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ECCOVI UN INTERESSANTE ARTICOLO DI LUCIO PICCIOLI, DELLA Makotokai Karate Arezzo, IN CUI CI ILLUSTRA, ATTRAVERSO UNA PERSONALE RICERCA, COSA FOSSERO I RONIN E CI RACCONTA LA FAMOSA STORIA DEI 47 RONIN, CHE HA CONTRIBUITO A RENDERLI CELEBRI IN TUTTO L’ORIENTE.

I 47 RONIN

Di : Lucio Piccioli “CENTRO MAKOTOKAI TOSCANA”
(Foto di repertorio tratte dal web)

    

La storia che ci apprestiamo a narrare è popolarissima in Giappone dove ha assunto un valore emblematico per lo spirito del Bushido (termine che indica il codice d’onore del guerriero), ma ha ultimamente varcato i confini di quella terra meravigliosa divenendo nota anche in occidente per mezzo di libri o film che, anche se non direttamente e dopo averle sottoposte ad un processo di attualizzazione, prendono ad esempio le gesta di questi indomiti guerrieri: si pensi solo all'omonima pellicola che vedeva Robert de Niro e Jean Reno protagonisti nei panni di agenti segreti caduti in disgrazia alle prese con una missione suicida.

    

Con il nome di Ronin erano chiamati quei Samurai che, per varie ragioni, perdevano il proprio signore. Vivendo in gruppi oppure isolatamente, contraddistinti da un carattere rissoso ed irrequieto, vagavano senza sosta per il paese ed il loro moto venne allegoricamente assimilato a quello delle onde. In Giappone i 47 Ronin, o Roshi guerrieri onda, sono più noti come i 47 gishi (fedeli guerrieri: gi = retto, shi = samurai): gli uomini retti, coloro che hanno vissuto il loro giri, termine che non trova un corrispettivo nella nostra lingua, ed indica una sorta di debito d'onore, nel modo più alto possibile.

Nel marzo del 1701 l' imperatore Higashiyama, seguendo una consuetudine annuale, inviò alla corte shogunale di Edo - l'odierna Tokyo - tre messi per la cerimonia del ringraziamento. Per provvedere all' organizzazione e alle spese del fastoso ricevimento, il governo dello Shogun incaricava a turno ogni anno due Daimyo - signori feudali - scelti tra i trecento che risiedevano nelle varie regioni del Giappone. Quell'anno furono preposti all'incarico i Asano Takumino - Kami, signore di Ako in Harima, e Dato Sakyonosuke, signore di Yoshida nella provincia di Iyo. La cerimonia era abbastanza complessa e l' etichetta imponeva rigorosi formalismi, per questa ragione ai due venne affiancato il gran maestro di cerimonie dello Shogun Kira Kosukenosuke. Asano chiese di essere esonerato dall'incarico in quanto non si sentiva all'altezza del compito, ma gli fu imposto di seguire rigorosamente gli ordini del cerimoniere; questi, come consuetudine, ricevette dai Daimyo i regali che dovevano compensare le sue prestazioni.

Foto ricordo con figuranti in costume da samurai (1880 circa)    

I doni di Asano furono giudicati miseri ed inadeguati da Kira, che per vendicarsi istruì il Daimyo in modo errato. Asano intrattenendo i messi commise numerosi sbagli, capì le intenzioni malevoli di Kira, ma sopportò in silenzio. L'ultimo giorno del ricevimento, nella grande sala del palazzo dello Shogun Tsunayoshi, dinanzi a tutti i nobili radunati, doveva consegnare ai messi uno scritto per l'imperatore. Fuori della sala i due Daimyo e Kira attendevano l'arrivo degli inviati imperiali, nel frattempo giunse il Samurai Kagikawa che si rivolse ad Asano per un chiarimento; Kira lo interruppe dicendo a voce alta: "cosa sei andato a chiedere ad Asano? Se hai qualcosa da chiedere, chiedilo a me. Quell' Asano non sa nulla di cerimonie."

A questo punto il Asano non poté più trattenersi e sguainata la spada colpì Kira sulla fronte. Subito disarmato il Daimyo fu condotto in una stanza laterale, in attesa del compimento della cerimonia. Lo Shogun considerò l'accaduto un'offesa personale, poiché spargendo sangue nel corso di un ricevimento solenne Asano aveva contaminato il palazzo. Il Daimyo venne confinato nella residenza di un nobile locale in attesa degli ordini del signore; il consiglio dello Shogun era propenso ad infliggere una pena lieve: Kira era stato colpito leggermente ed inoltre la provocazione era evidente. Lo Shogun però pretese la pena di morte e, alle obbiezioni del consiglio, lasciò la sala per far capire che la discussione era chiusa. Asano venne condannato ad uccidersi con il rito del seppuku, il suicidio rituale concesso come atto estremo d' onore ad un condannato.

