Sono tante le cose fatte assieme a Luca
Maynardi durante il nostro periodo di permanenza, ma ancora di più quelle
che abbiamo potuto fare da soli. Naturalmente, solo per mezzo della sua
competente assistenza e continua consulenza preventiva in merito. Ci organizza
lui stesso infatti, coinvolgendo un amico, alcune veloci escursioni nei posti
più caratteristici e rappresentativi del nord Thailand . Tra questi, una prima
escursione al famoso “triangolo d’oro”; territorio situato al confine nord
della Thailandia con
la Birmania
e Laos.
SULLE MONTAGNE DEL NORD THAILAND
Di: Roberto Fragale
Avevo sempre sentito parlare
della bellezza e del fascino di quei luoghi, che una volta arrivato a Chang Mai
e conosciuto il nostro “contatto” della zona, non ho potuto fare a
meno di mostrarmi interessato e chiedere se era possibile fare qualche
escursione nelle terre più recondite e meno battute dal turismo di massa. Mi
risponde che per lui è possibile farmi fare tutto quello che avrei voluto…
dall’escursione in mezzo alla foresta a dorso di elefante, alla divertente e
avventurosa discesa per le rapide di un fiume con canotto, alla
visita nei villaggi sperduti delle antiche tribù ancora oggi esistenti
sul territorio, alla navigazione sul fiume PING con caratteristiche
imbarcazioni, escursioni di due, tre o cinque giorni nella foresta ecc… ma se
avessi avuto altre esigenze particolari, dovevo dirlo subito, perché
avrebbe dovuto informarsi prima. Rispondo che mi basta molto meno… solo
andare sulle montagne e visitare qualche luogo caratteristico. Una escursione
giornaliera… dal mattino alla sera. Un colpo di telefono è sufficiente
per fargli dire alla conclusione della conversazione, che alle 07.00 del mattino
seguente ci verranno a prendere fin sotto casa sua, in cui ci aveva gentilmente
ospitati. Ci porteranno a visitare alcuni monasteri e luoghi caratteristici
sulle montagne, fino ad arrivare al confine con
la Birmania
e Laos. Stranamente puntuali, vengono a prenderci con bel fuoristrada ed inizia
così di buon ora, il nostro viaggio esplorativo. Dopo qualche km di agevole
strada statale infatti, il nastro d’asfalto diventa subito più stetto,
variamente sconnesso, tutto in salita e naturalmente tortuoso! Il paesaggio ora
cambia drasticamente e abbandonate anche le case rurali di San Sai, è solo il
verde della foresta, la tinta dominante nel panorama. Iniziamo a salire sulle
montagne… e le zone aperte che il percorso stradale di tanto in tanto ci
offre, inizia a darci una visione panoramica della città di Chiang Mai che ci
siamo lasciati alle spalle. Ogni tanto scorgiamo in mezzo al verde rigoglioso
delle vallate montane, alcuni agglomerati di capanne, che formano i piccoli
villaggi rurali degli abitanti di zona. Continuando ad inerpicarci per le
strette stradine, raggiungiamo e passiamo per il centro di Mae
Taeng. Lungo la strada iniziano a presentarcisi alcune baracchine
espositive che tentano forse di vendere oggetti in legno e varie produzioni
artigianali locali, agli eventuali avventori di passaggio e poco più avanti
troviamo addirittura un mercatino. Chiediamo di fermarci per fare un giro
curioso di osservazione. Nessuno parla inglese e dalla loro continua attenzione
a noi riservata, sembra che raramente abbiano occasione di vedere stranieri
aggirarsi nei paraggi. Compriamo qualche oggetto che possa ricordarci della
visita e continuiamo il nostro viaggio verso la prima meta che hanno stabilito
per noi, poco più in alto e sulla stessa montagna.
Questa è Chiang Dao e
più precisamente “le cave” di Chiang Dao. Mi chiedo che cosa abbiano di
interessante da mostrare le cave… ma appena arrivati, iniziamo forse a
comprendere. Ci dicono essere delle cave ormai in disuso, dove una volta
avveniva una fiorente attività estrattiva di pietre e metalli preziosi. Forse
per questo, ritenendo fosse un benevolo regalo divino, hanno pensato che il
luogo, potesse forse avere una certa valenza o qualche motivo di sacralità. La
nostra occasionale guida ci informa che queste sono grandissime e leggiamo poi
che la loro lunghezza è di oltre
700 metri
. Già il loro ingresso è spettacolare e ai suoi piedi, un vero e proprio “eden”
con tanto di laghetto, statue e luoghi di culto, accoglie, prepara e
invoglia il visitatore, all’ingresso nella cava. Questo è rappresentato
da una lunga scalinata, coperta dai caratteristici e tradizionali tetti
spioventi e stratificati a scalare tra loro. L’ingresso è a pagamento… 10
bath (20 centesimi di euro) su di un cartello c’è scritto in thai ed in
inglese anche la giustificazione e che vorrebbe gentilmente spiegare al
visitatore, il motivo dell’obolo richiesto. (per il mantenimento e
miglioramento dell’opera)
Entrando, il percorso è
abbastanza agevole e mediocremente illuminato, ma pagando altri 20-30-50 bath
(contrattazione richiesta obbligatoriamente) si ha a disposizione anche un
accompagnatore che troviamo dentro, dotato di una lanterna supplementare e che
vorrebbe fungere anche da cicerone, ma purtroppo per noi parla soltanto il thai.
