QUESTO ARTICOLO DEL DOTT. FRANCESCO PELLEGRINO,
RIVELERA’ A QUELLI CHE (FORSE ANCORA NON SANNO) ESISTE UNA BRANCA DELLE SCIENZE
SOCIOLOGICHE E PSICOLOGICHE, CHE STUDIA LE NATURALI E FISIOLOGICHE DINAMICHE DEI
GRUPPI. RIENTRANDO NELLA DEFINIZIONE DI “GRUPPO” ANCHE LE NOSTRE ASSOCIAZIONI
SPORTIVE, ORGANIZZAZIONI, FEDERAZIONI, REDAZIONI ECC… POTREMMO ALLORA INIZIARE A
CAPIRE QUANTO IMPORTANTE POTREBBE ESSERE CAPIRNE IL FUNZIONAMENTO ED IMPARARE AD
OSSERVARNE LE DINAMICHE INTERNE, PER POTERNE FORSE RIUSCIRE A PREVEDERE O
PREVENIRE, SE NON ADDIRITTURA PROVOCARE CREDO… I CAMBIAMENTI CHE POTREMMO
DESIDERARE CHE AVVENISSERO.
LA PSICODINAMICA DEI GRUPPI
Il concetto di “dinamica del gruppo” è introdotto in
psicologia da Kurt Lewin per indicare le relazioni che interessano un qualsiasi
genere di gruppo e che ne influenzano lo sviluppo e la condotta. Si ipotizza
quindi, che il sistema delle relazioni e delle comunicazioni che caratterizzano
un gruppo, possa essere considerato come una sorta di "campo", dove le forze si
distribuiscono e si concentrano non casualmente, per seguire andamenti legati ad
equilibri ed a tensioni connesse alla stessa vita associativa del gruppo stesso.
All’interno di un gruppo, o fra sottogruppi infatti, si stabiliscono legami
soggetti a un cambiamento che deriva da una interferenza fra le condizioni
individuali, caratteristiche di ciascun partecipante, e quelle gruppali, dovute
alle interazioni sociali e alle percezioni interpersonali.
La dinamica di gruppo si propone quindi di analizzare:
-
L’andamento delle relazioni gruppali;
-
la struttura delle relazioni gruppali;
-
Il fluire delle relazioni gruppali.
Nonostante i contributi offerti da diversi autori, dopo Lewin,
abbiano reso molto più complesso il problema e abbiano introdotto principi
interpretativi, talora anche molto distanti fra loro: come quello sociometrico e
quello psicoanalitico, ad esempio. Ma possiamo dire con sufficiente sicurezza,
che sia possibile evidenziare una serie di caratteri comuni, che sono
ritrovabili all’interno di ogni gruppo.
1. Senso di radicamento o appartenenza.
Si tratta del sentimento connesso al sentirsi appartenente a
un gruppo; condividere questo regime di appartenenza con gli altri, sentirsi
bene accettato e nello stesso tempo accettare l’altro individuo, proprio in
virtù di un radicamento comune nel gruppo. L’appartenenza dipende da alcuni
fattori principali, come l’identificazione e cioè la scoperta di una comune base
ideologica, che sta a monte dei comportamenti e dei "credo" dei membri. Questa
base ideologica può essere legata a vere e proprie filosofie di vita, credenze,
idee politiche o passioni sportive… ecc. Un altro importante fattore di
radicamento è l’omogeneità, dal punto di vista esteriore e comportamentale, a
cui tende il gruppo. Non necessariamente questo porta a vestire delle divise, ma
le scelte relative agli abiti, alle acconciature dei capelli (p.es. “codini”) o
alla scelta di alcuni dettagli (Gadget), così come l’utilizzo di un gergo
linguistico speciale, può costituire un modello di riferimento sulla base del
quale stimare l’appartenenza a un gruppo.
2. L’interdipendenza.
L’appartenere a un gruppo determina una interdipendenza fra
elementi soggettivi ed elementi intersoggettivi, elementi cioè che appartengono
alla intimità di ogni individuo ed altri appresi invece, a contatto con il
gruppo di appartenenza. Le motivazioni, i comportamenti, gli atteggiamenti e le
modalità relazionali, assumono connotazioni tali da rendere interdipendente in
senso dinamico, il rapporto individuo-gruppo. Possiamo sostenere che la
personalità sia in parte costruita sulla base di questa trama relazionale e
gruppale. Ogni soggetto appare perciò (da un simile punto di vista) inserito in
diversi contesti gruppali, come la famiglia, la scuola, altre comunità, che
finiscono con il concorrere a formare la personalità e a orientarla in direzioni
condivise a vari livelli:
Il
primo livello delle relazioni gruppali che
identifica alla base della personalità di ogni individuo è la famiglia.