    

Un Samurai della scorta chiese di vedere per l' ultima volta il suo signore: Asano, già vestito con il kimono bianco rituale, lo salutò cordialmente. Il Samurai si inchinò a terra e disse: "Anshin shite!" (morite tranquillo) quindi il Daimyo venne condotto via.

Prima di uccidersi scrisse il tanka, sorta di poesia, dell'addio:

Passa il vento,
cadono i fiori,
più che la loro scomparsa,
quella della primavera mi sta a cuore.
Come spiegar
mi?

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Con esso intese esprimere il rammarico non per la sua vita ma per l' impossibilità di vendicarsi. Asano morì alla età di 34 anni. Il suo feudo ed il castello furono confiscati assieme a tutti gli altri beni, i suoi fedeli 300 Samurai divennero Ronin. I guerrieri del Daimyo erano comandati da Oishi Kuranosuke questi, assieme ai cento uomini più fidati, decise di votare la sua vita alla causa della sacra vendetta. La cosa non era però facile. Kira stava in guardia e molti Samurai del Daimyo di Yonezawa, che ne aveva adottato il figlio, si stabilirono nella casa del cerimoniere per proteggerlo. Per prima cosa Oishi cercò di far ottenere al fratello di Asano, Daigaku, la continuazione della casa ma inutilmente; poi lui e i Samurai si dispersero per evitare l'attenzione delle spie di Kira.

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Oishi cominciò a condurre una vita dissoluta, ripudiò moglie e figli, frequentò le peggiori bettaku – bordelli – mostrandosi ovunque ubriaco venendo ben presto disprezzato ed evitato dagli amici. Il ripudio dei familiari si era reso necessario per evitare che, compiuta la vendetta, la condanna colpisse anche loro come era uso; il figlio maggiore invece, un ragazzo di 14 anni, volle seguirlo e partecipare alla congiura. Un giorno Oishi, fingendosi ubriaco, si lasciò cadere in mezzo ad una strada; passò un Samurai che riconosciutolo lo insultò ferocemente e lo prese a calci , senza che lui reagisse. Parallelamente anche tutti gli altri Samurai congiurati condussero una vita che non destasse sospetti: alcuni furono cacciati di casa, altri vendettero le mogli a case di prostituzione per far fronte alle spese della congiura, altri arrivarono addirittura ad uccider per lo stesso motivo i loro congiunti.

Samurai in armi (circa 1860)      Il samurai Miyamoto Musashi

La popolazione di Edo, che dapprima attendeva la loro vendetta, cominciò a disprezzarli, ritenendoli indegni di appartenere alla nobile casta dei samurai e Kira, informato di ciò dalle sue spie, allentò la vigilanza. I congiurati erano rimasti solo 47, dai 120 di partenza; tutti i Ronin si trovavano a Edo nei cui sobborghi si dispersero, ad eccezione di Oishi che si era rifugiato a Kyoto e tornò nel 1702. I guerrieri cominciarono ad indagare le abitudini di Kira per sapere quando poterlo colpire e scoprirono che questi seguiva presso un maestro la cerimonia del tè. Uno dei congiurati, sotto false spoglie, cominciò a seguire lo stesso maestro e venne a sapere che il 14 dicembre, un anno esatto dalla morte del loro signore, Kira avrebbe tenuto un banchetto nella sua casa.

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Due dei Ronin avevano aperto un Dojo, scuola di arti marziali, presso la sua residenza e vi tenevano nascoste le armi, un altro aveva aperto un negozio nelle vicinanze. Il giorno 14 i Ronin si radunarono alcuni nel negozio ed altri nel Dojo; indossarono vestiti nuovi e costosi: nessuno infatti doveva pensare che la loro azione poteva essere stata dettata dalla disperazione e dalla povertà, ed inoltre secondo il Bushido un Samurai che si accingeva a morire doveva sempre trovarsi in purità di spirito e di corpo, nonché vestire gli abiti migliori. Ognuno indossò un kimono di seta, una corazza a maglie d'acciaio nascosta da una stoffa pesante, calzoni gambali con lamine di ferro, un giubbotto da pompiere ed un elmo. Chi li avesse visti passare per strada, li avrebbe scambiati per un gruppo di pompieri.

