logo ilguerriero.it

Psicologia

QUESTO ARTICOLO DEL DOTT. FRANCESCO PELLEGRINO, RIVELERA’ A QUELLI CHE (FORSE ANCORA NON SANNO) ESISTE UNA BRANCA DELLE SCIENZE SOCIOLOGICHE E PSICOLOGICHE, CHE STUDIA LE NATURALI E FISIOLOGICHE DINAMICHE DEI GRUPPI. RIENTRANDO NELLA DEFINIZIONE DI “GRUPPO” ANCHE LE   NOSTRE ASSOCIAZIONI SPORTIVE, ORGANIZZAZIONI, FEDERAZIONI, REDAZIONI ECC… POTREMMO ALLORA INIZIARE A CAPIRE QUANTO IMPORTANTE POTREBBE ESSERE CAPIRNE IL FUNZIONAMENTO ED IMPARARE AD OSSERVARNE LE DINAMICHE INTERNE, PER POTERNE FORSE RIUSCIRE A PREVEDERE O PREVENIRE, SE NON ADDIRITTURA PROVOCARE CREDO…  I CAMBIAMENTI CHE POTREMMO DESIDERARE CHE AVVENISSERO.

LA  PSICODINAMICA DEI GRUPPI

Di: dott. Francesco Pellegrino
Bibliografia: www.psicologiainvestigativa.it

Il concetto di “dinamica del gruppo” è introdotto in psicologia da Kurt Lewin per indicare le relazioni che interessano un qualsiasi genere di gruppo e che ne influenzano lo sviluppo e la condotta. Si ipotizza quindi, che il sistema delle relazioni e delle comunicazioni che caratterizzano un gruppo, possa essere considerato come una sorta di "campo", dove le forze si distribuiscono e si concentrano non casualmente, per seguire andamenti legati ad equilibri ed a tensioni connesse alla stessa vita associativa del gruppo stesso. All’interno di un gruppo, o fra sottogruppi infatti, si stabiliscono legami soggetti a un cambiamento che deriva da una interferenza fra le condizioni individuali, caratteristiche di ciascun partecipante, e quelle gruppali, dovute alle interazioni sociali e alle percezioni interpersonali.

La dinamica di gruppo si propone quindi di analizzare:

  1. L’andamento delle relazioni gruppali;

  2. la struttura delle relazioni gruppali;

  3. Il fluire delle relazioni gruppali.

Nonostante i contributi offerti da diversi autori, dopo Lewin, abbiano reso molto più complesso il problema e abbiano introdotto principi interpretativi, talora anche molto distanti fra loro: come quello sociometrico e quello psicoanalitico, ad esempio. Ma possiamo dire con sufficiente sicurezza, che sia possibile evidenziare una serie di caratteri comuni, che sono ritrovabili all’interno di ogni gruppo.

1.   Senso di radicamento o appartenenza.

Si tratta del sentimento connesso al sentirsi appartenente a un gruppo; condividere questo regime di appartenenza con gli altri, sentirsi bene accettato e nello stesso tempo accettare l’altro individuo, proprio in virtù di un radicamento comune nel gruppo. L’appartenenza dipende da alcuni fattori principali, come l’identificazione e cioè la scoperta di una comune base ideologica, che sta a monte dei comportamenti e dei "credo" dei membri. Questa base ideologica può essere legata a vere e proprie filosofie di vita, credenze, idee politiche o passioni sportive… ecc. Un altro importante fattore di radicamento è l’omogeneità, dal punto di vista esteriore e comportamentale, a cui tende il gruppo. Non necessariamente questo porta a vestire delle divise, ma le scelte relative agli abiti, alle acconciature dei capelli (p.es. “codini”) o alla scelta di alcuni dettagli (Gadget), così come l’utilizzo di un gergo linguistico speciale, può costituire un modello di riferimento sulla base del quale stimare l’appartenenza a un gruppo.

