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Tailandia

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AL VILLAGGIO di:

“BAAN  YA  PAA”

ESSENDO A CONOSCENZA CHE SULLE MONTAGNE DEL NORD VIVONO ANCORA IN PRIMITIVI VILLAGGI, ALCUNE DELLE PIU’ ANTICHE TRIBU’ CHE HANNO IN TEMPI LONTANI OCCUPATO LA ZONA, A SEGUITO DI VARIE ONDATE MIGRATORIE AVVENUTE DALLE TERRE BIRMANE , LAOTIANE E PERSINO TIBETANE E CINESI…   E SAPENDO DI TROVARCI VICINISSIMI A QUEI LUOGHI, NON POTEVAMO NON TENTARE DI FARE LA LORO CONOSCENZA.

Di: Roberto Fragale

Sono molte, le volte che informandomi sui libri o  guide turistiche, o gustando i vari documentari televisivi sulla Thailandia sulla sua cultura, filosofia, religioni, usi e costumi delle sue tipiche e particolari popolazioni tribali, mi sono stupito del reportage e sorpreso (dati i miei frequentissimi viaggi) della mia totale ignoranza su quei luoghi e fatti. Ma la cosa prende un senso e mi dà una parziale giustificazione, appena comprendo che i luoghi a cui si riferiscono le immagini, sono quelli montani dell’estremo nord della Thailandia. In effetti, ho girato qualche isola, la capitale, Pattaya ed altre cittadine, ho percorso in auto tutto il sud fino addirittura ad arrivare in Malesia… Ricordo di un volo acquistato da Puket per Chang Mai addirittura negli anni 80 in uno dei miei primissimi viaggi con mia sorella… ma anche purtroppo di un nostro improvviso ripensamento e  rimborso regolarmente avuto. Effettivamente poi da allora,  non ho mai più avuto occasione di visitare questa parte della Thailandia.  Forse, anche  perché memore, conscio e timoroso, per tutte le varie  problematiche e difficoltà derivanti dal volervisi avventurare da soli. Ma adesso che siamo a Chiang Mai e quindi, avevo la fortuna di essere riuscito ad arrivarci molto vicino e oltretutto avendo a disposizione un ottimo consulente e consigliere residente, per qualsiasi cosa avessi voluto fare… Non volevo certo lasciarmi sfuggire l’occasione. Ne parlo con Luca  e mi risponde infatti, che non è un problema accontentarmi… Deve solo informarsi un attimo ed appena ritorna  la moglie JIT proverà ad organizzarci l’escursione. Intanto ci fornisce alcune informazioni “di base” da quel “simpatico logorroico” che è, e che io adesso vi ripeto a memoria:  I tailandesi chiamano quelle popolazioni primitive che si sono insediate fin da tempi remoti sulle montagne con il nome di: KUN PU KAO; che tradotto poi, significa:  “popoli della montagna”. Questi hanno da sempre avuto nella loro tradizione culturale, la coltivazione e l’uso di piante oppiacee per resistere meglio al duro lavoro quotidiano e forse chissà… anche per allietarsi quella dura e grama vita toccatagli in sorte. Solitamente, molti di loro masticano foglie di una pianta particolare e “corroborante” che appallottolano in bocca e che con l’andare del tempo gli tinge i denti completamente e indelebilmente di nero. Di popolazioni stabilitesi sulle montagne ve  ne sono di varia natura ed estrazione territoriale di provenienza. Occupano le stesse terre in cui vivono e che coltivano, divisi tra loro in tribù ben distinte, ma con usi e costumi anche diametralmente diversi.

  

Gli HMONG, sono di  origine cinese ed occupano una buona parte dei territori nord, ai piedi delle montagne. Sono arrivati qua in tempi molto remoti. Molti di essi, con le nuove generazioni e scendendo dalle montagne, sono giunti anche a popolare le vicine grandi città tailandesi, iniziando ad inserirsi nella società autoctona. Gli AKHA sono di origine tibetana, così come i LAU. Questi due assieme infatti, costituiscono le popolazioni più primitive tra i tribali coltivatori dell’oppio. Alcuni Akha e Lau si stanno spostando adesso anche verso le grandi città, perché la proibizione e restrizioni circa la loro coltivazione tradizionale (nessuno evidentemente, ha pensato ad una sua riconversione con altre possibili coltivazioni) relegano le loro attività produttive al solo artigianato povero, dei propri tipici costumi ed accessori tradizionali. Ma sembra che in questo loro tentativo, incontrino notevoli ed insormontabili difficoltà di inserimento nella società cittadine thailandesi. Poi ci sono le tribù dei  KAREN … o come li chiamano i tailandesi i KO YAO, che tradotto significa “i lunghi colli” conosciuti nel mondo ed indicati su tutte le guide turistiche  con l’equivalente di:LONG NEEK  (lunghi colli appunto…).

