I VERI GUERRIERI COMBATTONO ASSIEME LE PROPRIE BATTAGLIE DELLA
VITA SENZA MAI CHIEDERSI DI CHI SIA IL MERITO DELLA VITTORIA. MA PUO’ ACCADERE
CHE IL PATOLOGICO EGO PERSONALE DEL PIU’ DEBOLE, ALLA RICERCA DI QUELLA CHE SI
CREDE UNA PROPRIA DIMENSIONE, LO PORTI A VOLERSI IMPORRE ANCHE SULL’ALTRO PER
POTER CREDERE DI AFFERMARE LA PROPRIA SPECIALITA’ E INDIPENDENTE INVIDUALITA’
. FORSE E’ QUESTO CHE FERISCE MAGGIORMENTE IL VERO GUERRIERO… LA LAMA CHE LO
TRAFIGGE NON E’ ALTRO CHE IL MEZZO CON IL QUALE EGLI GLI PERMETTE DI RIMANERE
SOLO COME NON MAI. CHE FARA’ QUANDO ORMAI TROPPO TARDI... FORSE SE NE RENDERA’
VERAMENTE CONTO?
L’ultimo combattimento
di: Franco Piccirilli
(foto tratte dal film HERO
di Zhang
Yimou)
Avevano
combattuto molte battaglie insieme, contro quanti si ostinavano a voler far
prevalere le proprie idee, la propria visione, come verità assoluta da imporre
agli altri. Si erano allenati molte altre volte insieme per confrontare la loro
tecnica e affinare la loro intima natura di guerrieri, affinché potessero,
insieme, lottare al meglio delle loro possibilità.
Molto tempo era passato da quando si erano scoperti essere
ciò che avevano vissuto. Ma non a caso accade che i guerrieri si scoprano tali,
e soprattutto si riconoscano tali: infatti sappiamo che i guerrieri, per
loro naturale istintività, si cercano.
A loro era accaduto che, guidati da quella energia che
contraddistingue i guerrieri e che circonda i loro esseri, si sentissero
chiamati. E quel sentire li aveva portati ad incontrarsi. Ma il tutto era
cominciato già prima che si incontrassero, cosicché tutto ciò che era stato
li aveva portati ad incontrarsi… per cui niente di tutto ciò che erano prima
poteva essere rinnegato o rifiutato. Non era accaduto per caso, ma a causa della
loro intima natura di… guerrieri che si erano incontrati!
Così, quando si trovarono si riconobbero e nel
riconoscersi… divennero consapevoli di essere… guerrieri.
Li chiameremo guerriero nero e guerriero bianco… ma forse
ognuno può anche riconoscere se stesso, se sente di esserlo…
Adesso i guerrieri erano nel campo del loro abituale
allenamento, là dove si erano confrontati molte volte e ogni volta
arricchendosi vicendevolmente di ciò che l’altro sentiva di essere e di ciò
che il mondo costruiva per cercare di soffocare la loro intima natura di
guerrieri.
L’uno di fronte all’altro erano pronti a muovere i loro
corpi e le loro spade per un nuovo confronto: l’incontro di due per divenire e
confermare ciò che erano: uno. Tutto sembrava accadere come altre volte durante
i loro allenamenti, si guardavano, si scrutavano, cercando di sentire se stessi
per… sentire l’altro, le spade sempre al fianco... inseparabile strumento e
vessillo del guerriero. La spada, quella spada che per il guerriero è l’espressione
di ciò che è dentro, e che, quando sfoderata, mostrava ciò che il guerriero
sente di essere: nel movimento egli è ciò che è.
Quella
volta però sembrava diverso… Non era il solito allenamento… l’energia
sembrava cambiata… il guerriero bianco aveva forse perso la fiducia in se
stesso e quindi nel guerriero nero: quell’ennesimo allenamento stava per
trasformarsi in uno scontro.
Il guerriero nero era perplesso, sentiva il cambiamento di
atteggiamento del guerriero bianco, ma non il cambiamento interiore: dentro di
sé era sempre quello, sentiva lo sforzo del guerriero bianco di divenire
qualcosa che non era. Sentiva che il guerriero bianco continuava a provare
quelle emozioni che da tempo li univano come nessun altro, ma che adesso,
sembrava stesse negando, chiudendosi in se stesso… isolandosi da tutto, come
in una torre, credendosi così al sicuro in quel mondo che in realtà era una
prigione… per la paura di vivere.
Ma il guerriero bianco non era consapevole di questa
chiusura e credendo nel cambiamento, si stava convincendo di non sentire più
ciò che era prima, mentre, proprio lo scontro con il guerriero nero dimostrava
che quello che era stato prima lo era anche in quel momento… altrimenti se
così non fosse, perché lo scontro?
Ma in quel momento, nella mente del guerriero bianco, non c’era
altro pensiero che lo scontro imminente…
Così il guerriero bianco estraesse lentamente la spada e
si apprestò a colpire l’altro.
La
sua posizione era sì quella di chi sta attaccando ma allo stesso tempo era
freddo e distaccato dimostrando che, forse, temeva il giudizio del guerriero
nero su ciò che stava per fare, cosicchè sembrava non essere convinto delle
proprie azioni.
