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Psicologia

GIA’ DA MOLTO TEMPO SI SENTE PARLARE DI QUESTA NUOVA BRANCA DELLA PSICOLOGIA, OLTRETUTTO DA PARECCHIO TEMPO GIA’ APPLICATA AGLI SPORT PIU’ IN VOGA E RICCHI. ANCHE NEL NOSTRO AMBIENTE, NON C’E’ STAGE FEDERALE DI AGGIORNAMENTO PER INSEGNANTI CHE NON CONTEMPLI UNA SEZIONE TEORICA DEDICATA A QUESTO ARGOMENTO. ABBIAMO CHIESTO A FEDERICO FRAGALE DI SPIEGARCI IL PIU’ SEMPLICEMENTE POSSIBILE DI COSA SI TRATTA. PER AIUTARCI A  CAPIRE CHE COSA E’, COME FUNZIONA, MOSTRARCI QUALCHE TECNICA E COME POTREMMO BENEFICIARNE NELLO SPECIFICO ANCHE NELLE NOSTRE DISCIPLINE.

LA PSICOLOGIA DELLO SPORT ATTUATA COME PARTE INTEGRANTE DELL’ALLENAMENTO DEL KICK BOXER

Di: Federico Fragale

Credo proprio che noi tutti ci stiamo accorgendo, forse anche in modo sempre più frequente, che il risultato della prestazione fisica (sia questa in gara o in allenamento) è sempre più legata anche alla nostra “psiche”, oltre che alle nostre qualità fisiche. Quante volte abbiamo sentito o ci siamo sentiti dire: “peccato, avevi una buona preparazione, ma non ci hai creduto fino in fondo”… oppure: “ non avevi la testa” o ancora: “hai perso la concentrazione…” e chi più ne ha più ne metta!

E questo mentre, credo, tutti noi osserviamo come stia prendendo sempre più piede nei team più professionali la psicologia dello sport, considerata persino come parte integrante dell’allenamento dell’atleta agonista professionista, al fine di ottimizzare al massimo la sua performance.

Questa scienza, già largamente attuata anche in molti altri Paesi, ha il compito di valutare ed assistere gli atleti di ogni livello per mezzo di una valutazione psicologica che tiene conto di molteplici fattori. Difatti, attraverso un preciso percorso, si individuano i punti di forza ed aree di miglioramento delle abilità mentali, si verificano le strategie mentali normalmente utilizzate dall’atleta di fronte a determinate situazioni di stress e si  traducono le aspettative dell’atleta (per quanto riguarda la preparazione mentale) in obiettivi realistici.

Psicologia dello sport… che cosa è?

Credo che possiamo definire la psicologia dello sport come una vasta corrente di pensiero, coadiuvata da diverse dottrine scientifiche ed in stretta relazione tra loro (psicologia, medicina, sociologia, pedagogia, filosofia, educazione fisica, riabilitazione, ecc) le quali studiano i fattori mentali e psicologici che influenzano e sono influenzati dalla partecipazione e dalla prestazione nello sport, nell'esercizio e nell'attività fisica in generale.

Il problema che notiamo si riscontra maggiormente oggigiorno è il tipo di “pensiero” che possa avere un individuo. Vi sono, per esempio, individui con un pensiero pessimistico, un esempio può essere la “sindrome dell’insuccesso” o del fallimento, ed è stato riscontrato in numerosi studi ed esperimenti compiuti che qualsiasi progetto essi facciano, sarà destinato a fallire, o meglio… a non avere successo, proprio perché si instaurano nella mente inconscia questi complicati servomeccanismi “auto-lesivi” che difficilmente riusciamo da soli a riconoscere e quindi a debellare.

Come dovremmo operare?

Non è certo semplice rispondere a questa elementare e legittima domanda e non sono certo io la persona autorizzata ed in grado di farlo con piena autorevolezza e scientificità… ma tenterò di esporre la mia opinione costruita sulla lettura di diversi testi specifici sull’argomento… nella speranza di accendere la curiosità dei lettori, in modo che poi ognuno, per proprio conto, possa sentire il desiderio e bisogno di approfondire a sua volta le proprie conoscenze sul tema, con libri sicuramente più attendibili della mia modesta e personale opinione.

