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Black & White

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STIMOLATI DA UN PRECEDENTE ARTICOLO (IL GUERRIERO)  A DISQUISIRE SULLE VARIE DEFINIZIONI FORNITE DA CASTANEDA CIRCA LA FIGURA DEL GUERRIERO… HANNO RACCOLTO LA SFIDA: ECCO IL FRUTTO DELLA LORO RIFLESSIONE SUL SIGNIFICATO DI UNA DELLE CITAZIONI CONTENUTE NELL’ARTICOLO.

CITAZIONE: “Quando un uomo intraprende la via del guerriero diventa gradatamente consapevole di essersi lasciato per sempre alle spalle la vita ordinaria. Ciò significa che la realtà ordinaria non può più proteggerlo e che per sopravvivere dovrà adottare un nuovo modo di vita.”

Appare forse lampante che il guerriero sia persona pienamente consapevole della precaria condizione umana, cosa che il pensiero sociale tende a sforzarsi di voler autonomamente nascondere. Ma la vita ordinaria regala dei punti di riferimento che aiutano a vivere in modo congruo con essa. Ma tali punti di riferimento appaiono però insostenibili quando si intraprende l'approfondimento della conoscenza interiore: la loro mancanza potrebbe provocare momenti di sbandamento, smarrimento e confusione, fintanto che non comprendiamo che potremmo avere (quindi dover cercare e trovare) nuovi punti di riferimento assiomatici  e consoni alla propria nuova, intima autodeterminazione di se stessi (nd.r.)

TESTO A “DUE MANI” DI: Black & White

White : la forte spinta che porta l’uomo a cercare quello che gli manca, gli fa intraprendere vari percorsi di vita o cammini, nella speranza (forse vana) di poter finalmente trovare ciò che gli urge, ciò che appaghi la sua esistenza. Egli aspira ad arrivare a questo traguardo, a questo obiettivo, per poter trovare quella che crede sia la pace da tutti i tormenti che lo affliggono. Questo cammino è ciò che egli vive… è la sua vita!

Black: Sì… forse l’uomo “sente” continuamente che gli manca qualcosa, per il semplice fatto che potrebbe  non sentirsi completo o completamente appagato… ma siamo sicuri che,  ammesso senta che gli manca  qualcosa, sappia anche… “cosa” gli manca?

White : Se così fosse avrebbe finito di cercare. Sembra che, invece, non sia così…. Per cui, in questa ricerca, alcuni giungono anche nelle palestre di arti marziali. Molte di queste sono sostanzialmente simili nelle loro strutture di apprendimento, non diverse dalle istituzioni scolastiche a cui siamo abituati, con un programma ben definito, comprensivo di esami per poter accedere ai livelli di volta in volta superiori. Esami che si limitano alla verifica dell’apprendimento del programma assegnato.

Black: Ma.. una volta appurato che forse (ammesso e non concesso) pensiamo di sapere “cosa”  ci manca… siamo sicuri che sappiamo perfettamente “dove” possiamo o dovremmo cercare questo qualcosa?

White :anche per questo entriamo in una scuola di arti marziali. Scegliendo tra le tante palestre di arti marziali, alcuni arrivano anche in questa scuola di kung fu. Si, quella che state leggendo… perché pensate che il kung fu sia solo e soltanto quello fatto “fisicamente” in palestra?...
Qui vengono in contatto con quella che credono sia una realtà che, forse, prima di allora non pensavano potesse esistere, ma che forse, è sempre stata... Fino a quel momento la realtà era (ed ancora lo è, ma diverso è il punto di vista, o meglio diversi sono i punti di osservazione) solo quella fuori, la realtà fuori di noi, quella degli altri. La realtà frutto di ciò che gli altri ci hanno detto essere, il modo con cui interpretiamo ciò che accade…e che crediamo sia.

Maestro, voglio imparare a tirare un pugno.

Bene, posso insegnarti la tecnica, l’esecuzione, lo schema

E’ quanto mi serve, maestro!

Potrà servirti, forse, a contrapporti all’avversario, e nella contrapposizione potrai vincere o perdere. Ma così non potrai mai essere vincente. Un pugno non sarà un pugno fino a quando non conterrà ciò che deve essere espresso attraverso il pugno!

E cosa, maestro?

Ciò che è già dentro di te, ma proprio per la domanda che hai posto… non riconosci.

