.
Così, col tempo, prendere una tazza di Tè diventò un vero e
proprio rituale, e addirittura in alcuni contesti essa dette origine ad una vera
e propria arte della sua preparazione e offerta.
La pianta di Tè è originaria dell’Asia meridionale, qualcuno
dice della Cina meridionale. Da qui fu poi importata in Giappone, secondo alcuni
durante il periodo di massimo contatto con la Cina, quello che fu il periodo
della dinastia Tang (618-907 d.C.).
Altre notizie parlano di un monaco zen, un certo Kukai, che
intorno al IX secolo portò il Tè in Giappone in occasione di uno dei viaggi che
fece dalla Cina e lo presentò a corte. Il fatto di presentare il Tè a corte
significava indubbiamente che era qualcosa che si riteneva speciale, tanto da
volerne presentare le particolari qualità alla corte, proponendole forse come
dono, ma forse anche per poter accreditare e valorizzare questa pianta anche in
Giappone ed in particolare nei monasteri.
Fino al XII secolo questa bevanda rimase confinata all’uso di
pochi, in particolare della sola aristocrazia, oltre che utilizzata nei
monasteri durante le cerimonie buddiste.
E’ dal XIII secolo che il Tè si diffuse in tutto il Giappone,
forse non a caso con la diffusione della filosofia zen. In quel periodo infatti
i monaci giapponesi si recavano spesso in territorio cinese per lo studio del
buddismo.
Infatti la tradizione parla ancora di un altro monaco, Eisai
(1141 – 1215), che, rientrato da uno dei suoi viaggi di studio sul buddismo
dalla Cina, portò con sè alcuni semi di questa pianta e scrisse anche un
trattato sulle proprietà del Tè, Kissa Yojoki, esaltandone gli effetti benefici
che avrebbe avuto non solo sulla salute, ma anche sullo spirito. Con lui il Tè
acquistò maggiore notorietà, grazie anche al suo discepolo Dogen (1200 – 1253).
Tornando anche lui da un viaggio in Cina portò con sé alcuni utensili utilizzati
per la preparazione della bevanda, dando precise istruzione ai suoi discepoli su
come preparare e servire il Tè. Queste regole posero probabilmente le basi per
quella che poi divenne la cerimonia del Tè, il Cha-no-yu (letteralmente "acqua
per il Tè"),.
Tutte le tradizioni sembrano quindi mostrare che il consumo
di Tè e la successiva cerimonia del Tè ebbero origine attraverso gli scambi
religiosi avvenuti tra i monaci cinesi e giapponesi, influenzati dalla
filosofia buddista che in Giappone si affermò come filosofia zen. Ma forse
più probabilmente prima degli scambi religiosi, tra queste popolazioni vi erano
da tempo scambi anche commerciali.
Fu solo in seguito che questa pratica dai monasteri si
diffuse anche tra il popolo come forma di intrattenimento e piacere: in
particolare tra i nobili della corte a Kioto, ma anche nella classe dei
guerrieri ed è forse in questo periodo che prende forma la Cerimonia del Tè.
L’utilizzo di questo infuso divenne anche qualcosa di
intimamente legato a valori spirituali, un vero e proprio rito, addirittura una
vera e propria forma di espressione artistica, non solo tra i monaci dei
monasteri, ma anche tra i mercanti che tra il XIV e il XVI secolo si stavano
affermando come nuova classe emergente.
La cerimonia assunse quindi anche un carattere sociale e si
arricchì di numerosi atti coreografici che nel complesso potevano apparire solo
come ostentazione della ricchezza e del potere di chi offriva il Tè
all’invitato.
In questo periodo alcuni famosi monaci ritennero che il
rituale del Tè potesse andare oltre quello che appariva, oltre lo sfarzo e
l’ostentazione con cui questi riti avvenivano, ma che la cerimonia potesse
portare la persona oltre ciò che riteneva di essere. Addirittura la cerimonia
poteva diventare anche una espressione della pratica Zen, a dimostrazione che
ogni atto della vita di ogni giorno è un atto che potenzialmente può portare
all’illuminazione.