Il guerriero nero rimase, invece, senza una posizione che
si potesse dire tale, ma che comunque era una posizione: quella di chi non vuole
accettare la lotta sapendo dell’inutilità dello scontro.
Aspettava quindi che il guerriero bianco attaccasse e
questi non indugiò… si lanciò verso il guerriero nero, la spada rivolta
verso di lui, avvicinandosi inesorabilmente verso quel petto che conosceva così
bene per tutte le volte che si erano allenati… La spada era veloce, penetrava
l’aria, quasi si scaldava per la velocità raggiunta, e si avvicinava al punto
dove la mano del guerriero bianco voleva che giungesse…
Il guerriero nero rimase nell’immobilità della sua
posizione; sentiva solo il rancore che adesso esprimeva quel guerriero che aveva
davanti a lui e quanta sofferenza stava venendo fuori, quella sofferenza che
stava adesso diventando la sua sofferenza, perchè egli era ancora empaticamente
assonante con il guerriero bianco e le sue emozioni erano anche quelle del
guerriero bianco. In preda a queste emozioni egli era come bloccato nella sua
posizione, nonostante la spada si stesse avvicinando, ma lui non vedeva la
spada, sentiva solo il guerriero bianco. Non si mosse da quella posizione,
mentre la punta della spada arrivava al suo petto, sentì l’estremità di
quella spada ed in maniera istintivamente automatica ruotò su se stesso
lasciando che la spada proseguisse la sua corsa oltre, evitando così che si
conficcasse nel petto. Nello scontro i due corpi si oltrepassarono sfiorandosi e
sentendosi entrambi rigidi, quasi impacciati in un atteggiamento che non
riconoscevano essere il loro ma che in quel momento era diventato il loro modo
di esprimersi.
Il
guerriero nero seguì con lo sguardo l’altro, provando dolore per aver solo
sfiorato quel corpo che si stava allontanando. Ma quel dolore era qualcosa di
più…. Il suo petto…. Il guerriero nero si era mosso in ritardo rispetto
alla spada del guerriero bianco e quel ritardo aveva consentito che la punta
dell’arma toccasse il suo petto, tagliasse la veste e aprisse una ferita in
quel corpo che sembrava forte e imbattibile. Le sue vesti si macchiarono di quel
sangue che altre volte era uscito dal petto del guerriero nero, in quelle
battaglie combattute assieme… ma che lui aveva volutamente nascosto pensando
che il guerriero bianco non fosse ancora pronto ad un simile evento.
Ma nonostante le intenzioni del guerriero bianco, il
guerriero nero non era infuriato nei suoi confronti, forse deluso più da se
stesso che altro. Egli provava un senso di tristezza per quanto stava accadendo
e soprattutto per quanto stava soffrendo quel guerriero che adesso gli era
contro.
Il guerriero nero aveva accusato la ferita, nel ruotare si
era piegato leggermente in avanti per il colpo subito, non barcollava ma sentiva
che adesso era diventato… vulnerabile. Egli non aveva estratto la spada, e
sembrava che non ne avesse intenzione, forse consapevole che una volta estratta
sarebbe stato costretto ad usarla contro quel guerriero che tante altre volte
aveva condiviso con lui le comuni battaglie.
Proiettato in avanti il guerriero bianco si voltò e
guardò l’esito del suo attacco, vide il guerriero nero piegato in avanti e la
ferita aperta che sanguinava e quasi sembrò compiacersi di quel primo, forse,
inaspettato risultato.
Immediatamente
aggiustò la posizione per il colpo successivo. I piedi si mossero, le gambe si
piegarono quanto necessario per caricare il corpo e quindi la sua spada, il
tutto pronto a muovere verso l’implacabile nuovo susseguirsi di colpi. La
spada quindi si alzò in alto come a manifestare quell’intento già
deliberatamente mostrato e che presto si sarebbe realizzato.
Il guerriero nero cercò gli occhi del guerriero bianco, ma
non li trovò. Quegli occhi che avevano visto insieme gli attacchi dei loro
comuni nemici, adesso non vedevano ciò che stava accadendo, ma esprimevano un
vuoto come a voler respingere e non sentire quell’energia che ancora esisteva,
negando ciò che era evidente.
Così il guerriero bianco ripartì all’attacco, il corpo
proteso in avanti, mentre la spada, a seguire, si caricava di energia da
scaricare sul guerriero nero.
Questi ritornò in posizione eretta, aspettò che si
avvicinasse, voleva sentire cosa stava accadendo al guerriero bianco.
Ma non ebbe tempo, la lama si stava avvicinando
incontenibile ed egli sapeva di essere troppo lento in quel momento. Rifiutò il
combattimento, il suo corpo non si mosse come avrebbe dovuto, non ne vedeva le
motivazioni, vedeva solo l’assurdità di tutto questo; ma come farlo
comprendere a chi in quel momento non vedeva altro che la rivincita per quello
che credeva di non aver mai potuto avere? Ma allo stesso tempo doveva evitare i
colpi del guerriero bianco altrimenti sarebbe caduto non tanto per le ferite che
avrebbe potuto subire, ma per ciò che era stato, per ciò che avevano condiviso
insieme.
