STIMOLATI DA UN PRECEDENTE ARTICOLO (IL
GUERRIERO) A DISQUISIRE SULLE VARIE DEFINIZIONI FORNITE DA CASTANEDA
CIRCA LA FIGURA DEL GUERRIERO… HANNO RACCOLTO LA SFIDA: ECCO IL FRUTTO DELLA
LORO RIFLESSIONE SUL SIGNIFICATO DI UNA DELLE CITAZIONI CONTENUTE NELL’ARTICOLO.
CITAZIONE:
“Quando un uomo intraprende la via del
guerriero diventa gradatamente consapevole di essersi lasciato per sempre alle
spalle la vita ordinaria. Ciò significa che la realtà ordinaria non può più
proteggerlo e che per sopravvivere dovrà adottare un nuovo modo di vita.”
Appare forse lampante che il guerriero sia
persona pienamente consapevole della precaria condizione umana, cosa che il
pensiero sociale tende a sforzarsi di voler autonomamente nascondere. Ma la vita
ordinaria regala dei punti di riferimento che aiutano a vivere in modo congruo
con essa. Ma tali punti di riferimento appaiono però insostenibili quando si
intraprende l'approfondimento della conoscenza interiore: la loro mancanza
potrebbe provocare momenti di sbandamento, smarrimento e confusione, fintanto
che non comprendiamo che potremmo avere (quindi dover cercare e trovare) nuovi
punti di riferimento assiomatici e consoni alla propria nuova, intima
autodeterminazione di se stessi (nd.r.) |
TESTO A “DUE MANI” DI: Black & White
White : la forte
spinta che porta l’uomo a cercare quello che gli manca, gli fa intraprendere
vari percorsi di vita o cammini, nella speranza (forse vana) di poter finalmente
trovare ciò che gli urge, ciò che appaghi la sua esistenza. Egli aspira ad
arrivare a questo traguardo, a questo obiettivo, per poter trovare quella che
crede sia la pace da tutti i tormenti che lo affliggono. Questo cammino è ciò
che egli vive… è la sua vita!
Black: Sì…
forse l’uomo “sente” continuamente che gli manca qualcosa, per il semplice
fatto che potrebbe non sentirsi
completo o completamente appagato… ma siamo sicuri che, ammesso
senta che gli manca qualcosa, sappia
anche… “cosa” gli manca?
White : Se
così fosse avrebbe finito di cercare. Sembra che, invece, non sia così…. Per
cui, in questa ricerca, alcuni giungono anche nelle palestre di arti
marziali. Molte di queste sono sostanzialmente simili nelle loro strutture di
apprendimento, non diverse dalle istituzioni scolastiche a cui siamo abituati,
con un programma ben definito, comprensivo di esami per poter accedere ai
livelli di volta in volta superiori. Esami che si limitano alla verifica dell’apprendimento
del programma assegnato.
Black:
Ma.. una volta appurato che forse (ammesso e non concesso) pensiamo di
sapere “cosa” ci manca… siamo
sicuri che sappiamo perfettamente “dove” possiamo o dovremmo cercare questo
qualcosa?
White :anche
per questo entriamo in una scuola di arti
marziali.
Scegliendo tra le tante palestre di arti marziali, alcuni arrivano anche
in questa scuola di kung fu. Si, quella che state leggendo… perché pensate
che il kung fu sia solo e soltanto quello fatto “fisicamente” in
palestra?...
Qui vengono in contatto con quella che credono sia una realtà che,
forse, prima di allora non pensavano potesse esistere, ma che forse, è sempre
stata... Fino a quel momento la realtà era (ed ancora lo è, ma diverso è il
punto di vista, o meglio diversi sono i punti di osservazione) solo quella
fuori, la realtà fuori di noi, quella degli altri. La realtà frutto di ciò
che gli altri ci hanno detto essere, il modo con cui interpretiamo ciò che
accade…e che crediamo sia.
|
Maestro,
voglio imparare a tirare un pugno.
Bene,
posso insegnarti la tecnica, l’esecuzione, lo schema
E’
quanto mi serve, maestro!
Potrà
servirti, forse, a contrapporti all’avversario, e nella contrapposizione
potrai vincere o perdere. Ma così non potrai mai essere vincente. Un pugno non
sarà un pugno fino a quando non conterrà ciò che deve essere espresso
attraverso il pugno!
E
cosa, maestro?
Ciò
che è già dentro di te, ma proprio per la domanda che hai posto… non
riconosci.
E
come posso conoscere?
