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IL PENSIERO E L'AZIONEdal cervello al vertical in un microsecondobreve “lezione” di anatomia sul funzionamento dei muscoli.Cercherò in questa breve discussione su di un argomento piuttosto complesso, di non annoiare i miei compagni di palestra con lunghe e noiose spiegazioni; butterò quindi il camice e gli stivali alle ortiche e a piedi scalzi, indossando un kimono scolorito rispettosamente batto le mani e mi avvio a dire la mia sull’argomento del movimento degli arti e di come questo si componga di “azione” e di “reazione” allo stesso tempo. Devo accennarvi intanto che un muscolo è un organo composto a sua volta da tante piccole unità chiamate fibre. Immaginiamo un mazzetto di spaghetti, unito in cima e in fondo. Immaginate adesso di collegare il vostro mazzetto di spaghetti alla corrente elettrica: nella realtà non succede niente (oltre il puzzo di bruciato!), ma nella fantasia del nostro esempio l’intero mazzo si accorcia perdipiù con notevole forza. Ecco, i muscoli funzionano esattamente così: dal cervello parte uno stimolo (immaginiamolo come corrente elettrica), viaggia lungo il midollo spinale e i nervi (il filo elettrico dell’esempio) e arriva al muscolo il quale risponde contraendo ogni fibra che lo compone; risultato è una forte contrazione di tutto il muscolo (il mazzetto di spaghetti) A questo punto vi devo presentare un muscolo reale e che sicuramente conoscerete bene: il muscolo bicipite brachiale. Il suo nome significa “doppia testa” ed effettivamente si attacca in due punti diversi della scapola (all’interno della spalla) ma termina sulla parte iniziale del Radio (una delle due ossa dell’avambraccio). Se immaginiamo questo muscolo contrarsi vedremo che l’effetto di tale azione non può che essere la flessione della articolazione del gomito (in pratica la mano si avvicina alla spalla). Semplice no? Quindi possiamo far muovere l’avambraccio a nostro piacimento semplicemente ordinando al muscolo di contrarsi; lo stimolo partirà dal cervello, raggiungerà le fibre ed in un attimo avremo l’azione richiesta. Braccio visto di fronte, in evidenza il muscolo bicipite Fino qui tutto chiaro. Abbiamo spiegato il lato bruto della faccenda, la questione di forza, la natura animale pura, il lato maschile del movimento, la metà “Yang” della realtà. Questo movimento descritto riguarda infatti solo il caso in cui vogliate proiettare la mano ad alta velocità verso la faccia (cosa che peraltro non capita di frequente) con la massima forza. Ma la natura non è né bianca né nera, un movimento è fatto anche di controllo, di percezione, di forza ma anche di misura, di spinta ma anche di trazione. Per questo motivo ogni muscolo del nostro corpo che gestisce un movimento ha un corrispondente muscolo che si occupa di attuare il movimento opposto. Non per frenare, ma per guidare, misurare e controllare il movimento in atto. I due muscoli che collaborano alla gestione di una determinata azione vengono chiamati Agonista (quello che fornisce la forza) e Antagonista (quello che controlla l’entità del movimento e ne regola l’attuazione). Nel caso del nostro esempio (flessione del gomito) Agonista è il bicipite, Antagonista invece diventa il Tricipite brachiale (vedi). Come si può vedere, il tricipite si trova esattamente dietro all’omero, in posizione quasi opposta al bicipite; le azioni di questi due muscoli, rispetto alla flessione del gomito, quindi sono più o meno opposte. Se immaginate di alzare da terra una borsa pesante e di metterla sopra un tavolo, userete la mano destra e utilizzerete il muscolo bicipite per sollevare il peso. Ma se i manici della borsa si rompono, è il tricipite che vi impedisce di darvi un pugno in faccia. Diversamente se dovete esercitarvi sferrando un vertical alla faccia del compagno, il bicipite impedirà, regolando la distanza a cui la mano si ferma, che l’allenamento finisca in tragedia con caduta di denti sul pavimento. Ciò è possibile anche perché in ogni muscolo sono presenti delle terminazioni nervose (chiamiamole “spie”) che informano il cervello sulla tensione delle fibre di quel muscolo e di conseguenza sulla posizione dell’arto. Grazie alla coordinazione tra trasmissione degli stimoli nervosi, informazione sulla posizione dell’arto e intervento dell’antagonista per controllare il movimento, riusciamo ad arrivare a casa con la faccia integra. Quindi, tutte le volte che eseguo un movimento qualsiasi (ricordate che i movimenti reali sono molto più complessi di quelli descritti e coinvolgono spesso molti muscoli contemporaneamente) il mio cervello attiva un gruppo di muscoli agonisti che attueranno l’azione. Le “spie” informeranno il cervello su cosa sta accadendo e lui agirà di conseguenza attivando un gruppo di muscoli antagonisti per ottenere l’effetto voluto. Se si vuole essere davvero pignoli si deve ricordare che di questa faccenda del controllo si occupa principalmente il cervelletto. Nei felini infatti (chi non è invidioso delle movenze sinuose dei gatti e chi non si è mai stupito delle incredibili capacità dei gatti di saltare su un rametto minuscolo senza cadere?) il cervelletto è molto più sviluppato (in proporzione) del nostro. Braccio visto da dietro, in evidenza il muscolo tricipite Siamo senza speranza quindi? Costretti a muoverci scimmiescamente per sempre? Non direi. La natura ha creato il meccanismo agonista-antagonista sfiorando la perfezione. Ha mescolato in maniera inseparabile (toccate il vostro braccio mentre fate qualcosa e sentirete tutti i muscoli contrarsi) la forza bruta con il controllo, il morbido con il duro, Yin e Yang, cosicche anche nel colpo più duro ci sono muscoli rilassati e nel movimento più morbido alcuni muscoli devono diventare tesissimi, ma ci ha dato la capacità di intervenire dall’alto. Il nostro cervello pensante ha un controllo elevato su tutto ciò ma soprattutto può ALLENARE le capacità di controllo decidendo volontariamente di eseguire determinati movimenti scuola per “stasare” i fili del contollo sui movimenti e diminuire i tempi di reazione, i tempi in cui il ciclo di controllo si compie e poter controllare i nostri movimenti alla perfezione, come fanno le Pantere, che camminano tra le foglie senza sfiorarne neppure una. Alberto Franceschi |