Egli
non era sereno come altre volte aveva mostrato di essere sia in battaglia che in
allenamento. La sua attenzione non era verso ciò che stava accadendo, ma in
ciò che lui sentiva e credeva fosse ancora e si domandava come poteva accadere
che lui continuasse a sentire mentre il guerriero bianco sembrava non avesse
più voglia di sentire ciò che era? In quel momento però non c’era tempo per
le risposte, la lama del guerriero bianco stava calando implacabile su di lui.
Il guerriero nero non guardava la spada. Guardava il guerriero bianco che aveva
di fronte e che sembrava non essere più lo stesso, malgrado lo fosse ancora.
Così non si accorse che la lama non stava scendendo, ma si stava muovendo
lateralmente, per cui riuscì a stento ad allontanarsi, ritirandosi, ma
ugualmente, come era accaduto prima, la lama si avvicinò al suo braccio, tanto
quanto bastava per aprirgli un’altra ferita.
“Come un’altra?”- si domandò stupito. Non pensava di
essere così vulnerabile: nelle battaglie ed in allenamento riusciva sempre ad
intercettare la lama dell’avversario o del guerriero bianco, già prima che si
muovesse.
Adesso invece non era in grado di sentire quell’intenzione,
sembrava disorientato. In lui non c’era l’emozione necessaria per poter
affrontare un combattimento vero. Stava solo cercando di entrare in contatto con
il guerriero bianco che gli dava addosso, con quella parte di lui che riteneva
ancora fosse e che lui continuava a sentire esistere.
Il guerriero bianco sembrava prendere sempre più forza
dalla apparente debolezza del guerriero nero. Ma non ne era soddisfatto, cercava
la reazione del guerriero nero, cercava lo scontro. Voleva che il guerriero nero
combattesse, così da essere soddisfatto della sicura vittoria, quella vittoria
che sembrava avesse più il sapore di una rivincita, di un riscatto.
Quello che il guerriero bianco conosceva del guerriero
nero, quello che aveva visto e condiviso nelle loro battaglie ed in allenamento
sembrava essere svanito, sembrava che non fosse più lo stesso guerriero.
Il guerriero nero non aveva ancora estratto la sua spada,
non attaccava, non contrattaccava, non faceva vedere la sua tecnica, quella
tecnica che il guerriero bianco conosceva così bene.
Nonostante
la stranezza di questo atteggiamento, il guerriero bianco non se ne preoccupava,
sicuro della sconfitta di chi aveva di fronte e che rappresentava il suo nemico.
Così continuava ad incalzarlo con i suoi ripetuti attacchi, saggiando la sua
accresciuta potenza che forse derivava anche, ma non solo, dalla apparente
debolezza del guerriero nero.
Sì, lo sentiva indebolito. Aveva aperto ferite che non
pensava di poter aprire. Si stava convincendo sempre di più che ce l’avrebbe
fatta a sconfiggerlo… prima di quanto pensasse.
I due guerrieri continuavano ad affrontarsi. Il guerriero
bianco sempre in attacco, mentre il guerriero nero intento ad evitare di essere
colpito, ferito più di quello che anche lui avrebbe immaginato.
La spada che roteava per poi cercare il bersaglio, i corpi
di entrambi i guerrieri che si muovevano, forse impacciati, si sfioravano, per
poi allontanarsi, avvicinarsi, allungarsi, ritrarsi: tutti quei movimenti che
ogni guerriero che sa di essere tale mette in atto durante le sue lotte.
Il guerriero bianco appariva più sicuro si sé, forse
anche più forte, ma più probabilmente perché il guerriero nero si era
indebolito. Egli aveva aperto la sua guardia, ma non perché pensasse che il
guerriero bianco non lo avrebbe attaccato; da tempo infatti lo aveva avvertito,
ma aveva sentito anche che la sua apertura era solo il risultato di un processo
che da tempo si era fatto spazio dentro di lui, quel processo che poteva solo
andare avanti, oltre la tecnica che fino a quel momento aveva forse
contraddistinto ciò che avevano vissuto insieme, verso l’essenza di quell’energia
che sentiva essere l’unione dei guerrieri.
Ma il guerriero bianco non si era accorto di questo
processo in atto, altrimenti non avrebbe attaccato, non avrebbe cercato lo
scontro, ma avrebbe trovato… l’incontro, come altre volte era accaduto,
perché quel processo era ciò che entrambi sentivano di essere.
Così
la lotta proseguiva: il guerriero bianco era determinato a porre fine al
combattimento mentre il guerriero nero voleva proseguire quella lotta fino allo
sfinimento, fin quando le energie si fossero esaurite. Sapeva che sarebbe emerso
ciò che era veramente accaduto e che li aveva portati in quella che lui sentiva
come una assurda situazione.