Predisposizione al pensiero positivo

Per prima cosa, credo che dovremmo fare una vera e propria preparazione mentale, che ci predisponga, imposti ed indirizzi verso il pensiero positivo, che ci spianerà la strada e ridurrà i tempi di percorso verso il successo di qualsiasi nostro progetto.

Un esempio semplice, per meglio tentare di iniziare a comprendere questi due tipi di pensiero, potrebbe essere quello di porre la solita e semplice domanda a più persone:

Alla fatidica domanda riguardo a quale parte del bicchiere si guardi più spesso, non tutti (quelli capaci di rispondere sinceramente… ma è una metafora) rispondono il "bicchiere mezzo pieno". Una buona parte delle persone, infatti, tende a porre maggior attenzione al negativo ("bicchiere mezzo vuoto"). Sembrerà una banalità, potreste pensare che sia solo un caso e  non sia detto che….. ma il più delle volte diventa inevitabilmente un'abitudine per molti insoddisfatti o scontenti della propria situazione. (in questa società del successo, parrebbe che accontentarsi… sia una brutta cosa) Essendo e volendo essere ancora più precisi, vi sono individui che, affacciandosi alla vita, guardano o cercano di scorgerne le cose più piacevoli e chi, invece, al contrario, guarda e scorge solo le cose più spiacevoli. (magari tentando di sfuggirne) Il perché di tale realtà è certamente da ricercare su piani psicologici e sulla base delle esperienze di vita che l’individuo ha fatto fino ad ora che, andando avanti e a seconda di cosa gli riserverà la vita, troverà o no conferme, in base al proprio sviluppo e assetto mentale che si è (in modo del tutto naturale) predisposto. Col pensiero positivo, si sente spesso dire che non ci si nasce, ma credo proprio che questo sia insito in ognuno di noi, in alcune persone è più chiaro ed evidente, in altre è molto ridotto e va ricercato, estrapolato, potenziato e riformato. Questa forma di pensiero, ancora prima di essere una tecnica di preparazione mentale, credo sia addirittura una filosofia di vita!

La tecnica

Solitamente, per iniziare ad effettuarne la pratica, si legge che lo psicologo sportivo deve stabilire un legame con l’atleta e conoscerlo molto bene, esaminando quanta predisposizione al pensiero positivo possiede, le sue interpretazioni circa le motivazioni di una eventuale vittoria o sconfitta (dovuta a: fatalità, fortuna, bravura…) ed iniziare a valutare se l’atleta possiede o meno una buona e sufficiente autostima. Normalmente si inizia a cercare nell’atleta quello che di lui stesso pensa sia positivo e si cerca di “tirarlo fuori: è una sorta di allenamento continuo, inibire i pensieri scuri (negativi), favorendo i chiari (positivi). All’inizio è difficile, ma come ogni cosa, dopo un po’ di allenamento e costanza, diventa una cosa naturale. Si dice, inoltre, che i pensieri positivi (come quelli negativi) siano una cosa “contagiosa” ed automaticamente questa cosa si rispecchierà (una volta che l’atleta avrà imparato ad usufruirne con successo) su tutti gli altri compagni.

Gli Obbiettivi

Goal Setting

Si legge, inoltre, che nella fase della preparazione mentale dobbiamo prefiggerci (come in ogni cosa) degli obiettivi; questi possono essere:

OGGETTIVI: cioè misurabili, vincere un determinato numero di combattimenti, scendere di peso per rientrare in categoria, ecc…)

SOGGETTIVI: non misurabili (divertirsi, compiere il gesto tecnico il più preciso possibile, ecc …)

Inoltre, questi possono essere indirizzati:

  • al risultato: vincere una gara;

  • al miglioramento della performance;

Inoltre possono essere indirizzati:

  1. sul piano individuale (per esempio al miglioramento di resistenza, velocità, esecuzione del gesto tecnico…)

  2. del team (cioè di squadra, lavorando su tattiche, strategie, comportamenti).

Pianificando i goal settings (quindi gli obiettivi) questi devono essere necessariamente:

  • Specifici (pianificando cosa deve essere fatto);

  • Realistici (alla portata delle nostre capacità);

  • Valutabili (potendo quantificare gli obiettivi);

  • Timely (mettendo una scadenza per raggiungere determinati obiettivi a breve-medio – lungo termine);

  • Strategici (se facciamo parte di una squadra, con suggerimenti  tecnico-tattici).