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Fissata la parola d'ordine e la contro parola: yama – montagna - e kawa – fiume - attesero le quattro del mattino e quindi si misero in marcia. Avevano stabilito che se non avessero trovato Kira avrebbero incendiato la casa e si sarebbero uccisi sul posto. Uno di loro portava una lancia alla cui punta era appesa una lettera alle autorità che spiegava i motivi dell'assalto. Giunti sull’obiettivo si divisero in due gruppi: venti Samurai al portone anteriore, gli altri al posteriore; i primi venti guidati da Oishi entrarono senza difficoltà, gli altri dovettero invece sfondare il portone con grandi mazze. Appena entrati si gettarono contro la casa, spaccarono gli amado - le tipiche porte scorrevoli fatte di carta - ed iniziarono una lotta ferocissima. I difensori, svegliati di soprassalto, compirono dei veri prodigi di valore, ma i 47 Ronin erano troppo ben armati e motivati per lasciarsi sopraffare da quei guerrieri che accorrevano scalzi, in vestaglia ed armati della sola spada.

Il migliore di essi venne ucciso da Chikara, il giovanissimo figlio di Oishi. Da ogni parte si sentiva gridare yama e kawa; la lotta cessò quando tutti i difensori furono uccisi ed i Ronin cominciarono a frugare in ogni angolo della casa, Kira sembrava introvabile: il suo letto però era ancora caldo quindi non poteva essere fuggito lontano. Rovistarono ogni armadio, svuotarono tutte le casse e cercarono sotto il pavimento, che nelle case giapponesi è rialzato: tutto senza risultato; nel frattempo altri vigilavano all' esterno affinché nessuno potesse fuggire. Kira fu infine trovato nella legnaia dove si era nascosto: uno dei Ronin aveva trapassato la parete della capanna con la sua spada ferendolo ma ritraendola non risultò sporca di sangue poiché Kira aveva fatto in tempo a pulirla con la manica del suo kimono.

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Scoperto negò di essere Kira, ma venne smascherato dalla cicatrice sulla fronte dovuta al colpo infertogli da Asano a suo tempo. Gli fu imposto il seppuku ma poiché rifiutava venne ucciso da Oishi; poi la sua testa fu staccata dal busto. I Ronin, nelle cui fila figuravano solo tre feriti, decisero di partire subito dirigendosi verso il centro della città con la testa di Kira appesa in cima ad una lancia. I Samurai al servizio dello Shogun che erano stati incaricati di fermarli decisero di non intervenire e si limitarono a consigliare loro di prendere una strada fuori città per non dare nell'occhio. Giunti al cimitero dove era sepolto Asano lavarono al testa di Kira e la posero davanti alla sua tomba; Oishi mise una spada corta alla base della lapide con l'impugnatura rivolta alla tomba e la lama verso la testa e depose uno scritto diretto al suo signore:

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"Signore siamo venuti qui oggi per rendervi omaggio. Non avremmo osato presentarci di fronte a voi prima di aver portato a termine la vendetta da voi iniziata. Ogni giorno di forzata attesa ci è parso lungo come tre autunni. Ora, signore, abbiamo scortato Kira fin qui, davanti alla vostra tomba e vi riportiamo anche questa spada che tanto valore ebbe per voi lo scorso anno e che ci avete affidata. Vi preghiamo di impugnarla per colpire una seconda volta la testa del vostro nemico, liberandovi così, per sempre , dal vostro odio."

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Oishi quindi impugnò la spada e colpì tre volte la testa di Kira; conclusa la lugubre cerimonia i 47 Ronin passarono uno ad uno davanti alla tomba di Asano bruciando incenso: la vendetta era compiuta, adesso non restava che consegnarsi alle autorità poiché nessuno infatti pensava minimamente a fuggire. Oishi mandò due Samurai a denunciare l'accaduto ed un altro dalla vedova di Asano per raccontargli ogni cosa e consegnargli il resto del denaro raccolto per l’operazione. I gloriosi Ronin vennero divisi in quattro gruppi e confinati nelle residenze di altrettanti Daimyo; durante la prigionia vennero considerati più come ospiti che come prigionieri. Tutta Edo si entusiasmò per l'impresa dei Ronin, il governo stesso non sapeva se condannarli o meno.

Lo Shogun Tsunayosi, titubante, decise di concedere loro l'onore del seppuku e fu così che il 4 febbraio 1703 i Ronin, vestiti con il kimono bianco compirono il rituale del suicidio nelle abitazioni dove erano confinati. Il terreno su cui sorgeva una di queste corrisponde alla attuale ambasciata italiana di Tokyo: nel parco dove si uccisero dieci dei congiurati una lapide, voluta dall'ambasciatore Auriti ricorda l'evento che tanto commosse il Giappone. I 47 Ronin sono ora seppelliti accanto alle spoglie del loro signore, nel sobborgo di Takanawa dove sorge il piccolo cimitero chiamato Sengakuji (collina della primavera), meta ancora oggi di continui pellegrinaggi per onorare la memoria dei 47 uomini retti. Nelle loro tombe è riportato un simbolo particolare che in Giappone identifica coloro che sono morti con onore compiendo il seppuku.

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