Il guerriero nero sapeva che se avesse usato la spada,
quella spada che il guerriero bianco gli aveva donato a simbolo di quella loro
intima unione spirituale, avrebbe potuto porre immediatamente fine a quell’assurdo
combattimento, ma sapeva anche che disarmando il guerriero bianco lo avrebbe
comunque perso. Ma non avrebbe perso solo colui con il quale aveva condiviso
molte lotte, ma forse proprio per questa loro intima condivisione, avrebbe perso…
sé stesso, perché il guerriero bianco era ciò che era il guerriero nero.
Così la sua spada per il momento rimaneva nel fodero, quel
fodero in legno con intarsiato il disegno di un drago, simbolo di quell’energia
spirituale che unisce i guerrieri… speciali.
Teneva la spada nella mano al suo fianco, senza
abbandonarla, non perché temesse che senza sarebbe stato sconfitto, ma per il
fatto che quella spada e solo quella costituiva l’anima del guerriero e di chi
aveva di fronte. Poteva però muoversi con il corpo, quei movimenti aggraziati
che solo i guerrieri riconoscono in un altro guerriero, rotazioni, spostamenti,
arretramenti e avanzamenti, salti e quanto altro era in grado di poter fare non
tanto per evitare lo scontro, quanto per favorire l’incontro. Offriva infatti
ogni volta il bersaglio, scoprendosi là dove sapeva che il guerriero bianco
avrebbe colpito e proprio per questo le ferite che gli procurava non lo
spaventavano.
Sapeva però che in questo modo non avrebbe potuto
resistere a lungo all’impetuosità degli attacchi del guerriero bianco. Non si
può combattere solo difendendosi, e restando passivi… era necessario quindi
uscire da quella condizione di passività.
Sgombrando la sua mente da pensieri inutili in quel
momento, si mise ad osservare meglio il guerriero bianco: come si muoveva, cosa
sentiva, cosa traspariva dai suoi modi. Riusciva così a percepire l’insicurezza
nelle azioni del guerriero bianco, la confusione delle sue intenzioni, la sua
tristezza interiore per essere anche lui in una situazione che forse nel suo
intimo non avrebbe voluto.
Decise così di estrarre la spada da quel fodero di lucido
legno, ma allo stesso tempo non l’avrebbe usata per colpire, ma per mostrare
quelle tecniche che ancora non aveva volutamente mostrato, perché riteneva il
guerriero bianco ancora impreparato emotivamente. Ma adesso sembrava fosse
giunto il momento, forse, proprio per le mutate condizioni emotive del guerriero
bianco.
Sembrava che se “lontano” il guerriero bianco fosse
diverso da quando invece gli era vicino… Quando nella lotta il guerriero si
allontanava ad una certa distanza, mostrava molta più aggressività e
determinazione di quando invece le distanze di quello scontro si riducevano. In
questo caso la forza del guerriero bianco non veniva meno, ma era come se in
quella energia emergesse qualcosa che volutamente doveva nascondere... cosa
poteva essere ciò che stava sentendo? Forse quello che il guerriero nero
sentiva essere.. ciò che è!
I due guerrieri erano adesso fermi a distanza, la mano del
guerriero nero impugnava l’elsa e cominciò ad estrarre… la spada. Il
guerriero bianco riconobbe quella spada che gli aveva donato e sorrise: per un
momento erano forse emersi sentimenti che credeva di non avere…
Il
guerriero bianco sembrava pensare che se il guerriero nero aveva estratto la
spada era perché adesso temeva di essere sconfitto, per cui credeva di essere
diventato più forte di quello che era prima.
Conosceva le tattiche del guerriero nero e sapeva di
poterlo sconfiggere.
Il conflitto continuava… I due guerrieri si affrontavano
con le loro armi, mettendo in atto, ognuno con la propria maestria, quanto avevano
appreso nel tempo.
Adesso il guerriero nero non indietreggiava più di fronte
ai colpi del guerriero bianco, ma con la spada intercettava quella del guerriero
bianco mostrando la sua abilità nel sentirlo ancora come in allenamento, anche
se le intenzioni adesso sembravano mostrare il contrario. Riusciva così a
deviare gli attacchi, a neutralizzarli, senza però ferire il guerriero bianco
più del necessario. Così egli andava incontro al guerriero bianco,
mostrandogli, con al sua tecnica, l’inutilità di quello scontro.
Nell’inevitabile lotta, nel deviare, parare, spostare,
assecondare i colpi, i loro corpi si venivano a trovare l’uno vicino all’altro,
fino a sfiorarsi, talvolta anche a toccarsi, dando l'impressione, in quei
momenti, di due corpi legati ancora insieme nel combattimento per la Vita…
La lotta proseguiva e più andava avanti e più il
guerriero bianco si rendeva conto che, forse, non era più in vantaggio come
credeva. Nonostante le ferite procurate al guerriero nero, questi aveva adesso
cambiato nuovamente il suo modo di combattere, lasciando il guerriero bianco
confuso e indeciso su come condurre la lotta.
