Un altro
interessante articolo sul guerriero e di come egli doveva conoscere e allenare
per combattere non solo tecniche a mani nude o con armi, ma anche educare la
propria mente al combattimento. L'autore ci introduce il concetto di centro che
sembra permettere la guerriero di poter ottenere le massime prestazioni in una
situazione di scontro
HARAGEI
La teoria della centralizzazione
Il
guerriero giapponese doveva essere pronto ad affrontare la morte ogni giorno
della sua vita.
Disporre di metodi di combattimento estremamente elaborati o
di armi ben equilibrate e di ottima fattura non eIn ra certo sufficiente.
Ciò che era veramente importante era la capacità di valutare
una determinata situazione e di reagire in maniera immediata, fredda ed efficace
ai pericoli che egli avrebbe potuto incontrare.
Così, oltre all'allenamento fisico allo scontro, venne da
sempre posta grande enfasi su tutti quei metodi, fossero essi di derivazione
religiosa o filosofica, considerati in grado di addestrare la mente e di
garantire quel controllo interiore necessario ad affrontare il combattimento.
I maestri che, nel dojo, affiancavano ai metodi di istruzione
marziale esercizi mentali tratti dalle discipline dell'illuminazione, finirono
per adattarli alle proprie particolari esigenze togliendo loro qualsiasi
connotazione religiosa, filosofica o eugenica.
I
due concetti comuni su cui si basarono pressoché tutti i metodi sono l'energia
universale - Ki - ed il concetto di centro addominale -
hara - che, insieme, diedero origine ad una vera e propria arte,
l'haragei, che contribuì, con il supporto ideologico del
Bushido (di cui parleremo sul prossimo numero), alla formazione della
personalità impassibile ed inflessibile che rese famoso il guerriero giapponese.
Il concetto di centro è il fulcro di tutte le discipline
asiatiche dell'illuminazione e può essere visto come l'antidoto alla dipendenza
dell'uomo dalla sofferenza e dalla varietà dei fenomeni non essenziali. Il
centro è il punto dove il caos diventa armonia, dove l'individuale e
l'universale si fondono, dove la confusione diventa chiarezza e serenità.
Ogni corrente religioso-filosofica ha posto enfasi su un
concetto specifico di centro, così il buddhismo ha utilizzato la
centralizzazione del basso ventre come metodo meditativo ed introspettivo volto
alla conoscenza di se stessi, il taoismo ha considerato il centro come massima
integrazione tra il singolo e l'universo e il confucianesimo come punto di
incontro e collaborazione tra due o più esseri umani.
In realtà queste sono state considerate solo diverse
manifestazioni di uno stesso centro.
La
meditazione in posizione immobile fu uno degli esercizi più frequentemente
praticati da monaci, artisti e guerrieri per coltivare una corretta
centralizzazione di se stessi finalizzata a poter vivere appieno il proprio
ruolo sociale.
L'elemento che influenzò maggiormente il guerriero giapponese
fu la scoperta che, attraverso i metodi di centralizzazione era possibile
raggiungere un tale livello di coordinazione mente-corpo capace di sprigionare
una forma energetica molto più intensa di quella prodotta dal solo sistema
muscolare.
Questa energia vitale, generata dalla centralizzazione
addominale, è ben conosciuta in tutte le discipline asiatiche come «essenza
della vita» o «respiro vitale» e
viene chiamata ki in giapponese, ch'i in cinese e prana in sanscrito.
Un tentativo di superare i problemi dell'esistenza attraverso
la centralizzazione addominale e lo sviluppo di energia vitale diede origine,
come già accennato, all'arte dell'haragei: la capacità di restare distaccati
dagli eventi terreni, morte compresa, per raggiungere un altissimo livello di
comunicazione e per poter valutare la realtà con chiarezza e impareggiabile
serenità.
Una
delle espressioni dell'haragei che colpì maggiormente i guerrieri giapponesi fu
l'impassibilità di fronte alla morte dimostrata in più occasione dai monaci
uccisi nel corso delle battaglie dei clan di Nobunaga ed Hideyoshi.
L'atteggiamento mentale dei religiosi interpretato come
coraggio incrollabile e disprezzo per la morte da parte dei militari rispondeva
appieno all'esigenza di equilibrio interno tanto ricercato dai bushi impegnati
nella realtà caotica del combattimento.
Per i monaci però anche il coraggio e il disprezzo per la
morte erano e sono solo aspetti emotivi di una realtà uniforme ... così la morte
in un incendio o l'uccisione con la spada erano sostanzialmente identiche a
qualsiasi altro tipo di morte, compresa la serena morte nel sonno ... e la
morte, come tutte le altre realtà fa parte della vita.
Monaci e guerrieri , seppur con fini e per strade diverse,
hanno perseguito l'ideale dell'haragei prendendo dalla teoria quei concetti
necessari a soddisfare le proprie esigenze specifiche.
Allo stesso ideale hanno attinto anche le scuole di arti
marziali tradizionali incorporando quegli aspetti e quei concetti in grado di
fornire una base di controllo e di sviluppo dell'energia interiore in grado di
stimolare azioni efficaci in una situazione di combattimento.
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