Ritornando
a te stesso…
|
White : Una
storiella come tante altre, ma che si ripete ogni volta che incontrano una
palestra di… arti marziali.
Black:
Ma…una volta che sappiamo dove cercarlo… siamo sicuri di saperlo
vedere, riconoscere e quindi trovarlo?
White : altrimenti
non saremmo qui… Egli non sa perché ma, se resta lì, è probabile che possa
aver trovato quello che crede sia ciò di cui ha bisogno.
Infatti, l’allievo vive fuori dal
sé, vive contrapponendosi agli altri. Per poter affermare la propria esistenza,
ha bisogno di paragonarsi. Dal risultato di questo confronto egli è, o meglio,
crede di essere in grado di capire “chi è” e “come è”: il cui
risultato è forse quello che chiamiamo autostima.
Black:
Beh, si… credo che abbiamo
continuamente bisogno di paragonarci agli altri… se valutiamo il nostro valore
in relazione a quello che reputiamo negli altri…
White : Quindi,
come pensiamo, allora, debba essere la stima di noi stessi? Quanto più
alta possibile, vero? E come facciamo affinché ciò possa avvenire?
Confrontandoci, contrapponendoci, scontrandoci con l’altro. Da questa
contrapposizione dobbiamo però risultare sempre vincitori. In caso contrario,
ne risulterebbe sminuita la stima di noi stessi… con senso di frustrazione per
non essere riusciti a vincere…
Black:
Forse, a volte ci paragoniamo e confrontiamo con quelli che intimamente
sappiamo esserci inferiori… forse proprio per migliorare l’immagine che
abbiamo di noi stessi.
White : dal
momento che vogliamo la migliore immagine di noi, come potremo fare
diversamente? Proprio perché l’allievo vive fuori dal sé, dopo ogni
sua vittoria deve cercarne un’altra, affinché venga rinnovata la propria
autostima, perpetuando così il ciclo… della continua ricerca dello scontro.
Black:
Forse perché ci
hanno sempre detto che non bisogna mai accontentarci e cercare sempre di
migliorarci… che al miglioramento non c’è limite ecc.
White : Oppure
forse per l’esistenza stessa del nostro Io… L’Io esiste in virtù di
quello che hai detto sopra a proposito del misurare la nostra valenza in
relazione a quella che attribuiamo agli altri. Ma così
facendo, l’Io finisce per dipendere dagli altri, in quanto gli altri gli danno
ciò che egli crede di dover essere, attraverso la vittoria. Ecco che il
rinnovarsi continuamente della contrapposizione per mettere alla prova il
proprio valore, lo porta a dover trovare ogni occasione per paragonarsi,
contrapponendosi all’altro per risultarne vincitore, in una perpetua ricerca
di occasioni per… scontrarsi! Ciò per dimostrare agli altri il proprio
valore, da cui possa poi derivare la stima per se stesso.
Black:
Forse perchè ci hanno sempre detto che per affermare il proprio valore
dobbiamo combattere?
White : Altrimenti
che valore sarebbe se gli altri non lo sapessero? Dal momento che vogliamo farlo
sapere agli altri.. dobbiamo mostrarlo… e quale miglior modo se non quello di
combattere? Ma dove imparare a combattere?Magari proprio in una scuola di arti
marziali….Ma quando lo studente arriva nella scuola, il maestro lo pone
subito di fronte a quello che è l’atteggiamento mentale con cui egli si
appresta a studiare quello di cui crede aver bisogno. Lo studio delle arti
marziali forse, contrariamente a quanto si possa pensare, non è andare avanti,
ma fermarsi, per poi… tornare indietro.
Black:
Ma… io pensavo consistesse nel fermarsi un attimo (magari per
realizzare il punto di partenza) ma per poi poter proseguire più spediti!
White:
Può sembrare assurdo, ma è
assurdo tutto quello che i nostri schemi mentali ci impediscono di vedere che
possa anche essere…. L’allievo rimane sbigottito, attonito di fronte alle
parole del maestro… che sembrano fermare il suo cammino nell’apprendimento
del kung fu.
Black:
Io infatti resto un po’ attonito… forse anche smarrito!
White : Questo
fermarsi crea un senso di smarrimento nell’allievo. Ma non è proprio così.
Forse… questo fermarsi lo rende cosciente, presente al suo smarrimento. Già,
forse lo siamo anche noi, ma non ne abbiamo mai preso coscienza. Quel senso di
smarrimento forse, non è altro che la conferma di quanto non siamo…
coscienti. Dal momento che percepiamo questo senso di smarrimento, dovremmo
domandarci “cosa” abbiamo smarrito….