Vi possono essere dei momenti meno consoni al raggiungimento dei goal prestabiliti; questi devono essere individuati e possono essere di tipo:

  • Psicologico (mancanza di sicurezza o di impegno);

  • Motivazionale (perdita di interesse);

  • Fisico (infortuni, malattie);

  • Esterno (variabilità atmosferica, problemi familiari).

Modelli di allenamento (training) mentale

Training propriocettivo

Lo scopo di questo obiettivo è quello di far apprendere e affinare nell’atleta le capacità di autoispezione e autopercezione del proprio corpo. Come in altri articoli si è parlato dell’importanza di saper ascoltare il proprio corpo tramite i “campanelli di allarme”, soprattutto durante il lavoro fisico, possiamo farlo (anche se è più difficile) da una situazione di completo riposo. Innanzitutto, diciamo che dovremmo stare in un ambiente privo di distrazioni, con luce non troppo forte, ben areato e privo di qualsiasi rumore esterno. La “lingua” del nostro corpo sarà: la frequenza cardiaca, il ritmo della respirazione, postura che abbiamo al momento di questa autoispezione, partendo da un’estremità del corpo all’altra, percepire la propria massa corporea e muscolare, forza, potenza, calore, pesantezza. Questi sono tutti punti da sviluppare ed imparare a saper ricercare e trovare dentro di noi. Il nostro organismo (macchina alquanto complessa) non smette mai di comunicare, come se fosse quasi una persona logorroica, quindi sarebbe inutile ascoltarlo solo in caso di dolore, fatica o di un non perfetto svolgimento delle attività funzionali e fisiologiche. “Programmare” l’atleta a fare una buona autoispezione di se stesso favorisce un maggior controllo del movimento (conoscendo ancora di più se stesso); di conseguenza, egli acquisisce maggior sicurezza nei movimenti specifici, da attuare per esempio in combattimento.

Concentrazione

E’ questo un altro punto importantissimo da sviluppare, per saperla e poterla utilizzare al momento opportuno. Esistono due tipi di concentrazione:

1)Attenzione spontanea: cioè quella naturale, che è catturata da quello che si muove nell’ambiente esterno attorno all’atleta;

2)Attenzione volontaria: focalizzata su un determinato stimolo: è proprio questa dobbiamo sviluppare e ottimizzare per la maggior performance nella gara.

Il modello riguardante l’attenzione è stato studiato a lungo, e ne è emerso un modello che vediamo rappresentato in figura.

Illustrando e commentando la figura, possiamo schematizzare i livelli di attenzione. Questi possono essere:

esterno ampio (tipico dei giochi di squadra);

esterno ristretto (tipico delle singole discipline)

interno ampio (pianificaz. di gara o varie pause nella stessa);

interno ristretto (allenamento ideomotorio).

Un buon controllo della concentrazione, tramite allenamento mentale, permette di incrementare il livello di selezionare stimoli su cui vogliamo focalizzare l’attenzione. Questo ci permetterebbe di dirigere e mantenere l’attenzione solo sugli stimoli più importanti. La tecnica per affinarla sono le esercitazioni attraverso il training propriocettivo visto precedentemente.

 

Il Rilassamento

Ecco un altro punto di “vitale” importanza per un atleta, sia nel periodo pre-gara, che in quello di gara e post-gara. L’obiettivo di questo aspetto è quello di saper gestire gli stati d’ansia, al fine di gestire gli stress e la tensione psico-fisica. Vi sono molti metodi per ottenere una buon rilassamento: dal training autogeno, al rilassamento di Jacobson, yoga, zen, ecc. Per effettuare un buon rilassamento dobbiamo tener presente tre fasi da sviluppare e successivamente abbinare tra loro:

  1. Esercizi di contrazione-decontrazione di alcuni gruppi muscolari, mantenendoli in tensione isometrica per alcuni secondi e successivamente rilasciarli;

  2. Concentrarsi sulla frequenza respiratoria, cercando di diminuirla, con inspirazioni brevi ed espirazioni lente, con movimento diaframmatico e respirazione addominale. Difatti. una respirazione lenta segnala al cervello un momento di tranquillità, con conseguente diminuzione delle funzioni vitali; al contrario, se avessimo una respirazione veloce e frequente, il cervello interpreterebbe lo stimolo come una situazione di pericolo, non ideale quindi per rilassarsi;

  3. Abbinare gli esercizi di contrazione-decontrazione muscolare alla respirazione: partendo dalla parte bassa del corpo, inspirando si contrae la muscolatura ed espirando la si rilassa.

