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Black & White

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PROSEGUONO I DIALOGHI-CONFRONTO DI QUEI FAMOSI E SINGOLARI TESTI A DUE MANI DI NON SEMPLICE COMPRENSIONE, O DI MOLTEPLICI SIGNIFICATI RACCHIUSI, CHE ABBIAMO RITENUTO GIUSTO PROPORVI. VI PRESENTIAMO ADESSO UN ENNESIMO DIALOGO TRA DUE GUERRIERI… I NOSTRI BLACK & WHITE. NOI NE REPUTIAMO DIFFICILE  LA COMPRENSIONE… MA SICURAMENTE OGNUNO AVRA’  LA PROPRIA INTERPRETAZIONE SU TUTTO IL CONCETTO… ED ALTRETTANTO CERTAMENTE OGNUNO FORSE, RICONOSCERA’ UNA PARTE DI SE' STESSO.


secondo round

TESTO A “DUE MANI” DI: Black & White

..... dal precedente dialogo

White : Per questo la domanda in apertura…. Come ti senti? Questo è il cammino del guerriero che scopre cosa vuol dire essere guerrieri… che scopre di appartenere ad un altro guerriero.

Black : Credo che ogni guerriero appartenga ad ognuno degli altri guerrieri.. così come ognuno degli altri guerrieri… appartiene proprio a quel guerriero… ma nessuno è proprietà o schiavo di nessun altro… sono tutti consapevoli padroni… di sè stessi!


White : Ciao guerriero, come ti senti?

Black : Diciamo che mi sento come “voglio” sentirmi… e questo è esattamente quanto di meglio potessi sperare di aver imparato a sentire di me stesso!

White : Si, è come io ti sento, per questo sono qui...
La nostra ultima conversazione ha toccato molti di quei temi a noi cari e forse già discussi in altre occasioni.

Black : Sicuramente, credo personalmente che per quanto possiamo partire razionalmente da punti diversi e variegati… ognuno finisca poi per parlare esattamente di quello che sente inconsciamente di voler parlare.

White : Allora se siamo qui è forse perché lo vogliamo entrambi… ma senza per questo dover arrivare ad una conclusione, o dover arrivare a dimostrare niente, perché per il solo fatto di dover arrivare da qualche parte… allora, credo, avremmo condizionato la discussione.

Black : Credo sia così, se iniziassimo a discutere sapendo dove vorremmo arrivare.. allora forse sarebbe del tutto inutile discuterne… il punto di arrivo però, potrebbe finanche essere quello di non dover arrivare assolutamente a niente di precostituito.

White : Per cui quello che potrebbe forse essere un punto di arrivo parrebbe essere soltanto il confrontarci… Così, liberi dal dover dimostrare qualcosa ognuno all’altro, ma per il piacere di comunicare ciò che sentiamo, se ne hai ancora piacere e se tu me lo permetti… vorrei continuare a riflettere insieme su quello che più volte sentiamo dire a proposito dell’appartenenza.

Black : Vieni, fatti avanti, ti aspetto… io non temo di parlare di niente!

White : E’ quanto di meglio potessi dirmi invitandomi al confronto senza temere dove questo porterà, ma per il solo piacere di poter ancora una volta farlo, o meglio.. esserlo.
Spesso questo sull’appartenenza è stato uno degli argomenti delle nostre passate discussioni, lasciandomi però perplesso su come sentivo essere l’appartenenza.

Black : Spero che l’essere perplesso non significhi certo sentire di essere confuso…

White : Credo che la perplessità possa essere quella sensazione per cui si vuole comprendere meglio qualcosa; la confusione invece potrebbe essere il voler trovare la spiegazione che a noi piacerebbe fosse, quando i fatti forse dimostrano il contrario, o no?

Black : Credo tu abbia detto una cosa giusta, prosegui pure!

White : Quando diciamo di appartenere a qualcuno o qualcosa cosa vuol dire?

Black : Credo tutto quello che ognuno voglia intendere… quindi prima dovremmo forse trovarci d’accordo ed evidenziare il significato specifico o generale che gli diamo…

White : Bene, allora proviamo a dircelo.
Appartenere non vuol dir forse… tenere, far parte?

Black : Tenere.. per una parte… forse?

White : Forse, comunque è un tenere.
Quando ci relazioniamo con un'altra persona ed affermiamo questo credo, forse, stiamo dicendo che vogliamo tenere quella persona, vogliamo far parte di quella persona, vero?