  

Ci dice Luca che la loro presenza sul territorio risale a più di 300 anni fa... quando scappando dagli orrori delle guerre intestine birmane, iniziarono a rifugiarvisi e quindi accolti e tollerati come profughi. Anch’essi hanno un passato come coltivatori di piante oppiacee, ma avendo poi avuto fortissime restrizioni dall’esercito, si sono riciclati in bravissimi artigiani nella lavorazione di oggetti in legno e metallo. Li aiutano non poco e sicuramente ad un prezzo altissimo, le entrate economiche dovute e derivanti da un certo flusso turistico di curiosi come noi, per  quella che è una particolarità delle loro donne e che ha reso questa tribù primitiva, veramente molto conosciuta e famosa in tutto il mondo. La particolarità delle loro donne (di cui sicuramente voi tutti avrete sentito parlare o intravisto qualche immagine televisiva o libraria e giornalistica) è quella di portare fin da bambine dei “collari” metallici che le costringono a stare continuamente con il collo allungato… Mano a mano che crescono poi, questo collare viene sostituito continuamente da un’altro e progressivamente più alto del precedente. Questo stimola continuamente l’allungamento delle vertebre cervicali e quindi un conseguente allungamento del collo, considerato anche, si dice, sinonimo di bellezza e fascino femminile. Fino ad arrivare in età adulta dove, alla fine del processo di accrescimento fisico, hanno ormai dei colli lunghi più di una trentina di centimetri. Proprio per questa particolarità, sono anche dette “donne giraffa”! Si dice inoltre che  nelle loro usanze culturali ci sia anche quella per cui nel matrimonio, il marito abbia potere di vita o di morte rispetto alla moglie. In caso di tradimento o altra colpa grave per esempio, lui è autorizzato a togliere il collare!

  

Quello che ci potrebbe sommariamente apparire come una liberazione risulta poi invece… una vera e propria condanna a morte. Infatti, dopo una vita che indossano quel collare… la muscolatura che sostiene il collo è ormai in gran parte completamente atrofizzata e la testa non più sostenuta… ricade sulle spalle. L’esofago e la trachea di conseguenza così, oltremodo allungati… pian piano si ripiegano su se stessi…impedendogli di deglutire il cibo e respirare. Questo le porta lentamente, ma inesorabilmente ed in breve tempo, alla morte! Tutte queste notizie ci fanno accapponare la pelle, ma accendono ancora maggiormente la nostra curiosità ed impazienza, circa una eventuale visita proprio nel loro villaggio.

  

Ed è quindi proprio questa, la destinazione che chiediamo di raggiungere con l’aiuto di JIT, (la moglie di Luca) che appena tornata si attiva per organizzarcela al giorno seguente. Due colpi di telefono gli sono sufficienti per accordarsi e confermarci la possibilità della cosa. Dovremo presentarci al mattino seguente e di buon ora presso una agenzia turistica cittadina, la quale con un pulmino dotato di guida thai-inglese, ci porterà sul posto. Così inizia la nostra seconda escursione sulle montagne del nord Thailandia. Durante il percorso del nuovo viaggio, riconosciamo infatti alcuni posti e cittadine per averle già viste nella passata escursione… In effetti il posto, che si trova vicinissimo al confine birmano,  non è lontano dai luoghi visitati precedentemente. Nel viaggio, durato più di tre ore, saliamo molto in alto, percorrendo stradine ancora più sterrate e scoscese, e sull’ultimo tratto siamo addirittura costretti a spegnere l’aria condizionata del mezzo, per acquisire maggiore potenza motrice e salire più agevolmente. Arriviamo a fatica su di uno spiazzo sterrato, dove finalmente fa bella mostra di sé una indicazione turistica indicante la direzione ed il sentiero da seguire per il villaggio “BAAN YA PAA”.

  

La guida ci invita a seguirla ed ha inizio una lunga camminata per uno stretto sentiero, percorribile solo a piedi, ma sembra ben battuto e fortunatamente, spesso protetto da un passamano e spalliera in legno. Ci dota di un bastone ognuno e ci raccomanda di batterlo continuamente per terra e parete laterale per avvertire eventuali serpenti ed altri animali selvatici del nostro passaggio e scongiurare così possibili e sgradite sorprese. Mi tornano in mente alcune informazioni di Luca: “La Thailandia ha circa 118 specie di serpenti… di cui solo 12 non sono velenosi…” Finalmente cominciamo ad intravedere  qualche capanna, che denuncia la vicinanza del villaggio.  Questo è costituito da due agglomerati di capanne, costruite su palafitte e totalmente con materiale della foresta. Totalmente in tronchi d’albero o grosse canne di bambù la struttura portante, in cannicciato le pareti e pavimento, in paglia e foglie intrecciate tra loro, il tetto. Nel primo agglomerato vive una tribù di AKHA e nel secondo agglomerato (al di là del piccolo torrente che li divide) vive una tribù  di KAREN.

