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Psicologia

Obiettivi e motivazioni per i praticanti del corso di Kung Fu

Un ostacolo è solo un'opportunità che la vita ci dà per volare più in alto
Nulla di grande è stato mai fatto senza Passione

di: Franco Piccirilli

OBIETTIVI

Nella vita di ogni giorno è importante avere chiari obiettivi a lungo termine da raggiungere e sui quali impostare la nostra esistenza.

Per obiettivo si intende qualcosa che si vuole consapevolmente raggiungere.

Gli obiettivi di cui parleremo in questi appunti non sono quelli propri del programma del corso di Kung Fu Lung Chuan Pai. L’insegnamento, infatti, persegue un fine che è comune a tutti i praticanti (raggiungere un certo grado di preparazione tecnica e atletica).

Gli obiettivi di cui vogliamo parlare sono quelli personali, di ognuno di noi. All'interno del corso di Kung Fu dobbiamo poter fissare i nostri obiettivi, focalizzando l'allenamento verso tale meta, anche con l'aiuto del proprio istruttore.

Visto il punto del programma cui sono ormai giunti gli allievi anziani, quelli con il grado di Rossa e Rossa I e Nera si presuppone che abbiano chiaro l'obiettivo che desiderano. Così potrebbe non essere per i principianti, i quali non hanno una precisa idea di che cosa sia il Kung Fu, di come sia impostato il corso, ecc.

In ogni caso tutti noi per praticare il Kung Fu abbiamo degli obiettivi più o meno consapevoli.

Per noi gli obiettivi assumono la massima importanza già in fase di pianificazione della nuova stagione del corso di Kung Fu. Ad esempio possono costituire degli obiettivi il riuscire ad eseguire in maniera corretta una particolare tecnica, una forma, oppure sviluppare la qualità della velocità, o della resistenza, ecc.

Ricordiamoci che stabilire gli obiettivi non significa doverli perseguire a tutti i costi, a denti stretti, non significa acquisire dipendenza da essi. Al contrario, stabilire gli obiettivi può rendere la pratica del Kung Fu più libera e piacevole.

Il Kung Fu è anche movimento e creatività e gli obiettivi ci danno una chiara indicazione della direzione verso cui focalizzare ed incanalare la nostra naturale energia creativa, facilitandoci ad incanalarla verso l’esterno per dare in nostro contributo allo sviluppo dell’arte marziale che pratichiamo. Questo aumenterà in nostro senso di benessere e di soddisfazione per quello che facciamo.

Solo se ne varrà effettivamente la pena, sarà possibile raggiungere l’obiettivo.

Gli obiettivi che intendiamo perseguire (è consigliabile individuarne più di uno stabilendo un ordine di priorità, che potrà poi eventualmente essere modificato durante la stagione), devono essere realizzabili e non frutto di pura fantasia: conoscendo noi stessi e le nostre capacità, dovremo stabilire obiettivi concreti da poter attuare.

Anche se siamo intuitivi e creativi dovremo avere ben chiaro quale sarà il nostro obiettivo e come lo raggiungeremo: il praticante che si fida solo del suo spontaneo acume possiede pochissime risorse interiori verso le quali rivolgersi in una giornata negativa.

SCELTA DEGLI OBIETTIVI

La scelta degli obiettivi, goal setting, influenza il risultato della nostra attività, quale essa sia. Di seguito vengono proposte alcune ipotesi su come dovrebbe funzionare la scelta degli obiettivi.

  1. Obiettivo positivo: la descrizione di ciò che si desidera come qualcosa a cui tendere e non come qualcosa da cui allontanarsi; es. “voglio smettere di essere rigido nelle tecniche”, questo visto in negativo, in positivo diventa “voglio imparare ad essere rilassato e sciolto durante l’esecuzione della tecnica”.

  2. Obiettivi specifici regolano l’azione in modo più preciso rispetto ad obiettivi generali; l’obiettivo dovrà quindi essere specifico rispetto a:

  • chi (quali sono le persone coinvolte nel mio obiettivo?)

  • come (quali comportamenti produrranno il mio cambiamento?)

  • quando (quali tempi scandiranno il passaggio dallo stato attuale a quello desiderato?)

  • dove (quali saranno i luoghi entro i quali produrrò il mio cambiamento?)

  • perché (quali sono le motivazioni di cui dispongo per realizzare il mio cambiamento?)