2.   L’interdipendenza.

L’appartenere a un gruppo determina una interdipendenza fra elementi soggettivi ed elementi intersoggettivi, elementi cioè che appartengono alla intimità di ogni individuo ed altri appresi invece, a contatto con il gruppo di appartenenza. Le motivazioni, i comportamenti, gli atteggiamenti e le modalità relazionali, assumono connotazioni tali da rendere interdipendente in senso dinamico, il rapporto individuo-gruppo. Possiamo sostenere che la personalità sia in parte costruita sulla base di questa trama relazionale e gruppale. Ogni soggetto appare perciò (da un simile punto di vista) inserito in diversi contesti gruppali, come la famiglia, la scuola, altre comunità, che finiscono con il concorrere a formare la personalità e a orientarla in direzioni condivise a vari livelli:

Il primo livello delle relazioni gruppali che identifica alla base della personalità di ogni individuo è la famiglia. Indubbiamente la realtà familiare contribuisce notevolmente al definirsi dei modelli comportamentali, ma è anche profondamente influente nella determinazione dei fattori emozionali, affettivi e relazionali. Nella famiglia ogni persona ha costruito le basi della propria individuazione e pertanto è abbastanza logico pensare che aspetti della gruppalità familiare appartengano ad ogni soggetto, assimilati ai tratti più intimamente individuali, così da formare un tutt’uno unico e irripetibile, ma nello stesso tempo espressione di una gruppalità fortemente interiorizzata.

Il secondo livello delle relazioni gruppali;  è rappresentato invece dalle diverse comunità frequentate dall’individuo e dalla sua famiglia. Si tratta di entità gruppali rispetto alle quali vale il senso dell’appartenenza, per cui si manifestano i principi già illustrati in precedenza, di una identificazione e di una omogeneità di gruppo. L’idea che anche il radicamento socio-culturale a più piccoli o medi gruppi sociali, come ad esempio le compagnie degli amici, il gruppo dei colleghi di lavoro, le comunità religiose, o anche i gruppi sportivi, possa dare un contributo decisivo alla formazione della personalità, è certamente più recente e dimostra come siano importanti anche i fattori interpersonali nella determinazione delle caratteristiche individuali di ognuno di noi.

Il terzo livello delle relazioni gruppali;  corrisponde infine alla società nel senso più largo del termine, con le variabili ad essa connesse, relative alla organizzazione più generale della cultura e delle norme sociali di ogni popolo.

3.   Coesione di gruppo

Il gruppo si fonda solitamente su una certa dose di coesione. La coesione rappresenta il grado di solidarietà che è presente fra gli appartenenti al gruppo. Occorre infatti condividere le regole per poter far parte di una entità gruppale. La coesione tuttavia, non sembra semplicemente collegata a fattori di natura razionale, come lascerebbe pensare la condivisione di un universo assiologico. Molti psicologi interessati ai processi sociali e collettivi, hanno messo in luce l’importanza dei fattori emotivi, che emergono nella costruzione della coesione di gruppo, come grado di riconoscimento del soggetto nei valori o nei "miti" propri del gruppo. Questi sentimenti possono essere di orientamento positivo come l’amore, ma spesso entra in gioco, con maggiore probabilità, l’aggressività: sia dal punto di vista attivo, sia come meccanismo di difesa.

4.   Definizione di una leaderschip

La definizione di una leaderschip all’interno di un gruppo, dipende dal grado di differenziazione di ruoli che ha prodotto una organizzazione in senso gerarchico. Il leader di un gruppo deve possedere alcuni requisiti riconosciuti dagli appartenenti al gruppo: una abilità tecnica speciale relativa agli interessi particolari dell’aggregazione; un buon livello di gradevolezza affettiva.

La gestione del potere

Kurt Lewin ha studiato le caratteristiche di gestione del potere da parte di un leader e distingue tre diversi modelli:

  1. leader autoritario: è colui che organizza la sua leaderschip basandosi esclusivamente sull’aggressività e la competitività del gruppo;

  2. leader democratico: coordina il lavoro degli affiliati al gruppo senza imporre un regime di controllo, ma accettando le divergenze e utilizzandole come risorse a disposizione;

  3. leader permissivo: accetta volentieri e stimola la creatività altrui, consentendo livelli di collaborazione molto aperti.

Da un punto di vista più vicino agli interessi della sociologia anche Vilfredo Pareto produce una analisi della leaderschip, benché il suo punto di vista si riferisca principalmente verso i processi collegati alle grandi organizzazioni sociali e non direttamente ai piccoli gruppi. Egli distingue:

  1. potere carismatico, dove il leader determina le leggi in modo pressoché autoritario;

  2. potere burocratico dove esiste una segmentazione del potere a livello periferico, ma controllato da un gruppo dirigente centralizzato;

  3. potere democratico, gestito da un leader capace di valutare ciò che viene suggerito dai membri del gruppo e utilizzato in senso positivo.