Il guerriero bianco sentiva adesso di essere meno forte…
un senso di stanchezza, di spossatezza, cominciava ad insinuarsi tanto nel suo
corpo quanto nella sua mente… in quel momento sembrava domandarsi perché
lottare, quando, forse, non esisteva motivo per farlo? Già, sembrava che l’obiettivo
iniziale non fosse poi così importante come l’essere lì in quel momento dove
voleva stare. Il guerriero bianco prendeva sempre più consapevolezza che era
ancora quel guerriero che era sempre stato accanto al guerriero nero, così come
era per il guerriero nero… Sembrava avesse ritrovato quella sua naturale
armonia per cui si era scoperto guerriero, mentre stava venendo meno l’istintualità
del dover divenire qualcos’altro. Stava abbandonando la lotta, lo scontro…
per incontrare nuovamente il guerriero nero… e quindi sé stesso.
Così
quello che doveva essere un combattimento vero, si stava trasformando in
allenamento. E così era, i due guerrieri avevano ripreso ad allenarsi: i colpi
di spada adesso mostravano l’armonia tra i due guerrieri, muovendosi insieme,
ancora uniti, così che l’attacco dell’uno dava all’altro la possibilità
di misurare la propria abilità rendendone vano l’attacco.
Era giunto il momento per il guerriero nero di mostrare al
guerriero bianco nuovi movimenti di spada che questi non aveva ancora mai visto
e sentito, pur forse sapendo dentro di sé della loro esistenza e sperando che
un giorno il guerriero nero glieli avrebbe mostrati. Infatti il guerriero bianco
sapeva in cuor suo ciò che il guerriero nero stava per mostrargli, ma pensava
che il guerriero nero volesse tenere solo per sè i nuovi movimenti; ogni volta
che in passato questo pensiero si affacciava alla sua mente gli faceva
concludere che il guerriero nero non avesse fiducia in lui e senza quella
fiducia non avrebbe potuto continuare a combattere al suo fianco, perché nelle
battaglie, per combattere insieme, uniti, c’è bisogno della totale fiducia
nel proprio compagno.
Così queste scoperte avevano spiazzato la tattica e la
lotta del guerriero bianco. Stava vedendo in quel momento il guerriero nero
sotto un’altra luce, sotto un aspetto inusuale, come non si era mai rivelato,
ma come poteva rivelarsi solo al guerriero… speciale. Quel guerriero, con il
quale aveva combattuto insieme mille battaglie e molti più allenamenti, lo
faceva in quel momento partecipe di ciò che egli non aveva ancora mostrato di
essere, neanche in battaglia, forse perché ne aveva timore lui stesso. Ma di
cosa aveva timore il guerriero nero? Forse di quello che sarebbero state le
inevitabili conseguenze di una rivelazione che avrebbe trasformato i modi di
vivere di entrambi, che avrebbero materializzato quell’energia
incommensurabile che lega i guerrieri speciali.
Forse il guerriero nero avrebbe voluto deporre la spada e
smettere di combattere ogni battaglia, per dedicarsi al solo allenamento insieme
al guerriero bianco ed ancor di più, per dedicarsi alla crescita di quello che
era il sogno di entrambi… ciò che il guerriero bianco aveva chiamato…l’Eletto.
Per
un momento avevano scoperto non l’armonia di sempre, ma qualcosa che è ben
oltre quell’armonia; avevano scoperto la fusione del movimento nell’intenzione,
una fino ad allora sconosciuta energia che li aveva fermati in un attimo
infinito, facendoli viaggiare oltre il tempo, in luoghi indescrivibili, non
perché inesistenti, ma perché non esistono le parole per poter dire ciò che
essi avevano sentito essere.
Il sorriso era ricomparso sui loro volti, quel sorriso
spontaneo e tipico dei bimbi che si divertono. Avevano riscoperto quell’innocenza
di giocare ancora insieme, mentre continuavano ad allenarsi, mentre le loro
spade si incrociavano, ma adesso lo stavano facendo per potersi sentire ancora
uniti, ancora insieme. I loro corpi avevano riacquistato grazia nei movimenti
facendoli godere di ciò che erano.
Il guerriero nero gli stava parlando con la spada, i suoi
movimenti esprimevano il senso di quello che sentiva essere la vita dentro lui.
Il guerriero bianco era stanco e affaticato dalla continua
lotta tra ciò che credeva di dover essere e ciò che sentiva di essere. Ed in
questa indecisione non sapeva se continuare la lotta per divenire, o abbassare
anch’egli la spada per essere ciò che comunque sapeva di essere: un
guerriero.
Ed in questo dualismo la mente dicotomica doveva decidere.
“E’ estenuante continuare in questa situazione”, pensava, “non posso
farcela. Le sofferenze di tante battaglie hanno lasciato ferite ancora aperte
che potrebbero riprendere a sanguinare se continuassi ad impegnarmi in battaglie
che non riuscirei più a sostenere”.
Il
guerriero bianco ripensava a quel passato non troppo lontano in cui si era
impegnato in battaglie che forse gli avevano fatto provare dolore, più di
quello che credeva di dover sentire.
Ciò che il guerriero nero gli aveva mostrato e gli stava
mostrando l’aveva spaventato. Il pensiero di poter, forse, finalmente
realizzare ciò per cui aveva intrapreso la via del guerriero gli faceva paura,
temeva di non poter sopportare questo stato di incondizionata serenità.