Indubbiamente la realtà familiare contribuisce notevolmente al definirsi dei
modelli comportamentali, ma è anche profondamente influente nella determinazione
dei fattori emozionali, affettivi e relazionali. Nella famiglia ogni persona ha
costruito le basi della propria individuazione e pertanto è abbastanza logico
pensare che aspetti della gruppalità familiare appartengano ad ogni soggetto,
assimilati ai tratti più intimamente individuali, così da formare un tutt’uno
unico e irripetibile, ma nello stesso tempo espressione di una gruppalità
fortemente interiorizzata.
Il secondo livello delle relazioni gruppali; è rappresentato
invece dalle diverse comunità frequentate dall’individuo e dalla sua famiglia.
Si tratta di entità gruppali rispetto alle quali vale il senso
dell’appartenenza, per cui si manifestano i principi già illustrati in
precedenza, di una identificazione e di una omogeneità di gruppo. L’idea che
anche il radicamento socio-culturale a più piccoli o medi gruppi sociali, come
ad esempio le compagnie degli amici, il gruppo dei colleghi di lavoro, le
comunità religiose, o anche i gruppi sportivi, possa dare un contributo decisivo
alla formazione della personalità, è certamente più recente e dimostra come
siano importanti anche i fattori interpersonali nella determinazione delle
caratteristiche individuali di ognuno di noi.
Il terzo livello delle relazioni gruppali; corrisponde
infine alla società nel senso più largo del termine, con le variabili ad essa
connesse, relative alla organizzazione più generale della cultura e delle norme
sociali di ogni popolo.
3. Coesione di gruppo
Il gruppo si fonda solitamente su una certa dose di coesione.
La coesione rappresenta il grado di solidarietà che è presente fra gli
appartenenti al gruppo. Occorre infatti condividere le regole per poter far
parte di una entità gruppale. La coesione tuttavia, non sembra semplicemente
collegata a fattori di natura razionale, come lascerebbe pensare la condivisione
di un universo assiologico. Molti psicologi interessati ai processi sociali e
collettivi, hanno messo in luce l’importanza dei fattori emotivi, che emergono
nella costruzione della coesione di gruppo, come grado di riconoscimento del
soggetto nei valori o nei "miti" propri del gruppo. Questi sentimenti possono
essere di orientamento positivo come l’amore, ma spesso entra in gioco, con
maggiore probabilità, l’aggressività: sia dal punto di vista attivo, sia come
meccanismo di difesa.
4. Definizione di una leaderschip
La definizione di una leaderschip all’interno di un gruppo,
dipende dal grado di differenziazione di ruoli che ha prodotto una
organizzazione in senso gerarchico. Il leader di un gruppo deve possedere alcuni
requisiti riconosciuti dagli appartenenti al gruppo: una abilità tecnica
speciale relativa agli interessi particolari dell’aggregazione; un buon livello
di gradevolezza affettiva.
La gestione del potere
Kurt Lewin ha studiato le caratteristiche di gestione del
potere da parte di un leader e distingue tre diversi modelli:
-
leader autoritario: è colui che organizza la sua
leaderschip basandosi esclusivamente sull’aggressività e la competitività
del gruppo;
-
leader democratico: coordina il lavoro degli
affiliati al gruppo senza imporre un regime di controllo, ma accettando le
divergenze e utilizzandole come risorse a disposizione;
-
leader permissivo: accetta volentieri e stimola la
creatività altrui, consentendo livelli di collaborazione molto aperti.
Da un punto di vista più vicino agli interessi della
sociologia anche Vilfredo Pareto produce una analisi della leaderschip, benché
il suo punto di vista si riferisca principalmente verso i processi collegati
alle grandi organizzazioni sociali e non direttamente ai piccoli gruppi. Egli
distingue:
-
potere carismatico, dove il leader determina le
leggi in modo pressoché autoritario;
-
potere burocratico dove esiste una segmentazione
del potere a livello periferico, ma controllato da un gruppo dirigente
centralizzato;
-
potere democratico, gestito da un leader capace di
valutare ciò che viene suggerito dai membri del gruppo e utilizzato in senso
positivo.