  

Le loro capanne sono abbastanza simili per forma e materiali se non fosse per le dimensioni, più piccole quelle dei primi e notevolmente più grandi quelle dei secondi. Osservandole, penso e mi ricordo sollevato, di aver letto  che la Thailandia non è assolutamente una zona sismica, perchè nessuno dei loro costruttori conosce minimamente le sollecitazioni date da una minima scossa tellurica ed a cui eventualmente sarebbero sottoposte quelle palafitte così apparentemente precarie. Nel primo villaggio non c’è molta gente (non so per quale motivo) se non fosse per qualche anziana signora che vende dell’artigianato della propria etnia e qualche altra che vorrebbe venderci una specie di sigarini fatti con foglie ancora verdognole e tenuti assieme da elastici in “pacchetti” da 5. Altri anziani presenti nel villaggio Akha, sono intenti a fumare qualcosa, dentro a pipe artigianali in legno ed osso. Passiamo oltre e ci incamminiamo verso il villaggio dei KAREN. Questo sembra invece pieno di vita e lo schiamazzare degli immancabili bambini accoglie la nostra entrata nel villaggio. Eravamo curiosissimi di vedere dal vivo le donne  KO YAO… e molte di esse erano proprio nel villaggio. La guida ci dice che il lungo collare gli limita i movimenti e che perciò non fanno grandi cose lavorative nel quotidiano. Infatti, sembravano proprio oziare in gruppetti  di due o tre, sotto le proprie capanne. Notiamo inoltre che nel villaggio ci sono solo donne e bambini. Effettivamente i lunghi colli delle donne ci impressionano molto e sembra incredibile, possano aver raggiunto lunghezze simili.

 

Ma la vista di piccole bambine di varia età, che già indossano ognuna il proprio collare di varie progressive lunghezze… ci mostra e fa comprendere quale, per noi crudele, sia la risposta che rende possibile il tanto inusuale fatto. La guida ci dice che non hanno una  vita molto lunga e proprio a causa del collare che portano. Ce ne fa consegnare e soppesare uno da adulta… questo è grezzo ed in metallo pieno… pesa oltre cinque chili! Ci dice quindi che non è solo il collo ad allungarsi… ma anche le clavicole ad abbassarsi e che non consentono quindi, una buona ossigenazione polmonare. Inoltre i pericoli di infezioni sono molto alti e la loro medicina è relegata ad una specie di sciamano con rimedi erboristici ed esoterici. Vivono in simbiosi con la foresta a cui devono tutto quello che hanno per il loro sostentamento e mantenimento. Ci dice inoltre, che hanno una religione e filosofia ideologica, “animista”. Osservandone alcune, mi accorgo che il momento della deglutizione le porta a compiere strani movimenti con la testa e deduco che deve essere particolarmente lunga e forse anche fastidiosa da effettuare. Ma i loro bambini, sono come i bambini di tutto il mondo… giocano, corrono e scorrazzano! Le bambine con quelle testoline dritte… e già imprigionate nei collarini metallici. Osservando i maschietti, pochi in verità e solo piccoli (evidentemente questi, iniziano e partecipano alle uscite dei grandi, in tenera età) non posso che pensare alla loro fortuna per essere nati maschi e poter così evitare quella strana, singolare e per noi crudele, usanza. Un’altra cosa che mi fa notare la nostra guida, è che le donne portano tutte una chioma lunghissima che, se sciolta, raggiunge i loro piedi… praticamente non tagliano mai i loro capelli. Mi presenta una giovane fanciulla di circa 13-14 anni e mi dice che è in età da marito e che sicuramente tra poco si sposerà. Chiedo di potermi fare una foto ricordo accanto a quella donna-bambina e penso alla sua vita, allo spensierato periodo adolescenziale negatogli, rispetto ad una ragazzina italiana.

 

Come siano costrette perciò a “saltare” completamente uno dei periodi più belli della vita, obbligate quindi a passare direttamente dallo stato di fine fanciullezza a quello di adulte e mogli. Lei timorosa e sorridendo vergognosamente, accetta di buon grado.  Comperiamo qualcosa del loro artigianato e ci apprestiamo a congedarci, ma non senza prima essere stati invitati da loro a pranzo. La cosa mi affascinerebbe molto, ma l’imbarazzo di sapere di dover rifiutare molte delle cose che magari ci avrebbero offerto (per problemi di germi e batteri) ci fa ringraziare e declinare cortesemente l’invito. Rimane la soddisfazione di aver potuto vedere dal vivo, forse l’ultimo baluardo di uno dei popoli più antichi e primitivi esistenti nella Thailandia… prima che possano arrivare purtroppo, a scomparire eventualmente del tutto. Si dice che siano proprio “i ricordi”… le cose più preziose nella vita dell’uomo e che nessuno può rubargli… e se così fosse… credo che oggi ci siamo arricchiti di un ricordo, che difficilmente il tempo, sarà capace di scolorire minimamente!


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