  1. In relazione a più obiettivi specifici, più elevato è l’obiettivo, migliore sarà la prestazione, fermo restando un adeguato livello di abilità e di impegno;

  2. Obiettivi specifici e difficili miglioreranno maggiormente la prestazione, rispetto a obiettivi del tipo fai del tuo meglio o a non obiettivi;

  3. La formulazione di obiettivi a breve termine e a lungo termine migliora maggiormente la prestazione, rispetto alla sola formulazione di obiettivi a breve termine;

  4. Gli obiettivi agiscono sulla prestazione, guidando l’attività, mobilizzando l’impegno, aumentando la persistenza e motivando alla ricerca di strategie appropriate al compito;

  5. La definizione degli obiettivi è efficace solo in presenza di verifiche periodiche (feedback) che evidenzino i progressi compiuti verso il raggiungimento degli obiettivi; tale conseguimento dovrà essere verificabile: nell’esempio di prima la scioltezza nei movimenti (il nostro obiettivo) non sarà verificabile se la scioltezza non viene tradotta in comportamenti ed atteggiamenti verificabili, cioè: come saprò di aver raggiunto il mio obiettivo, come lo sapranno gli altri? Comportamento diverso rispetto a prima.

  6. Possiamo impegnarci nel raggiungimento dell’obiettivo accettando l’obiettivo, sentendoci sostenuti, permettendo la partecipazione del nostro istruttore alla scelta degli obiettivi, dell’allenamento, degli incentivi e dei premi;

  7. Il raggiungimento degli obiettivi è favorito dalla determinazione di un piano d’azione o strategia, specialmente quando il compito è complesso o a lungo termine.

  8. La competizione migliorerà la prestazione sino al grado in cui sarà necessario stabilire obiettivi più elevati e/o aumentare l’impegno.

  9. Ambientale: l’obiettivo scelto sarà accettato dalle persone per me significative? Tale obiettivo mi procurerà dei vantaggi?

E’ stato dimostrato che obiettivi moderatamente difficili sono più facili da raggiungere, rispetto ad obiettivi che reputiamo irraggiungibili.

Se valutiamo di non essere sufficientemente capaci di raggiungere quell’obiettivo, difficilmente saremo motivati ad impegnarci in un’attività che con molta probabilità sarà per noi frustante.

La convinzione nella mia capacità di sapere affrontare un determinato compito (autoefficacia) influenza direttamente la mia percezione della difficoltà del compito e la successiva prestazione. Un praticante con un basso livello di autoefficacia relativa ad un compito (esecuzione di un particolare movimento) non sarà motivato da un obiettivo difficile.

Inoltre, come un obiettivo troppo difficile ha scarse probabilità di essere raggiunto, altrettanto un obiettivo troppo facile è poco incentivante. Al contrario un obiettivo moderatamente difficile presenta una probabilità di successo accettabile e il suo raggiungimento è molto incentivante, di conseguenza un praticante che si ritiene capace per quel compito sarà molto motivato a impegnarsi per avere successo.

OBIETTIVI INTERMEDI

Abbiamo detto che l’uso di obiettivi a lungo termine associati alla definizione di obiettivi a breve termine dovrebbe migliorare maggiormente la prestazione, rispetto all’uso esclusivo di obiettivi a lungo termine. Se il nostro obiettivo principale è troppo lontano nel tempo, è possibile che accada di perdere la dovuta concentrazione nel tempo che ci separa da esso in quanto poco motivanti le azioni immediate, tanto che alla scadenza prefissata non avremo raggiunto il nostro scopo. Questo può contribuire alla sfiducia in ciò che stiamo facendo, con perdita di interesse fino al punto di abbandonare il corso di Kung Fu.

Ecco che per mantenere vivo il nostro interesse verso una meta raggiungibile, dobbiamo stabilire obiettivi intermedi o a breve termine. Essi costituiscono piccoli passi, comunque fondamentali, per il raggiungimento dello scopo principale.

Gli obiettivi a breve termine aumentano l’efficacia di quelli a lungo termine,

Inoltre gli obiettivi a breve termine consentono una monitorizzazione continuativa della lavoro svolto in allenamento e quindi stimolano la motivazione.

CONSEGUIRE L'OBIETTIVO

Un aspetto importante, successivo alla focalizzazione dell'obiettivo, è quello di come raggiungere il nostro obiettivo e con quali mezzi.