Il gruppo classe:
Per ciò che riguarda il campo educativo possiamo osservare
come questa valutazione sulla leaderschip risulti interessante per ciò che
concerne il rapporto fra allievi e insegnanti. Il gruppo-classe infatti lascia
intravedere al proprio interno dei movimenti che si traducono in condotte
relazionali e comunicative legate al modo di gestire la classe da parte degli
insegnanti. Sulle problematiche della leaderschip possono senza dubbio
intervenire anche aspetti collegati al gruppo orizzontale dei pari, ma - a
nostro avviso - maggiore influenza è da attribuirsi al ruolo degli insegnanti e
al loro modo di operare insieme, pianificando la conduzione della classe per
tentare di mantenere condotte non troppo sbilanciate sul piano del potere
comunicativo e relazionale nel gruppo. La problematica della leaderschip reca
con sé una valutazione della differenziazione dei ruoli all’interno del gruppo.
Possiamo così identificare, assieme:
-
soggetti che svolgono compiti di leader
-
soggetti che leader non sono, ma che hanno comportamenti
da leader: sono abbastanza capaci di creare relazioni positive con gli
altri, mostrano di avere e di ottenere preferenze dagli altri del gruppo,
sono abbastanza sereni.
-
soggetti gregari, che seguono i leader o i non leader con
comportamenti da leader in modo passivo, adeguandosi alle scelte e ai
desideri degli altri.
-
soggetti isolati, che appartengono al gruppo in modo
marginale, condividendo di riflesso una idea di appartenenza e stringendo
rapporti fragili e sporadici.
Hubert Montagner, etologo, ha condotto ricerche nel Nido
d’Infanzia scoprendo che queste diverse tipologie di stili di vita nel gruppo,
emergono molto presto e condizionano la vita sociale nei gruppi, anche in
bambini così piccoli.
5. La socializzazione.
Scrive U. Galimberti: La socializzazione costituisce un
aspetto della realtà microsociologica, che la dinamica di gruppo concorre ad
approfondire fino a coglierne gli aspetti più profondi, legati ai fini che essa
si prefigge.
Tali fini sono:
-
il raggiungimento di un livello di sicurezza garantito
dall’appartenenza al gruppo che consente, con la sua protezione, di
rischiare senza troppa ansia anche in terreni mai esperiti;
-
il controllo della dinamica della colpa perché il super
-io paterno si trasforma in super-io di gruppo più facile da controllare;
-
l’accelerazione dei processi di apprendimento perché il
gruppo serve da feedback continuo mediante il paragone con gli altri, e
quindi come mezzo per conoscere continuamente i risultati raggiunti;
-
l’aumento dell’efficienza e della funzionalità delle
difese perché, seguendo la legge del successo all’interno del gruppo,
verranno ad essere potenziati quei meccanismi che hanno determinato un
effetto positivo, e verranno abbandonati quelli che, al contrario avevano
fallito in loro scopo;
-
l’influenza sul ritmo di sviluppo intellettuale per il
rapporto che esiste tra processi intellettivi e linguaggio, e tra il
linguaggio e la comunicazione che nel gruppo è potenziata;
-
la maturazione affettiva facilitata nel gruppo rispetto
alla condizione isolata e, controllata nelle manifestazioni delle pulsioni
che l’individuo può anche non saper regolare da solo" (1992).
I principali approcci teorici
L’approccio classico di Kurt Lewin
Indubbiamente l’approccio classico allo studio delle
dinamiche di gruppo ha costituito la base dell’intera impalcatura concettuale su
cui si fonda il lavoro nei gruppi. Lewin ha cercato di costruire un duplice
canale d’accesso alla comprensione dei fenomeni legati alla formazione e allo
studio delle dinamiche gruppali; un canale che fosse nello stesso tempo
psicologico e sociologico. Che affrontasse cioè il problema dal punto di vista
soggettivo e interpersonale. Per ottenere questo era necessario considerare
l’operato di ognuno come un processo dinamico in cui fattori interni e fattori
esterni appaiono collegati fra loro. Questa "rete" di connessioni forma un campo
organico dove tutto si intreccia e si rimanda mettendo in luce una struttura
organizzata secondo certe modalità, a volte espresse coscientemente, a volte
invece inconsapevoli, ma non per questo meno funzionanti a livello gruppale.