Black:
Già, è vero… quando siamo un po’ confusi diciamo che ci sentiamo
smarriti… senza pensare a “cosa” abbiamo smarrito… quindi, forse,
dovremmo prima chiederci proprio questo!
White : Cosa
intendiamo per smarrimento? Smarrimento vuol dire perdere l’orientamento,
perdere la direzione, perdere
la Via
…
Black:
Già… forse abbiamo smarrito quella sicurezza che ci dava il credere
di sapere… di dover fare certe cose, piuttosto che altre. La routine del
conosciuto!
White
: Ma chi è che ha perso
la Via
? E’ forse colui che sente di essersi smarrito, che stava andando in quella
direzione, seguendo ciò che crede debba essere la via e adesso… non vede più
quella strada? Oppure, forse,è colui
che sente di non essere mai appartenuto a ciò che fino a qual momento credeva
fosse
la Vita
? La persona o l’Essere?
Black:
Beh… se intendiamo l’Arte Marziale come Arte di vita… la comunanza
e la similitudine tra la persona e l’essere potrebbero essere anche possibili.
White : Certo,
ma credo che l’allievo non possa ancora conoscere l’arte marziale come arte
di Vita, e comunque sia, ad un certo punto sentiamo di doverci fermare.
Ciò che stiamo vivendo sembra non appartenerci più, almeno come lo è sempre
stato fino a quel momento… Quei riferimenti che prima erano “la via”,
adesso sembrano venir meno…
Black:
Appunto! Ci sentiamo smarriti, sentiamo di aver perso quella sicurezza
di azioni che forse, avevamo preventivato di dover fare.
White : E
quando non siamo sicuri…
cosa accade quando ci fermiamo su
di una strada? Non cominciamo, forse, a guardarci intorno, a guardare il
paesaggio, ciò che ci circonda? Quello che prima ci era sempre sfuggito,
proiettati come eravamo verso il traguardo da raggiungere, adesso appare ai
nostri occhi come qualcosa di strano, di nuovo… anche se non lo è, in
realtà, perché è sempre stato lì… è sempre esistito.
Black:
Allora, era la concentrazione nel particolare dell’ obbiettivo, che ci
distoglieva dal tutto?
White : Quello
che, forse, chiamiamo… ideale.
Ma, a questo punto forse vediamo
ciò che abbiamo intorno e ci sembra di non riconoscerlo, tanto che ci
domandiamo… Dove siamo? Cosa vuol dire... dove siamo? Siamo qui e dove
dovremmo essere? Siamo certi di essere qui, o forse stiamo pensando a cosa ne
potremmo fare del fatto di essere qui? Altrimenti non saremmo qui! E questo non
vuol forse dire che, pur essendo qui, stiamo invece pensando a qualcosa che
crediamo dovrà accadere, e cioè al futuro, al dopo, al
più avanti?
Ma allora, se stiamo
pensando al dopo, a ciò che riteniamo possa essere
positivo, come possiamo essere qui e adesso?
Black:
Credo sia perché ci hanno sempre detto che dobbiamo pensare alle
conseguenze delle nostre azioni.. dunque al futuro… guardare avanti, il che ha
sempre assunto una connotazione
positiva. Credo sia per questo che diamo istintivamente a qualsiasi
atteggiamento contrario a questo… una connotazione logicamente negativa. Forse
lo siamo fisicamente, ma mentalmente siamo, o cerchiamo, di essere più avanti.
White : Già,
forse, non siamo qui totalmente, ma crediamo soltanto di esserlo, mentre in
realtà siamo già proiettati in quello che saranno le conseguenze dell’essere
qui. E come potremmo essere qui adesso, se ciò che stiamo facendo adesso è
solo finalizzato ad un divenire?
Black:
Eppure ci hanno sempre insegnato che tutte le nostre azioni dovrebbero
essere finalizzate ad un loro divenire… e che ciò, è una cosa estremamente
positiva.
White : Quindi, sembrerebbe che
ciò che stiamo facendo sia solo in funzione di ciò che crediamo debba
diventare e non della reale situazione del momento. Ciò che ha importanza non
è la situazione attuale, ma quella che crediamo dovrebbe diventare.
Black:
Forse… non siamo qua per questo?