E come posso conoscere?

Ritornando a te stesso…

White : Una storiella come tante altre, ma che si ripete ogni volta che incontrano una palestra di… arti marziali.

Black: Ma…una volta che sappiamo dove cercarlo… siamo sicuri di saperlo vedere, riconoscere e quindi trovarlo?

White : altrimenti non saremmo qui… Egli non sa perché ma, se resta lì, è probabile che possa aver trovato quello che crede sia ciò di cui ha bisogno. Infatti, l’allievo vive fuori dal sé, vive contrapponendosi agli altri. Per poter affermare la propria esistenza, ha bisogno di paragonarsi. Dal risultato di questo confronto egli è, o meglio, crede di essere in grado di capire “chi è” e “come è”: il cui risultato è forse quello che chiamiamo autostima.

Black:  Beh, si… credo che abbiamo continuamente bisogno di paragonarci agli altri… se valutiamo il nostro valore in relazione a quello che reputiamo negli altri…

White : Quindi, come pensiamo, allora, debba essere la stima di noi stessi? Quanto più alta possibile, vero? E come facciamo affinché ciò possa avvenire? Confrontandoci, contrapponendoci, scontrandoci con l’altro. Da questa contrapposizione dobbiamo però risultare sempre vincitori. In caso contrario, ne risulterebbe sminuita la stima di noi stessi… con senso di frustrazione per non essere riusciti a vincere…

Black: Forse, a volte ci paragoniamo e confrontiamo con quelli che intimamente sappiamo esserci inferiori… forse proprio per migliorare l’immagine che abbiamo di noi stessi.

White : dal momento che vogliamo la migliore immagine di noi, come potremo fare diversamente? Proprio perché l’allievo vive fuori dal sé, dopo ogni sua vittoria deve cercarne un’altra, affinché venga rinnovata la propria autostima, perpetuando così il ciclo… della continua ricerca dello scontro.

Black: Forse perché ci hanno sempre detto che non bisogna mai accontentarci e cercare sempre di migliorarci… che al miglioramento non c’è limite ecc.

White : Oppure forse per l’esistenza stessa del nostro Io… L’Io esiste in virtù di quello che hai detto sopra a proposito del misurare la nostra valenza in relazione a quella che attribuiamo agli altri. Ma così facendo, l’Io finisce per dipendere dagli altri, in quanto gli altri gli danno ciò che egli crede di dover essere, attraverso la vittoria. Ecco che il rinnovarsi continuamente della contrapposizione per mettere alla prova il proprio valore, lo porta a dover trovare ogni occasione per paragonarsi, contrapponendosi all’altro per risultarne vincitore, in una perpetua ricerca di occasioni per… scontrarsi! Ciò per dimostrare agli altri il proprio valore, da cui possa poi derivare la stima per se stesso.

Black: Forse perchè ci hanno sempre detto che per affermare il proprio valore dobbiamo combattere?

White : Altrimenti che valore sarebbe se gli altri non lo sapessero? Dal momento che vogliamo farlo sapere agli altri.. dobbiamo mostrarlo… e quale miglior modo se non quello di combattere? Ma dove imparare a combattere?Magari proprio in una scuola di arti marziali….Ma quando lo studente arriva nella scuola, il maestro lo pone subito di fronte a quello che è l’atteggiamento mentale con cui egli si appresta a studiare quello di cui crede aver bisogno. Lo studio delle arti marziali forse, contrariamente a quanto si possa pensare, non è andare avanti, ma fermarsi, per poi… tornare indietro.

Black: Ma… io pensavo consistesse nel fermarsi un attimo (magari per realizzare il punto di partenza) ma per poi poter proseguire più spediti!

White: Può sembrare assurdo, ma è assurdo tutto quello che i nostri schemi mentali ci impediscono di vedere che possa anche essere…. L’allievo rimane sbigottito, attonito di fronte alle parole del maestro… che sembrano fermare il suo cammino nell’apprendimento del kung fu. 

Black: Io infatti resto un po’ attonito… forse anche smarrito!

White : Questo fermarsi crea un senso di smarrimento nell’allievo. Ma non è proprio così. Forse… questo fermarsi lo rende cosciente, presente al suo smarrimento. Già, forse lo siamo anche noi, ma non ne abbiamo mai preso coscienza. Quel senso di smarrimento forse, non è altro che la conferma di quanto non siamo… coscienti. Dal momento che percepiamo questo senso di smarrimento, dovremmo domandarci “cosa” abbiamo smarrito….