Black : Forse che… se diciamo di appartenere ad una persona intendiamo dire che teniamo per una parte di quella persona…  o che siamo una parte di quella persona… o che una parte di quella persona la teniamo noi?

White : Dal voler far parte in tutto o in parte di quella persona.. ne vogliamo comunque far parte e quindi tenere.
Ma voler tenere e farne parte non vuol dire anche possedere quella persona? Altrimenti perché dire che gli apparteniamo? Possiamo appartenere a qualcuno se non volessimo possedere questo qualcuno?

Black : Credo forse di no! Altrimenti non diremmo di appartenergli… cioè… che non si può liberare di noi!

White : E se allora (forse sia pur subdolamente…) vogliamo possedere questo qualcuno… non è anche vero che ciò che possediamo per sua natura ci possiede? E’ possibile voler appartenere senza volere che l’altro ci possegga?

Black : Si, è come penso e ti ho già detto…

White : se come tu dici non può liberarsi di noi, nel possesso può esserci libertà?

Black : No..!

White : O forse nel possesso può solo e soltanto esserci dipendenza?

Black : Non solo… ma credo proprio che il possesso implichi anche dipendenza.

White : Ma per il momento fermiamoci alla dipendenza, che comunque è implicito nel possesso.
Entrambi, quindi, dipendono l’uno dall’altro, per cui il mio star bene dipende dall’altro da come egli si comporta, e quindi per poter continuare a stare bene, l’altro deve fare ciò che io voglio che faccia, vero? E così?

Black : A sentire gli altri… sembrerebbe proprio di si… io ci devo pensare un po'!

White : Per tale motivo l’appartenenza, e quindi il possesso, è forse in definitiva tentare di far fare all’altro quello che a noi ci fa stare bene e non quindi che l’altro sia libero di poter essere, comportandosi per come sente di voler di essere.

Black : Credo questa sia la patologica accezione della cosa… il rovescio della medaglia.

White : Già, per quanto crediamo che il voler appartenere sia quello che dovrebbe essere la relazione, sembra che non lo sia.
Per cui allora, non ci interessa che l’altro sia ciò che è, ma che sia quello che noi vorremmo che fosse. Ma allora quando gli diciamo che gli vogliamo bene cosa diciamo in realtà?

Black : C’è chi dice significhi che vogliamo il “suo” bene!

White : Forse in realtà gli vogliamo bene fintanto che egli è come noi vorremmo che fosse. E ciò che vorremmo fosse non è forse il nostro ideale di persona? E l’ideale cosa è?

Black : Forse un qualcosa che pensiamo o immaginiamo di poter, volere o addirittura “dover” desiderare?

White : Appunto. Ma quell’ideale è nostro? Come possiamo avere un ideale di persona se qualcuno non ci avesse detto come l’altro dovrebbe essere? E’ così vero?

Black : Credo l’ideale si formi in noi in base alle esperienze passate ed ideologie introiettate circa il giusto comportamento nei nostri confronti ed in quelli degli altri… ma non solo.

White : Così le esperienze che viviamo con l’interpretazione che noi gli diamo… è perché qualcuno, forse, ci ha detto che deve essere così. Qualcuno, o forse molti, ci hanno sempre detto come le relazioni devono essere e noi abbiamo così preso l’idea di qualcun altro, non certo nostra, e abbiamo creduto, tanto da convincerci che fosse assiomaticamente nostra, che fosse ciò che sentiamo, e quindi che le relazioni debbano essere proprio in quel modo.

Black : Nel modo come ci hanno detto e convinto che sarebbe più giusto che fossero?

White : Penso sia così. Se quindi riusciamo a comprendere questo, dovremmo anche comprendere che quell’ideale è solo un condizionamento, forse uno dei tanti, ma cmq un condizionamento.

Black : Si… un condizionamento… come del resto tutto in noi lo è… l’educazione, la morale, il senso di giustizia ecc… ma come potremmo mai verificarlo in assoluto?

White : Come verificarlo? Semplicemente ogni volta che l’altro si comporta in un certo modo e quel modo a noi fa stare male… Quella sofferenza, quello stare male, è il segnale di un conflitto tra quello che è, e ciò che crediamo dovrebbe invece essere…, altrimenti se gli volessimo bene non potremmo che essere contenti per l’altro, è così?

Black : Egoisticamente… credo proprio di sì…

White : Perché quindi voler appartenere, possedere l’altro?