White : …
vuoi dire per divenire… ciò che siamo? Allora non è un divenire, perché
quello che noi intendiamo è già. Quello che è invece il voler diventare,
il divenire, il voler arrivare a qualcosa, per essere qualcosa di
diverso da ciò che siamo… porta in sé inevitabilmente il conflitto.
Conflitto tra ciò che siamo adesso e ciò che crediamo di dover essere… il
divenire! Quindi l’arrivare, l’obiettivo, non è altro che il divenire,
cioè diventare qualcosa di diverso da ciò che siamo adesso. Ciò che siamo non
è ciò che vogliamo, per cui arriviamo a rinnegare noi stessi per poter
diventare qualcosa che crediamo sia migliore.
Black:
Non credo, infatti,che vorremmo mai cambiarci in qualcosa di peggiore...
White :ecco perché,
pur seguendo questo schema, non
ci accorgiamo che mai vorremmo essere ciò che giudichiamo negativamente… pur
sapendo di esserlo!
Black:
Più che sapendo di esserlo… io direi: temendo, forse, di esserlo
veramente.
White : forse
perché non coscienti di esserlo… Pertanto, arrivare a porsi la domanda
“dove siamo?”, ci obbliga a vedere “cosa” siamo. A questo cerchiamo di
resistere, sforzandoci di non vedere perché, forse, potremmo vedere qualcosa
che non vorremmo, qualcosa di spiacevole, altrimenti perché dover resistere?
Perché dovrebbe venir fuori da noi questa domanda? Dove siamo è ciò che
siamo, ma non siamo in grado di riconoscerlo… forse perché non lo vogliamo
conoscere.
Black:
Si dice che il nostro inconscio, infatti, tenda a non farci vedere, a
minimizzare e dimenticare le cose che ci provocano sensazioni negative.
White :forse l’inconscio protegge… solo ciò che
crediamo di dover essere… Nonostante questo, però, sembra
che conosciamo benissimo dove crediamo di dover arrivare, forse anche il mezzo
con cui vogliamo arrivare.
Black:
Io credo con qualsiasi mezzo… pur di arrivare!
White : certo,
anche questo… per questo siamo qui per trovare ciò che cerchiamo, ma,
ciò nonostante, non conosciamo da cosa vogliamo fuggire.
Black:
Fuggire? Ma fuggire da che cosa? Da noi stessi, forse?
White : Se
così non fosse, se non volessimo fuggirlo… perché dovremmo “divenire”?
Potremmo pensare che sia per migliorarci…
Black:
Già… appunto!
White
: Tuttavia,
“migliore” è un termine relativo, quindi necessita di una
comparazione per poter esistere. Forse, soprattutto del “come” giudichiamo.
Sulla base di cosa giudichiamo? Il giudizio non è forse il frutto dei nostri
condizionamenti? Cioè di tutti quei punti di riferimento che ci fanno vivere
conformemente alla società in cui “siamo”… per diventare persone
rispettabili?
Black:
Non mi sembrano certo azioni
o aspirazioni condannabili…
White : Proprio
per questo le possiamo vedere per quello che sono… Come sappiamo che
ciò che vogliamo divenire sia migliore di ciò che siamo adesso?... se non
perché qualcuno, forse, ci ha detto che quel traguardo ci porterà ad avere
ciò che cerchiamo?
Black:
Qualcuno? Magari noi stessi!
White :
Dipende da cosa intendiamo per noi stessi:
ciò che siamo o ciò che crediamo di essere…
comunque sia… certo, siamo noi che per poterlo fare dobbiamo crederci.
Allora quello che cerchiamo è arrivare ad avere… possedere quelle qualità
che riteniamo siano migliori, per essere forse, migliori degli altri…
Black:
Certo… soprattutto di noi stessi, però!
White : perché
forse temiamo di non esserlo…
Già… Forse quello che cerchiamo
è essere migliori degli altri, al sopra degli altri, perché questo può darci
la sensazione di potere sugli altri, per nutrire, per confermare continuamente
la nostra autostima. Ma proprio il voler essere superiori…pone in evidenza
quanto intimamente siamo convinti di
essere inferiori, altrimenti non avrebbe senso voler essere superiore agli altri.
Black:
Quindi dici che se vogliamo migliorare… è solo perché
sappiamo di essere peggiori di quello che reputiamo dovremmo essere?
White : già,
forse è questo che pensiamo di noi stessi…. Ed ecco che l’arte
marziale ci appare come uno dei mezzi più appropriati per raggiungere questo
miglioramento.