Una idea generale su come poter ottenere il nostro scopo dovremmo ormai averla grazie all'esperienza fino ad ora acquisita. Ciò però non è sufficiente, dobbiamo stabilire le modalità ed i mezzi specifici, nonchè il tempo necessario per raggiungere lo scopo, in altre parole quanta energia dovremo spendere per raggiungere il nostro obiettivo.

La determinazione degli obiettivi stimola lo sviluppo delle strategie necessarie per raggiungere la meta finale e influenza gli aspetti salienti del processo motivazionale agendo sulla direzione, la persistenza e l’intensità dei comportamenti intesi come atti, tecniche, esercizi per raggiungere in nostri scopi.

Per stabilire quindi un corretto sviluppo del programma, personalizzato, è necessario ricorrere all'aiuto del proprio istruttore. Insieme è possibile pianificare l'allenamento, integrando il programma del corso con le esigenze del nostro obiettivo, fino ad inserire alcuni test intermedi per verificare l'evoluzione del programma personalizzato.

ESEMPIO

Facciamo un esempio.

Poniamo come obiettivo principale l’esecuzione corretta di una forma di Kung Fu.

  1. All'inizio della stagione verifichiamo l’esecuzione della nostra forma, la parte che è stata fatta e quanto rimane ancora da fare se non è stata ancora completata ed in particolare la sua corretta esecuzione.

  2. Per quanto riguarda la parte ancora da fare questa verrà colmata comunque all'interno del corso per cui per il momento lo tralasciamo.

  3. Focalizziamo invece la nostra attenzione su quanto è già stato fatto e proviamo a farci alcune domande:

  • quali sono le parti della forma che ricordo bene?

  • quali sono le parti che ricordo poco?

  • quali sono le parti che non ricordo affatto?

  1. Prendiamo in esame la prima domanda e chiediamoci: sono in grado di lavorare su questa parte della forma in maniera corretta? (secondo le indicazioni del nostro insegnate)

  2. Stabiliamo quindi (sempre con l’insegnante) le nostre carenze e stendiamo un programma di lavoro che abbia come obiettivo quello di coprire tali lacune entro un lasso di tempo non molto lungo, diciamo 15 giorni; questo programma deve essere strutturato tenendo conto di questi elementi:

  • la parte della forma su cui lavorare;

  • mezzi necessari per raggiungere lo scopo;

  • il tempo dedicato al lavoro[1].

  1. Cosi' avanti fino a coprire tutta la forma lavorata.

Questo naturalmente è solo un esempio, forse molto generale, ma che indica il metodo da seguire per raggiungere un obiettivo realizzabile.

FALLIMENTO

Quando ci accorgiamo di non aver raggiunto il nostro obiettivo (e vedrete che accadrà) non cominciamo a criticarci e pensare di aver fallito. Limitiamoci semplicemente a prendere atto di non aver raggiunto quell’obiettivo e decidere se continuare o meno con quell’obiettivo.

E’ importante prenderne atto per evitare che, nascondendo il fatto, nella nostra mente prenda strada inconsciamente un sentimento di fallimento. Questo ci farebbe tendere inevitabilmente ad evitare inconsciamente il conseguimento dell’obiettivo se intendessimo riproporlo, oppure influenzare ad negativamente altri obiettivi.

SUCCESSO

Quando invece raggiungimento il nostro obiettivo, anche un piccolo obiettivo, come quelli a breve termine, prendiamone atto, complimentiamoci e godiamoci il risultato per un attimo con autentica soddisfazione. Questo ci farà provare sensazioni che potremo eventualmente richiamare e ricercare in momenti di difficoltà verso il raggiungimento di altri obiettivi.

Come detto prima il conseguimento, anche di piccoli obiettivi, farà aumentare la nostra autostima[2] e quindi un migliore inizio verso l’obiettivo successivo, con maggiore probabilità di successo, cioè di portare a termine il nostro compito.

PRIORITA'

Qualche volta succede di aver identificato obiettivi a breve e lungo termine, ma sembra mancare la reale motivazione. Il più delle volte questo è conseguenza del fatto di aver sbagliato nel decidere le priorità. Se vogliamo allenarci in modo costante con senso di divertimento ed automotivazione, questo errore di calcolo deve essere eliminato o da soli, quando è possibile, o con l'aiuto del nostro istruttore,.

Per mantenere una sufficiente motivazione, tale da impegnarci in maniera seria nel corso di Arti Marziali, è necessario fissare la nostra attenzione sugli obiettivi che vogliamo raggiungere e sulla loro realizzazione.

