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ANCORA UNA ARTICOLO A FIRMA DEL DOTT. ENZO CELLINI SULLA POTENZA E SUL COMBATTIMENTO DEL KARATE. ECCOVI PER ALCUNI TRATTI IL SUO PERCORSO DI STUDIO, ALLA RICERCA DI RISPOSTE ALLE PROPRIE DOMANDE.

QUALE SENSO DARE ALL’ IPPON KUMITE?

 Di: Dott. Enzo Cellini da: www.irimi.it
(2a parte - Seguito dell'articolo "IL KUMITE")

Da quando ho iniziato a insegnare karate mi sono spesso chiesto, soprattutto dopo la morte del mio maestro Tetsuji Murakami, quale fosse per i praticanti dello Shotokai, l'impostazione giusta del lavoro a coppie ed in particolare nell'ippon-kumite.

Ho cercato di capire quale fosse il ruolo corretto di uchi-te e di uke-te per progredire sulla via giusta ottenendo la massima efficacia della tecnica. Per un certo numero di anni ho avuto l'impressione che il metodo adottato fosse arrivato per me ad un punto fermo; che il lavoro non mi permettesse più di progredire, se non esclusivamente da un punto di vista tecnico.

Questo non mi bastava, e da quando ho incominciato a leggere attentamente il libro del M° Shigeru Egami, "The Way of Karate-do", mi sono reso conto che il mio modo di lavorare nel ippon kumite non rispecchiava quello che veniva indicato nel libro dal maestro e che la tecnica doveva essere strettamente legata allo spirito.

Sono sempre stato convinto della giustezza della ricerca dell'armonia e dell'unità con il partner, che il M° Murakami ci indicava negli allenamenti, ed il senso profondo, interiore che M° Egami ha voluto dare alla pratica dello Shotokai, strettamente legata ad uno stile di vita improntato alla ricerca costante dell'armonia con se stessi, con il prossimo, con il mondo circostante e con l'universo; questo mi era sembrato il punto dal quale dovevo partire per tentare di trovare la soluzione ai miei dubbi.

Ho così provato diversi metodi di lavoro. La prima cosa, che dovevo eliminare per raggiungere l'unità e l'armonia con l'altro, era la tensione che inevitabilmente si creava quando si metteva davanti ad un altro; dove c'è uno attacca, e l'altro si deve difendere. Nello Shotokai è stabilito che l'attacco deve essere efficace, vero, per permettere così di studiare difese efficaci; il chudan oitsuki come tutti gli attacchi va portato almeno mezzo metro oltre il bersaglio e, quindi, la difesa, ad esempio gedan barai, se non ben eseguita non garantisce di evitare un colpo penetrante al plesso solare. Il metodo, che avevo sempre adottato fino a quel momento, era quello dove l'attaccante (uchi-te) stabiliva la partenza dell'azione. In questo modo mi sono allenato per molti anni, ma non riuscivo a capire da cosa dipendeva un certo mio disagio.

Attraverso una osservazione attenta e soprattutto attraverso la cosciente ricerca dell'armonia con il compagno, mi sono accorto che uno dei limiti di questo modo di lavorare era che uno dei due praticanti era in vantaggio rispetto all'altro. Questa non è, io penso, la situazione ideale per progredire insieme nell'allenamento.

La relazione tra i due purtroppo non forniva gli elementi essenziali per poter arrivare alla loro unione, ma li allontanava e li metteva su due livelli diversi.

Con questo modo di lavorare, chi attacca non esercita la sua concentrazione e comunicazione in modo tale da far aderire il suo spirito a quello dell'altro, in realtà il suo impegno è concentrato ad eseguire una buona tecnica di attacco penetrante, ed eventualmente di segnalare un eventuale errore in anticipo nella partenza da parte del difensore.

Egli non è assolutamente impegnato a muoversi con l'altro; non ne ha bisogno perché ha il vantaggio di essere lui a decidere la partenza dell'esercizio e di conseguenza non ha bisogno di accordarsi con l'altro; aprirsi verso il mondo esterno.

Chi invece deve eseguire la difesa, oltre a cercare di eseguire una buona tecnica in profondità, è intensamente impegnato a cercare di intuire, sentire, avvertire un qualche cosa che dovrebbe scaturire dall'altro, la sua intenzione, la sua volontà di attaccare.

Questo svantaggio non lo mette in condizioni di agire in armonia con l'altro, di aprirsi, ma uke-te giustamente, si deve difendere contro l'attacco dell'altro, per colmare lo svantaggio, ed istintivamente si "chiude". Ad un certo punto mi sono convinto che questo metodo non era un allenamento che portava all'unità, ma un esercizio di contrapposizione, dove gli uni e gli altri si respingevano, l'esatto contrario di "armonia", ognuno lavorava per conto proprio e contro l'altro.

Nel mio percorso di pratica, ho esaminato anche la possibilità di invertire i ruoli tra uchi-te e uke-te, e cioè stabilendo che colui che decideva la partenza dell'azione non era più l'attaccante ma il difensore. L'esercizio era così impostato: uchi-te in posizione zenkutsu era pronto all'attacco, ma doveva attaccare soltanto nel momento in cui riusciva a cogliere nell'altro un vuoto di concentrazione, una distrazione, o un qualsiasi segnale di cedimento spirituale.

