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Bambini E Movimento

Di: Adriano Dell’Eva
(Tratto da: http://www.sportellodellosport.com)

L’importante è che il bambino si muova sempre e comunque, oppure è opportuno seguire dei criteri educativi di base?

Nessuno si sognerebbe mai di allevare un bambino di pochi mesi con gli stessi cibi dell’adulto, limitandosi a ridurne la quantità. La medesima cura non c’è però nei confronti di altri tipi di nutrimento: ad esempio quello motorio.”(Giorgio Visentin -Docente Nazionale della Scuola dello Sport)

La crescita armonica dei bambini e il loro stato di salute globale non dipende tanto dal tipo di attività fisico-motorie, dalla tecnica esecutiva dei gesti e dallo sport praticati, bensì da “coloro” che insegnano la motricità e “dal modo” con cui vengono presentate le azioni ludico-motorie. *

L’arco di tempo compreso tra i cinque/sei e i quattordici anni è un periodo caratterizzato da “spinte di sviluppo” e “tassi di crescita” particolarmente elevati, che vanno sotto il nome di “fasi sensitive”. 

Dai sei agli undici * è opportuno che al bambino vengano proposte attività per mezzo delle quali egli possa esercitare, in modo adeguato, tutte le sue capacità coordinative e psicomotorie, con lo scopo di favorirne un ottimale sviluppo.

Considerando l’elevato livello di recettività del sistema nervoso in questo periodo evolutivo, i giochi, le esercitazioni, i vari gesti devono essere organizzati e proposti in modo tale da favorire lo sviluppo di tutti i prerequisiti funzionali, che andranno a costituire il bagaglio tecnico sportivo nelle fasi successive. E’ indicato proporre situazioni in cui i piccoli possano divertirsi, esprimendosi liberamente senza grossi vincoli.

Il protagonismo e la presunzione di certi allenatori portano a gestire e proporre attività improntate esclusivamente sul risultato sportivo e considerano secondaria la formazione psicomotoria dei bambini. Se si vuole rendere un bambino insicuro, basta chiedergli sempre qualcosa che non è in grado di dare o fare. Diventa imperdonabile, sfruttare l’autentico bisogno del gioco motorio e obbligare i piccoli a muoversi, prima del tempo, entro gesti preconfezionati.

Di certo non in questo modo li si aiuta a crescere e a maturare la loro creatività ed inventiva. Le attività, che si propongono ai bambini, devono costituire una condizione per mezzo della quale, possano trovarsi di fronte all’occasione di poter pensare da soli, di cercare iniziative personali ed originali, sempre però sotto l’occhio vigile e attento dell’educatore sportivo, capace di orientare, incoraggiare, motivare, sempre mosso da una grande passione per quello che fa e per chi lo fa.

La specializzazione precoce costituisce un imperdonabile errore che lascia conseguenze negative nella formazione psico-fisico-sportiva dei giovani, che la subiscono. Il motivo di tale errore risiede nella convinzione che i gesti tecnici, propri di una disciplina sportiva, trovino il loro unico sviluppo nella ripetizione puntigliosa e scrupolosa di azioni, che devono obbligatoriamente e fedelmente ricalcare il modello esecutivo adottato dall’atleta d’alto livello e di successo. Gli allenatori che operano in questi termini con i ragazzi o bambini, dimenticano intenzionalmente o inconsapevolmente che lo sviluppo fisico e soprattutto mentale dei piccoli, avviene grazie all’acquisizione di abilità e capacità che non sono immediatamente e apparentemente utili ad una determinata specialità sportiva, pur costituendone la base. I gesti tecnici e tattici di una specialità sportiva devono basarsi quindi su una cospicua varietà di abilità e capacità, apparentemente poco significanti, ma secondo la logica di quella specialità; altrimenti essi rischiano di essere, come già si è avuto modo di affermare, le torri di un castello di sabbia che alla prima mareggiata, vengono frantumate. L’intento di coloro che impostano un tipo di allenamento, seguendo i criteri sopra descritti è quello di costruire in poco tempo un “campioncino”, che possa conferire prestigio a chi lo ha addestrato. Grave è che le conseguenze negative di questo modo di operare, ricade su un numero molto vasto di giovani allievi, ai quali purtroppo non rimane altra soluzione che l’abbandono della pratica sportiva.

La specializzazione precoce, l’abbandono sportivo sono le conseguenze di una metodologia d’insegnamento sbagliata, che non tiene in considerazione nemmeno dei più elementari presupposti educativi. Coloro che operano in questo modo sono insegnanti non qualificati, per nulla aggiornati, o non preparati in modo adeguato a seguire la formazione di allievi in fase di accrescimento. Nell’operare con dei bambini in attività ludico-sportive è opportuno tenere in considerazione tre principi fondamentali dell’educazione motoria:

  • dai cinque – sei anni in poi occorre che l’educatore realizzi le condizioni per ampliare il più possibile il repertorio degli schemi motori;
  • il livello standard di maturità degli schemi motori possono essere conseguiti in maniera ottimale solo se nelle altre aree della personalità si realizzano adeguati e complementari sviluppi dello stesso stadio;
  • è indispensabile dare il giusto tempo al bambino, perché possa consolidare schemi o abilità motore proprie di un determinato stadio, prima di procedere con altre attività, che sono specifiche di uno stadio successivo, per le quali il bambino non è ancora pronto.

Tali criteri comprendono quindi l’impiego di una vasta quantità di esercitazioni diversificate e divertenti, che devono sollecitare il più elevato numero possibile di qualità fisiche, nel rispetto dell’età biologica del bambino verso cui è indirizzata l’attività motoria. Esiste un rapporto direttamente proporzionato tra quantità, qualità, varietà, diversificazione delle attività motorie e la loro possibile trasferibilità, nel senso che, più allargata e ampia è l’esperienza relativa al movimento, maggiore sarà la possibilità di imparare efficacemente nuovi gesti.

E’ opportuno tenere in considerazione pure questi altri criteri operativi nella didattica delle attività motorie:

  • principio della polivalenza: le attività motorie devono avere carattere orientato allo sviluppo di capacità ed abilità la cui trasferibilità, valenza e validità sia molteplice;
  • principio della multilateralità: fa riferimento agli aspetti didattici, cioè ai contenuti, ai mezzi e alla loro organizzazione (giochi, percorsi, circuiti, prove multiple);
  • principio della polisportività: fa riferimento alla pratica di molteplici e svariate discipline sportive o di azioni di gioco tratte dalle stesse.

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