CI ERAVAMO LASCIATI CON I
DUE GUERRIERI IN LOTTA… QUANDO IL PATOLOGICO EGO PERSONALE DEL GUERRIERO
BIANCO, ALLA RICERCA DI QUELLA CHE CREDEVA UNA PROPRIA E PERSONALE DIMENSIONE,
LO PORTO’ A VOLERSI IMPORRE ANCHE SULL’ALTRO, PER CERCARE DI
AFFERMARE LA PROPRIA SPECIALITA’ E INDIPENDENTE INVIDUALITA’. MA FORSE NON AVEVA
COMPRESO CHE L'UNO NON PUO’ ANNIENTARE L’ALTRO SENZA ANNULLARE ANCHE SE STESSO.
LE FERITE PEGGIORI NON SONO NEL CORPO INFATTI, MA
NELL’ANIMA… E QUESTA SI CURA CERTAMENTE MEGLIO RIMANENDO SOLI CON SE STESSI. PER QUESTO IL GUERRIERO NERO SUPERA ANCHE QUESTA BATTAGLIA.
SE E’ VERO CHE IL GUERRIERO NON PUO’ ESISTERE SENZA VITA… FORSE LA VITA STESSA
NON ESISTE SENZA LE BATTAGLIE DEL GUERRIERO.
IL COMBATTIMENTO CONTINUA
Di: Franco Piccirilli
No, forse
non era andata proprio come sembrava… ma
esattamente come doveva andare, proprio perché non era possibile distruggere ciò
che è. Si possono distruggere le idee, ma non i fatti. Questi sono e rimangono
tali e un guerriero forse è… un fatto. Infatti è possibile distruggere solo ciò
che si pensa, non ciò che non è possibile pensare, proprio perché non lo si
pensa. Se fosse pensabile potrebbe anche non essere vero, ma ciò che è vero è
indistruttibile, e forse il guerriero è tale perchè vero.
Il guerriero bianco aveva colpito con la sua spada il
guerriero nero perché il guerriero nero non voleva combattere ed aveva quindi
aperto la propria guardia, permettendo che il guerriero bianco entrasse là dove
il guerriero nero l’avrebbe accolto e dove sapeva sarebbe arrivato. La lama del
guerriero bianco era così penetrata nel petto del guerriero nero, ma qualcosa ne
aveva deviato la punta, facendo in modo che non raggiungesse il cuore. Era
andata invece a conficcarsi tra la muscolatura del petto, facendo uscire molto
sangue. Il guerriero nero si era poi ripiegato su se stesso, abbandonando ogni
istinto di sopravvivenza, cadendo prima in ginocchio e poi a terra. La vista di
quel corpo abbattuto in terra, inerme, privo di forza aveva fatto pensare che
tutto fosse definitivamente accaduto. Tutto sembrava mutato esattamente come il
guerriero bianco sembrava avesse voluto. Ma forse proprio il volerlo rendeva la
realtà immutabile, dal momento che la volontà è espressione di quell’Io che è
pensiero e rappresenta solo ciò che vorremmo.
Il guerriero bianco aveva creduto di fare quello che
razionalmente riteneva fosse la cosa migliore per lui, tanto da essersi convinto
di aver così eliminato l’ostacolo che si frapponeva tra lui e la trasformazione
che pensava di stare realizzando. Ma forse lo credeva soltanto, proprio perché
la trasformazione interiore non si può pensare: essa avviene con la comprensione
di se stessi: è anche libertà dal conosciuto, dal pensiero, dalla memoria:
libertà che non può essere trovata nella distruzione dell’altro.
Ma la distruzione dell’altro metteva in evidenza la stupidità
dell’azione, proprio perchè la libertà non può essere data da qualcuno, non
arriva dall’esterno, può essere scoperta solo attraverso la conoscenza di sé.
Non è possibile sapere se sia stato l’istinto di
sopravvivenza del guerriero nero a far deviare quel colpo, oppure in ultimo
l’istinto naturale del guerriero bianco che non avrebbe mai voluto fare quello
che stava facendo a chi ancora sentiva essere ciò che è. Non si può dire sia
stato il destino, perché ognuno è responsabile delle proprie intenzioni e azioni
per cui quel destino è solo ciò che abbiamo voluto che accadesse: forse
inconsciamente, ma l’abbiamo voluto.