Ci accontentiamo di ciò che vediamo… e vi assicuro che non è poco!
Una grande sala si apre
davanti a noi con le dimensioni di una cattedrale. Stalattiti e stalagmiti
enormi e lucenti, compongono l’arredo architettonico naturale delle sale e dei
passaggi tra l’una e l’altra. In ogni sala sono state trasportate statue
raffiguranti varie divinità religiose e mitologiche, ma notiamo che alcune di
esse (le più grandi) sono state persino scolpite direttamente sulla roccia
delle enormi pareti. Notiamo che spesso su queste pareti sono raffigurate con
disegni, alcune scene di caccia e di estrazione mineraria, il nostro cicerone ci
dice che risalgono a moltissimo tempo fa, ma purtroppo non sa essere più
preciso. Camminiamo parecchio e stupendoci continuamente, prima di accorgerci di
essere arrivati all’ultima stanza turisticamente visitabile senza
pericoli. Un cartello ci indica che abbiamo percorso appena
356 metri
all’interno delle cave, ma siamo felici di essere arrivati in fondo a quel
“budello” scavato nelle viscere della montagna..
Ci dicono di fare silenzio
perché in questa caverna c’è il “Budda che dorme” e non dobbiamo quindi
disturbarlo. In effetti alla sommità di una stretta, lunga e ripida scalinata
in pietra, scavata nella roccia dell’ultima sala, c’è una specie di
sarcofago sulla cui sommità è deposta una enorme statua dorata del Budda che
dorme. La scaliamo come tutti i presenti, per rendere omaggio alla
divinità ed in perfetto silenzio, per rispettare la sacralità del luogo. Il
viaggio a ritroso è forse ancora più bello e sorprendente dell’andata,
poiché l’abitudine ormai fatta alla poca luce, ci fa scoprire meglio molti
altri bellissimi particolari, purtroppo prima passati inosservati.
Si prosegue verso la nostra seconda meta. Questa è rappresentata da un
monastero montano situato sopra la cittadina rurale di Fang. Già
dalla strada principale notiamo la costruzione bianca, che spicca in mezzo a
tutto quel verde delle irte pareti montane. Imbocchiamo col fuoristrada una
stretta stradina laterale che inerpicandosi su per la montagna, ci porta
improvvisamente in un inspiegabile ampio spiazzo pianeggiante, dove
sorge il tempio.
Notiamo che le zone di
culto sono due, quella antica; abbandonata alla natura del tempo e ad una certa
incuria forse, e quella nuova; luccicante, linda e dorata, curata nei minimimi
dettagli e suoi fantastici e fantasiosi particolari. Ma è la parte antica che
ci affascina maggiormente, pur nella sua maggiore semplicità costruttiva, ma di
cui immaginiamo l’ enorme difficoltà di allestimento con i mezzi del tempo.
Questa è ben inserita nell’ambiente circostante e sfrutta nella propria
architettura costruttiva le naturali e spontanee architetture casuali degli
enormi ed alti massi, che costituiscono la parete in pietra che delimita lo
spiazzo. Ed è proprio sfruttando i suoi anfratti, le altezze, la
perpendicolarità e le alte terrazze di pietra…il modo in cui si sviluppa il
tempio, arricchito a proprio completamento con artifizi in pietra immessi dall’uomo,
per dare una forma umanamente comprensibile a quel già esistente e magnifico
tempio naturale.
L’incuria di cui
spontaneamente lamentiamo la presenza, credo invece ci faccia apparire il luogo
come ben inserito se non addirittura fagocitato e fatto proprio, dalla naturale
flora montana. Le piante stesse, nate nei punti più impensabili ed impossibili,
con quella incessante caparbietà che è propria della natura stessa e che con
la complicità del tempo, sembra tentare di occultare alla vista umana le varie
teche, statue, obelischi e simboli sacri… risulta infine come fantastica
ed appropriata cornice invece, che ne denuncia e dichiara il vissuto.
Ma è la parte della nuova
costruzione esistente, che sembra invece inorgoglire il tailandese che ci guida.