Questo nuovo modo di intendere la cerimonia portò allo
sviluppo di una nuova bellezza esteriore, ad una ricerca dell’armonia
nell’imperfezione della quotidianità, anche attraverso l’uso di strumenti per la
preparazione e offerta del Tè meno pregiati di quelli cinesi, quali erano quelli
giapponesi. Ma il tutto sempre e comunque con la consapevolezza che ogni gesto
richiedeva.
Questo culto si diffuse anche tra i samurai, per i quali
sembra che la Cerimonia del Tè divenne parte integrante della Via del Budo, non
distinguendosi da questa, ma risultando forse essa stessa la Via. Infatti
l’attenzione prestata non poteva non essere la medesima che veniva data alla
spada…. semplicemente consapevolezza.
Attorno alla Cerimonia del Tè sono fiorite anche altre forme
di espressione artistica quali la
calligrafia, e la pittura, ma anche l’architettura, la ceramica… comunque
forme artistiche in cui l’arte diventa solo il mezzo per una crescita interiore
verso una più alta conoscenza del sé.
Ma solo all’interno della filosofia zen possiamo trovare
quello che potrebbe essere il profondo significato del rito del Tè, con cui
spiegare i contenuti e, attraverso l’esperienza del profano poter arrivare
all’illuminazione, cioè al sacro. In questo modo l’arte diventa il mezzo per
comprendere il sacro. Forse grazie anche alla cerimonia del Tè si può arrivare a
non distinguere più la vita dall’arte così come il sacro dal profano. Infatti
nella filosofia zen si pone particolare attenzione e consapevolezza ad ogni
gesto, anche quello che apparentemente potrebbe sembrare il più insignificante,
ma che, proprio perché fatto con tutta l’attenzione e la consapevolezza che quel
gesto richiede, esso non è diverso dal tutto, quindi esso è il tutto. Non si
può spiegare, lo si può solo vivere e attraverso questo, forse, lo si… scopre.
Questa particolare e naturale attenzione ad ogni atto è ciò
che ancora oggi si usa far imparare prima della cerimonia vera a propria,
attraverso l’apprendimento del modo più elegante di eseguire alcuni gesti
ritenuti ovvi, che invece assumono un significato assai importante
nell’esecuzione del rito. In quei gesti, quali ad esempio il camminare, il
sedersi…, la ricerca della bellezza diventa solo l’espressione della
consapevolezza dell’azione. Forse ciò è la giusta preparazione per ogni altro
atto che successivamente verrà appreso in seno alla cerimonia.
Così ogni gesto effettuato nella cerimonia ha la sua
importanza e come tale dovrà essere effettuato con la massima attenzione e cura.
Anche gli utensili con cui si prepara il Tè acquistano un
particolare significato, tanto da dover essere scelti con cura proprio per l’uso
che ne verrà fatto; questi comprendono:
- chawan - la ciotola per il Tè;
- chaire - il contenitore del
Tè;
- chasen - il frullino di
bambù;
- chashaku - il mestolo di bambù.
Esistono diverse scuole che insegnano la cerimonia del Tè,
forse anche con modi in parte diversi, ma sostanzialmente tutte ne condividono i
principi.
Uno speciale abbigliamento è dedicato alla cerimonia;
solitamente gli indumenti hanno colori sobri, capita a volte però, nelle
cerimonie molto importanti, che venga indossato il kimono con lo stemma di
famiglia, mentre ai piedi si mettono le tradizionali calze bianche giapponesi
(tabi). Secondo il cerimoniale, gli invitati devono portare con sè un ventaglio
e un pacchetto di fazzolettini di carta (kaishi).