Black: Già, è vero… quando siamo un po’ confusi diciamo che ci sentiamo smarriti… senza pensare a “cosa” abbiamo smarrito… quindi, forse, dovremmo prima chiederci proprio questo!

White : Cosa intendiamo per smarrimento? Smarrimento vuol dire perdere l’orientamento, perdere la direzione, perdere la Via

Black: Già… forse abbiamo smarrito quella sicurezza che ci dava il credere di sapere… di dover fare certe cose, piuttosto che altre. La routine del conosciuto!

White : Ma chi è che ha perso la Via ? E’ forse colui che sente di essersi smarrito, che stava andando in quella direzione, seguendo ciò che crede debba essere la via e adesso… non vede più quella strada? Oppure, forse,è  colui che sente di non essere mai appartenuto a ciò che fino a qual momento credeva fosse la Vita ? La persona o l’Essere?

Black: Beh… se intendiamo l’Arte Marziale come Arte di vita… la comunanza e la similitudine tra la persona e l’essere potrebbero essere anche possibili.

White : Certo, ma credo che l’allievo non possa ancora conoscere l’arte marziale come arte di Vita, e comunque sia, ad un certo punto sentiamo di doverci fermare. Ciò che stiamo vivendo sembra non appartenerci più, almeno come lo è sempre stato fino a quel momento… Quei riferimenti che prima erano “la via”, adesso sembrano venir meno…

Black: Appunto! Ci sentiamo smarriti, sentiamo di aver perso quella sicurezza di azioni che forse, avevamo preventivato di dover fare.

White : E quando non siamo sicuricosa accade quando ci fermiamo su di una strada? Non cominciamo, forse, a guardarci intorno, a guardare il paesaggio, ciò che ci circonda? Quello che prima ci era sempre sfuggito, proiettati come eravamo verso il traguardo da raggiungere, adesso appare ai nostri occhi come qualcosa di strano, di nuovo… anche se non lo è, in realtà, perché è sempre stato lì… è sempre esistito.

Black: Allora, era la concentrazione nel particolare dell’ obbiettivo, che ci  distoglieva dal tutto?

White : Quello che, forse, chiamiamo… ideale. Ma, a questo punto forse vediamo ciò che abbiamo intorno e ci sembra di non riconoscerlo, tanto che ci domandiamo… Dove siamo? Cosa vuol dire... dove siamo? Siamo qui e dove dovremmo essere? Siamo certi di essere qui, o forse stiamo pensando a cosa ne potremmo fare del fatto di essere qui? Altrimenti non saremmo qui! E questo non vuol forse dire che, pur essendo qui, stiamo invece pensando a qualcosa che crediamo dovrà accadere, e cioè al futuro, al dopo,  al più avanti?
Ma allora,  se stiamo pensando al dopo, a ciò che riteniamo possa  essere positivo, come possiamo essere qui e adesso?

Black: Credo sia perché ci hanno sempre detto che dobbiamo pensare alle conseguenze delle nostre azioni.. dunque al futuro… guardare avanti, il che ha sempre assunto  una connotazione positiva. Credo sia per questo che diamo istintivamente a qualsiasi atteggiamento contrario a questo… una connotazione logicamente negativa. Forse lo siamo fisicamente, ma mentalmente siamo, o cerchiamo, di essere più avanti.

White : Già, forse, non siamo qui totalmente, ma crediamo soltanto di esserlo, mentre in realtà siamo già proiettati in quello che saranno le conseguenze dell’essere qui. E come potremmo essere qui adesso, se ciò che stiamo facendo adesso è solo finalizzato ad un divenire?

Black: Eppure ci hanno sempre insegnato che tutte le nostre azioni dovrebbero essere finalizzate ad un loro divenire… e che ciò, è una cosa estremamente positiva.

White : Quindi,  sembrerebbe che ciò che stiamo facendo sia solo in funzione di ciò che crediamo debba diventare e non della reale situazione del momento. Ciò che ha importanza non è la situazione attuale, ma quella che crediamo dovrebbe diventare.

Black: Forse… non siamo qua per questo?

