DOPO LE PRIME DUE PARTI DELL’INTERESSANTE
RELAZIONE DEL SOCIOLOGO MASSIMO BLANCO SUI PROCESSI DI COSTRUZIONE
DELL’AUTOSTIMA NEL BAMBINO, ECCOVI LA TERZA ED ULTIMA PARTE, A
CONCLUSIONE DEL SUO GRADITISSIMO INTERVENTO.
I processi di costruzione dell’ autostima - 3°
parte
Di: Dott. Massimo Blanco
(Direttore Dipartimento di Sociologia WTKA)
Giungiamo
con il presente articolo alla conclusione di questo piccolo trattato
sui processi di costruzione dell’autostima (VEDI:
1° parte –
2° parte).
La conoscenza dei meccanismi tramite i quali un
individuo sviluppa questo sentimento risulta di vitale importanza
per l’insegnante di arti marziali che, a differenza degli educatori
sportivi di altre discipline, come ad esempio il calcio, la
pallavolo, il basket ecc… i quali finalizzano la loro didattica
quasi unicamente al “risultato di gara”, ha invece il compito di
educare l’allievo a trovare la “via”, cioè la consapevolezza,
l’armonia e la sicurezza interiore. L’unico “vero” risultato che
l’insegnante di arti marziali si attende dall’allievo è che questi,
una volta trovata la “via”, la segua per tutta la vita, dentro e
fuori dal dojo. Abbiamo già parlato di diversi aspetti che
caratterizzano l’interiorizzazione dell’autostima da parte
dell’individuo, trattando in generale della famiglia poiché, come
già detto, è questo il contesto dove “dovrebbe” (il condizionale è
d’obbligo) avvenire la formazione di tale elemento basilare per un
corretto equilibrio psicologico di ogni persona. Apprendere quali
sono i processi di costruzione dell’autostima all’interno della
famiglia, può aiutare l’insegnante-educatore a capire chi dei propri
allievi, soprattutto i bambini e gli adolescenti, ha un disagio
legato a mancanze di base ed aiutarli a colmare quel vuoto che, se
non individuato per tempo, potrà condizionare per sempre la loro
vita. Dopo aver trattato del “controllo”, della “fiducia”, delle
“aspettative” e dei “rinforzi” da parte dei genitori, qui finiremo
con l’analisi dei seguenti processi di costruzione dell’autostima:
la “comunicazione”, il “dialogo”, le “punizioni”, il “calore della
famiglia” e la “autorevolezza”, per concludere con l’illustrare chi
è l’adulto carente di autostima e quali mezzi egli abbia a
disposizione al fine di riconquistare un sentimento negato dal
proprio vissuto familiare.
LA COMUNICAZIONE
Troppo spesso trascurata, una efficace
comunicazione che coinvolga il bambino è rilevante perché produce un
sentimento di “appartenenza” al gruppo familiare (in tale contesto
il “gruppo primario”) e lo faccia sentire considerato per la sua
intelligenza e la sua capacità di riflettere: un terreno fertile per
la crescita dell’autostima.
I figli hanno il bisogno (non glielo si può
assolutamente negare) di percepire i propri genitori come persone
mature e responsabili, impegnate a perseguire il bene della
famiglia. L’errore sul fronte della comunicazione nasce nel momento
in cui i genitori si mettono sullo stesso piano dei propri figli,
distorcendone il rapporto e le aspettative. Per esempio, quando si
pone il bambino di fronte a dei problemi impropri per la sua età,
chiedendogli di esprimere giudizi su questioni delicate o
drammatiche come una separazione coniugale. Le questioni “da grandi”
devono sempre e comunque essere discusse e risolte da questi e mai
un figlio dovrebbe essere chiamato a subire una violenza di tale
portata che potrebbe ripercuotersi in modo brutale sulla sua psiche.