Visualizzazione

Questa fase possiamo definirla come l’immaginazione della parte specifica dell’allenamento o della gara. Questa capacità non è uguale da individuo a individuo, c’è chi più riesce ad immaginare sequenze dei momenti particolari e chi invece deve ed ha bisogno di essere guidato dall’esterno per riuscire in questo. Solitamente la parte guidata, per esempio nella preparazione all’incontro, deve essere il più ricca possibile di immagini, ma dobbiamo anche immaginare attraverso gli altri sensi, il tatto, l’udito e l’ olfatto. Partendo da una base di rilassamento, si guidano gli atleti nella rappresentazione mentale di immagini visive. Queste dovranno essere dapprima semplici ed in seguito anche più complesse. Ma facciamo un esempio pratico e che ci riguarda più da vicino, come la preparazione mentale alla concentrazione ottimale, mediante la visualizzazione del combattimento che si svolgerà di li a poco:

  1. Immaginiamo il luogo della scena, e tutto quello che c’è intorno al ring, persone, bambini … ecc.;

  2. Immaginiamo di iniziare a sentire anche l’odore dell’olio scaldamuscoli, diffuso nell’ambiente;

  3. Immaginiamo gli attimi che seguono, subito dopo l’uscita dagli spogliatoi, fino a salire sul ring;

  4. Iniziamo a vedere una prima fase del combattimento, che si vorrà fare: di studio, di attacco, di rimessa,  fino ad arrivare persino all’esito del combattimento;

  5. Inizieremo a “saggiare” anche i colpi dell’avversario, che non ci impressioneranno più di tanto; (non perché siano leggeri…ma perché ci troveranno coperti, ben impostati e pronti)

  6. Inizieremo quindi ad immaginare di riuscire a prestar attenzione anche ai consigli che ci vengono impartiti dall’angolo, riguardo a strategie e tattiche da applicare.

Tutto questo come se stessimo girando un film, il cui regista e protagonista principale siamo noi e, di conseguenza, abbiamo poteri decisionali su come girare le scene e l’intero esito del film. La stessa sequenza può essere riservata anche solo in allenamento, per ripassare o per prepararsi a lavorare determinate tecniche specifiche da migliorare. Comunque, tale progressione si dovrebbe ripetere non meno di 2 volte a sessione, per la durata di 5-10 minuti.

Self-Talk

(Tradotto alla lettera : ascoltare se stessi)

Questo è un altro punto che dovremmo impostare dentro noi stessi e registrare, come se fossimo un apparecchio elettronico. Gli atleti giunti ad un buon livello di auto-rilassamento possono richiamare alla mente e memorizzare immagini che richiamino un effetto positivo sull’atleta e lo carichino di energia, in vista dell’impegno sportivo. Stessa cosa vale per alcune parole chiave riguardanti l’umore (singole parole a forte contenuto affettivo-emotivo) e affermazioni positive (parole e concetto particolarmente importante). Dobbiamo impostarci, quindi, con dei promemoria psicologici (detti anche “ancore”) che consistono in simboli o parole chiave che richiamino determinate sensazioni e stati psicologici altamente positivi e soprattutto produttivi.

Allenamento Ideomotorio

E’ un allenamento di rappresentazione mentale dell’azione o del gesto tecnico specifico ripetuto più volte, senza che vi sia un esecuzione visibile esternamente. Questo tipo di allenamento facilita l’apprendimento del movimento e ottimizza l’esecuzione motoria. In pratica, si definisce la sequenza motoria su cui lavorare, si procede poi, in parallelo all’allenamento pratico, con la  ripetizione a livello immaginativo. La sequenza ideomotoria deve essere ripetuta da tre a cinque volte; nel caso si noti un calo della concentrazione, va interrotta immediatamente, sostituendola  e continuata con la parte pratica.