White : … vuoi dire per divenire… ciò che siamo? Allora non è un divenire, perché quello che noi intendiamo è già. Quello che è invece il voler diventare, il divenire, il voler arrivare a qualcosa, per essere qualcosa di diverso da ciò che siamo… porta in sé inevitabilmente il conflitto. Conflitto tra ciò che siamo adesso e ciò che crediamo di dover essere… il divenire! Quindi l’arrivare, l’obiettivo, non è altro che il divenire, cioè diventare qualcosa di diverso da ciò che siamo adesso. Ciò che siamo non è ciò che vogliamo, per cui arriviamo a rinnegare noi stessi per poter diventare qualcosa che crediamo sia migliore.

Black: Non credo, infatti,che vorremmo mai cambiarci in qualcosa di peggiore...

White :ecco perché, pur seguendo questo schema,  non ci accorgiamo che mai vorremmo essere ciò che giudichiamo negativamente… pur sapendo di esserlo!

Black: Più che sapendo di esserlo… io direi: temendo, forse, di esserlo veramente.

White : forse perché non coscienti di esserlo… Pertanto, arrivare a porsi la domanda “dove siamo?”, ci obbliga a vedere “cosa” siamo. A questo cerchiamo di resistere, sforzandoci di non vedere perché, forse, potremmo vedere qualcosa che non vorremmo, qualcosa di spiacevole, altrimenti perché dover resistere? Perché dovrebbe venir fuori da noi questa domanda? Dove siamo è ciò che siamo, ma non siamo in grado di riconoscerlo… forse perché non lo vogliamo conoscere.

Black: Si dice che il nostro inconscio, infatti, tenda a non farci vedere, a minimizzare e dimenticare le cose che ci provocano sensazioni negative.

White :forse l’inconscio protegge… solo ciò che crediamo di dover essere… Nonostante questo, però, sembra che conosciamo benissimo dove crediamo di dover arrivare, forse anche il mezzo con cui vogliamo arrivare.

Black: Io credo con qualsiasi mezzo… pur di arrivare!

White : certo, anche questo… per questo siamo qui per trovare ciò che cerchiamo, ma, ciò nonostante, non conosciamo da cosa vogliamo fuggire.

Black: Fuggire? Ma fuggire da che cosa? Da noi stessi, forse?

White : Se così non fosse, se non volessimo fuggirlo… perché dovremmo “divenire”? Potremmo pensare che sia per migliorarci…

Black: Già… appunto!

White : Tuttavia, “migliore” è un termine relativo, quindi necessita di una comparazione per poter esistere. Forse, soprattutto del “come” giudichiamo. Sulla base di cosa giudichiamo? Il giudizio non è forse il frutto dei nostri condizionamenti? Cioè di tutti quei punti di riferimento che ci fanno vivere conformemente alla società in cui “siamo”… per diventare persone rispettabili?

Black: Non mi sembrano certo  azioni o aspirazioni condannabili…

White : Proprio per questo le possiamo vedere per quello che sono… Come sappiamo che ciò che vogliamo divenire sia migliore di ciò che siamo adesso?... se non perché qualcuno, forse, ci ha detto che quel traguardo ci porterà ad avere ciò che cerchiamo?

Black: Qualcuno? Magari noi stessi!

White : Dipende da cosa intendiamo per noi stessi: ciò che siamo o ciò che crediamo di essere…  comunque sia… certo, siamo noi che per poterlo fare dobbiamo crederci. Allora quello che cerchiamo è arrivare ad avere… possedere quelle qualità che riteniamo siano migliori, per essere forse, migliori degli altri…

Black: Certo… soprattutto di noi stessi,  però!

White : perché forse temiamo di non esserloGià… Forse quello che cerchiamo è essere migliori degli altri, al sopra degli altri, perché questo può darci la sensazione di potere sugli altri, per nutrire, per confermare continuamente la nostra autostima. Ma proprio il voler essere superiori…pone in evidenza quanto intimamente siamo convinti di essere inferiori, altrimenti non avrebbe senso voler essere superiore agli altri.

Black: Quindi dici che se vogliamo migliorare… è solo perché  sappiamo di essere peggiori di quello che reputiamo dovremmo essere?

White : già, forse è questo che pensiamo di noi stessi…. Ed ecco che l’arte marziale ci appare come uno dei mezzi più appropriati per raggiungere questo miglioramento.

