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Jeet Kune Do

JKD, UN ANIMALE PARTICOLARE

di Roberto Bonomelli

Cos'è il jeet-kune-do? Se ascoltate o leggete le risposte date a questa domanda vi rendete conto che c'è bisogno di chiarezza. Nel nostro Paese tanto aumenta il numero di chi sostiene di insegnare JKD quanto cresce la confusione. L'incomprensione generale mi spinge a tornare sull'argomento.

C'è chi pensa si tratti di kickboxing con qualcosa aggiunto. Oppure di wing-chun modificato. O, è il caso peggiore, di un'accozzaglia di stili non ben definita.

Una cosa è certa, alla fine degli anni Sessanta e inizio dei Settanta gli allievi di Bruce Lee praticavano il combattimento a full-contact con tutto ciò che questo comporta. Dunque: ottima preparazione fisica, impiego dei pesi, del sacco e della corda da pugile... adattavano l'attrezzatura del football americano per allenare i colpi a pieno contatto (Dan Inosanto inventò il primo scudo per i calci!). Impiegavano protezioni sulle mani e sul corpo (vedi la dimostrazione di Long-Beach, 1964). Nonostante alcuni campioni di quei tempi si ispirarono alle idee di quel vulcanico cinese, che in questo senso è stato il precursore della kickboxing, il jeet-kune-do non ha mai voluto essere uno sport da ring. La difesa personale, il confronto totale, resta il punto focale per il praticante di JKD.

Non solo nella filosofia ma anche nella tecnica si fanno evidenti le diversità. La guardia di un pugile o un kickboxer insegna a tenere il "braccio debole" davanti, quindi a usare il jab per preparare la strada al colpo più potente, cioè il cross. Dato che il lato forte, il destro, assicura naturalmente movimenti più coordinati, precisi, la guardia del JKD preferisce mantenerlo avanti, cioè più vicino al bersaglio. Inoltre, il sinistro può così incrementare la sua potenza grazie alla rotazione dell'anca. Se poi aggiungiamo il fatto che jeet-kune-do è "la via del pugno che intercetta", il significato della mano forte (lead-hand) e della gamba forte (lead-leg) appare chiaro. Il praticante di JKD vuole concludere lo scontro il più velocemente possibile... Non vuole scambiare colpi con l'avversario o lavorare progressivamente con il trascorrere dei round. Esattamente l'opposto della strategia da ring.

Per risolvere il jeet-kune-do intercetta l'azione dell'aggressore, spesso accorcia la distanza per cominciare un fuoco a raffica che impiega i pugni a catena (straight-blast, eseguiti in maniera "non classica"), ma anche colpi della boxe come ganci molto corti (shovel-hook, usati con potenza distruttiva da Jack Dempsey), gomiti e ginocchia d'ispirazione tailandese. Il trapping è una necessità. Solo se l'avversario blocca l'azione di pugno viene impiegato pak-sao, lop-sao o jut-sao, per poi tornare a colpire, cioè l'aspetto più importante per il jeet-kune-do. Quindi, il JKD applica alcuni dei principi del wing-chun, ma non è wing-chun. Come abbiamo già accennato il trapping non è certo l'aspetto principale del jeet-kune-do. Nell'ultimo periodo della vita di Bruce Lee solo poche e incisive tecniche di intrappolamento facevano parte dei suoi allenamenti. Non possiamo sapere quale evoluzione avrebbe avuto la sua non arte o se fosse rimasto in vita. Una cosa è certa, il processo di liberazione aveva portato Jun Fan Lee a sfrondare molte tecniche complesse e a relegare importanza minore al chi-sao. Ciò non significa che la cosiddetta sensibilità non ha importanza nel corpo a corpo, ma che il fondatore del jkd metteva le sue energie nel risolvere anche altre distanze del combattimento. Molta attenzione era dedicata al footwork, agli spostamenti. Quindi, alla chiusura della distanza dall'avversario. Nonché ai cinque metodi d'attacco. Soprattutto all'anticipo dell'intenzione violenta. E poi a fluire da una situazione all'altra in maniera logica, economica e dunque funzionale.

Proprio in considerazione della possibilità di trovarsi corpo a corpo, Bruce Lee fin dai tempi di Seattle aveva introdotto elementi di grappling, ovvero leve articolari e strangolamenti. Certo il jeet-kune-do non era un sistema di combattimento che mirava a lottare (non dimentichiamoci che colpire è la regola aurea del jkd!). Ma si possono ancora riconoscere tecniche rielaborate di chin-na cinese e ju-jitsu giapponese sia in difesa dall'avversario che afferra, invece di parare, sia come conclusione a un'azione di trapping. Anche le proiezioni di judo e lotta, riadattate con gli abiti di tutti i giorni, trovano il loro momento opportuno una volta passata la guardia dell'avversario.

Si-joo Bruce aveva anticipato i tempi anche nel trovare soluzioni all'attacco di un grappler cosa impensabile negli anni Sessanta dato che non vi era alcuna sovrapposizione tra il mondo delle arti marziali asiatiche e quello degli sport occidentali del combattimento come la lotta e il pugilato.

Spingendo in avanti il corpo, il direttore tecnico Akea fa esplodere il contrattacco in trapping dal basso verso l’alto: pak-sao sinistro e gua-chuie destro

L’esperto milanese di jeet kune do abbassa la linea di fuoco con uno shovel-hook, un gancio corto, portato al basso ventre o all’inguine 

PER INFORMAZIONI:

www.akea.it il punto d’incontro per la qualità delle arti marziali

Info@akea.it , 338 9572382


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