Per poter stabilire i nostri obiettivi in maniera ottimale dobbiamo porci in uno stato di tranquillità mentale e fisica, in modo da mettere bene a fuoco cosa vogliamo veramente.

Gli obiettivi devono essere realistici: ma, anche quando lo sono, ci vuole ancora, per raggiungerli, un qualcosa di più specifico e tangibile al fine di mantenere viva la nostra motivazione.

MOTIVAZIONE

Succede sempre più spesso che i praticanti del corso di Kung Fu, ma è comune anche ad altre discipline, siano dotati di un buon bagaglio tecnico-pratico, con possibilità notevoli di concretizzarlo anche in competizioni; però questi individui non sono presenti costantemente agli allenamenti, inoltre non si sentono in grado di competere con altri atleti al di fuori di quelli del proprio corso o della propria palestra.

Gli istruttori sono tormentati da questi problemi.

Il sogno di un istruttore è di trovare praticanti automotivati, che partecipano sempre alle lezioni, che hanno il desiderio di esprimere appieno il loro potenziale e cooperano in maniera totale con l’insegnante.

La motivazione è strettamente collegata alla direzione e all’intensità di un comportamento, è dunque fondamentale nel momento in cui il praticante lavora sulla propria costruzione fisica e psicologica.

La motivazione costituisce la chiave di accesso ai risultati, lavora attraverso i bisogni del praticante di arti marziali, gli stimoli positivi, l’interesse e il divertimento, la ricerca di affiliazione verso l’insegnante ed i compagni, il bisogno di affermazione e riuscita.

Senza motivazione intrinseca o estrinseca (mutevole nel tempo) nessuno è motivato ad agire. Non sarebbe infatti possibile ripetere sequenze motorie nel contesto dell’allenamento, che modifica le condizioni fisiologiche attraverso il superamento dello stress adattivo e/o cognitivo.

L’apprendimento di certe abilità motorie finalizzate sono determinate dall’entità della motivazione. La gestione del fattore motivazionale è in mano all’atleta, agli educatori, agli allenatori e alla famiglia dell’atleta, attraverso input più o meno positivi.

Il praticante di arti marziali, come del resto tutte le persone, non è un individuo ma è un sistema complesso (interno ed esterno), e va affrontato come tale, non nei suoi segmenti isolati o separati dal contesto e tipo di prestazione (lavoro svolto in palestra).

Ma cosa' e' la motivazione? Esistono in proposito molte teorie. Quella che segue e' stata ripresa dall'esperienza di alcuni medici psicologi, i quali tengono a precisare che questa non è la verità.

I modelli tradizionali di motivazione sono centrati attorno ai concetti di conseguimento e fallimento.

Si dice che un atleta è motivato sia quando gli viene offerto ciò che vuole (pensiamo al conseguimento del grado superiore se dovesse superare l'esame; oppure la vittoria in una gara) sia quando viene minacciato con ciò che vuole evitare (pensiamo al fatto di dover ripetere il corso in attesa del prossimo esame se dovesse fallire la prova d'esame per il passaggio di grado, oppure la disapprovazione per la sconfitta in una gara). L’atleta attraverso il successo può conseguire il riconoscimento del suo istruttore, dei compagni, della famiglia e la gloria attraverso il contatto con il pubblico; così come l’approvazione da parte del suo istruttore, dei suoi coetanei, i genitori, il/la coniuge. Si potrebbe anche rendere conto del fatto che, da qualche parte fra tali riconoscimenti rientra anche l'autostima ed un senso, da parte dell'atleta, di raggiungimento del suo potenziale, ma tali fattori sono difficili da valutare e vengono considerati dall’atleta di secondaria importanza.

Secondo tale modello il fallimento prende vita dalla minaccia di punizione sotto forma di critica, di castigo verbale, di l'allontanamento dal corso, di dolore, di esaurimento in gara (che porta all'allenamento ancora più duro), di disapprovazione dell'istruttore, degli amici più stretti e del pubblico, di imbarazzo (di fronte al pubblico o agli amici), di perdita delle cose raggiunte in passato. Si possono menzionare anche la perdita di autostima e del disappunto per non riuscire a raggiungere il proprio potenziale, ma, ancora, per il fatto di essere difficili da valutare, tali fattori vengono spesso trascurati.