Il gruppo classe:

Per ciò che riguarda il campo educativo possiamo osservare come questa valutazione sulla leaderschip risulti interessante per ciò che concerne il rapporto fra allievi e insegnanti. Il gruppo-classe infatti lascia intravedere al proprio interno dei movimenti che si traducono in condotte relazionali e comunicative legate al modo di gestire la classe da parte degli insegnanti. Sulle problematiche della leaderschip possono senza dubbio intervenire anche aspetti collegati al gruppo orizzontale dei pari, ma - a nostro avviso - maggiore influenza è da attribuirsi al ruolo degli insegnanti e al loro modo di operare insieme, pianificando la conduzione della classe per tentare di mantenere condotte non troppo sbilanciate sul piano del potere comunicativo e relazionale nel gruppo. La problematica della leaderschip reca con sé una valutazione della differenziazione dei ruoli all’interno del gruppo.

Possiamo così identificare, assieme:

  1. soggetti che svolgono compiti di leader

  2. soggetti che leader non sono, ma che hanno comportamenti da leader: sono abbastanza capaci di creare relazioni positive con gli altri, mostrano di avere e di ottenere preferenze dagli altri del gruppo, sono abbastanza sereni.

  3. soggetti gregari, che seguono i leader o i non leader con comportamenti da leader in modo passivo, adeguandosi alle scelte e ai desideri degli altri.

  4. soggetti isolati, che appartengono al gruppo in modo marginale, condividendo di riflesso una idea di appartenenza e stringendo rapporti fragili e sporadici.

Hubert Montagner, etologo, ha condotto ricerche nel Nido d’Infanzia scoprendo che queste diverse tipologie di stili di vita nel gruppo, emergono molto presto e condizionano la vita sociale nei gruppi, anche in bambini così piccoli.

5.   La socializzazione.

Scrive U. Galimberti: La socializzazione costituisce un aspetto della realtà microsociologica, che la dinamica di gruppo concorre ad approfondire fino a coglierne gli aspetti più profondi, legati ai fini che essa si prefigge.

Tali fini sono:

  1. il raggiungimento di un livello di sicurezza garantito dall’appartenenza al gruppo che consente, con la sua protezione, di rischiare senza troppa ansia anche in terreni mai esperiti;

  2. il controllo della dinamica della colpa perché il super -io paterno si trasforma in super-io di gruppo più facile da controllare;

  3. l’accelerazione dei processi di apprendimento perché il gruppo serve da feedback continuo mediante il paragone con gli altri, e quindi come mezzo per conoscere continuamente i risultati raggiunti;

  4. l’aumento dell’efficienza e della funzionalità delle difese perché, seguendo la legge del successo all’interno del gruppo, verranno ad essere potenziati quei meccanismi che hanno determinato un effetto positivo, e verranno abbandonati quelli che, al contrario avevano fallito in loro scopo;

  5. l’influenza sul ritmo di sviluppo intellettuale per il rapporto che esiste tra processi intellettivi e linguaggio, e tra il linguaggio e la comunicazione che nel gruppo è potenziata;

  6. la maturazione affettiva facilitata nel gruppo rispetto alla condizione isolata e, controllata nelle manifestazioni delle pulsioni che l’individuo può anche non saper regolare da solo" (1992).