Black : Forse per un senso di conquista o sicurezza…

White : E quindi la conquista della sicurezza? Forse possedendo, o credendo di possedere, non facciamo altro che identificarci con l’oggetto posseduto. Allora vogliamo appartenere perché forse non abbiamo una nostra identità. Infatti l’appartenere ed il conseguente senso di appartenenza ci fa identificare con ciò a cui vogliamo appartenere, così che se venisse a mancare quello a cui crediamo di appartenere, perderemmo la nostra identità.

Black : Se con una sincera introspezione arrivassimo a questo… sì, credo che avremmo un senso di identità molto debole.

White : Ma cosa è l’identità? Forse è il credere di dover essere in un certo modo.

Black : Io personalmente credo sia quello che so e sento di essere… ma comprendo ed ho letto che per altri potrebbe essere diverso.

White : Per poterlo sentire, però, è necessario comprendere tutto il meccanismo di cui stiamo discutendo. Ed è appunto di questo schema mentale, questo condizionamento… che molti seppur inconsciamente continuano a vivere nelle relazioni.
Continuando… stavo dicendo che per poter essere ciò che crediamo dobbiamo possedere, quindi avere, la persona come noi vorremmo che fosse…
Ecco quindi che per poter essere ciò che crediamo di dover essere dobbiamo possedere ciò che riteniamo sia la nostra identità. Quell’identità rappresentata da qualcosa che è fuori di noi, ma che mostra come invece noi siamo.

Black : Quindi… secondo te potremmo dire che siamo inconsciamente attratti da coloro i quali sono come noi intimamente sentiamo di essere, per poi invece tentare di cambiarli in quello che noi riteniamo dovremmo essere?

White : Non escludo che sia così. Quindi ciò che siamo è fuori di noi e per poter continuare a credere di essere ciò che pensiamo di dover essere dobbiamo portarlo dentro di noi e quindi possederlo. La mancanza di questo, o soltanto il timore di perdere ciò che crediamo di possedere… ci fa soffrire, tanto quanto è il nostro desiderio di possesso e quindi la nostra identificazione con l’altro, venendo appunto a mancare quei punti di riferimento che avevamo riposto nel possedere quella persona.

Black : Potrebbe darsi che sia come tu dici.. anche se credo sarebbe il festival del masochismo…

White : Certo… non dico sia come dico, ma ritengo che potrebbe anche esserlo.
Il possesso, dunque, è l’oggetto al quale vogliamo appartenere per poter essere ciò che crediamo di dover essere, così che quell’oggetto è la nostra identità, rappresenta ciò che crediamo di essere.

Black : O che “crediamo” giusto che dovremmo essere!

White : Sì, il credere sia giusto così. Ma perché abbiamo bisogno di identità? Forse perché temiamo di essere ciò che non vorremmo… essere. E ciò che non vogliamo essere, non ci piace, per cui lo rifuggiamo, vero? 

Black : Dal momento che ricerchiamo nuova identità… sì!

White : Allora abbiamo bisogno dell’identità per fuggire da ciò che non vogliamo vedere, che temiamo di essere, ma che non ci piace. Ma proprio per questo allora siamo ciò che stiamo fuggendo, altrimenti non avremmo bisogno di una identità al di fuori di noi stessi, al di fuori di ciò che siamo.

Black : Personalmente credo che non possiamo certo evitare di essere quello che sentiamo di essere… anche se razionalmente non ci piace!

White : Ma cosa temiamo tanto da riuscire persino a convincerci di non essere ciò che stiamo fuggendo?

Black : Forse il nostro stesso giudizio?

White : Bene, è ciò che penso anch’io. Ma è solo convinzione, perché ad un confronto aperto, forse sappiamo che quella convinzione potrebbe venir meno, e quindi rifiutiamo il confronto. Rifiutare il confronto è non aprirci all’altro, ma mostrarci solo per ciò che crediamo di dover essere e ciò che crediamo di dover essere è solo quello che vorremo l’altro pensasse di noi.

Black : Ognuno di noi credo… ha una propria immagine mentale di sè… che vorrebbe mostrare agli altri.. che forse non corrisponde esattamente a come sente e sa… di essere!

White : Dipende dalla relazione, vero? Perché allora in talune relazioni, dove dovremmo poter essere ciò che sentiamo di essere, invece accade proprio questo?
Ma tutto questo non è forse quello che in altri casi chiameremmo inganno? E perché allora lo chiamiamo amore? Perché forse chiamandolo per quello che è… non potremmo negare l’inganno, vero?

Black : Non credo sia sempre facile per tutti… accettare di essere quello che sentiamo e sappiamo di essere.