Ecco perché i guerrieri si trovano esattamente nel posto in
cui vogliono essere e fanno esattamente quello che vogliono fare. Ciò che fa la
differenza tra gli esseri comuni e i guerrieri è il saper distinguere se ciò che
si vuole è quello che si sente oppure il frutto di schemi condizionanti la vita.
Ciò che era accaduto in quell’istante tra i due guerrieri era
stato dunque il risultato di quello che il guerriero nero e il guerriero bianco
hanno voluto, ognuno per la propria parte, per cui non poteva esistere colpa
alcuna, ma solo propria responsabilità, da cui ogni guerriero che sia tale sa di
non poter fuggire. Solo gli stolti possono pensare che le responsabilità siano
degli altri, mostrando così la propria paura di vivere la vita che hanno
comunque voluto.
Il guerriero bianco non rimase molto a guardare il risultato
delle sue azioni, non pensava a ciò che aveva fatto, ma piuttosto a quanto ciò
che aveva fatto palesasse la vita che andava delineandosi per come l’aveva forse
sempre pensata.
Così scosse e ripulì la spada dal sangue del guerriero nero
con un lembo della sua bianca veste e la ripose nel fodero. Fece qualche passo
all’indietro poi voltandosi si allontanò da quel luogo, dal quel campo di
allenamento trasformato in campo di battaglia. Si incamminò quindi verso ciò che
aveva scelto e che aveva contraddistinto la sua vita, forse perpetuando ciò che
aveva ereditato da chi lo aveva generato: cercando di fuggire da quel destino
facendo, di fatto, di tutto per andargli incontro. Quindi alla fine egli si era mostrato come
l’artefice della propria vita, così come l’aveva vissuta, così come la vive e
così come la vivrà.
Il guerriero nero rimase invece riverso a terra, privo di
sensi, con il petto aperto ma con il cuore che, a fatica, ancora batteva, pochi
battiti che però erano sufficienti a tenerlo sospeso in uno stato di viva
incoscienza. Il continuo allenamento aveva forse fatto in modo che, in maniera
del tutto inconscia e istintiva, potesse utilizzare nella maniera migliore
quelle poche energie che gli erano rimaste, attingendo a risorse che solo i
guerrieri sono in grado di attivare nei momenti di maggior bisogno. I miracoli
sono solo ciò che non si può spiegare, ma il fatto che non si possano spiegare
non vuol dire che non possano accadere. Forse per questo normalmente non ci
accorgiamo del continuo miracolo che è la vita che viviamo.
Egli si era allenato duramente in tutti questi anni e nelle
battaglie che aveva sostenuto aveva appreso molto su come combattere in
situazioni in cui forse le persone comuni si sarebbero arrese o addirittura non
sarebbero sopravvissute.
La sua sopravvivenza era dovuta solo al fatto che egli
aveva vissuto quei momenti come aveva sentito di volerli vivere: non nel bene e
nel male, ma nel giusto!
Così l’istinto acquisito durante tutto questo tempo aveva
fatto in modo che il suo cuore rallentasse i battiti, tanto quanto bastava per
la sopravvivenza del corpo, dosando adeguatamente l’energia necessaria per gli
organi vitali che gli permettevano di mantenere ancora vivo il suo corpo. Le sue
difese immunitarie erano comunque efficienti, in quanto la mente libera non
giudicava niente di quello che era accaduto. Sapeva che ciò che aveva fatto era
tutto quello che aveva potuto fare e non poteva quindi rammaricarsi di non
essere riuscito ad ottenere quello che desiderava, perché quello che desiderava
era esattamente quello che stava facendo. L’assenza di desiderio per un
risultato libera la mente dal limite del risultato stesso, aprendola verso
orizzonti infiniti, oltre i confini del desiderio che non è altro che… pensiero.