Aveva paura di soffrire ancora, come nel passato e forse
addirittura ancora di più, proiettando nel futuro ciò che aveva vissuto,
facendo diventare quel futuro ben diverso da ciò a cui egli aspirava.
Le spade degli avversari gli avevano lasciato ferite che
non si erano mai rimarginate per quanto avesse tentato di nasconderle al
guerriero nero e forse soprattutto a sé stesso. Il guerriero bianco sapeva che
queste ferite potevano riprendere a sanguinare, causandogli quel dolore dal
quale stava tentando di fuggire.
Aveva paura delle spade degli avversari perché potevano
ferirlo ancora. Non voleva rimanere poi da solo a leccarsi le proprie ferite,
mentre il guerriero nero avrebbe continuato a combattere le proprie battaglie da
solo, senza il suo aiuto, dimostrandogli di non essere così indispensabile e
necessario come egli avrebbe voluto essere.
No, non poteva tornare a provare quel dolore, quella
sofferenza che aveva sentito e che adesso sembrava rinascere da dentro fino a
diventare devastante.
Credeva quindi fosse molto più semplice e conveniente
passare dalla parte di coloro aveva fino a quel momento combattuto, arrendendosi
così a quanti gli dicevano che il cammino del guerriero non esisteva, era solo
fantasia, solo inganno.
Il
guerriero nero nel frattempo aveva abbassato la guardia, aveva riportato la
propria spada al fianco e andava incontro al guerriero bianco,
preparandosi a mostrargli un’ultima tecnica, probabilmente quella risolutrice
di ogni contrapposizione, qualcosa che forse neanche il guerriero nero
conosceva, ma che nel momento in cui si sarebbe avvicinato al guerriero bianco
sapeva che sarebbe emersa, non dalla sua conoscenza, ma dal suo essere
guerriero, da quell’incommensurabile sentimento che sempre anima lo spirito
del guerriero.
Il guerriero bianco non sapeva cosa stava per accadere,
cosa il guerriero nero stava per mostrare. Sapeva solo quello che la sua mente
poteva conoscere e cioè che se lo avesse lasciato avvicinare non avrebbe potuto
opporgli alcuna tecnica valida per contrastare quella del guerriero nero,
perché egli non combatteva per vincere, ma si batteva per vivere la Vita. La
sua vittoria non era vincere una lotta o una battaglia, ma la consapevolezza di
aver fatto un buon combattimento.
Lasciare avvicinare il guerriero nero avrebbe significato
perdere quel combattimento e quindi ammettere che il guerriero nero aveva vinto.
Quello che il guerriero bianco aveva deciso volontariamente
sembrava vacillare dal momento che sentiva ancora il guerriero nero essere parte
di sé, più di quanto egli volesse ammettere che fosse. Ma aveva comunque
deciso di non voler più combattere al fianco del guerriero nero e per essere
coerente con la decisione presa doveva reprimere ciò che ancora sentiva di
voler essere e che sembrava più forte della sua decisione.
Quello che il guerriero bianco sentiva era l’avvicinarsi
del guerriero nero e le sensazioni che ancora emergevano dal suo Essere, mentre
la volontà, l’Io, contrastava con ciò che sentiva, negandone l’esistenza
stessa. Per poter eliminare questo conflitto e la sofferenza che determinava,
credeva necessario eliminare ciò che pensava ne fosse la causa: la presenza del
guerriero nero. Così come accade quando, per curare una disarmonia che
determina la malattia, si interviene sul sintomo e non sulla vera causa. Per cui
in quest’ottica, eliminata la causa, avrebbe potuto credere di vivere come si
era convinto che dovesse essere
la Vita.
Il
guerriero bianco si convinse di non poter continuare a lottare in quello che non
credeva fosse il modo giusto e che pensava fosse solo una perdita di tempo, e il
tempo è inesorabile quando se ne è dipendenti.
Doveva quindi uscire da quella situazione di impasse. Ma,
fintanto che il guerriero nero rimaneva davanti lui, fintanto che lui era
presente, fintanto che esisteva, sapeva di non poter riuscire a fare ciò che
desiderava.
Anche se non condivideva più le lotte del guerriero nero,
sentiva comunque di essere legato da qualcosa di incredibilmente forte al
guerriero nero. Era però convinto che ciò che sentiva non poteva portare dove
in quel momento avrebbe voluto andare, dove era convinto di dover andare. Però
al tempo stesso sapeva di non poter vivere ciò che credeva di volere finché il
guerriero nero fosse esistito: la sola sua esistenza gli faceva sentire ciò che
in quel momento non voleva più sentire, arrivando a negare l’esistenza di
ciò che era.
Per non sentire ciò che era, ripensava a quella sofferenza
che aveva avvertito spesso nelle passate battaglie combattute a fianco del
guerriero nero, ma soprattutto ripensava a quando combatteva da solo, quando
credeva di essere forte. Ma in effetti lo credeva soltanto: in realtà non lo
era. Non era abbastanza forte da poter evitare e rendere inefficaci i colpi
degli avversari, e a volte si procurava anche dolorose ferite. Imputava la causa
di tutta questa sofferenza solo e soltanto al guerriero nero e a ciò che
sembrava che egli gli avesse promesso e mai mantenuto.