Black:
Non è forse vero che l’arte marziale ha anche come risultato quello
di migliorare l’uomo? Tutti lo dicono… tutti i più grandi maestri, tutti i
loro praticanti, tutte le riviste ed i libri lo dichiarano…
White : ed
è appunto il risultato che vogliamo, non il percorso… Questo
accade normalmente nelle palestre di arti marziali, ma non qui…. Tuttavia, dal
momento che vi siete trattenuti a leggere queste riflessioni, forse, è perché
vi siete fermati, come dicevo prima…
Black:
Certo che per venirti dietro… bisogna giocoforza imparare a fermarsi…
cioè a vuotare la mente dagli altri concetti per provare a metterne di nuovi,
come questi, e vedere come ci stanno…
White : questo
che dici mi fa venire in mente un’altra nostra interessantissima discussione
su di una tazza di tè…
come
certamente ricorderai. In che modo possiamo allora comprendere se siamo
pieni di ciò che crediamo debba essere? Possiamo comprendere il nuovo con ciò
che è il nostro passato, l’accumulo delle nostre esperienze?
Certo, forse, solo per curiosità, ma anche la curiosità fa parte di
quella natura dell’Essere che vuole conoscere, essere… se stesso.
Adesso che ci siamo fermati… vuol forse dire che non andiamo più avanti?
Dipende da cosa intendiamo per cammino... già, perché, se
non ve ne siete accorti… stiamo camminando.
Black:
In che senso?
White : prova
a trovare la quiete nel movimento e il movimento nella quiete… Svuotando la
mente dai pensieri… siamo predisposti a vedere ciò che i nostri pensieri
nascondevano…. Quindi, fermarsi per andare dove?... vi chiederete,
vero? Ha forse importanza? Se il cammino è quello giusto, secondo quello che è
la nostra intima natura, certamente arriveremo dove tutti i cammini portano,
sarà la semplice conseguenza.
Black:
Cioè ci siamo incamminati verso la conseguenza del nostro ragionamento
ma… dove ci porterà?
White : Già,
è proprio questa la nostra preoccupazione: come sapere se il cammino è
quello giusto? Nessuno può dircelo all’infuori di noi stessi. Come possiamo
se non conosciamo noi stessi? Ecco perché è necessario conoscere se stessi,
non credete anche voi sia così?
Black:
Credo di iniziare a capire…il fermarsi equivale ad una “pausa di
riflessione”?
White : forse… una pausa che diventa… senza tempo, quindi senza pensiero.
Per poter cominciare è necessario sapere da dove cominciare, vero? Se non
sappiamo da dove si parte come possiamo arrivare? Rischiamo di andare solo dove
altri ci dicono di andare…
Black:
Questi ragionamenti, presi uno ad uno, non fanno una piega… ma è
tutto il contesto che credo si ribelli…o non lo faccia apparire congruo.
White : un
altro po’ di tè? Ecco che la tecnica, quello che credete sia l’arte
marziale, può diventare un mezzo per conoscere se stessi. Il dove siamo per
poter, eventualmente, migliorare. Certo, possiamo ripetere quella tecnica
infinite volte, tanto che la nostra reazione sarà praticamente istantanea, ma
se è priva di consapevolezza rimarrà solo una tecnica da fare e soltanto in
risposta ad un determinato evento e non un movimento che contiene ciò che deve
essere: un pugno deve essere un pugno e nient’altro.
Black:
Ricordo che abbiamo già discusso l’argomento in una precedente
lezione.
White : esatto…
E così quel pugno visto non
come il potere che ci dà la sensazione di essere migliori dell’avversario…
Perché, come ho detto sopra, proprio per il fatto di voler essere migliori…
siamo convinti di non esserlo, ma la possibilità di tirare un pugno e vincere
ci fa solo credere di esserlo.
Black:
Ma se riusciamo a farlo… non dimostriamo di esserlo?
White : forse
proprio il fatto di cercarlo, serve a nasconderci il fatto di non esserlo…
Come possiamo dare un pugno pensando di essere buoni, di essere miti, di
essere timidi, educati e tutte quelle qualità che pensiamo facciano di noi…
una persona rispettabile?
Black:
Beh… ma mica lo facciamo per puro divertimento… forse solo in
situazioni estreme.
White : Infatti,
è nella natura dell’uomo
avere tutta una serie di emozioni che, in particolari situazioni, lo mettono
nella condizione di far fronte a diversi eventi. Ma questo a volte contrasta con
quello che crediamo di essere, producendo un conflitto tra ciò che sentiamo di
essere e ciò che crediamo di dover essere. E nel conflitto non può esserci
pace: la vittoria dell’uno produce la sconfitta dell’altro… ma chi è che
sente di essere… e chi è che crede di dover essere?