Un complesso codice di etichetta regola tutta la cerimonia,
fin dal momento dell’invito…
La cerimonia si svolge con un numero massimo di cinque
invitati. Una speciale attenzione viene posta anche al luogo dove la cerimonia
si svolge. Questa solitamente è una piccola e rustica capanna inserita nel mezzo
del giardino dell’abitazione. Generalmente vi si accede seguendo un percorso
sinuoso. Il padrone di casa conduce gli invitati attraverso il giardino nel
luogo dove è sistemata la capanna per la cerimonia del Tè. Durante questo
percorso, essi trovano di solito una conca piena d’acqua per sciacquarsi le mani
e la bocca. Questo ha forse il senso di far avvicinare gli ospiti alla natura,
lasciando i problemi del mondo ed i relativi conflitti fuori dalla porta.
Anche l’entrata nella capanna ha un significato particolare:
questa infatti è bassa, tanto che gli invitati sono costretti ad abbassarsi e
quindi ad inchinarsi, senza alcuna distinzione di classe sociale.
Un atteggiamento di umiltà verso quello che potrebbe anche
sembrare un luogo sacro.
L’ambiente che li accoglie è molto austero, essenziale.
Una volta entrati, essi si dirigono verso il tokonoma –
angolo della bellezza - dove possono ammirare un fiore disposto in maniera
particolare secondo quello che sono in principi dell’arte ikebana, l’arte di
disporre i fiori. Oppure possono ammirare un rotolo di riso con una
calligrafia tracciata a mano da un artista, lasciandosi ispirare e così
predisponendosi alle successive fasi della cerimonia. Quindi eseguono uno o più
inchini davanti al tokonoma e si dirigono verso il focolare, che può essere
fisso oppure solo un braciere. Dopo averlo ammirato, l’invitato più importante
prende posto e a seguire tutti gli altri. Gli ospiti quindi si radunano sulla
stuoia (tatami) sedendosi sui talloni e con la schiena in posizione eretta (seiza).
Tutta l’attrezzatura è disposta su un tavolino e prima di
iniziare gli invitati ne ammirano le fattezze.
Solitamente nella prima parte della cerimonia si usa servire
un pasto leggero (Kaiseki), quindi viene servito un Tè denso (Koicha) ed infine
si serve un Tè meno denso del precedente (Usucha).
L’intera cerimonia risulta molto lunga, pare duri circa
quattro ore. Più spesso la cerimonia si riduce alla sola offerta di Tè per una
durata di circa un’ora. Solo nelle occasioni importanti si esegue tutta la
cerimonia.
Il padrone di casa procede quindi alla preparazione del Tè,
mettendo nella ciotola o tazza del matcha, la polvere di Tè verde, sopra cui
viene versata acqua calda (l’ideale è a 60°) con l’hishaku – una specie di
mestolo -; si mescola quindi con il - chasen – frullino per agitare il Tè – fino
a formare una bevanda spumosa di color verde chiaro.
A questo punto il Tè è pronto per essere servito.
A questo punto a seconda che si tratti di servire il Tè denso
o il Tè leggero, la cerimonia è leggermente diversa.
Nel primo, Koicha, viene versato in una unica tazza da cui
ognuno ne beve solo pochi sorsi. La tazza viene offerta all’invitato più
importante che guarda con ammirazione la tazza, ne beve un sorso e poi decanta
le qualità della bevanda. Poi prima di passarlo all’ospite successivo ne prende
ancora qualche altro sorso, avendo cura di asciugare la parte della tazza dove
ha poggiato la bocca. Concluso il giro può accadere che l’invitato più illustre
chieda di poter nuovamente ammirare la tazza.
Nell’altro rituale, Usucha, l’ospite serve il Tè in una tazza
per ogni invitato. Il Tè viene versato in apposite ciotole (chawan), come quelle
in ceramica raku, la cui semplicità e rusticità contribuiscono a predisporre una
mente calma e tranquilla. Queste ciotole non sono perfettamente rotonde e il
bordo superiore non è liscio, ma ondulato, sembra che questo consenta di poter
provare una particolare sensazione piacevole quando le labbra vi si appoggiano.
