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SCHEMA ED ESSENZA

Testo a due mani di: Black & White

Abbiamo visto in un precedente articolo (la forma e la sostanza), come il Tao Lu sia l’insieme di forma  (parte esteriore) e sostanza (parte interiore, l’intenzione dello spirito). Vorrei adesso continuare questa riflessione… spostando inoltre l’attenzione anche su di un piano diverso… o meglio… ad un “altro livello”! Si parla sempre e volentieri di: “arte marziale, arte di vita”… Fantasticando anche molto sulla inerenza dell’una sull’altra… per altro (secondo me) forse, senza aver ben chiaro il vero significato o la concretezza reale dello stesso. Nonostante questo… ci piace dire, dirsi e sentirsi dire che il “kung fu è la metafora della vita”… Con questo ci proponiamo quindi di  riconoscercela e magari migliorarla (… almeno quella interiore). Ma già solo proponendoci questo schema mentale… stiamo facendo il contrario…. “la vita, la metafora del kung fu?” E già… perché se la prima affermazione è vera… questo non avviene certo per nostra volontà o decisione. Il processo di costruzione e riscoperta globale dell’essere interiore… non è una cosa che si possa costruire per nostra volontà o proponimento. (la volontà è sempre legata a ciò che vogliamo, e ciò che vogliamo è solo ciò che conosciamo, il conosciuto, l’insieme delle nostre esperienze) Per aiutarci a capire forse, penso sia meglio fare un esempio: sarebbe forse come proporci di “voler” diventare più intelligenti? L’intelligenza, l’abbiamo potenzialmente tutti… alcuni con pre-requisiti maggiori di altri… ma in ognuno di noi, questa, non è che il prodotto del lungo, continuo e mutevole processo di costruzione, che si basa sull’uso e deduzione delle proprie personali, continue e mutevoli esperienze. Cosa c’entra l’intelligenza con il miglioramento dell’essere interiore? Come definireste l’intelligenza? Mi auguro non come quella cosa che si misura con il Q.I. (quoziente intellettivo) Mi sentirei di dire che l’intelligenza è in generale… la capacità di adattarsi all’ambiente in cui viviamo… o  di adattare l’ambiente a noi stessi. Se provate ad adattare il termine più generale “ambiente” ad ognuno più specifico che vi possa venire in mente… vedrete… che comincerete a capire! (ma è forse definibile l’intelligenza? O semplicemente la ricerchiamo in quanto la associamo quasi sempre ad una maggiore stima di noi stessi,per cui è positiva. Cosa poi sia questa intelligenza, non lo potremo certo definire se non prima di aver “migliorato l’essere interiore”, cioè vedere come interpretiamo e cosa). Ed in effetti… proprio nel metodo di apprendimento del Kung Fu, cominciamo subito a ripetere, riproporci e riproporre gli schemi mentali appresi in questa (da noi tanto depauperata) società…. Difficilmente invece, avviene il contrario….! Proviamo quindi a riprendere il discorso… dove lo avevamo lasciato:

Tutti i praticanti di kung fu studiano i Tao Lu, (detti anche forme). L’insegnante fa vedere i singoli movimenti, a volte ne da anche la spiegazione… e pezzo per pezzo, movimento dopo movimento, si arriva all’esecuzione completa di quel Tao Lu. L’allievo in questi casi cerca di imitare, copiare quanto più possibile l’esecuzione del Tao Lu del suo insegnante. Deve far questo per poter apprendere lo “schema”. L’insegnante conosce come eseguire la forma, l’allievo deve solo cercare di imitare il modello nei movimenti e… così può imparare lo schema della nuova forma. Ma cosa è l’imitazione? E’ fare, prendere, qualcosa da qualcun altro per poter fare, avere quella cosa che era di qualcun altro. In questo modo saremo in grado di fare, quindi avere… ciò che prima era di un altro. Se ci pensate in effetti è così. Vediamo il nostro insegnate eseguire la forma e ci affascina molto, tanto che ci diciamo: voglio farla anch’io come la fa il mio maestro. A quel punto entrano in gioco tutta una serie di meccanismi automatici di imitazione dei movimenti, la cui capacità varia da individuo a individuo (qualità cinestetiche). I nostri sensi sono proiettati verso l’insegnante, guardandolo per vedere, osservare e comprendere, per “carpire” l’ esecuzione di quel movimento. Lo guardiamo mentre si muove e ne riproduciamo fedelmente i suoi movimenti. Sapete cosa è uno specchio? Bene, noi ci comportiamo proprio come uno specchio: riproduciamo (per quanto possibile) i movimenti di qualcun altro. Poi che succede? Andando avanti facciamo un continuo confronto tra la nostra esecuzione e quella del nostro insegnante… fino a far collimare il più possibile, la nostra riproduzione con quella originale. Quando la collimazione sembra avvenuta… è fatta! Abbiamo imparato la forma, vero? (O soltanto… lo schema?) In fondo era quello che volevamo, eseguire la forma come quella del nostro insegnante. Ma non c’è da fare altro….? Abbiamo visto e detto più volte come il kung fu rifletta al suo interno la vita, il kung fu come “metafora della vita”. A tutti piace questa definizione. Come quella per cui: “il kung fu esprime te stesso”. Fa sentire importante quello che facciamo, qualcosa di diverso dalle altre forme di sport…. Ma il Kung Fu… è proprio “solo” uno sport? Se ci pensiamo bene, anche nella vita adottiamo questo sistema per apprendere… come vivere! Si, l’imitazione. L’uomo è, forse, sopravvissuto ad altri esseri, proprio perché ha imitato qualcun altro che aveva scoperto nuovi modi comportamentali… risultati poi vincenti. Attraverso la sua intelligenza era riuscito ad adattare meglio di altri l’ambiente a se stesso… o se stesso all’ambiente! Ma la semplice imitazione può considerarsi sufficiente per l’apprendimento del Tao Lu? Be’ (penseremo) se l’esecuzione corrisponde a quella di chi ce lo ha insegnato, perché no…? Forse proprio perché l’imitazione di qualcosa che appartiene a qualcun altro. Quando imitiamo, l’abbiamo detto, tentiamo di prendere qualcosa da un altro, perché ci piace quello che l’altro fa.  Possiamo prendere l’oggetto, ma non l’uso, il “come”. L’imitazione è legata solo all’esteriorità. Quindi quello che prendiamo è l’esteriorità, lo schema… dell’esecuzione. E quando lo impariamo pensiamo di aver appreso il Tao Lu. Cosa altro dovremmo imparare? Forse non dovremmo imparare altro, ma possiamo dire di eseguire il Tao Lu come “in noi” deve essere? Come deve essere… (pensiamo) è come l’ha fatto vedere l’insegnante, ed è quello che abbiamo imparato. Ma come possiamo pensare di aver imparato e quindi di poter eseguire il Tao Lu come “in noi” deve essere? Chi può dircelo? L’imitazione è qualcosa di qualcun altro. Come possiamo pensare di poter eseguire veramente in noi, qualcosa di qualcun altro? Imitare qualcuno significa anche cercare di essere quel qualcuno, vero? Quindi imitando il Tao Lu di qualcun altro facciamo in modo, durante la sua esecuzione, di cercare di essere qualcun altro, in questo caso il nostro insegnante. Perché? Forse perché è così che si esegue il Tao Lu? E ogni volta ci accorgiamo che qualche movimento non è la riproduzione fedele di quello del nostro modello, facciamo in modo da correggerlo affinché diventi “l’esatta copia”. In questo modo mettiamo a tacere ciò che è “l’altra parte” del nostro Tao Lu, “l’essenza”. La nostra energia… ciò che siamo noi. Attraverso l’imitazione tendiamo a modificare (è poi possibile?) l’essenza… quello che noi siamo. Attraverso un processo di apprendimento esteriore crediamo di poter modificare il nostro “essere” interiore. Questo perché pensiamo che per poter eseguire la forma come il nostro insegnante è necessario diventare come lui. Per poter dare “espressione” a quella forma dobbiamo quindi diventare uguali, “fotocopia” del nostro modello.  A questo è abbastanza semplice adeguarsi, non dobbiamo poi fare altro che seguire quelle indicazioni e saremo in grado di eseguire la forma. (O solo lo schema?) Ma la sostanza? Ricordate cosa è la sostanza? (potremmo classificarla forse come… l’intenzione dello spirito?) Per eseguire la forma come il nostro insegnante dobbiamo quindi diventare anche come il nostro modello, oltre allo schema, avere anche la sua essenza. Quindi durante l’esecuzione del Tao Lu diventiamo (o tentiamo) di divenire il nostro insegnante. Cioè, come “noi siamo”…  come può conciliarsi con ciò che “è un altro”? Stiamo parlando di modificare l’essenza vero? Cioè quello che noi siamo. Quindi quello che esprimiamo (o cerchiamo di esprimere) sarà quello che (pensiamo) siamo diventati: forma e sostanza, schema ed essenza…  di qualcun altro! Non trovate che sia così? Pensiamo come all’inizio, pur conoscendo lo schema, la sua esecuzione non risulta uguale a quella dell’insegnante. A come ci “sforziamo” violentandoci, di adeguare la nostra esecuzione a quella del modello. Ma potremmo mai essere il nostro insegnante? Noi siamo noi e l’insegnante è l’insegnante, un altro individuo con tutte le sue caratteristiche, ognuno… unico. E nessuno in assoluto, migliore o peggiore di nessun altro! Allora… finche vorremo “solo” imitare il nostro insegnante non ci sarà comprensione ed espressione di ciò che siamo, ma “solo” un cercare di adeguarci ad una “essenza” che non potrà mai essere la nostra. E per quanto ci sforziamo potremo solo “somigliare” al nostro insegnante, ma non potremo mai essere lui.