IL
DIALOGO
Dei genitori aperti al dialogo costituiscono una
risorsa importantissima per l’equilibrio del bambino, il quale ha
l’opportunità di crescere in modo sereno quando in famiglia c’è un
clima di confidenza e la possibilità di raccontare tutti i momenti
della giornata, belli o meno piacevoli. Il dialogo deve essere “di
qualità” ed è anche opportuno che mai il genitore si metta sullo
stesso piano del bambino. In questo modo verrebbe meno il “ruolo”
che il genitore ha nel rapporto con il figlio andando contro le sue
“naturali” aspettative. Molto spesso si sente parlare di persone che
dicono di essere più che genitori “amici” dei propri figli. Questa
moderna concezione del ruolo genitoriale da parte di taluni
soggetti, non è assolutamente di aiuto ai figli (bambini e
adolescenti). Molti genitori pensano che essere “amici” dei propri
figli significhi avere una “apertura” tale da permettere un maggiore
dialogo. Credono che la “complicità” renda il rapporto migliore e
improntato ad una maggiore sincerità. In verità, con questo
atteggiamento si nega ai figli il riferimento “autorevole” di cui
hanno bisogno. Ebbene sì, per quanto taluni pensino che il ruolo del
genitore non debba essere anche quello della “autorità”, si replica
che in questa maniera si ledono i cardini della stabilità affettiva
e relazionale del presente e del futuro del bambino.
I “ruoli” vanno sempre onorati. “Un figlio non
è un amico ma un figlio” e come tale vanno rispettati il suo
“bisogno” psicologico e il suo “diritto” morale di avere un genitore
che svolga il proprio ruolo (chiaramente in maniera equilibrata come
illustrato nel presente scritto). La negazione di un “riferimento
autorevole” può portare il bambino a comportamenti prepotenti e
aggressivi che sono la naturale reazione alla mancanza di un modello
comportamentale adulto del genitore.
LE PUNIZIONI
Per
quanto possa sembrare spiacevole a dirsi, anche la punizione è utile
affinchè un bambino cresca in modo equilibrato. La “punizione” non
si deve intendere assolutamente quale atto vessatorio violento di
reazione ad una mancanza commessa o ad un guaio perpetrato dal
bambino. La punizione deve essere vista come il “simbolo” educativo
atto a fare interiorizzare le regole sociali. Quindi, non deve mai
essere spropositata e inadeguata al comportamento del bambino,
poiché sarebbe naturalmente controproducente. La punizione è
efficace solo se immediata e deve colpire l’azione del bambino nel
momento in cui essa si svolge o immediatamente dopo. Come prima
detto, la punizione deve essere inflitta in maniera equilibrata e
avere valore “simbolico”. Solo in questo modo ci si può aspettare
dal rapporto con il bambino una successiva empatia e un dialogo che
fa capire al bambino stesso il comportamento attuato dal genitore.
In tale maniera il bambino potrà condividere l’azione punitiva e il
genitore comprendere e perdonare il figlio, magari sdrammatizzando.
Sovente capita anche al genitore più accorto e sensibile di mal
calibrare l’azione punitiva, ma ciò, se avviene per caso o raramente
(il genitore è pur sempre un essere umano), non porta a conseguenze
negative. Di contro, nel caso in cui la punizione mal calibrata,
esagerata o violenta sia la regola educativa, indubbiamente il
bambino farà proprio tale atteggiamento interiorizzando tale modello
comportamentale, usandolo nelle relazioni sociali per fare valere le
sue ragioni nei confronti degli altri. Da adulto sarà incline a
divenire genitore sul modello del proprio vissuto.
IL
CALORE DELLA FAMIGLIA
Quando i genitori sono disponibili e non
antepongono le loro esigenze a quelle dei loro bambini, ci giocano,
li portano a spasso e danno la giusta atmosfera di “circolarità
d’amore”, donano loro il calore che consolida il legame con la
famiglia. I bambini saranno più inclini a comportarsi bene, ad
ascoltare e a stimare i genitori, alimentando, di conseguenza, la
propria autostima. Il calore ricevuto in famiglia viene replicato in
tutta la vita sociale dell’individuo, dall’infanzia all’età adulta.
Un soggetto cresciuto in un simile ambito, sarà a sua volta un
adulto equilibrato e un genitore affettuoso.
L’AUTOREVOLEZZA
Molte volte accade che un genitore abbia timore
di esercitare la propria autorità nei confronti dei figli. Spesso,
questo è dovuto a sensi di colpa causati dal fatto di vederli poco,
ad esempio per motivi di lavoro. Così, oltre ad essere
eccessivamente buoni e tolleranti, si cade nella trappola di
compensare le mancanze con doni costosi, concessioni eccessive ecc…
In verità, tali azioni sono determinate da una sorta di “difesa”
elaborata dalla mente dell’adulto per scaricare un senso di colpa.
