Vi
proponiamo un altro interessantissimo articolo dalla
nostra collaboratrice Cristina Radivo
sull'esperienza, forse singolare, del suo viaggio
nella terra del Siam, per come lei lo ha percepito, trasmettendoci attraverso il
racconto il suo entusiasmo alla scoperta della Thailandia
- Thai
massage al Po-Vei -
…un’esperienza personale
di: Cristina Radivo
Dopo
molte ore di volo intercontinentale, finalmente, il comandante dell’aereo, ci
comunica di essere in procinto di raggiungere la meta di destinazione del
viaggio, e inizia le procedure tecniche di atterraggio.
Una
voce impersonale, ci aggiorna sulla situazione locale, prima in inglese e
successivamente in una lingua poco familiare quasi a tutti: cielo sereno,
temperatura dell’aria al suolo -38°gradi, umidità dell’aria -80%, fuso
orario + 6 ore rispetto all’Italia, sono le 8.30 del mattino, ora locale.
L’aereo sta per atterrare, siamo quasi arrivati!
-
Agganciare le cinture di sicurezza -
Il
personale di bordo passa efficiente, nei corridoi, per controllare la corretta
posizione degli schienali nei sedili dei passeggeri. Qualche persona dorme
ancora, altri si agitano, colti dall’euforia dell’arrivo, certi spazzano le
ultime briciole rimaste dal pranzo-cena-colazione.
A
bordo degli aerei, durante trasvolate così lunghe, il ciclo sonno-veglia si
altera; i pasti si avvicendano con un ritmo differente che sembra compresso,
come lo spazio. Non si capisce bene a quale tipologia appartiene, il cibo che
servono.
Una
anziana signora, dignitosamente e con discrezione, sta pregando.
Alcuni
passeggeri, hanno un’espressione annoiata e non fanno una piega, come a dire,
con aria di superiorità: -Io ci sono abituato, per me è la routine-. Umanità
in scatola!
Il
carrello che sostiene le ruote si abbassa, i flap sulle ali modificano la loro
posizione per frenare e rallentare così la velocità dell’ aereo, le luci
interne si smorzano; gli steward e le hostess, dopo aver controllato che tutto
sia bloccato e messo in sicurezza, si sistemano ai loro posti prestabiliti.
La
pressurizzazione si modifica e si avverte la pressione nelle orecchie, che
cambia, stiamo scendendo di quota e dall’oblò, si inizia ad intravedere,
all’orizzonte, con il contorno un po’ vago e indistinto, prodotto dalla
calura e dallo smog, l’estensione della megalopoli che ci aspetta. Sfilano
sotto i nostri occhi, costeggiando i due lati della pista di atterraggio,
verdissimi campi da golf…
-
Campi da golf? -
Prati
curati, rasati all’inglese, umidi di rugiada mattutina, su cui distinti
signori, dai tratti inequivocabilmente asiatici, in perfetta tenuta da golf,
stanno, ovviamente, giocando a golf! Stiamo per atterrare… ancora qualche
sobbalzo dell’enorme velivolo, un lieve impatto sul terreno, abbiamo toccato
terra, siamo sulla pista dell’aeroporto internazionale di Dong Muang.
Si
sente salire, dal fondo dell’aereo, uno scontato, discutibile ma spontaneo
applauso, rivolto alla perizia dei piloti mentre il tono professionale del
comandante ci annuncia di essere atterrati, in perfetto orario, a Bangkok.
-
Grazie per aver volato con noi! -
- Prego,
non c’è di che -
Sono
davvero arrivata a Bangkok? L’aria condizionata nell’aeroplano è
spenta, adesso che il velivolo è fermo sulla pista, si inizia a percepire il
caldo dei tropici e i passeggeri, tutti insieme, contemporaneamente, radunano il
proprio bagaglio a mano, e si predispongono per scendere a terra, transitare
oltre le barriere doganali e superare le consuete prassi di sbarco. Le solite
pratiche burocratiche a cui ottemperare, prima di iniziare la propria agognata
vacanza, in questo mitico paese esotico di nome -Thailandia-
Mi
sgranchisco le gambe e mi stiracchio. In effetti, le molte ore passate in
posizione seduta, durante il volo intercontinentale, negli spazi non proprio
confortevoli della Business Class, la successione di pasti pre-confezionati,
l’aria viziata e deumidificata, la pressurizzazione dell’ambiente ristretto
dell’aereo, il Jet Lag di sei fusi orari in più, mi danno la sensazione di
essere un po’ “accartocciata”.