Entrambe queste teorie sono basate sull'elemento desiderio. Il modello più grezzo vuole che l'istruttore trovi qualcosa che l'atleta vuole o della quale ha paura, al fine di influenzare il modo in cui l'atleta si comporterà. Nel modello di conseguimento e fallimento, è invece l'atleta stesso che ricerca oppure evita qualcosa nel suo ambiente e sviluppa una linea d'azione conseguente.

Tali teorie forniscono una comprensione di base. In realtà le cose non vanno proprio così. Infatti possiamo trovare atleti che non rispettano il programma di allenamento, preferiscono uscire la sera fino a fare tardi, bere, fumare; oppure ci sono quelli che si adagiano sugli allori dopo una vittoria, pensando che per averlo fatto una volta potrebbero rifarlo ancora e senza bisogno di riprovare.

Da questi problemi emerge un terzo modello che viene chiamato autorealizzazione, oppure fattore sinergico. E' qualcosa che sta dentro l'atleta; quando il desiderio dell'atleta si sposta dalla gratificazione esterna (beni materiali o approvazione sociale) verso il raggiungimento di obiettivi interni, è allora che l'atleta comincia a diventare un automotivato.

Un atleta, come qualsiasi altro individuo normale, ha bisogno di certe cose per essere felice ed appagato. Tutti noi abbiamo bisogno di cibo, protezione, sicurezza, riconoscimento sociale, amore, accettazione, comodità materiali e divertimento. In questo contesto presentiamo ora le tre categorie nelle quali rientrano la maggior parte di questi bisogni. Esse sono:

  1. Sicurezza. Questa rappresenta il punto di partenza. Il praticante di Kung Fu ha bisogno di sapere che quando si presenta ad una seduta di allenamento dovrà fare quello che si sente in grado di eseguire (un lavoro per il grado che ha conseguito). Deve potersi fidare completamente dell'insegnante e quest'ultimo non deve esprimere all'atleta giudizi positivi in sua presenza e giudizi critici in sua assenza. L'atleta avrà inoltre bisogno di un lavoro sicuro, o di una famiglia che si faccia carico del suo bisogno di soldi.

  2. Potere. L'atleta ha bisogno di sapere di essere in grado di eseguire il suo compito e che entro certi limiti, la sua valutazione della situazione verrà accettata (pensiamo allo studio di una tecnica di Lung Chuan Pai). Egli potrebbe aver bisogno di momenti in cui avrà una certa misura di autorità sugli altri compagni del corso (dirigere la preparazione atletica, far vedere e spiegare l'esecuzione di una particolare tecnica).

  3. Amore. Gli atleti hanno bisogno di amore, anche se questa non è la parola più adatta. Hanno bisogno di riconoscimento da parte degli spettatori, degli amici, del pubblico. Hanno bisogno di approvazione da parte dell'istruttore. Hanno bisogno di ammirazione e di rispetto dai loro compagni di corso. Occorre loro accettazione di se stessi, delle proprie forze e debolezze.

Ora, fintanto che l'atleta cerca di soddisfare fabbisogni all'esterno del proprio ambiente, il senso estremo del successo gli sfuggirà.

Comunque, sebbene il desiderio per i bisogni di base ed il fatto di evitare la punizione siano fattori motivanti, e tutti noi operiamo su questa base per periodi di tempo più o meno lunghi ogni giorno, c'è un passo in avanti che l'atleta può e qualche volta deve fare.

Finchè al praticante mancano le qualità di sicurezza, potere e amore e le ricerca al di fuori di se stesso, non ne ha certamente il controllo. Il suo senso di identità personale è chiaramente dipendente da fattori esterni di cui ha bisogno per sentirsi appagato dal solo fatto di possederli (motivazione estrinseca). Il passaggio avviene quando l'atleta inizia a scoprire queste qualità in se stesso (motivazione intrinseca). Invece di cercare approvazione, trova il suo senso di intimo valore. Invece di aver bisogno di dire ad altre persone cosa fare, ha un senso innato di autorità così che la gente lo sta a sentire quando parla oppure ricerca i suoi consigli. Diventa abbastanza sicuro di se stesso da essere in grado di affrontare qualche rischio nella sua prestazione (esecuzione di forme o tecniche davanti ai compagni, oppure naturalmente in gara) e di sapere di essere ancora un atleta valido quando commette errori. In altre parole diventa automotivato quando comincia a scoprire che le qualità che andava cercando nel suo ambiente sono dentro di lui e può esprimerle lui. Inizia così ad incorporare le qualità della sua prestazione, invece di cercarle al di fuori di se'.