In quel momento voleva credere nelle ragioni di quel
combattimento e ritenere giuste le motivazioni di quello scontro: per far questo
doveva quindi vedere il guerriero nero come colui che gli aveva causato tutto il
suo dolore e doveva anche convincersi che, forse, non c’era stata mai gioia,
ma solo dolore e sofferenza. Ed anche quando era sembrata gioia, lo era stata
solo perché il guerriero nero gli aveva fatto credere di poter realizzare
quello che desiderava.
Ma forse queste erano solo giustificazioni per convincersi
che ciò che stava per fare era la cosa giusta, in quanto le battaglie a fianco
del guerriero nero non avrebbero portato da nessun parte o almeno non là dove
il guerriero bianco avrebbe voluto andare.
Perciò proprio per sfuggire a quella sofferenza aveva
deciso di non ascoltare ciò che sentiva ancora e che ancora esisteva.
Sentiva
di non doverlo fare avvicinare di più, altrimenti temeva di non poter resistere
ai suoi colpi. Perdere quel combattimento avrebbe significato per lui ammettere
che tutto quello che aveva vissuto, tutte quelle battaglie che aveva combattuto
con il guerriero nero erano giuste, perché era ciò che allora doveva essere
fatto e che ancora inesorabilmente sentiva di voler fare. Ma il guerriero bianco
sembrava non voler accettare tutto ciò.
Ma sapeva anche che nello scontro non poteva evitare di
farlo avvicinare e quindi non poteva evitare quei colpi che conosceva, ma
che ancora temeva, perché sapeva che non esistono difese davanti a ciò che
inevitabilmente è.
Il guerriero bianco doveva adesso dimostrare che aveva
ragione. Doveva dimostrarlo prima a se stesso e poi, ma forse soprattutto, al
guerriero nero. Ecco perché era importante che il guerriero nero venisse
sconfitto. Quella sconfitta rappresentava per il guerriero bianco la rivalsa per
ciò che aveva forse sempre creduto essere il combattimento.
Ma fintanto che il guerriero nero rimaneva lì, capiva che
la sola sua presenza, la sola sua esistenza poteva fargli vedere ciò che egli
non voleva osservare, e cioè che quella ragione, quella vittoria che stava
cercando per poter affermare se stesso non avrebbe potuto averla.
La presenza del guerriero nero gli avrebbe ricordato sempre
ciò che egli intimamente riconosceva essere il combattimento.
Per poter quindi dimostrare di aver ragione doveva
sconfiggere totalmente il guerriero nero, doveva ucciderlo.
Il guerriero nero si avvicinava verso il guerriero bianco
con la guardia bassa. Infatti ciò che voleva mostrargli in quel momento non
traeva energia da una posizione, da una guardia, ma era ciò che l’energia
stessa manifestava: il guerriero nero.
Il guerriero bianco appariva distaccato, freddo e
impassibile. Alzò la sua spada e si lanciò incontro al guerriero nero,
attaccandolo con un impeto mai dimostrato fino ad allora. Il guerriero nero
indietreggiò, cercando di evitare l’attacco, ma era troppo tardi. La spada
del guerriero bianco si mostrò implacabile e si abbatté su di lui con furia
inaudita.
Il
guerriero nero tentò di contrastare l’attacco con la sua spada. Le lame si
incrociarono, i colpi erano potenti e si susseguivano rapidamente. Ma nonostante
avesse ripreso la spada, il guerriero nero sentiva di non farcela o forse non
voleva farcela. Sembrava avvertire che presto tutto sarebbe finito proprio come
doveva finire. Le sue difese e i suoi colpi non risultavano efficaci come
avrebbero dovuto, forse, proprio perché lui per primo non credeva in quello che
stava facendo, dal momento che si sentiva costretto in una situazione che non
gli apparteneva. Forse aveva deciso di abbandonare ogni lotta.
Continuò a mantenere la posizione, non indietreggiò,
sapendo che in quella situazione non indietreggiare avrebbe significato anche
correre un rischio maggiore.
Il guerriero nero sentiva tutto il rancore e l’odio che
veniva fuori dal guerriero bianco e che si riversava su di lui. Era diventato
oggetto di colpe che sapeva di non avere, ma che nella mente del guerriero
bianco risultavano talmente gravi da spingerlo a fare quello che stava facendo,
a distruggere tutto ciò che era stato fino ad allora il combattimento, forse,
per placare quel dolore che stava provando.
Il guerriero nero provò ad entrare nella guardia del
guerriero bianco, ma questa risultò impenetrabile. Il guerriero bianco non
cedeva, ribatteva ad ogni colpo, scivolava lateralmente e affondava i suoi colpi
che mettevano in difficoltà il guerriero nero. Ma forse il guerriero nero
voleva che così accadesse.
Il guerriero bianco aveva studiato a fondo le proprie
tecniche, i propri movimenti, così come quelli del guerriero nero, perché
credeva di conoscerlo. Non c’era tregua, non c’era pausa tra un colpo ed un
altro, era un susseguirsi di movimenti per cercare il momento per il colpo
risolutore.