I principali approcci teorici

L’approccio classico di Kurt Lewin

Indubbiamente l’approccio classico allo studio delle dinamiche di gruppo ha costituito la base dell’intera impalcatura concettuale su cui si fonda il lavoro nei gruppi. Lewin ha cercato di costruire un duplice canale d’accesso alla comprensione dei fenomeni legati alla formazione e allo studio delle dinamiche gruppali; un canale che fosse nello stesso tempo psicologico e sociologico. Che affrontasse cioè il problema dal punto di vista soggettivo e interpersonale. Per ottenere questo era necessario considerare l’operato di ognuno come un processo dinamico in cui fattori interni e fattori esterni appaiono collegati fra loro. Questa "rete" di connessioni forma un campo organico dove tutto si intreccia e si rimanda mettendo in luce una struttura organizzata secondo certe modalità, a volte espresse coscientemente, a volte invece inconsapevoli, ma non per questo meno funzionanti a livello gruppale. L’idea lewiniana che i fenomeni di gruppo sottendano l’esistenza di un campo dinamico che mette in relazione fattori psico-sociali costituisce uno dei capisaldi non solo della analisi dei gruppi, ma anche del modo stesso di costruire un ragionamento valido in psicologia sociale, e in psicologia in genere. Gli approcci relazionali in psicologia devono tutti un grosso debito culturale nei confronti del pensiero di Lewin. La stessa definizione di gruppo che egli dà è assai interessante: "… un insieme (o totalità) dinamico costituito da individui che si percepiscono vicendevolmente come più o meno interdipendenti per qualche aspetto" (1951). Egli focalizza l’attenzione sul fatto che il gruppo si riconosca sulla base di un principio di interdipendenza e che quindi finisca col percepire una certa identità gruppale; identità che dà senso alla vita stessa in gruppo, e che si riflette a livello della soggettività, concorrendo a formare la personalità. È in questa prospettiva che Lewin introduce la sua concezione "dinamica" della personalità; non certo seguendo una ipotesi di orientamento psicoanalitico. "Il gruppo cui l’individuo appartiene è il fondamento essenziale della sua esistenza, il terreno che gli dà o gli rifiuta ‘status’ sociale, sicurezza, aiuto" (1948). In questa seconda definizione lewiniana si riassume molto bene l’orizzonte teorico all’interno del quale l’approccio classico si muove. La ricerca deve pertanto dirigersi nei confronti del gruppo per evidenziare da un lato la totalità dinamica che sta alle spalle del gruppo stesso e l’interdipendenza che i membri del gruppo condividono. Si tratta infatti dei diversi modelli percettivi interpersonali, i quali, solitamente, costituiscono la causa delle condizioni di conflittualità presenti nel gruppo e che colui che ricerca e agisce nel gruppo, utilizza per giungere a un equilibrio gruppale. Abbiamo introdotto in questo modo altri due concetti-chiave dell’approccio lewiniano: quello di ricerca-azione e quello di equilibrio, che Lewin definisce quasi-stazionario. Ricerca-azione dello psicosociologo che interagisce nel gruppo per giungere a una conoscenza dei fattori in gioco; passa attraverso la condizione di soggetto partecipante e condividente le strategie del gruppo anche se si pone in uno "status" di privilegio; poiché - pur conservando la sua posizione interna al gruppo - assume il compito di introdurre l’elemento di novità, l’informazione che ridefinisce il gruppo stesso e le sue regole interne, avviandolo verso un processo di cambiamento pianificato osservabile nel gruppo. Il lavoro all’interno dei gruppi si riassumerebbe quindi nella osservazione partecipante e, successivamente, nella introduzione di informazioni sul gruppo, sulle sue dinamiche interne, tali da proporre uno schema di cambiamento programmato che è possibile monitorare fino a guidare il gruppo stesso ad assumere un equilibrio interno frutto della ridefinizione della rete relazionale. In questo senso dobbiamo considerare la scoperta del Training -group da parte della equipe di Lewin. Una modalità di conduzione dei gruppi basata sull’idea che il cambiamento soggettivo possa - se adeguatamente orientato - diventare il principio di una riequilibrazione delle relazioni gruppali e quindi origine di corrispondente processo di modificazione interpersonale. Sarebbe valido in tal senso lo schema: cambiamento soggettivo - informazione data al gruppo - diversa percezione interpersonale - cambiamento gruppale. È evidente che - di fronte al cambiamento - la reazione del gruppo non è sempre quella di modificarsi plasticamente di conseguenza ad esso, ma consista spesso nella tendenza alla propria difesa, mantenendo una certa resistenza nei suoi confronti. Secondo Lewin la possibilità di superare le tendenze alla conservazione viene perciò offerta "dalla realizzazione di un mutamento cognitivo, ossia da una trasformazione delle percezioni sociali del gruppo tale che si abbia un nuovo sistema di valori esperito dall’individuo come qualcosa che egli ha scelto liberamente. Il cambiamento nel gruppo e del gruppo può, sinteticamente, comprendere tre fasi che Lewin descrive con le espressioni disgelo, al primo livello, passaggio-trasformazione, al successivo livello, e infine consolidamento del gruppo, al livello raggiunto" (Gabassi, Bertoli, 1992). Il processo nel quale questo percorso viene pianificato e regolamentato costituisce la metodologia del Training -group di cui forse parremo in futuro.