Il guerriero nero, fintato che era cosciente, sapeva di aver
agito per tutto quello che aveva sentito di voler fare e questo gli consentiva
di poter attingere nuove e fresche energie di cui in quel momento aveva bisogno.
Forse proprio perchè egli non tratteneva niente poteva ricevere tutto. Il vuoto
della tazza è l’utilità…
La battaglia era stata estenuante e adesso il guerriero nero,
in stato di incoscienza, aveva solo bisogno di riposare. Quel riposo che gli
avrebbe consentito quel minimo recupero delle forze necessario per poter, forse,
riprendere il cammino…
Nel frattempo il guerriero bianco scomparve all’orizzonte,
lasciando il guerriero nero a quel destino che credeva ormai compiuto. Ma poteva
essere destino ciò che era costruito dalla mente? Poteva essere naturale ciò che
la mente pensava di dover divenire?
Certo anche il guerriero bianco era esausto per il
combattimento, anch’egli aveva speso molte delle sue energie, ma sentiva di
essersi liberato da qualcosa che lo opprimeva, forse solo perchè pensava di non
poter divenire ciò che credeva di meritare e che adesso sembrava invece avere.
Intanto il guerriero nero si abbandonò. Ma non si trattava di
quell’abbandono passivo per cui non si sente più alcuna voglia di vivere, né si
ha più uno scopo da perseguire o un obiettivo da raggiungere.
L’abbandono del guerriero nero era più simile all’arrendersi,
a quella cedevolezza che tante volte era stata oggetto di confronto tra i due
guerrieri. Abbandono che non era resistere, non era contrapporsi ad una
situazione che non si sarebbe voluta, ma che non era possibile cambiare. Non è
possibile infatti cambiare le situazioni, ma forse è possibile cambiare
l’atteggiamento mentale con cui si vivono quelle situazioni, affinché si trovi
la maniera diversa di viverle, la migliore per ognuno.
Arrendersi è quindi accettare ciò che è… la conseguenza
naturale della consapevolezza.
Questo forse è il cambiamento vero, quello interiore da cui
poi scaturisce il cambiamento esteriore pur forse senza un’apparente variazione
della situazione.
Egli sembrava fosse entrato in uno stato di morte apparente,
per cui la sua mente adesso non era lì, ma vagava in posti che forse non aveva
neanche mai visitato, ma che sentiva essere dentro di lui, forse perché non
diverso, non disgiunto da quelle visioni. Luci, ombre, bagliori ed oscurità si
alternavano nella sua mente. Battaglie, sangue e tramonti indimenticabili, la
preparazione di battaglie inevitabili, il sapore della sconfitta, la gioia della
rinascita nuova dopo ogni sconfitta…. Momenti isolati che in qualche modo
mantenevano attivi quei processi mentali che l’avevano portato a combattere la
più importante delle battaglie… la conoscenza di sé stesso.
Vedeva campi di battaglia, spade sguainate fendere l’aria e
colpire, parare, schivare, prendere e lasciare… Poi tutto buio… Vedeva e sentiva
il suo corpo fluttuare, come sospeso tra terra e cielo, attingere energia da
entrambi i poli, catalizzando quell’energia per la propria sopravvivenza. Non
poteva muoversi, ma poteva, forse,… sentire
Sentiva ancora il corpo con le membra sparse disordinatamente
sul terreno, anche se impedito in gran parte dei movimenti, comunque tale da
permettergli di sentire muoversi qualcosa...
Aprì gli occhi e riuscì a mettere a fuoco qualcosa poco
distante da sé: era la sua spada ancora nel fodero. Con le poche forze che aveva
riuscì, dopo vari tentativi, a muovere prima la mano, poi il braccio ed infine,
dando fondo a tutte le energie che aveva, riuscì a spingersi con un piede verso
la sua spada, caduta poco distante. La toccò con le dita della mano e queste si
richiusero avvolgendo l’elsa. Chiuse gli occhi e… strinse quell’arma, sentendo
forse più il simbolo, quello che essa rappresentava.
Sentì la propria spada come
si può sentire un arto e questo gli diede ulteriore nuova fresca energia. Aveva
ritrovato qualcosa che sentiva essere parte di sè e forse anche parte del
guerriero bianco, gettando quel ponte che, seppur labile e sottile, sembrava
dovesse collegare ancora il guerriero nero al guerriero bianco.