Le spade roteavano e si abbattevano verso i loro corpi,
cercando di penetrare ognuno la guardia dell’altro, senza riuscirvi. I corpi
si muovevano, si flettevano, si spostavano rapidamente. Il combattimento avrebbe
potuto già terminare, ma sembrava che il guerriero bianco volesse farlo
continuare, come a voler dimostrare, a far sentire al guerriero nero la potenza
dei sui colpi e quanto era diventato migliore di lui. O forse cercava soltanto
che, ancora una volta, il guerriero nero gli provasse ciò che intimamente
sapeva di essere… un guerriero?
Ma il guerriero nero che aveva forse capito, non riteneva
di non dovergli provare niente di ciò che entrambi sapevano. Aveva fatto tutto
quello che doveva essere fatto e forse anche oltre ciò che poteva aspettarsi il
guerriero bianco, per cui era solo il guerriero bianco che doveva decidere: non
cosa fare, ma cosa… essere.
Lasciava
quindi che il guerriero bianco si convincesse sempre di più di ciò che stava
facendo.
Le spade continuavano a fendere l’aria ed a calare
implacabili, cercando di colpire, ma si scontravano e si fermavano sempre l’un
l’altra, cosicchè il combattimento continuava senza decretare né il
vincitore né il perdente.
Il guerriero nero non si impegnava nel combattimento come
forse avrebbe fatto in altre occasioni con avversari che lo meritavano. Sembrava
quasi che cercasse di far vincere il guerriero bianco. Pensava infatti che il
guerriero bianco non meritasse di fare la stessa fine di quanti si erano
contrapposti a lui in passate battaglie. Non vedeva il motivo di combattere per
uccidere, quando quello che sentiva di volere era tutt’altro.
I colpi si susseguivano senza soluzione di continuità. Con
la disperazione di dover finire il combattimento, il guerriero bianco stava
scaricando tutta la rabbia che aveva in corpo sul guerriero nero.
Il guerriero nero sapeva che non poteva evitare ancora per
molto che un altro colpo, forse quello definitivo, potesse raggiungerlo e porre
così fine a quell’inutile e straziante successione di colpi.
Ed è così, dopo aver schivato, dopo aver eluso, dopo aver
evitato molti attacchi, anche lui sentì la stanchezza di questa assurda
situazione ed accettò la deliberata volontà del guerriero bianco di voler
terminare lo scontro con la propria vittoria per provare così di aver ragione.
Forse sentì di non poter più sostenere altre battaglie senza l’energia del
guerriero bianco, senza quella loro intima unione e quel combattere per ciò che
essi erano.
“No” pensava “non ha senso continuare….”
Vide la spada del guerriero bianco in movimento per un
nuovo attacco: stava avanzando verso di lui con un movimento a spirale, come
tante volte gli aveva fatto vedere. E quella spirale più si avvicinava a lui
più si chiudeva, fino a quando, un attimo prima di toccarlo, diventava una
linea diritta e penetrante. Il guerriero nero non fece niente per evitare quel
colpo; i suoi movimenti si fermarono, forse perché sapeva che ciò che doveva
essere era proprio ciò che stava succedendo.
Nell’inevitabile irrimediabilità di quella situazione,
la punta di quell’arma si appoggiò al suo petto e, manifestando la decisione
di chi vuole deliberatamente affondare il colpo, cominciò ad aprire e penetrare
il suo petto, tanto da raggiungere il suo cuore e mettere fine alla lotta.
In un istante tutto si fermò; un attimo infinito dove non
esisteva niente, ma tutto era.
No, il guerriero nero non si era opposto come tutti
avrebbero fatto in una battaglia, in un combattimento: aveva lasciato che si
compisse ciò che sembrava dovesse essere… la morte.
Il
guerriero bianco aveva sconfitto il guerriero nero, almeno così credeva,
trafiggendo ciò che di più intimo egli celava e che stava per offrire, quel
cuore che sembrava essere insensibile, ma che forse aspettava solo l’apertura
dell’altro per poter vedere ciò che stava al di là della tecnica, oltre il
movimento, oltre il conosciuto, ciò che il pensiero non potrebbe mai vedere…
l’incommensurabile.
Ma forse le cose non stavano proprio così, altrimenti il
guerriero bianco non avrebbe dovuto combattere per affermare ciò in cui
credeva, credendo così di affermare se stesso, ma sarebbe semplicemente
accaduta la sola cosa che aveva ragione di essere.
Uccidendo il guerriero nero aveva eliminato anche una parte
di se stesso, quella che insieme al guerriero nero aveva condiviso tutto ciò
che era stato e che ancora era, visto che aveva dovuto eliminarlo per potersi
sentire libero; credendo di eliminare qualcosa al di fuori di se stesso aveva
invece eliminato quello che egli era.
Aveva dovuto trasformare in rancore e odio ciò che
sentiva, per poter fuggire dal conflitto con se stesso, e negare quella parte
vera di sé che viveva in simbiosi con il guerriero nero.
… ma forse questa non è la verità…., del resto chi
può dire di conoscerla?....
...continua
|