Sono
in prossimità del portellone dell’aereo, sto per scendere dalla scaletta e
improvvisamente sento una fitta lancinante alla schiena, che mi lascia piegata
in due e senza fiato: - il paventato “colpo della strega”.
Con
la schiena irrigidita e dolorante, e la prospettiva poco felice di una vacanza
rovinata, recupero con fatica, dal nastro trasportatore, il mio bagaglio,
oltrepasso la dogana, rinuncio al Bus-navetta, mi accomodo, con notevoli
difficoltà di movimento, in un tassì, per percorrere i 40 km. Che separano
l’aeroporto di Dong Muang, dalla città di Bangkok e raggiungere l’albergo.
Durante
il tragitto, affascinata da un mondo così diverso dal mio, la mente, lentamente
realizza un’associazione di idee: Bangkok - Thailandia - massaggio
thailandese! La soluzione dei miei problemi strutturali e non ultimo, le mie
vacanze salvaguardate!
Nella
hall dell’albergo, dopo la registrazione dei documenti, cerco di esporre, alla
responsabile della receptions, il mio problema di mal di schiena.
Io
non parlo il thailandese e lei non parla l’italiano, ma entrambe abbiamo una
qualche padronanza dell’inglese, così, superando le barriere linguistiche che
ci dividono, riusciamo a comunicare.
Prontamente,
tutto il personale dell’albergo, presente nella hall, è coinvolto e partecipe
nella ricerca di una risoluzione, all'istante, della mia condizione
fisico-psichica. Così, dopo una doccia veloce, una bibita rinfrescante, una
ghirlanda di benvenuto, composta da fragranti gelsomini, intorno al collo e
un’orchidea appuntata tra i capelli, mi ritrovo a viaggiare in un altro tassì,
con un foglietto in mano,
su
cui c’è scritto, ovviamente in lingua thai, quello che presumo sia,
l’indirizzo di una rinomata sala di massaggio tradizionale thailandese.
Il
tassista si libera, con una scioltezza di guida ammirevole, dai nodi un traffico
di veicoli, solo apparentemente caotico; si dirige verso Thon-buri,
sull’altra sponda del fiume Chao Phraya, nella zona della città
vecchia, situata di fronte a Bangkok, dove poco più di duecento anni fa, si
insediarono i thailandesi superstiti, sopravvissuti all’assedio e al rogo di Ayutthaya,
l’antica capitale del regno del Siam.
La
zona che stiamo percorrendo, su questa sponda del fiume, ha un aspetto più
dimesso, gli edifici sono meno lussuosi, le strade sono più strette;
dappertutto c’è gente indaffarata, bancarelle di cibo, ristorantini
ambulanti, carretti che trasportano una massa di mercanzie assortite, bambini,
donne che vendono le caratteristiche, profumate coroncine rituali, fatte di
fiori, cani randagi magrissimi e brutti come il peccato, e soprattutto, non ci
sono turisti.
Il
tassì si ferma davanti ad un edificio scialbo, la porta, piuttosto ordinaria,
è in vetri a specchio fumè e sull’insegna si legge:
-
“PO-VEI - massage” -
Entro
titubante in una penombra profumata di incenso e forse, di zenzero e altre
spezie; alla mia sinistra si trova un banchetto rialzato, dietro cui è assisa
una donna thai, che ha l’aspetto della maîtresse, è lei infatti la
direttrice, e mi accoglie sorridendo.
Non
mi sono accorta che il tassista mi ha seguito; è alle mie spalle e sta
spiegando, con profusione di particolari, alla signora, che annuisce attenta e
concentrata, il mio problema dei dolori alla schiena.
Alla
mia destra, quando i miei occhi si sono abituati alla luce fioca, realizzo
esserci una pedana a semicerchio, fatta a gradini, dove sono sedute diverse
ragazze thai con un cartellino su cui c’è scritto un numero, appuntato sul
petto.
Alcune
ragazze chiacchierano tra di loro, altre lavorano all’uncinetto, qualcuna sta
facendo la manicure, certe altre stanno guardando la televisione, che è
collocata su di una mensola fissata al soffitto. Osservando l’espressione
assorta e lo sguardo rapito delle ragazze, deduco che si tratta dell’ennesima
appassionante puntata, di una telenovela di produzione indiana, ad ambientazione
storica, con sottotitoli in giapponese.
O.K.,
sono a Bangkok in vacanza, ho mal di schiena, e voglio qualcuno che si prenda
cura di me!