Così strinse la spada nella mano destra e si sentì pervadere
di energia, come se un’onda d’acqua fresca avesse attraversato il corpo, mentre
le membra di quel corpo sussultarono, come altre volte era accaduto quando si
era abbandonato all’estasi estatica dell’energia universale. Rimase in quella
posizione per ancora molto tempo per poi, lentamente ma in maniera continua,
muoversi avvicinando la spada a sé, consapevole che non avrebbe più potuto
combattere quelle battaglie da solo: anche se aveva ancora la sua spada, questa
non era sufficiente. Infatti per poter combattere le battaglie non basta solo la
spada, ma serve tutto l’intero equipaggiamento, di cui la spada è solo una
parte, seppur importante. Si lasciò andare ad ogni pensiero che gli passava
davanti, pensieri senza alcun senso apparente, disordinati, che, così come
comparivano, scomparivano perdendosi nella mente non ancora completamente
cosciente.
In quella confusione aveva visioni di enormi distese di campi
che forse erano stati da lui cavalcati in passate battaglie, immagini che
comparivano dal niente e scivolavano via velocemente lasciando posto al vuoto.
Poi di nuovo la luce accecante davanti a sè, nella quale gli sembrò di vedere
una figura umana che si avvicinava verso di lui e più si avvicinava più sentiva
il suo corpo dolorante. Qualcuno lo aveva sollevato e lo stava portando da
qualche parte.
Qualunque parte fosse egli non era in grado di opporsi né
fisicamente nè mentalmente. Sentiva però che chiunque lo avesse preso in braccio
aveva mani calde, piene di amore per lui e che stava facendo quanto poteva per
alleviare le sue sofferenze.
Solo un altro guerriero conosceva quel campo di battaglia:
questi, forse, non vedendolo da tempo e non avendo sue notizie, come di solito
accadeva, era andato alla sua ricerca.
Egli sapeva che lo avrebbe trovato in quel campo ed infatti
in quel campo andò a cercarlo. Ma non immaginava di trovarlo in quel modo, non
immaginava che al guerriero nero potesse essere accaduto ciò che vedeva: pensava
che il guerriero nero fosse un combattente non comune. Ma anche se non lo
immaginava, non ne rimase sorpreso. Questo guerriero infatti sembrava conoscere
ciò che legava il guerriero nero e il guerriero bianco, aveva riconosciuto la
sofferenza che sentiva nel guerriero nero… forse perché questa era stata un
tempo anche la sua sofferenza.
Il guerriero nero si abbandonò a quelle braccia calde,
lasciando cadere la spada che l’altro guerriero raccolse e portò via insieme al
guerriero nero: sapeva infatti quanto fosse inseparabile dalla sua spada ed era
certo che proprio la spada sarebbe stata la prima cosa che avrebbe voluto vedere
appena aperti gli occhi.
Così si diresse verso quel luogo antico, ma sempre presente,
dove ogni guerriero diviene tale. Quale infatti miglior luogo di riposo per un
guerriero se non la… scuola dei guerrieri? Così, caricarsi il suo corpo sulle
braccia e riportarlo a casa, alla scuola dei guerrieri, era quanto lui potesse
fare per il suo amico.
Già altre volte questo grande guerriero era venuto in
soccorso del guerriero nero in momenti di difficoltà e di sofferenza, non solo
combattendo al suo fianco, ma anche parlando ed allenandosi insieme.
Sempre il grande guerriero era stato disponibile a dare tutto
quanto era in grado di dare, riconoscendo in lui non un amico, ma l’amico. Egli
già prima del guerriero nero aveva visto e sentito la particolare energia che
esisteva tra il guerriero nero e il guerriero bianco ed aveva fatto in modo che,
pur rimanendone fuori, accadesse ciò che sapeva essere naturale che avvenisse
tra i due guerrieri: conoscersi affinché quello che poi era diventato il
guerriero bianco potesse apprendere la scuola dei guerrieri divenendo proprio il
guerriero bianco! Ma un conto è sentire la naturalità di un altro Essere, altro
è lasciarsi vivere da questa naturalità: infatti non c’è scuola che lo possa
insegnare se non si sente di essere… come forse è accaduto al guerriero bianco.
