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ECCOVI UN ALTRO BELLISSIMO ARTICOLO DELLA NOSTRA OCCASIONALE (MA AUTOREVOLE) COLLABORATRICE MANUELA SIMEONI, SULLA RICERCA DELLE ORIGINI DELLE ARTI MARZIALI, CON SALUTARI RIFERIMENTI STORICI. MA SOPRATTUTTO ARRICCHITI ANCHE DA SUOI PERSONALI OPINIONI AL RIGUARDO.TRA PYGMACHIA E PUGILATUS CAESTISDi:Manuela SimeoniLe origini più remote delle arti marziali risalgono certamente al momento in cui l’uomo, o gruppi di uomini, hanno cominciato a competere con i propri simili: non una competizione sportiva in cui l’importante è partecipare, ma una competizione per la sopravvivenza, per fonti di cibo che non bastavano per tutti, per un luogo particolarmente favorevole, per l’uso di una fonte d’acqua. Qui vennero elaborate le prime arti marziali propriamente dette, ossia le “arti da guerra”. Le prime arti marziali erano praticate solo con il corpo e le armi sarebbero state introdotte in seguito; tra queste primissime “discipline” doveva esserci anche l’embrione del pugilato. Persino un bambino tenta di tirare un pugno senza che nessuno gliel’abbia insegnato: si tratta di un gesto piuttosto naturale, ma diventa arte marziale solo nel momento in cui il gesto viene studiato, esercitato e messo in pratica, anche in contesti esterni alle guerre. Così fu per quello che oggi chiamiamo pugilato e che nacque agli albori delle civiltà, seppure molto diverso da quello che conosciamo oggi. Fonti iconografiche come dipinti e bassorilievi ci informano che questa attività o comunque un “combattimento di percussione” veniva praticato fin dal III millennio a.C. presso le civiltà mediorientali e in Egitto. Un affresco cretese ci mostra due combattenti con le mani fasciate: si tratta molto probabilmente di una fase in cui la pygmachia, come verrà poi chiamata in Grecia, è già uscita da un contesto esclusivamente guerresco per diventare uno “sport”. Attenzione che il concetto attuale di sportività non rientrava nel modo di pensare degli atleti dell’antichità, per i quali la gara era da vincere alla stregua di un combattimento, e soprattutto le gare di lotta erano per questo molto dure. Meglio di tutte queste discipline conosciamo la Pygmachia greca, che compare già nei poemi omerici e di cui possiamo vedere molti esempi nelle pitture vascolari. Letteralmente pygmachia significa “combattere con i pugni”, ma in realtà erano ammesse anche tecniche di gamba, perciò si trattava di un antenato della moderna kickboxing. Contatto pieno naturalmente, tanto che i giudici di gara non avrebbero considerato sanzionabile la morte di uno dei due atleti, e senza categorie né riprese. Come per i pancrazisti, la preparazione dei pugili era molto dura, a base di ginnastica (a farla da padroni i piegamenti sulle braccia e sulle gambe, che possiamo vedere spesso riprodotti sui vasi e che venivano eseguiti variando velocità, profondità di esecuzione e rimanendo talvolta in contrazione isometrica) e lavoro al sacco: a quello leggero pieno di semi di fico per il condizionamento osseo e muscolare o a quello pieno di cereali per lavorare sulla potenza o a quello pieno di sabbia, usato in particolare per i pugni. Si praticava ovviamente anche lo sparring, con dei guanti particolari detti in greco sphairai, ovvero sfere, perché questa era la forma che assumeva l’imbottitura attorno alle mani, fissata poi agli avambracci e completati da una cinghia di cuoio che serrava la mano a pugno. Molto rappresentata dalle fonti iconografiche e quindi forse molto apprezzata o utilizzata è la tecnica del pugno a martello. Sempre osservando questo tipo di fonti, alcuni studiosi hanno concluso che i pugni venissero portati con un caricamento molto evidente per aumentarne la potenza. Personalmente però non sono molto convinta di questa tesi, innanzitutto perché il caricamento portava l’atleta a scoprirsi e a perdere preziose frazioni di secondo, e poi perché questo tipo di fonti non possono essere sempre prese alla lettera. Basta pensare ai combattimenti che vediamo nei film moderni, con braccia allargate e altri dettagli che talvolta fanno inorridire o ridere chi davvero pratica sport da combattimento, ma che sono dovuti ad esigenze sceniche: anche lo spettatore più impreparato deve stupirsi della “potenza” del colpo dell’eroe di turno (che magari, tirato così, non avrebbe nemmeno centrato il bersaglio su un ring vero), così anche le raffigurazioni antiche potrebbero essere state esagerate per rappresentare simbolicamente la potenza del personaggio in questione. In alcune gare erano permesse anche temporanee prese alle braccia, ma per lo più le si proibivano, mentre le testate erano in genere consentite. Le gomitate erano molto diffuse invece, probabilmente per il tipo di guardia impiegato, lo stesso utilizzato nel pancrazio. Non esisteva neanche il concetto di protezione e gli atleti combattevano nudi, con le mani fasciate dagli himantes, strisce di cuoio imbevute in olio d’oliva, lunghe circa quattro metri, che si avvolgevano attorno alle dita e al palmo della mano come delle moderne bende, talvolta usate anche dai pancrazisti. Non svolgevano semplicemente funzione di protezione, ma diventavano quasi delle armi di offesa. Gli himantes procuravano all’avversario solo delle abrasioni, ma già nel IV secolo a.C. comparve una nuova versione di queste bende, pensata per far male più che per proteggere, i cosiddetti oxis, che partivano dal gomito o dall’avambraccio e terminavano sulla mano con un anello spesso di pelle che aumentava il danno inflitto dai colpi. In questo senso dalla pygmachia attraverso gli Etruschi si evolvette il pugilatus caestis romano, una versione dove le tecniche di gamba erano proibite ma che comunque era particolarmente cruenta: nel I sec d.C. (tardi comunque rispetto all’introduzione di questo tipo di gara nei ludi, e innovazione mai molto apprezzata, voluta solo per soddisfare il pubblico che richiedeva spettacoli più sanguinari) vennero appunto introdotti i caestus, micidiali guanti con punte e parti in metallo, sotto i quali si indossava a volte un coprinocche di bronzo. In certi casi, una sola tecnica bastava a finire l’incontro. Non durò a lungo: sia la pygmachia che il pugilatus caestis vennero proibiti con il cristianesimo nel IV secolo d.C., quando l’imperatore Teodosio interruppe le olimpiadi (nelle quali la pygmachia era praticata almeno dal 688 a.C. ) e in generale si vietarono giochi e spettacoli. I divieti però non fermarono la natura battagliera dell’uomo, che continuò a praticare questo sport, sia pure in versione meno cruenta rispetto a quella romana, prima clandestinamente e poi dal XI secolo ancora alla luce del sole, fino ad arrivare al pugilato moderno, che si svilupperà nell’arco di quattro secoli a partire grossomodo dal secolo XVI. |