Black: Non è forse vero che l’arte marziale ha anche come risultato quello di migliorare l’uomo? Tutti lo dicono… tutti i più grandi maestri, tutti i loro praticanti, tutte le riviste ed i libri lo dichiarano…

White : ed è appunto il risultato che vogliamo, non il percorsoQuesto accade normalmente nelle palestre di arti marziali, ma non qui…. Tuttavia, dal momento che vi siete trattenuti a leggere queste riflessioni, forse, è perché vi siete fermati, come dicevo prima…

Black: Certo che per venirti dietro… bisogna giocoforza imparare a fermarsi… cioè a vuotare la mente dagli altri concetti per provare a metterne di nuovi, come questi, e vedere come ci stanno…

White : questo che dici mi fa venire in mente un’altra nostra interessantissima discussione su di una tazza di tè come certamente ricorderai.  In che modo possiamo allora comprendere se siamo pieni di ciò che crediamo debba essere? Possiamo comprendere il nuovo con ciò che è il nostro passato, l’accumulo delle nostre esperienze? Certo, forse, solo per curiosità, ma anche la curiosità fa parte di quella natura dell’Essere che vuole conoscere, essere… se stesso.
Adesso che ci siamo fermati… vuol forse dire che non andiamo più avanti? Dipende da cosa intendiamo per cammino... già, perché,  se non ve ne siete accorti… stiamo camminando.

Black: In che senso?

White : prova a trovare la quiete nel movimento e il movimento nella quiete… Svuotando la mente dai pensieri… siamo predisposti a vedere ciò che i nostri pensieri nascondevano…. Quindi, fermarsi per andare dove?... vi chiederete, vero? Ha forse importanza? Se il cammino è quello giusto, secondo quello che è la nostra intima natura, certamente arriveremo dove tutti i cammini portano, sarà la semplice conseguenza.

Black: Cioè ci siamo incamminati verso la conseguenza del nostro ragionamento ma… dove ci porterà?

White : Già, è proprio questa la nostra preoccupazione: come sapere se il cammino è quello giusto? Nessuno può dircelo all’infuori di noi stessi. Come possiamo se non conosciamo noi stessi? Ecco perché è necessario conoscere se stessi, non credete anche voi sia così?

Black: Credo di iniziare a capire…il fermarsi equivale ad una “pausa di riflessione”?

White : forse… una pausa che diventa… senza tempo, quindi senza pensiero. Per poter cominciare è necessario sapere da dove cominciare, vero? Se non sappiamo da dove si parte come possiamo arrivare? Rischiamo di andare solo dove altri ci dicono di andare…

Black: Questi ragionamenti, presi uno ad uno, non fanno una piega… ma è tutto il contesto che credo si ribelli…o non lo faccia apparire congruo.

White : un altro po’ di tè? Ecco che la tecnica, quello che credete sia l’arte marziale, può diventare un mezzo per conoscere se stessi. Il dove siamo per poter, eventualmente, migliorare. Certo, possiamo ripetere quella tecnica infinite volte, tanto che la nostra reazione sarà praticamente istantanea, ma se è priva di consapevolezza rimarrà solo una tecnica da fare e soltanto in risposta ad un determinato evento e non un movimento che contiene ciò che deve essere: un pugno deve essere un pugno e nient’altro.

Black: Ricordo che abbiamo già discusso l’argomento in una precedente lezione.

White : esatto… E così quel pugno visto non come il potere che ci dà la sensazione di essere migliori dell’avversario… Perché, come ho detto sopra, proprio per il fatto di voler essere migliori… siamo convinti di non esserlo, ma la possibilità di tirare un pugno e vincere ci fa solo credere di esserlo.

Black: Ma se riusciamo a farlo… non dimostriamo di esserlo?

White : forse proprio il fatto di cercarlo, serve a nasconderci il fatto di non esserloCome possiamo dare un pugno pensando di essere buoni, di essere miti, di essere timidi, educati e tutte quelle qualità che pensiamo facciano di noi… una persona rispettabile?

Black: Beh… ma mica lo facciamo per puro divertimento… forse solo in situazioni estreme.

White : Infatti, è  nella natura dell’uomo avere tutta una serie di emozioni che, in particolari situazioni, lo mettono nella condizione di far fronte a diversi eventi. Ma questo a volte contrasta con quello che crediamo di essere, producendo un conflitto tra ciò che sentiamo di essere e ciò che crediamo di dover essere. E nel conflitto non può esserci pace: la vittoria dell’uno produce la sconfitta dell’altro… ma chi è che sente di essere… e chi è che crede di dover essere?