White : E così viviamo ingannando l’altro, ma anche e soprattutto noi stessi convincendoci che invece sia quello che ci hanno detto essere… Chi ci ha detto questo ci ha ingannati, così come chi ce lo ha detto è stato ingannato a sua volta, perpetuando così l’inganno, non riuscendo a comprendere come, forse la nostra sofferenza, causata dalla conflittualità interiore, sembra essere proprio l’inganno che abbiamo attuato.

Black : Mi sembra la teoria delle famose “maschere” pirandelliane…

White : Infatti non mi sembra di dire qualcosa di nuovo, ma temo solo di dire qualcosa che sappiamo accade… ma volutamente ignoriamo.
Quell’inganno che forse attuiamo per non vedere ciò che veramente siamo. E ciò che veramente siamo emerge alla nostra coscienza ogni volta che rimaniamo da soli con noi stessi, ecco perché , forse, dobbiamo possedere qualcuno nella nostra vita che ci distragga e che ci faccia illudere di non essere soli.

Black : Forse potrebbe essere anche così… in qualche misura…

White : Certo, è solo ciò penso sia, ma che potrebbe non essere, anche se lo credo. Ma noi lo siamo comunque, sempre, anche quando pensiamo di non esserlo, perché, forse quella è la nostra natura.
Come più volte abbiamo detto, forse è il pensiero, il pensare, che ci impedisce di sentire ciò che siamo, sentendo quello che crediamo dovrebbe essere, come?

Black : Credo paradossalmente che prima.. dovremmo accordarci su cosa intendiamo per “pensiero”…

White : Il pensiero funziona per immagini, per cui è sufficiente pensare a qualcosa, rievocando quell’immagine quell’esperienza per sentire le sensazioni connesse con quell’immagine. 

Black : Non posso certo negarlo.. anche se credo che … non solo!

White : Ma se non possiamo negarlo, allora potrebbe anche essere.
Così quella sensazione, quell’immagine che abbiamo preso dalla memoria è l’esperienza raccolta per come noi abbiamo creduto che fosse, secondo quello che ci hanno detto deve essere, il giudizio nostro, che è condizionato. Ecco perché quando pensiamo… sentiamo.

Black : Beh… guai se non sentissimo… ma che intendi dire?

White : Che forse… sentiamo in maniera distorta da quello che è, così che non potremmo mai scoprire il nuovo, se pensiamo, dal momento che, se il pensiero è anche come ho detto sopra, quel pensiero è il passato, non certo il nuovo, che non conosciamo, perché lo stiamo vivendo nel momento. Quindi si potrebbe dire che il pensiero è solo confronto tra ciò che accade e il passato.
Comprendere allora il pensiero è vedere anche quanto esso sia limitato, come possiamo allora conoscere l’illimitato? Quella ricercata serenità, gioia di vivere pienamente la Vita?

Black : Già mi sembra difficile… molti dicono addirittura impossibile all’umanità…

White : Che forse allora non esiste?

Black : Non saprei, ciò che posso fare è continuare a rifletterci sopra.

White : Allora forse è proprio in quella solitudine che possiamo scoprire l’ignoto, e quell’ignoto, il non conoscibile dal pensiero, può venire in essere, non perché lo pensiamo, ma perché è ciò che è… la Vita. Quindi nella solitudine e compagnia di noi stessi possiamo scoprire ciò che siamo. 

Black : Mi sembra che tu stia parlando di meditazione o introspezione… 

White : Ma và? Credo sia proprio ciò che stiamo facendo pur sembrando che non sia… per come molti credono debba essere.
E allora dal momento che temiamo ciò che siamo, per i nostri giudizi, che sono condizionamento, allora faremo di tutto per evitare quella solitudine, attraverso l’isolamento. Sembrano la stessa cosa ma sono profondamente diversi…

Black : Credo dipenda da cosa intendiamo con il termine “isolamento”… se intendi da noi stessi… sono d’accordo ed il discorso fila!

White : E quindi dagli altri…
Penso anche che comprendendo questa nostra inevitabile naturalità, possiamo forse sentire, scoprire, la Vita per quello che è e non per quello che vorremmo fosse, godendo di ciò che essa ci offre.

Black : Credo sarebbe infatti un gran bel passo in avanti… non possiamo certo negarci di essere quello che naturalmente siamo!

White : Il guerriero quindi, può appartenere ad un altro guerriero?

Black : Credo addirittura non potrebbe essere altrimenti!

White : Forse non perché lo voglia, ma perché comprende cosa sia l’appartenenza e per il fatto di averla compresa... il guerriero ne è libero e in quella libertà esiste semplicemente il guerriero e la...  persona speciale.

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