L’idea lewiniana che i fenomeni di gruppo sottendano l’esistenza di un campo
dinamico che mette in relazione fattori psico-sociali costituisce uno dei
capisaldi non solo della analisi dei gruppi, ma anche del modo stesso di
costruire un ragionamento valido in psicologia sociale, e in psicologia in
genere. Gli approcci relazionali in psicologia devono tutti un grosso debito
culturale nei confronti del pensiero di Lewin. La stessa definizione di gruppo
che egli dà è assai interessante: "… un insieme (o totalità) dinamico costituito
da individui che si percepiscono vicendevolmente come più o meno interdipendenti
per qualche aspetto" (1951). Egli focalizza l’attenzione sul fatto che il gruppo
si riconosca sulla base di un principio di interdipendenza e che quindi finisca
col percepire una certa identità gruppale; identità che dà senso alla vita
stessa in gruppo, e che si riflette a livello della soggettività, concorrendo a
formare la personalità. È in questa prospettiva che Lewin introduce la sua
concezione "dinamica" della personalità; non certo seguendo una ipotesi di
orientamento psicoanalitico. "Il gruppo cui l’individuo appartiene è il
fondamento essenziale della sua esistenza, il terreno che gli dà o gli rifiuta
‘status’ sociale, sicurezza, aiuto" (1948). In questa seconda definizione
lewiniana si riassume molto bene l’orizzonte teorico all’interno del quale
l’approccio classico si muove. La ricerca deve pertanto dirigersi nei confronti
del gruppo per evidenziare da un lato la totalità dinamica che sta alle spalle
del gruppo stesso e l’interdipendenza che i membri del gruppo condividono. Si
tratta infatti dei diversi modelli percettivi interpersonali, i quali,
solitamente, costituiscono la causa delle condizioni di conflittualità presenti
nel gruppo e che colui che ricerca e agisce nel gruppo, utilizza per giungere a
un equilibrio gruppale. Abbiamo introdotto in questo modo altri due
concetti-chiave dell’approccio lewiniano: quello di ricerca-azione e quello di
equilibrio, che Lewin definisce quasi-stazionario. Ricerca-azione dello
psicosociologo che interagisce nel gruppo per giungere a una conoscenza dei
fattori in gioco; passa attraverso la condizione di soggetto partecipante e
condividente le strategie del gruppo anche se si pone in uno "status" di
privilegio; poiché - pur conservando la sua posizione interna al gruppo - assume
il compito di introdurre l’elemento di novità, l’informazione che ridefinisce il
gruppo stesso e le sue regole interne, avviandolo verso un processo di
cambiamento pianificato osservabile nel gruppo. Il lavoro all’interno dei gruppi
si riassumerebbe quindi nella osservazione partecipante e, successivamente,
nella introduzione di informazioni sul gruppo, sulle sue dinamiche interne, tali
da proporre uno schema di cambiamento programmato che è possibile monitorare
fino a guidare il gruppo stesso ad assumere un equilibrio interno frutto della
ridefinizione della rete relazionale. In questo senso dobbiamo considerare la
scoperta del Training -group da parte della equipe di Lewin.
Una modalità di
conduzione dei gruppi basata sull’idea che il cambiamento soggettivo possa - se
adeguatamente orientato - diventare il principio di una riequilibrazione delle
relazioni gruppali e quindi origine di corrispondente processo di modificazione
interpersonale. Sarebbe valido in tal senso lo schema: cambiamento soggettivo -
informazione data al gruppo - diversa percezione interpersonale - cambiamento
gruppale. È evidente che - di fronte al cambiamento - la reazione del gruppo non
è sempre quella di modificarsi plasticamente di conseguenza ad esso, ma consista
spesso nella tendenza alla propria difesa, mantenendo una certa resistenza nei
suoi confronti. Secondo Lewin la possibilità di superare le tendenze alla
conservazione viene perciò offerta "dalla realizzazione di un mutamento
cognitivo, ossia da una trasformazione delle percezioni sociali del gruppo tale
che si abbia un nuovo sistema di valori esperito dall’individuo come qualcosa
che egli ha scelto liberamente. Il cambiamento nel gruppo e del gruppo può,
sinteticamente, comprendere tre fasi che Lewin descrive con le espressioni
disgelo, al primo livello, passaggio-trasformazione, al successivo livello, e
infine consolidamento del gruppo, al livello raggiunto" (Gabassi, Bertoli,
1992). Il processo nel quale questo percorso viene pianificato e regolamentato
costituisce la metodologia del Training -group di cui forse parremo in futuro.