In detto contesto è bene puntualizzare l’attenzione sul fattore
“inconscio”, poiché i gesti sopra descritti non sono azioni
premeditate o consapevoli “scappatoie” e pertanto non si può
assolutamente condannare il genitore.
Piuttosto,
il genitore deve imparare ad eliminare i propri sensi di colpa
dedicando al bambino il poco tempo che ha a disposizione in modo
davvero speciale. Il bambino va premiato con la figura genitoriale,
non con regali o concessioni, poichè nel suo inconscio compone delle
associazioni tra modelli e aspettative. Se il “modello-genitore”
corrisponde alla “aspettativa-regalo” vengono stravolte tutte le
naturali equazioni che generano un regolare sviluppo psicologico.
Pertanto, i genitori non devono avere paura di porsi in modo
autorevole, in quanto i figli, durante la loro crescita, devono
“sentire” un costante e ragionevole controllo mantenuto in un clima
di calore e “circolarità d’affetto”. Il ruolo del genitore è quello
di insegnare le regole della famiglia e della società, il rispetto
per gli altri, la coerenza, la tolleranza, la giustizia, ecc… Il
“mestiere” del genitore, inoltre, è quello di interpretare e farsi
guidare dai piccoli segnali che i figli comunicano, cercando di
costruire rapporti profondi in un clima di evoluzione adatto a
soddisfare curiosità e creatività. Questo è il modello di
autorevolezza del genitore.
ADULTI CARENTI DI AUTOSTIMA
Le conseguenze di una mancata, scorretta o
scadente costruzione dell’autostima nell’età evolutiva
(nell’infanzia, soprattutto), sono state trattate nella prima parte,
descrivendo quali sono le possibilità di avere, in età adulta, dei
problemi a livello psicologico e sociale: sindromi ansiose,
depressione, nevrosi, psicosi, apatia, disturbi del comportamento e
della sfera sessuale, difficoltà di relazione ecc… Chiaramente,
l’intensità delle patologie sopra illustrate può variare da soggetto
a soggetto.
Ad
esempio, c’è chi manifesta ansia acuta solo in determinate
situazioni restando assolutamente tranquillo in ogni altra occasione
della vita. Oppure chi ha difficoltà nel relazionarsi unicamente con
determinate persone o in particolari ambiti. Mentre in casi più
importanti per gravità, le manifestazioni di “disagio simbolo del
nostro secolo” e della nostra società, come il D.A.P. (Disturbo da
Attacchi di Panico) o le forti depressioni, possono essere
ricondotte ad una marcatamente errata costruzione del “se”
nell’infanzia. Non potendo rimediare al passato ed evitando di
colpevolizzare inutilmente chi lo ha (seppure in buona fede)
educato, l’adulto carente di autostima può iniziare un percorso
introspettivo, innanzitutto convincendosi del fatto che il passato
non può essere mutato e che la “rinascita” è sempre possibile.
Ricordiamoci (come già scritto nell’articolo “Le
arti marziali quali agenzie di socializzazione”) che l’essere
umano ha un potere immenso e che “ogni individuo ha solo i limiti
che esso stesso si pone”. Invero, ogni persona può costruire la
propria identità se lo vuole e quando vuole. Se il passato del quale
non si è responsabili non si può cambiare, si deve pensare che il
presente e il futuro, oggi, li si può “scegliere”.
La conclusione finale è che non serve a nulla
odiare il passato, maturare desideri di rivalsa e colpevolizzare chi
ci ha guidato, perché certamente ha fatto del proprio meglio per
crescerci e perché non conosceva gli strumenti per aiutarci a
costruire la nostra autostima. Probabilmente, anche chi ci ha
cresciuto non ha avuto a sua volta ciò che non ha saputo
trasmetterci e quindi non merita sentimenti negativi.
Al contrario bisognerà catalizzare l’attenzione
sui nostri difetti, sulle nostre ansie e sul nostro modo di vivere
con noi stessi e con gli altri. Solo la nostra consapevolezza e il
nostro volerci bene potrà finalmente liberarci da un fardello carico
di negatività e ridonarci quella calda sensazione di “vivere
davvero” e sorridere alla vita, anche quando le difficoltà sembrano
insormontabili. E per avere tutto questo, dovremo impegnarci a
cercare, trovare e percorrere finalmente la retta “via” (come
ci insegnano tutte le arti marziali). |