Così come il cerimoniale prevede un particolare rito per la
preparazione del Tè, allo stesso modo chi prende il Tè deve seguire un
particolare rito.
La tazza, infatti, viene offerta con la parte più bella
rivolta verso l’ospite. Questi la prende con la mano destra e con movimento
lento ma continuo, porta la ciotola sul palmo della mano sinistra, tenendola
davanti a sé. Si fanno, quindi, due inchini per esprimere riconoscenza e
gratitudine: uno nei confronti del maestro di cerimonia e uno per il Buddha.
Prima di bere, si prende la ciotola con la mano destra e la
si gira verso sinistra, in senso antiorario, finché la parte esterna più bella
della ciotola sia rivolta verso l’esterno. A questo punto si sorseggia il Tè,
facendo percepire il suono del te che viene sorbito.
Si pulisce, quindi, la parte su cui si sono appoggiate le
labbra con il pollice e l’indice della mano destra. Si gira, quindi, ancora una
volta la ciotola verso sinistra, in modo da poter ammirare il lato più bello e
si appoggia davanti a se stesso.
Dopo che ogni invitato ha consumato il contenuto della
propria tazza, queste vengono restituite al padrone di casa. L’ospite recupera
tutta l’attrezzatura e la porta in un’altra stanza. Quindi ritorna dagli
invitati, si inchina davanti a loro, indicando così che la cerimonia è
terminata. Poi tutti si avviano verso l’uscita dalla capanna accompagnati dal
padrone di casa.
Tutta la cerimonia, tutta quella attenzione riposta in un
atto apparentemente comune, potrebbe anche apparire alle persone poco sensibili,
eccessiva e perfino maniacale. Ma forse proprio perché quei gesti sono comuni ad
ognuno, non ne siamo pienamente consapevoli. Non essendone consapevoli forse non
possiamo neanche dire cosa stiamo facendo, vero? Potremmo quindi dire di vivere
sapendo quello che facciamo?
Durante la cerimonia il tempo appare fermo, o quantomeno
rallentato, mentre scorrono le nostre azioni. La mente prende forse
consapevolezza di qualcosa che il nostro vivere quotidiano non può rivelare, in
quanto i gesti di ogni giorno sembrano essere orientati … all’avere, al
raggiungere degli obiettivi. Quell’avere è la manifestazione del nostro io,
quell’Io che per poter esistere deve avere, deve possedere, così che l’Io
identificandosi con ciò che fa… crede di esistere, quindi in ultimo crediamo di
essere. Nella cerimonia del Tè, attraverso il modo in cui il rituale si
sviluppa, possiamo invece esprimere qualcosa che attiene a ciò che sentiamo, per
cui in quel momento non stiamo facendo niente, ma forse siamo semplicemente
tutto, quel tutto inteso come intero, come integro: ciò che sentiamo è il nostro
agire in quel momento.
Per poter dare spazio all’essere, l’io deve necessariamente
venir meno. Non negandolo esso cesserà di disturbare, ma soltanto nel momento in
cui ne siamo consapevoli allora, forse, non potrà interferire con la naturale
armonia della Vita e quindi con ciò che sentiamo di essere.
Così il nostro essere può esprimersi solo e soltanto nella
libertà da quello che è l’io, ciò che noi crediamo di dover essere. E se c’è
questa libertà allora non c’è timore alcuno di sentire e esprimere ciò che
siamo, il nostro agire sarà allora la naturale espressione dell’armonia della
Vita.
Quella libertà che non è sforzo, non è resistenza, ma
accoglienza prima di tutto di noi stessi e quindi accogliendo noi stessi forse
possiamo conoscere ciò che… sentiamo.
L’arte della cerimonia del Tè potrebbe rappresentare un modo
per conoscere noi stessi, attraverso il silenzio della mente, cioè dell’io,
liberando il nostro essere affinché possiamo esprimere ciò che siamo. Questa è
forse la libertà e nella libertà possiamo forse scoprire qualcosa che non può
essere detto, ma solo sentito… l’Amore?
Bibliografia
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