Il
tassista dopo aver confabulato fitto con la signora, mi saluta con il magico
gesto a mani giunte del wai-khru e svanisce discretamente, con un sorriso
soddisfatto; rinfrancato dal fatto di avermi lasciato in buone mani e di essersi
guadagnato, probabilmente, oltre al prezzo della corsa, una percentuale, per
aver procurato un cliente.
Ad
un cenno del capo della maîtresse, appollaiata dietro il banchetto, si avvicina
una ragazza, mi sorride, mi prende per mano gentilmente e dopo avermi fatto
cenno di togliere le scarpe, mi accompagna ai piani superiori.
Le
scale sono in profumato legno di tek, i rumori della strada non si percepiscono
più, intravedo, nella debole illuminazione, diversi ambienti. In una sorta di
salotto, con poltrone e chaise longue, alcuni uomini stanno sorseggiando una
bibita, suppongo whiskey Mekong allungato con acqua di soda e ghiaccio; stanno
leggendo un quotidiano e commentano a bassa voce le notizie del giorno.
Un
altro ambiente dall’atmosfera un po’ retrò, ospita il salone del barbiere.
Saliamo ancora di un piano, il contatto dei miei piedi nudi sui gradini di tek,
mi rimanda una piacevole impressione di freschezza e solidità.
Il
brusio di voci sottofondo, si accentua leggermente, sembra un cinguettio
sommesso; accompagnato dal ritmico, lento fruscio delle pale dei ventilatori
appesi al soffitto, crea una atmosfera accogliente di calda intimità.
Si
è sparsa la voce nei piani, che è arrivato un farang, uno straniero, o più
esattamente: una donna bianca, con il mal di schiena!
Il
tam-tam mi precede, e quando arrivo al livello previsto, mi aspettano diverse
giovani donne. Una di loro mi offre degli asciugamani caldi e umidi per
ripulirmi dalla polvere della strada, un’altra mi porge, subito dopo un
vassoio, con pezzuole di spugna candida, imbibite di acqua fredda aromatizzata,
un’anima gentile mi fa accomodare su una poltrona e mi ritrovo in mano un
bicchiere di fresca spremuta di aranci. Mi fanno cenno di aspettare un momento e
tutto in attorno a me ferve un’attività discreta e riposante.
I
locali in cui mi trovo hanno una struttura molto particolare, malgrado la
stanchezza e l’indolenzimento, osservo i particolari. L’ambiente è
rettangolare e piuttosto lungo, nella zona centrale c’è una serie di stanze,
collegate tra loro. Tutti i vani sono contigui e formano una specie di isola
centrale, una piattaforma che si affaccia sul corridoio che gira tutto intorno.
Non ci sono porte ma pesanti tendaggi, che garantiscono una intimità discreta
ma non assoluta; qualche vano è occupato, si sente un parlottio ovattato, e la
tenda, non completamente chiusa, lascia filtrare una cornice di morbida luce
tutto attorno.
Vengo
presa in consegna da un’altra ragazza, che mi accompagna in una delle stanze;
noto che il pavimento è sopraelevato di una trentina di centimetri, all'istante
arriva una ragazzina piuttosto giovane, con un bacile di acqua calda, il sapone,
uno spazzolino di crine e altri asciugamani puliti.
Mi
fa sedere sul bordo del gradino, e incurante del mio crescente imbarazzo, a
gesti, sempre sorridendo, mi fa capire che devo mettere in ammollo le mie
accaldate estremità inferiori e si accinge con impegno a lavarmi i piedi.
Non
sono ancora pronta! Difatti poco dopo, un’aiutante mi porge con fare garbato,
una specie di pigiamino di cotone, fresco di bucato. Mi cambio e qualcuna delle
ragazze si occupa dei miei vestiti.
Entro
nella stanza, e giro attorno lo sguardo; ci sono quattro sottili materassini
sistemati a due a due, lungo le pareti più corte, per consentire un passaggio
libero nel mezzo. Sulle pareti laterali del locale, a circa un metro
d’altezza, è fissato un passamano di lucido ottone, più in alto, delle
applique, con una rilassante fonte di luce soffusa e sul soffitto
l’immancabile ventilatore a pale, che lentamente muove l’afosa aria dei
tropici. Finalmente mi distendo, e mi sento già meno anchilosata che
all’arrivo, forse il fatto di sentirmi accudita in modo inusuale, ha fatto sì
che si sciogliessero le tensioni accumulate durante il lungo viaggio.
Arriva
la massaggiatrice, una donnina minuta, avrà una quarantina di chili scarsi.