Black: Mmmh,  credo adesso tu ti riferisca alle due entità di cui già altre volte abbiamo discusso… la Persona e l’Essere

White : …responsabili del conflittoA questo punto non credete che chiunque vinca dei due, Essere o Persona, si tratti sempre della sconfitta di noi stessi? Come può esserci, allora, pace in noi stessi? La pace in noi stessi non presuppone che non si combatta… ma come possiamo combattere se dentro di noi siamo separati?

Black: Forse assumendo ora l’una … ora l’altra entità?

White : allora cesserebbe ogni conflitto… Ma se non c’è totalità dell’Essere… come possiamo combattere? Nella disgregazione c’è solo la voglia di sopraffare l’altro, e la sopraffazione è solo sete di potere.
Nella totalità, non c’è contrapposizione, ma unione e nell’unione non esiste un vincitore o un perdente, ma solo il vincente;  proprio per il fatto di essere integri in noi stessi, non potremo mai perdere, perché… non abbiamo niente da perdere.

Black: Quindi dici che se noi abbiamo veramente stima di noi stessi… è impossibile perderla?

White : Si, perché, forse, non dipendiamo da quella degli altri, ma la stima che abbiamo di noi stessi è ciò che noi siamo. Ancora una volta: ” se non competi con nessuno, nessuno competerà con te”.
Quei valori, che prima erano i nostri punti di riferimento e per i quali competevamo, per poter essere persone rispettabili, adesso non ci appartengono, perché non sono più nostri,  quindi non ha più senso combattere per affermare quei valori, pur continuando ad affrontare le continue sfide che la Vita ci offre, contando solo su noi stessi… che a questo punto abbiamo riconosciuto… essere ciò che Siamo.

lack: Cioè, forse non avremmo più bisogno di competere per la conquista di una cosa che sappiamo comunque di essere?

White : Vedo che il tè… ti è piaciuto. Quello che abbiamo appreso fino ad ora, lo studio delle tecniche, è quello che abbiamo scritto sopra, così come quello che abbiamo scritto è contenuto nelle tecniche che stiamo studiando. Dal momento che ciò è stato compreso… possiamo iniziare lo studio delle arti marziali… il ritorno a noi stessi.

Black: Si dice, infatti, che lo studio delle arti marziali sia anche e soprattutto lo studio di noi stessi…

White : non potrebbe essere altrimenti, visto che è su di noi che studiamoPossiamo sapere dove andare solo sapendo dove siamo. E nell’attimo in cui si è consapevoli di dove siamo… forse non sarà più necessario andare, perché potremo scoprire che… magari siamo già ciò che stiamo cercando.

Black: Già… se siamo sicuri di essere già ciò che cerchiamo di dimostrare di essere… perché volerlo dimostrare? Forse allora non ne siamo così sicuri come cerchiamo di convincerci… ma se ne siamo veramente convinti… non c’è bisogno di dimostrarlo. Se gli altri non lo sanno o non ci credono… potremmo solo dispiacerci per loro…

White : Ritorno a se stessi, dunque,… abbandonando ciò che crediamo di essere diventati, spogliandoci dei condizionamenti che inevitabilmente ogni cultura ci impone, lasciando che ciò che è sempre stato dentro di noi possa emergere… spontaneamente.

Black: In questo modo allora… niente di altro o di diverso da ciò che siamo veramente.. e che siamo sempre stati… potrà emergere!

White : Così il guerriero si lascia alle spalle ciò che è ordinario, per entrare in quello che… no, non è straordinario, ma semplicemente è… “naturale”, dove non avrà altro riferimento che se stesso, per vivere le sfide nel mondo.. ordinario.

Black: Ma.. il contrario di ordinario… è straordinario… “naturale”, non sembra significhi esattamente la stessa cosa… una cosa naturale sembra essere una cosa di poco conto… intuisco che c’è un fondo di verità, ma devo pensare bene al significato intrinseco o naturale che si potrebbe celare dietro queste parole…

White : Beh, se pensate cosa tutto questo possa voler dire, forse non è ancora il momento, anche se… forse un giorno capirete… ma quando lo si capisce, prima lo si è… Intuito!

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