Autonomizzazione delle strategie

L’obiettivo principale della preparazione mentale è quello di rendere autonomo l’atleta. Per arrivare a questo certamente può non essere sufficiente leggere questo mio semplice e sommario articolo, ma ci vogliono anni di allenamento, sia fisico che soprattutto mentale. Difatti, saper gestire la propria mente sul pensiero positivo, sapersi concentrare, ascoltare il proprio corpo, rilassarsi, sapere usufruire della visualizzazione ideomotoria… non è così semplice come bere un caffè. Ma potremmo, per esempio, iniziare a considerare che, comunque, questi sono gli strumenti per ottimizzare ed imparare ad usare le nostre energie più profonde, che magari prima non sapevamo neppure di avere. (es. di pensiero positivo) Si dice che al termine della preparazione mentale, dopo qualche anno, l’atleta avrà acquisito tutte quelle nozioni per poter gestire al meglio tutto il periodo della preparazione ad un grande evento. questo attiverà, poi, altre nozioni nei momenti antecedenti la gara, altre durante la gara stessa ed altre ancora nel post gara.

Ma come comportarsi, allora, al momento della gara?

Il periodo di preparazione si divide in 3 momenti:

  1. periodo di pre-gara;

  2. periodo di gara;

  3. periodo del post gara.

 1)- Pre-gara

Solitamente, gli allenamenti si interrompono 48 ore prima della gara, per dare modo all’organismo di “ricompattarsi”: recuperare e ripristinare le scorte di glicogeno nei muscoli, ricostruire la muscolatura distrutta durante l’esercizio, staccare per un po,’ soprattutto mentalmente, dalla routine di allenamento giornaliero.  Le sensazioni che ciascun atleta prova nelle ore che precedono la gara sono diverse, differenti e personali, ma tutte accomunate dal loro graduale crescere di intensità, mano a mano che si avvicina il momento d'inizio. A seconda della modalità di gestione che attueremo su queste sensazioni, il loro esito può essere deleterio per la massima prestazione. Vi è mai capitato di sentirvi pronti e belli carichi molto prima di salire sul ring e, una volta saliti… sentirvi invece scarichi? Il modello della "U" rovesciata (Yerkes & Dodson, 1908) può aiutare a capire ciò che succede in questa situazione:

Notiamo nel grafico che vi è un picco di attivazione delle sensazioni pre-gara, quali: concentrazione, vigore, motivazione… ma, come in tutte le salite, dopo ci sono discese…

Ma, allora, come facciamo ad arrivare pronti al momento della gara ed al massimo di questo picco?

Per rispondere a questa domanda con esito positivo abbiamo  bisogno di pianificare un allenamento mentale personalizzato, in base alle peculiarità dell’atleta in esame.

Ne riportiamo un modello che ci indica (nel momento pre-gara) quanto tempo prima dell’evento dobbiamo iniziare a fare training mentale e quale tipologia dobbiamo utilizzare.

Tempo prima

Situazione

Tecnica Mentale
dell'evento

24 ore

- in viaggio o in casa

- hotel o casa

- in trasferta controllo

- ascolto tape personale

- self-talk positivo
- focus attentivo ampio
-rilassamento
-concentrazione 50%
-sequenze di gara con avversari senza faccia

Notte
Precedente
Gara

- a letto prima di dormire

- ascolto tape personale

-visualizzazione avversari
con faccia
- respirazione
- rilassamento
-self-talk positivo
-focus attentivo ampio
-concentrazione 50%
(100% nella visualizzazione)

5/6 ore
prima

-sul campo di gara shootting around,
tiri, pratice/strategy

-rilassamento
- restringimento focus att.
pratice/strategy
-60%concentrazione
-visualizzazione
-self-talk positivo

4 ore
prima

-pasto pregara

- rilassamento
- restringimento focus att.
- 70% concentrazione
-self-talk positivo

2 ore

- preparazione prima del trasferimento

- self-talk positivo
- visualizzazione
- rilassamento
- restringimento focus att

1 ora
prima

- ascolta tape personale
- tappino + uniforme

- self-talk positivo
- visualizzazione
- focus attentivo ristretto
- 80% concentrazione

30-40 minuti
prima

-completamento checklist -stretching

- rilassamento
- visualizzazione
- self-talk positivo
- respirazione
- focus att. sempre più ristretto