L’approccio psicoanalitico

Quello dell’accoppiamento; che consiste nella speranza che due o più persone potranno portare a soluzione i problemi attuali mediante un intervento sovrannaturale di tipo divino. Si tratta di una fantasia simile alla credenza dell’arrivo di un Messia che porterà la salvezza nel gruppo. Ogni assunto di base si fonda sulla fantasia del gruppo che tutti i problemi verranno risolti in modo magico, in modo tale da evitare il lavoro duro e lungo che l’analisi implica.

Bion distingue due modi di lavorare del gruppo:

  • il gruppo di lavoro

  • il gruppo fondato su assunti di base.

In ogni momento il risultato dell’analisi gruppale o della formazione del gruppo risponde a un equilibrio fra questi due primitivi modelli. Il primo (gruppo di lavoro) porta alla razionalità, la consapevolezza propria dell’Io; il secondo invece prevede una regressione del gruppo, e corrisponde all’espressione dell’Es. Possiamo dire che il primo è orientato dal principio di realtà; il secondo dal principio del piacere.

I gruppi inoltre possono essere:

  1. "aperti", quando i membri possono entrare o uscire liberamente in base alle proprie decisioni o esigenze individuali;

  2. "chiusi", quando essi iniziano e terminano l’esperienza di gruppo, seguendo un percorso abbastanza rigoroso;

  3. "semiaperti", abbastanza simili a quelli chiusi, ma con la possibilità accordata ai partecipanti di fissare l’uscita in relazione ai propri programmi. Questi ultimi sono i più frequenti.

Modelli di dinamiche di gruppo

Il Training Group è un metodo di formazione rivolta a un piccolo gruppo. Il suo obiettivo è quello di introdurre un cambiamento nei soggetti che partecipano ad esso; cambiamento in direzione di una acquisizione di coscienza rispetto al sé, ai rapporti interpersonali, alla capacità di relazionarsi e persino di gestire un gruppo. Per questa ragione è stato spesso utilizzato anche e soprattutto nella formazione di vari quadri dirigenziali. Possiamo pertanto definire il Training -Group come un gruppo di formazione. "La formazione è un processo psico-sociale finalizzato al cambiamento degli atteggiamenti, capacità e comportamenti individuali, che, se riferita al particolare campo delle imprese, deve rimanere realisticamente agganciata agli specifici obiettivi delle culture organizzative di riferimento". Il Training -Group ha comunque trovato un valido campo d’impiego all’interno di numerosi contesti organizzati, oltre - naturalmente - al campo aziendale, come, ad esempio, nel terreno della conduzione dei gruppi sportivi. Ovunque esista un contesto organizzato, che rifletta su se stesso ed investa sulle proprie potenzialità, esiste la necessità di attivare un programma formativo, perché - come affermano Bellotto e Bolla: "la formazione è un lavoro di tipo psicosociale, avente l’obiettivo di rendere gli atteggiamenti, le capacità ed i comportamenti delle persone, che svolgono i diversi ruoli organizzativi più funzionali, sia rispetto agli obiettivi dell’organizzazione, sia rispetto alla qualità della vita in essa" (1987). La metodologia specifica del Training Group prevede un lavoro specifico sul "cambiamento", visto come asse focale della formazione. Un cambiamento diretto nei confronti del "saper essere" e quindi collegato direttamente con atteggiamenti e comportamenti soggettivi. Attraverso il lavoro nel gruppo si apprendono nuove modalità interattive e si giunge ad esprimere una sostanziale modificazione dello stile comportamentale, finalizzandolo verso esiti desiderati e programmati, che costituiscono la meta del processo formativo.

Il Gruppo di apprendimento

Si tratta di una modalità di lavoro in gruppo che ha come obiettivo la conoscenza di determinati aspetti della realtà, o come più facilmente accade nella pratica, la conoscenza degli atteggiamenti e degli schemi di relazione che i partecipanti al gruppo manifestano nei confronti di alcune situazioni. Molti gruppi sportivi hanno, sullo sfondo, un modello di questo tipo.


www.ilguerriero.it
Le riviste elettroniche


mailContatti

note

note

Inizio pagina

stella www.ilguerriero.it