L’approccio psicoanalitico
Quello dell’accoppiamento; che consiste nella speranza che
due o più persone potranno portare a soluzione i problemi attuali mediante un
intervento sovrannaturale di tipo divino. Si tratta di una fantasia simile alla
credenza dell’arrivo di un Messia che porterà la salvezza nel gruppo. Ogni
assunto di base si fonda sulla fantasia del gruppo che tutti i problemi verranno
risolti in modo magico, in modo tale da evitare il lavoro duro e lungo che
l’analisi implica.
Bion distingue due modi di lavorare del gruppo:
In ogni momento il risultato dell’analisi gruppale o della
formazione del gruppo risponde a un equilibrio fra questi due primitivi modelli.
Il primo (gruppo di lavoro) porta alla razionalità, la consapevolezza propria
dell’Io; il secondo invece prevede una regressione del gruppo, e corrisponde
all’espressione dell’Es. Possiamo dire che il primo è orientato dal principio di
realtà; il secondo dal principio del piacere.
I gruppi inoltre possono essere:
-
"aperti", quando i membri possono entrare o uscire
liberamente in base alle proprie decisioni o esigenze individuali;
-
"chiusi", quando essi iniziano e terminano
l’esperienza di gruppo, seguendo un percorso abbastanza rigoroso;
-
"semiaperti", abbastanza simili a quelli chiusi, ma
con la possibilità accordata ai partecipanti di fissare l’uscita in relazione
ai propri programmi. Questi ultimi sono i più frequenti.
Modelli di dinamiche di gruppo
Il Training Group è un metodo di formazione rivolta a un
piccolo gruppo. Il suo obiettivo è quello di introdurre un cambiamento nei
soggetti che partecipano ad esso; cambiamento in direzione di una acquisizione
di coscienza rispetto al sé, ai rapporti interpersonali, alla capacità di
relazionarsi e persino di gestire un gruppo. Per questa ragione è stato spesso
utilizzato anche e soprattutto nella formazione di vari quadri dirigenziali.
Possiamo pertanto definire il Training -Group come un gruppo di formazione. "La
formazione è un processo psico-sociale finalizzato al cambiamento degli
atteggiamenti, capacità e comportamenti individuali, che, se riferita al
particolare campo delle imprese, deve rimanere realisticamente agganciata agli
specifici obiettivi delle culture organizzative di riferimento". Il Training
-Group ha comunque trovato un valido campo d’impiego all’interno di numerosi
contesti organizzati, oltre - naturalmente - al campo aziendale, come, ad
esempio, nel terreno della conduzione dei gruppi sportivi.
Ovunque esista un
contesto organizzato, che rifletta su se stesso ed investa sulle proprie
potenzialità, esiste la necessità di attivare un programma formativo, perché -
come affermano Bellotto e Bolla: "la formazione è un lavoro di tipo psicosociale,
avente l’obiettivo di rendere gli atteggiamenti, le capacità ed i comportamenti
delle persone, che svolgono i diversi ruoli organizzativi più funzionali, sia
rispetto agli obiettivi dell’organizzazione, sia rispetto alla qualità della
vita in essa" (1987). La metodologia specifica del Training Group prevede un
lavoro specifico sul "cambiamento", visto come asse focale della formazione. Un
cambiamento diretto nei confronti del "saper essere" e quindi collegato
direttamente con atteggiamenti e comportamenti soggettivi. Attraverso il lavoro
nel gruppo si apprendono nuove modalità interattive e si giunge ad esprimere una
sostanziale modificazione dello stile comportamentale, finalizzandolo verso
esiti desiderati e programmati, che costituiscono la meta del processo
formativo.
Il Gruppo di apprendimento
Si tratta di una modalità di lavoro in gruppo che ha come
obiettivo la conoscenza di determinati aspetti della realtà, o come più
facilmente accade nella pratica, la conoscenza degli atteggiamenti e degli
schemi di relazione che i partecipanti al gruppo manifestano nei confronti di
alcune situazioni. Molti gruppi sportivi hanno, sullo sfondo, un modello di
questo tipo.
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