10 minuti
prima

- ultime istruzioni del coach

- self talk positivo
- concentrazione
- focus att. molto ristretto

2 minuti
prima

- ultima istruzione del coach

- respirazione corretta
- concentrazione 100%
- focus att. molto ristretto
- visualizzazione
- self talk positivo

pronti a
partire

- prendere posizione

- self talk positivo
-concentrazione 100%
- respirazione

La Gara

Se proviamo a chiedere ad un qualsiasi atleta (sia che questo non conosca le tecniche di allenamento mentali o, a maggior ragione, le conosca) quale sia stata la sua performance più bella e perchè, questi ci risponderà in modo esauriente circa quali fossero le sue precise sensazioni prima, durante e dopo la gara, nonché di come fosse l’ambiente, di quanto pubblico c’era e si ricorderà anche qualche volto che gli sarà rimasto impresso nella mente, in seguito a determinate sensazioni personali che ha avuto. Possiamo affermare, quindi, che queste non possono essere che sensazioni altamente positive e che gli rimarranno scolpite nella memoria. Ma cosa è successo all’interno del suo status? L’atleta ha sperimentato delle sensazioni altamente gratificanti, nuove, mai percepite prima di allora, che hanno reso quella esperienza di gara… diversa da tutte le altre.

Ci sono dei precisi “status” che interagiscono sulla mente, e prendono il nome di:

Flow: per quello status in cui si è immersi in ciò che stiamo facendo, dove tutto il resto passa in secondo piano, possiamo definirlo come l'esperienza ottimale che da motivazione e grande soddisfazione. E' caratterizzato da un equilibrio tra sfida ed abilità, unione tra azione e coscienza, mete chiare, feedback immediato, concentrazione sul compito, senso di controllo, perdita della autoconsapevolezza, destrutturazione del tempo.

Peak Performance: E' una prestazione superiore allo standard individuale ed è caratterizzata da forti contenuti emozionali di gioia e di profondo appagamento. E' caratterizzata da un focus attentivo chiaro, alto livello di performance, iniziale fascino per il compito, spontaneità, forte senso di sé.

Questi due status sono strettamente legati tra loro, come vediamo nella rappresentazione grafica:

Al momento opportuno, dobbiamo essere in grado di ricreare le condizioni mentali, in modo che l’atleta possa ri-sperimentare uno stato di Flow con la conseguente maggior probabilità di effettuare poi una Peak Performance, attraverso la visualizzazione, concentrazione, propriocettività, allenamento ideomotorio.

E… il post-gara?

Quando concludiamo l’incontro, qualsiasi sia stato l’esito del risultato, vinto o perso, fatto sta che l’adrenalina inizia velocemente a calare. Solitamente, non appena troviamo un attimo per noi, per esempio sotto la doccia, iniziamo automaticamente a rivedere le fasi salienti dell’incontro ed a cercare di classificarle in bene o in male, come per chiudere un capitolo. In questi momenti dobbiamo evitare di essere troppo critici con noi stessi: dovremmo invece cercare di farci sempre e solamente una sola domanda: ho dato il meglio di me stesso? Riconoscendo di averlo fatto oppure no, l’esperienza insegna che “il massimo”… prima o poi lo si impara a dare e, se riconosciamo di averlo fatto, dobbiamo quindi giungere alla serenità, in qualunque caso ed esito finale.

Il coach

Un altro fattore importante, anche se questa volta non riguarda l’atleta, è il confronto con il maestro o con il coach. In questa occasione, questa volta è il coach che, prima di parlare, dovrebbe se non ringraziare, fare anche un semplice applauso all’atleta (questo vuol dire molto) guardandolo negli occhi. Di motivi per esprimere soddisfazione ce ne sono sempre moltissimi. In questa maniera, la comunicazione ha buone probabilità di essere efficace. Le parole, avranno l'effetto desiderato e non lederanno la dignità di nessuno. Con queste premesse, si può parlare, contestare, asserire, disconfermare… e  certamente, in ultimo, si arriverà ad una conclusione condivisa, che poi non è altro che la base della preparazione alla competizione successiva.

Spero con questo mio scritto di essere riuscito a fare un po’ più di luce su questo argomento (psicologia dello sport) che, secondo me, entrerà sempre più a far parte della preparazione di molti nostri atleti, al fine di migliorare e riuscire ad ottimizzare al massimo le proprie performance…  non solo attraverso le nostre qualità fisiche, ma soprattutto imparando ad estrapolare quelle psicologiche .

Bibliografia tratta da:

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