In effetti non possiamo che constatare la sua bellezza ed estrema cura dei tanti
particolari, ma forse proprio perché inserita in un ambiente così naturale,
stride un pò la forse tracotante mostra, che fa di sé… fin dall’
insegna in marmo scolpito e dorato, che sovrasta il globo terrestre
posizionatovi al disotto e su cui appoggia. Il suo bianco candore, impreziosito
dalle abbondanti rifiniture dorate, denuncia forse la volontà dell’uomo nell’affermare
la propria presenza sovrastatrice e dominante la natura stessa. Trovo che se non
fosse per il carattere sacrale dell’edificio, questo potrebbe benissimo essere
definito come una aberrante costruzione incurante dell’ambiente naturale
circostante. Ma si può certamente comprendere che la mano dell’uomo sia stata
mossa dal bisogno interiore di rendere omaggio alle mitologiche forze naturali
delle proprie meraviglie culturali e particolarità religiose.
Forse è proprio questo
che sembra trasmetterci, voler dire e significare, la mano umana che sovrasta l’intera
costruzione… ed il fatto che la falange terminale di ogni dito corrisponda
alla testa di un dragone, forse simboleggia proprio che: “la mano” che
ha costruito è umana… ma lo spirito che l’ha mossa è sacro e mitologico.
Riprendiamo il viaggio e ci inseriamo nuovamente sulla strada principale,
prossima tappa: Mae Ai. È questa una ridente cittadina (poco più di un grande
villaggio) situata proprio sulla cima di una montagna al confine con
la Birmania.
È proprio giungendo in prossimità di questo centro, che avvistiamo la nostra
prossima meta. Un enorme e bianco Budda seduto, fa mostra di se sul più alto
fianco della montagna, rivolto verso il grande villaggio pare proprio che lo
osservi benevolo, ma penso anche continuamente ammonitore, ricordando la solo
temporanea situazione, dell’ umana“spoglia”. Un’ altra irta,
tortuosa e sterrata stradina laterale, ci permette di arrampicarci fino allo
spiazzo pianeggiante dove sorge l’enorme statua che avevamo visto dal paese.
Questa, una volta giunti al suo cospetto, ci appare veramente enorme e persino
oltre le nostre previsioni e aspettative. Per averne un’idea… vi basti
pensare che l’altezza umana è rapportabile a quella dell’enorme “Gong”
che vedete alla sua base, in basso a destra.
Dietro l’enorme effige sacra
ci sono gli alloggi dei monaci, custodi del tempio sottostante e notiamo che
alcuni di essi sono abbigliati diversamente dai soliti monaci buddisti thai.
Veniamo a sapere che nella zona è molto praticato anche il culto del buddismo
cinese (molte, le ondate migratorie avute nel nord della Thailandia) e che i
loro monaci vivono in simbiosi ed in maniera promiscua e armoniosa con gli
altri.
In effetti poco più sotto
scopriamo un giardino molto ben curato, con fontane, laghetti e giochi d’acqua.
La statua che sovrasta il giardino è infatti quella del Budda cinese
(leggermente diverso e crediamo di iniziare a capire…tipicamente grasso!)
Sicuramente meno appariscente la raffigurazione cinese, ma certamente più
rilassante e più rispettosamente in tono, con l’ambiente circostante. Sono
molte infatti le statue scolpite sulla stessa roccia del posto, che allietano la
vista degli ospiti e che compongono l’arredo del giardino. Realizzo che questo
conferisca forse all’ambiente, un’ energia che trasmette una nota armonica
tra l’opera dell’uomo e la natura del posto. Raggiungibile penso, solo
e per mezzo dell’appartenenza consapevole dell’uno all’altra. Credo
inoltre potrebbe voler dire e significare, che è infruttuoso il cercare di
dominarla e che forse è migliore… il tentare di armonizzarvisi.
Scendiamo dalla montagna e ci
prepariamo finalmente a gustare un buon pranzo presso una bettola del luogo nel
centro di Mae Ai. Impossibile comunicare in inglese con la gente del luogo che
parla soltanto thai… anzi, molti nella zona (ci dice la nostra guida) parlano
diversi idiomi locali che neanche lui conosce e comprende, ma riusciamo
comunque ad ordinare un buon pasto molto nutriente a base di riso laotiano,
carne di bufalo, verdure e molta frutta locale. Nonostante la particolarità del
luogo, l’immancabile e fresca “pepsi” imbottigliata e stappata sul tavolo,
ci toglie dall’imbarazzo di dover rifiutare l’acqua e ghiaccio (che
cortesemente e gratuitamente servono ai tavoli) possibile portatrice di
pericolosi germi per noi. La nostra presenza al baracchino non passa certo
inosservata e dopo pochissimo tempo giungono dei bambini per offrire oggetti
tipici e manufatti artigianali del posto. Compriamo volentieri qualcosa e senza
neanche contrattare (date le basse richieste) credendo così di aver fatto la
nostra parte accontentandoli e compiuto il nostro dovere soddisfacendoli, ma
evidentemente ci sbagliavamo. Prima ancora di poter finire il veloce e frugale
pasto, eravamo stati pian piano attorniati da un intero gruppo di petulanti
bambini scalzi, che chiedevano unicamente di venderci qualcosa. Impossibile
accontentarli tutti ed il padrone del locale, pensando di farci cosa gradita, li
scaccia in malo modo ma riuscendo così solo ad aumentare il nostro naturale ed
istintivo senso di colpa, per la nostra maggiore agiatezza al loro confronto.