Dopo aver confabulato con lo stuolo di aiutanti, mi fa intendere che devo
dispormi in posizione prona, garbatamente, con molto tatto, mi tira un po’ giù
i pantaloni e applica, sulla mia sofferente zona lombare, un impacco caldissimo,
impregnato con umidi vapori di erbe officinali e aromatiche.
A
questo punto, sono in balia degli eventi, vengo letteralmente snocciolata,
compressa, allungata, manipolata con tecniche all’apparenza piuttosto rudi ma
sottilmente molto raffinate. Ho l’impressione che mi stiano facendo
l’inventario di tutte le ossa e i muscoli che compongono il mio corpo, anche
di alcuni componenti di cui non presumevo l’esistenza e di cui non avevo la
consapevolezza cosciente.
Il
contatto delle mani esperte sul mio corpo è rassicurante e molto profondo, le
dita della massaggiatrice trovano con abilità le tensioni che stanno cercando e
le dissolvono con precisione e destrezza. Il movimento simbiotico di leve,
ritmato, tra espansione e contrazione, in sincronia con il ciclo del respiro,
diventa quasi ipnotico; mentre la mente è distolta e raggirata, il corpo,
riconoscente, ne approfitta per rilassarsi ed eliminare rigidità accumulate
quotidianamente, da anni.
La
posizione prona non mi consente di guardare attorno, avverto sul corpo un
contatto di diversa qualità, una compressione sulla schiena, che si espande, su
una superficie più estesa di un palmo di mano. Cerco di intuire cosa mi stanno
praticando, ruoto il capo e allungo lo sguardo di lato, incrocio un sorriso e
una espressione divertita della mia massaggiatrice, che mi sta deambulando
addosso, sorreggendosi, per garantirsi un buon equilibrio, sul passamano di
ottone che corre lungo le pareti.
Ecco
a cosa serviva il corrimano!
Un
tocco delicato invita il mio corpo a cambiare posizione e mi ritrovo distesa a
pancia in su, la massaggiatrice ricomincia, con una successione di passaggi e
manipolazioni, simile alla precedente.
La
esile donnina, che ora so, essere molto potente, inizia nuovamente a
massaggiarmi i piedi, per risalire in una progressione di accorte manovre, verso
il bacino, il busto, le braccia e la testa, facendo sfoggio una gamma
inverosimile di compressioni, stimolazioni, ed estensioni articolari;
esimendosi, fortunatamente, dalla passeggiata sull’addome.
Ho
perso la cognizione del tempo trascorso, e in parte, dei miei confini corporei.
Sto galleggiando pigramente in uno stato alterato di coscienza, la mia mente si
scolla dal corpo e si sfilaccia in una irrealtà ovattata ma non estranea.
Sono
distesa sul fianco e qualcuno, dopo avermi afferrato saldamente, per un polso ed
una caviglia, sta tendendo il mio corpo verso dietro, facendo fulcro con un
piede sulla mia schiena che si inarca; la muscolatura si allunga e avverto una
piacevole distensione delle fasce muscolari dell’addome.
Con
un repentino e complesso movimento tecnico di leve del corpo, mi ritrovo seduta
di fronte alla mia benefattrice, che dopo ulteriori manovre di rifinitura,
conclude il trattamento di massaggio thailandese, il leggendario Nuad Boran, con
un’espressione di vivo compiacimento, l’ennesimo sorriso e con il segno di
omaggio del wai-khru.
Mentre
la mia coscienza riemerge, contraccambio istintivamente il suo gesto garbato e
con calma ritorno alla realtà; sento che l’avvolgente abbraccio energetico e
fisico, il cordone ombelicale, che ci aveva unito, in questa magica danza, si
sta lentamente dissolvendo.
Mi
alzo e mi rivesto; una sensazione di estrema leggerezza pervade tutte le mie
cellule e le fibre del mio corpo, che, colme di gratitudine, per il superbo
trattamento ricevuto, sono traboccanti di una effervescente energia.
Ridiscendo
le scale, ancora un po’ stordita dall’esperienza; esco e mi ritrovo sul
marciapiede. Sono investita dalla luce abbacinante del sole dei tropici e dagli
odori speziati e piccanti, che si propagano da una serie interminabile di
bancarelle di venditori itineranti, che propongono appetitose pietanze.
Sono
trascorse quasi tre ore, la stanchezza è scomparsa così come è svanito il mal
di schiena; avverto un piacevole languorino, mi siedo ad un ristorantino
ambulante e ordino a gesti, appetitosi manicaretti mai sperimentati.
Sono
a Bangkok e sto bene. Si diano inizio alle vacanze!
Cristina
Radivo
istruttrice di massaggio thailandese
Asokananda's Authorized Teacher
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