Invece di cercare potere, l'individuo automotivato lo da'. L'amore prende la forma dell'autoaccettazione e dell'autoriconoscimento.

E' stato notato che gli atleti che sembrano più in pace con se stessi, con la loro cerchia di amici e il loro lavoro, che sono soddisfatti della loro personalità e del loro modo di agire, spesso sono il perno dello spirito e del morale dei compagni di corso. La loro autostima non viene mai meno e pertanto non hanno scrupoli ad esprimere il loro rispetto od attenzione o ammirazione per gli altri.

Avanziamo quindi l'idea che il passaggio dell'atleta dallo stato di immaturità a quello di maturità implichi il passaggio dal fatto di sentire il bisogno di sicurezza, amore e potere che giungono dal di fuori, al fatto, invece, di riscontrare queste qualità nella sua prestazione, nella sua relazione con il proprio istruttore ed i compagni di corso ed in generale in tutta la vita di relazione.

Non è per nulla sorprendente il fatto che atleti che presentano una certa sicurezza nella loro posizione e nella prestazione nell'ambito della propria attività sportiva, abbiano alle spalle una vita familiare sicura e stabile e posizioni consolidate nella comunità in cui vivono. Il loro senso interiore di sicurezza viene attinto da aree della vita che non appartengono a quello della disciplina sportiva cui appartengono. Atleti che dedicano volentieri parte del loro tempo ai compagni di corso trovano anche il tempo di dedicarsi all'approfondimento teorico della propria disciplina e di quelle ad essa collegate.

A questo punto è utile stabilire nell'ambito della gara due tipi di atleti: quello creativo e quello nevrotico. L'atleta nevrotico è uno che vuole battere il suo avversario per rapportarsi a qualche misura di valutazione esterna. Un tale tipo di atleta gareggia solo per ottenere qualcosa dal mondo esterno, di cui sente di aver bisogno oppure che sente di non possedere.

L'atleta creativo utilizza l'attività sportiva per scoprire o sviscerare ciò che è in realtà, fiducioso che gli farà bene. Egli scopre ed esprime le sue risorse interiori, le sue qualità e la sua motivazione, quando gareggia, espandendo le possibilità di nuovi modi di essere. Più avanza in questa scoperta, più è spinto ad utilizzare il Kung Fu come mezzo per riscoprire chi egli sia veramente e quali possano essere le sue mire.

L’arte marziale diventa un veicolo attraverso il quale egli è in grado di esprimere se stesso. Ed invece di usarla per sicurezza, potere e amore, dimostra ora al mondo di possedere già dentro queste qualità. Questo passaggio segna l'inizio dello stadio più emozionante e divertente della sua pratica nel campo delle arti marziali e negli sport in genere quale appunto l’automotivazione.


BIBLIOGRAFIA

  • John Syer, Christopher Connolly, Guida per atleti all'allenamento mentale - corpo e mente nell'attivita' sportiva; 1987 Nicola Zanichelli S.p.A., Bologna

  • Alberto Cei, Psicologia dello sport, 1998 Società editrice Il Mulino, Bologna

  • Shakti Gawain, Visualizzazione Creativa, 1978, red./Studio redazionale, Como


[1] Potremo inserire anche altri parametri, quali il luogo di lavoro, le eventuali altre persone coinvolte nel nostro programma di lavoro, le verifiche, ecc., come abbiamo visto prima

[2] Con il termine autostima si intende il giudizio che abbiamo di noi stessi, e questo riguarda ogni azione che compiamo o che decidiamo di non compiere

La formazione dell’autostima è in rapporto al sé percepito e al sé ideale:

·       il sé percepito equivale al concetto di sé, una visione oggettiva di abilità, caratteristiche e qualità presenti o assenti;

·       il sé ideale è l’immagine della persona che si vorrebbe per sentirsi OK.

Quanto più è alto il divario tra il sé percepito e il sé ideale, tanto più bassa è l’autostima. Essa si costruisce nel corso degli anni ed è il prodotto di una serie di fattori interponessi tra cui:

·       riconoscimenti e permessi per ciò che si fa da parte delle figure significative (nell’infanzia), del gruppo dei pari (nell’adolescenza), di se stessi (nell’età adulta) diventando genitori di se stessi, dandosi da sé, tramite le esperienza della vita autoriconoscimenti e autopermessi.

·       senso di autoefficacia percepita nell’interagire nelle cose e nelle persone, nell’ottenere dei risultati, nel fare… nell’acquisire competenze professionali e relazionali.


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