Potremmo anche accontentarci di questo, ma sentiamo che quello che stiamo facendo, non riesce ad essere e ad esprimersi in noi in maniera fluida e armoniosa, ma abbiamo come la sensazione di “sforzarci”. Sforzarci di essere qualcun altro. Allora proviamo a domandarci perché vogliamo fare ciò che facciamo. Cosa ricerchiamo in quello che stiamo facendo? Forse, pensiamo di voler diventare qualcun altro… perché ciò che pensiamo di essere non ci piace. Riteniamo l’altro, il nostro insegnante bravo e forte, tanto da erigerlo a nostro obiettivo da raggiungere. Se facciamo quello che fa lui diventeremo come lui. Vogliamo quindi cambiare perchè riteniamo il nostro obiettivo (l’insegnante) migliore di ciò che siamo. In tutto questo sforzo, quello che potrà emergere è solo un conflitto tra quello “che siamo” e quello che “vorremmo essere”. Ecco che la forma, per quanto tecnicamente forse impeccabile, mancherà dell’essenza, sarà sterile, perché non sarà mai nè quella del nostro insegnante, nè la nostra… perchè non abbiamo lasciato che si esprimesse.

Quello che non riusciamo a vedere è che l’insegnante non ci insegna uno schema, qualcosa da apprendere, da mettere “dentro”, ma forse, quello che insegna è “altro”. Quello che insegna veramente è… forse ciò che non si vede! Nascosto per chi ricerchi la sola e mera imitazione di movimenti senza comprenderne l’essenza, ma chiaro per chi… non voglia a tutti i costi ottenere alcun risultato ma che, attraverso lo schema riesca a sentire ciò che è diventato. Per poter cambiare è imprescindibile sapere cosa cambiare. Siamo in grado, consapevoli di ciò che vogliamo cambiare?

E cosa pensiamo accada nella vita? Forse non imitiamo qualcuno in particolare, forse tendiamo ad imitare un gruppo e comunque imitiamo, ci adeguiamo alla società, ai suoi comportamenti e modi di essere. In questo modo crediamo di cambiare ciò che pensiamo di essere per assumere modelli comportamentali e di pensiero che riteniamo migliori, senza per altro conoscere ciò che vogliamo sostituire: noi stessi! Noi non siamo mai veramente, quello che “dobbiamo” essere… ma piuttosto, solo quello che “sentiamo” di essere.

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