Black:
Mmmh, credo adesso tu ti
riferisca alle due entità di cui già altre volte abbiamo discusso…
la Persona
e l’Essere…
White : …responsabili
del conflitto…A
questo punto non credete che chiunque vinca dei due, Essere o Persona, si tratti
sempre della sconfitta di noi stessi? Come può esserci, allora, pace in noi
stessi? La pace in noi stessi non presuppone che non si combatta… ma come
possiamo combattere se dentro di noi siamo separati?
Black:
Forse assumendo ora l’una … ora l’altra entità?
White : allora
cesserebbe ogni conflitto… Ma
se
non c’è totalità dell’Essere… come possiamo combattere? Nella
disgregazione c’è solo la voglia di sopraffare l’altro, e la sopraffazione
è solo sete di potere.
Nella totalità, non c’è contrapposizione, ma unione e nell’unione
non esiste un vincitore o un perdente, ma solo il vincente; proprio
per il fatto di essere integri in noi stessi, non potremo mai perdere, perché…
non abbiamo niente da perdere.
Black:
Quindi dici che se noi abbiamo veramente stima di noi stessi… è
impossibile perderla?
White : Si,
perché, forse, non dipendiamo da quella degli altri, ma la stima che abbiamo di
noi stessi è ciò che noi siamo. Ancora una volta: ”
se non competi con nessuno, nessuno competerà con te”.
Quei valori, che prima erano i nostri punti di riferimento e per i quali
competevamo, per poter essere persone rispettabili, adesso non ci appartengono,
perché non sono più nostri, quindi
non ha più senso combattere per affermare quei valori, pur continuando ad
affrontare le continue sfide che
la Vita
ci offre, contando solo su noi stessi… che a questo punto abbiamo
riconosciuto… essere ciò che Siamo.
lack:
Cioè, forse non avremmo più bisogno di competere per la conquista di
una cosa che sappiamo comunque di essere?
White : Vedo
che il tè… ti è piaciuto.
Quello che abbiamo appreso fino ad
ora, lo studio delle tecniche, è quello che abbiamo scritto sopra, così come
quello che abbiamo scritto è contenuto nelle tecniche che stiamo studiando. Dal
momento che ciò è stato compreso… possiamo iniziare lo studio delle arti
marziali… il ritorno a noi stessi.
Black:
Si dice, infatti, che lo studio delle arti marziali sia anche e
soprattutto lo studio di noi stessi…
White : non
potrebbe essere altrimenti, visto che è su di noi che studiamo…
Possiamo sapere dove andare solo sapendo dove siamo. E nell’attimo in
cui si è consapevoli di dove siamo… forse non sarà più necessario andare,
perché potremo scoprire che… magari siamo già ciò che stiamo cercando.
Black:
Già… se siamo sicuri di essere già ciò che cerchiamo di dimostrare
di essere… perché volerlo dimostrare? Forse allora non ne siamo così sicuri
come cerchiamo di convincerci… ma se ne siamo veramente convinti… non c’è
bisogno di dimostrarlo. Se gli altri non lo sanno o non ci credono… potremmo
solo dispiacerci per loro…
White : Ritorno
a se stessi, dunque,… abbandonando ciò che crediamo di essere diventati,
spogliandoci dei condizionamenti che inevitabilmente ogni cultura ci impone,
lasciando che ciò che è sempre stato dentro di noi possa emergere…
spontaneamente.
Black:
In questo modo allora… niente di altro o di diverso da ciò che siamo
veramente.. e che siamo sempre stati… potrà emergere!
White : Così
il guerriero si lascia alle spalle ciò che è ordinario, per entrare in quello
che… no, non è straordinario, ma semplicemente è… “naturale”, dove non
avrà altro riferimento che se stesso, per vivere le sfide nel mondo..
ordinario.
Black:
Ma.. il contrario di ordinario… è straordinario… “naturale”,
non sembra significhi esattamente la stessa cosa… una cosa naturale sembra
essere una cosa di poco conto… intuisco che c’è un fondo di verità, ma
devo pensare bene al significato intrinseco o naturale che si potrebbe celare
dietro queste parole…
White : Beh,
se pensate cosa tutto questo possa voler dire, forse non è ancora il momento,
anche se… forse un giorno capirete… ma quando lo si capisce, prima lo si è…
Intuito!
|