Questo modo di lavorare mi è sembrato immediatamente di livello superiore, soprattutto perché l'impegno alla comunicazione di entrambi era maggiore, ed il rapporto tra i due era più livellato. L'attaccante nel suo nuovo ruolo non stabiliva più come prima la partenza, il suo attacco doveva scaturire da una comunicazione intensa nella ricerca di avvertire, di cogliere un vuoto nell'altro, in un certo senso era più portato ad aprirsi per percepire.

Chi si difendeva era anche egli intensamente impegnato a non dare l'occasione all'altro di attaccare, restando costantemente concentrato e presente in ogni istante, incollato all'altro, nella costante ricerca di non aprire un varco che l'altro avrebbe immediatamente colmato con un attacco.  

Per un pò di tempo questo metodo mi ha soddisfatto, ma ad un certo punto mi sono reso conto che anche in questa impostazione c'era un limite. Lavorando in questo modo, il livello della comunicazione di entrambi era sicuramente migliorato perché effettivamente veniva allenata molto più intensamente del primo metodo, ma anche con questo sistema si perdeva di vista l'obiettivo finale: la ricerca dell'armonia, e dell'unità con l'altro, l'attitudine ad aprirsi verso l'altro.

Mi sono accorto che anche con questa impostazione gli uni rimanevano contro gli altri, magari maggiormente concentrati, ma pur sempre in contrapposizione, chiusi.

Il compito dell'attaccante era quello di attaccare se l'altro sbagliava nel mantenere il suo ruolo, che consisteva nel conservare costante la sua concentrazione. In un lavoro di unione non devono esserci divisione dei ruoli. Quando si cerca l'armonia con il compagno, l'azione non deve essere causata soltanto da uno dei due, in questo caso la responsabilità dell'errore nella partenza è di uno solo.  

A mio avviso, nella ricerca dell'armonia con il partner, se c'è un errore di sincronia nella partenza, allora questo è di entrambi, che non sono stati capaci di muoversi insieme e non sono stati capaci di creare l'unione con l'altro.

Questo, secondo me, è un metodo per abbandonare la contrapposizione e scoprire un mondo di armonia, come diceva il M° Egami, ed aprirsi verso gli altri per poterli percepire.

Avevo quindi bisogno di trovare un metodo che sfruttasse il lavoro della comunicazione nel senso della unificazione tra i due, e l'unico modo che mi è sembrato idoneo per ottenere questo, dopo diversi tentativi era quello di stabilire che la partenza dell'azione non dovesse dipendere da nessuno dei due in particolare, ma da entrambi, in unione tra di loro.

Questo voleva dire che ognuno dei due si poneva completamente a disposizione dell'altro, pronto a percepire qualunque cambiamento, disponibile ad agire in qualsiasi momento, arrivando ad una sorta di annullamento del proprio "io". Nessuno doveva prendere l'iniziativa dell'azione, in questo modo ci si allena intensamente nella comunicazione in armonia con l'altro, nella ricerca costante di agire contemporaneamente, "insieme".

La comunicazione verso l'esterno così diventa il tema principale dell'esercizio, e l'azione scaturirà da questa relazione intensa che si stabilisce tra i due facendo progredire il livello di sensibilità alla percezione e alla presenza dell'altro in un modo nuovo. Soltanto da una comunicazione di questo tipo dovrà poi scaturire l'azione, e la tecnica: un attacco pesante, oltre il bersaglio, e una difesa necessariamente efficace, almeno quanto lo sarà l'attacco.

Questo tipo di allenamento abitua l'allievo all'idea che per essere capaci di percepire il compagno bisogna aprirsi e non chiudersi, sapersi sintonizzare in armonia con lui e non porsi in contrapposizione, diventa un allenamento "con" e non "contro" l'altro.

A questo punto non ha molta importanza se di fronte a noi c'è un compagno che cerca di armonizzare con noi o un nemico che ci vuole uccidere. Se il nostro allenamento è costantemente orientato alla ricerca dell'armonia, sapremo sempre far aderire il nostro spirito con quello dell'altro, percepire e anticipare le sue intenzioni, ed il nostro livello di sensibilità ci permetterà di avvertire in modo ancora più evidente l'aggressività e la tensione intorno a noi, saremo allora pronti ad agire nel modo giusto, nel momento giusto, alla giusta distanza e grazie alla meditazione con uno stato interiore giusto.

Nell'allenamento l'atteggiamento mentale cambia a secondo del metodo adottato, nella contrapposizione è inevitabile che scatti il meccanismo naturale della aggressività, perché bisogna vincere e per poterlo fare l'unico modo è quello di combattere, questo schema mentale non forma il praticante all'idea che in un confronto, come nella vita, è possibile vincere senza combattere, e che la vera vittoria sta nel realizzare l'unità con l'avversario fino al superamento del combattimento stesso.

Soltanto dalla collaborazione e dall'armonia possiamo progredire insieme verso l'efficacia profonda della tecnica rispettando così il compito che lo Shotokai ci assegna. Ritengo che noi dobbiamo cercare di capire e ripercorrere il sentiero già tracciato dai maestri Murakami e Egami : "la via del karate-do superiore", dove la coscienza e lo spirito si fondono insieme alla tecnica in un gesto armonico per rappresentare il "ki", l'energia universale.

Il M° Egami, percorrendo la via dell'armonia, ha raggiunto nel corso della sua vita il livello più alto raggiungibile nelle tecniche di combattimento: il "Toate".


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