Dopo aver comprato infine,
tutto quanto ritenevamo potesse forse servirci, anche come pensierino da portare
al ritorno ad amici e parenti… dal sacchetto portaocchiali, alla borsetta, al
cappellino in paglia e foglie ecc… dopo aver lasciato il mio paio di occhiali
al bambino che li aveva inforcati e successivamente chiesti… risaliamo in auto
e ci avviamo per la nostra ultima tappa dell’escursione montana. Passiamo per
Mae Chan , scendendo per un breve tratto e poi subito ancora in alto fin sulla
cima di un’altra montagna fino ad arrivare a Mae Sai, ultimo avamposto thai
sul confine birmano e molto vicino a quello del Laos. Siamo arrivati proprio nel
centro del cosiddetto “triangolo d’oro” zona di produzione e coltivazione
di molte piante oppiacee. Da qui inizia molta della produzione mondiale di
alcune sostanze stupefacenti e per cui la zona è spesso risultata essere “in
mano” ai signori di questi traffici. Ci dice il nostro accompagnatore che per
ridimensionare i quali, si sono dovuti a più riprese impiegare interi reparti
dell’esercito e ricorrere all’uso anche di colpi di artiglieria pesante.
Infatti ancora prima di arrivare a Mae Sai, incontriamo due posti di blocco dell’esercito
che perquisiscono senza eccessiva delicatezza tutta l’auto e persino tutti
noi. Il che ci fa preoccupare un po’ (in Thailandia c’è la pena di morte
anche per la detenzione di qualsiasi quantità di queste sostanze) ma l’espressione
rassicurante, unita all’allegro e divertito ottimismo mostrato dal nostro
cicerone, ci lascia giustamente ben sperare. “Rilasciati” infine, riusciamo
a raggiungere il centro del villaggio. È proprio qua che, lasciata la macchina,
ci aspetta una lunga camminata a piedi lungo uno stretto sentiero che ci dicono,
dovrebbe portarci in una stupenda zona panoramica e tipica del posto. Infatti
dopo aver superato tratti non comodissimi e agevoli di sentiero, giungiamo sul
“cucuzzolo” e inaspettatamente in una piazzola dotata di un naturale
panorama su tutta la zona. Il nostro accompagnatore è soddisfatto e ci dice:
<<Ecco!… Noi adesso siamo in Thailandia, ma dall’altro versante della
montagna… a sinistra del fiume (seguendo la corrente) è territorio del Laos…
a destra del fiume è territorio della Birmania.>
All’inizio stavo quasi per
rispondergli: << E per poterci dire questo… ci hai fatto fare tutta
questa scarpinata?>>. Ma poi effettivamente, il panorama di
cui si gode da lassù, fa immediatamente dimenticare della fatica compiuta per
giungervi. Le limacciose acque del fiume in piena, denunciavano il periodo
delle piogge in cui ci trovavamo e ci facevano finalmente realizzare anche della
fortuna avuta fino allora, non avendo ancora incontrato acquazzoni e temporali
di stagione. Ma le fosche nubi che si andavano addensando su di noi, ci
ricordano anche che si avvicina l’ora della scarica quotidiana. Facciamo
infatti appena in tempo ad iniziare il viaggio di ritorno, che comprendiamo la
saggia intuizione avuta, anche se dobbiamo riconoscere che è stato proprio il
nostro accompagnatore che ce lo aveva ricordato e previsto. Lungo il tragitto
del ritorno in mezzo alle montagne, scorgiamo le precedenti tappe fatte, ma
tanti altri Wat ancora, monasteri, templi e grandi statue di divinità si
stagliano su quelle verdi pareti montane, suggerendo forse la ricca presenza di
altri suggestivi posti al pari e persino forse superiori a quelli già visitati.
Ma non possiamo certo vedere tutto noi e soprattutto in un solo giorno… mi
dico mentalmente, mentre comprendo che stanchissimo, mi appresto ad
addormentarmi in auto, sotto un forte acquazzone stagionale.
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