Così il grande guerriero, dopo un viaggio senza tempo,
riportò ciò che restava del guerriero nero alla scuola dei guerrieri. Lo depose
in terra ancora privo di conoscenza e lì lo lasciò per tutto il tempo necessario
affinché il suo corpo potesse reagire naturalmente a quella situazione. Così il
guerriero nero, abbandonato a quella sua naturale condizione, lasciò che il
corpo spontaneamente ritrovasse e attingesse le energie necessarie per poter
curare in parte le ferite, seppur gravi, dell’ultimo combattimento.
Lentamente, ma inesorabilmente quelle ferite si stavano
rimarginando, era incorso quel processo di autorigenerazione naturale su cui
ogni guerriero può fare affidamento. Ma l’esisto di questo processo dipendeva
anche da quanto il guerriero nero volesse uscire da quella situazione o quanto
invece ci si aggrappasse.
Il guerriero nero, come ogni guerriero, comprendeva che
aggrapparsi avrebbe voluto dire resistere, sforzarsi di divenire ciò che non
era, di cambiare la situazione per come avrebbe voluto, desiderare ciò che non
era e quindi evitare quello che era, fuggendo da ciò che egli era.
No, non fuggì in alcun altro luogo, affrontò quella realtà
che ora stava vivendo. Così, anche se le ferite non erano completamente
rimarginate, anche se non completamente guarito, il guerriero nero poteva
ricominciare a sentire il dolore. Sì, quel dolore che era segno di un processo
in atto verso il ripristino delle forze spese in battaglia. Ma soprattutto la
presenza del dolore era segno che stava riprendendo coscienza e se era cosciente
stava tornando ad essere nuovamente presente a se stesso, si stava svegliando!
Quella sofferenza gli mostrava anche come egli fosse ancora
vulnerabile e debole. Provò ad alzarsi più volte cadendo ogni volta, ma ogni
volta riprovando ancora e ancora, fin quando non riuscì, barcollando, a stare in
piedi. Era contento, sapeva di aver raggiunto un traguardo importante che forse
gli avrebbe permesso di potersi muovere da quella situazione.
Muovendosi anche le ferite si sarebbero trovate in tensione,
forse gli avrebbero procurato maggior dolore, ma sapeva anche che nel movimento
la sofferenza viene meno, proprio perché la sofferenza esiste nel momento in cui
si cessa di muoversi e la mente si fissa in un punto, diventa rigida e limitata.
Si guardò intorno, come a cercare un segno da cui poter
capire dove si trovava. Era ancora frastornato, non riusciva a mettere a fuoco
l’ambiente intorno a lui. Ogni direzione sembrava la medesima, ma forse non
faceva distinzione il luogo e non l’avrebbe fatta qualsiasi strada avesse preso:
sarebbe stata comunque la sua, ciò che egli era. Quindi, passo dopo passo, si
avviò verso la sua strada, sapeva che doveva continuare a camminare, perchè il
camino è la vita, il cammino è il guerriero.
Più camminava e più riconosceva quel posto come la scuola dei
guerrieri, ma non perché c’era già stato, ma perché sentiva quel posto: quel
posto era ciò che egli era… la scuola dei guerrieri, il guerriero nero.
In quel posto si sentiva protetto, adesso che le sue difese
erano insicure, aveva bisogno di essere sostenuto. Rimase in quel luogo per non
si sa quanto tempo: ma in effetti forse non se ne era mai andato, perché egli
era quel posto.
Così camminava con la spada sempre al suo fianco, fedele come
lui era fedele a ciò che era...
Poi, toccando e sentendo meglio quella spada e i pregiati
intarsi e decorazioni del fodero, un pensiero attraversò il suo corpo, facendolo
sussultare in ogni sua parte… il guerriero bianco!
Ma dove era andato il guerriero bianco?
Foto
tratte dai film:
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