IL M°PAOLO BERNARDINI… UN AMICO, NOSTRO LETTORE ED EX ATLETA
DI KICK BOXING… TRA I PRIMI COMBATTENTI ITALIANI DI “KARATE CONTACT” IN FORZA
ALLA “Scuola Arti Marziali Fragale” NEI PRIMI ANNI 80’… ORA ANCHE LAUREANDO IN
PSICOLOGIA, CI INVIA ALCUNE SUE INTERESSANTI CONSIDERAZIONI SULL’ARGOMENTO, IN
MERITO ALLA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE DA TRASPORTARE IN AMBITO SPORTIVO DELLA
KICK BOXING. SICURAMENTE UN NOSTRO PROSSIMO AUTOREVOLE COLLABAORATORE PER LA
RUBRICA TRATTANTE ARGOMENTI DI
PSICOLOGIA SULLA RIVISTA ELETTRONICA DE “ILCODINO PARLANTE”.
Trasposizione del bilancio di competenze nel mondo sportivo
della Kick Boxing
Di: Paolo Bernardini
Mi
sono sempre chiesto, frequentando il corso di psicologia del lavoro e delle
organizzazioni, se le metodologie studiate per l’ambito imprenditoriale e
manageriale, rivolte alle aziende e ai dipendenti, per una migliore gestione
delle risorse umane e per un migliore equilibrio intrapsichico e interpersonale…
potessero essere utilizzate anche nell’ambito sportivo della Kick Boxing…
Forse, potrebbero essere utilizzate ad esempio, per una
migliore dinamica di gruppo e organizzazione gestionale delle palestre, per una
migliore efficienza e continuità del rapporto amatoriale con la kick boxing da
parte di tutti i praticanti, fino al raggiungimento del ricercato
“flow” (attivazione ottimale di arousal… “attivazione ottimale emotiva e
cognitiva”) per gli atleti agonisti…
Del resto… noto che molte palestre presentano, al pari di
qualsiasi azienda… le proprie ambizioni di crescita, di sviluppo e mantenimento
dei risultati, ma osservo anche dei declini, a volte registrando persino una
certa mancanza di motivazioni verso gli obiettivi da raggiungere, con
conseguente instaurazione di “feedback” negativi e persino il sopraggiungere del
“burnout” (demotivazione in seguito a risultati non raggiunti rispetto alle
aspettative) in allenatori ed atleti…
La
figura dello psicologo del lavoro e delle organizzazioni, forse potrebbe essere
utilizzata anche in questi casi, per un’analisi del “clima psicologico”
organizzativo e culturale, sia delle palestre stesse… come anche delle
rispettive federazioni, per estendere poi l’analisi anche o principalmente ai
“disagi emotivi” individuali dei personaggi e figure chiave come i dirigenti,
gli atleti, il coach e i soci sostenitori.
Il ruolo dello psicologo, in questo caso, non deve essere
percepito come aiuto ad un disagio psicopatologico, disadattivo o esistenziale,
che lo farebbe sembrare uno psicoterapeuta… ma inteso come un consulente, un
“counselor psicologico”, il quale forse, potrebbe riuscire a far prendere
migliore consapevolezza delle potenzialità latenti di ognuno, facendo leva sulla
normalità delle persone e non certo sulla eventuale loro patologia, come forse
molti sarebbero portati a pensare.
Il “bilancio di competenze in una azienda” del resto… è un
intervento che ha come finalità l’aumento di consapevolezza dell’individuo circa
le proprie caratteristiche personali, risorse e potenzialità interne, in vista
di un progetto personale che sarà affrontato con autodeterminazione
dall’individuo, fino alla propria personale autorealizzazione.
Le tecniche del “bilancio di competenze per l’orientamento
sportivo”, possono essere primordialmente messe in atto con colloqui,
interviste, reattivi psicologici, test attitudinali, di personalità, questionari
di interessi, autovalutazione, motivazione ecc… che pongono l’atleta di fronte a
delle scelte da fare in base alle proprie capacità recepite, orientandosi quindi
da solo… verso l’obiettivo da raggiungere.
Le competenze del praticante di Kick Boxing (al pari di un
manager di azienda) possono essere declinate in:
-
“Sapere”;
-
“Saper fare”;
-
“Saper essere”.
Sapere:
comprende l’area conoscitiva dei regolamenti, delle tecniche e delle tattiche.,
(paticamente: LA CONOSCENZA)
Saper fare: comprende
l’area propriocettiva e cinestesica (percezione del corpo nello spazio in
movimento) del bagaglio tecnico, con le “skills” o abilità messe in atto,
(paticamente: LA CAPACITA’)
Saper essere: comprende
l’area dell’etica sportiva e sociale, con gli atteggiamenti e i comportamenti
che un’atleta deve tenere, in gara come nella vita.
(praticamente: GLI ATTEGIAMENTI)
L’obiettivo formativo quindi, non è solo quello di agire sui
contenuti e metodologie con delle informazioni, per migliorare le aree della
competenza, ma agire soprattutto sull’individuo, sul suo coinvolgimento, per
“tirargli fuori” (inteso come nella maieutica di Socrate) tutte le proprie
potenzialità (affettive, cognitive, comportamentali) che lo sportivo a volte non
è neanche consapevole di possedere dentro di sé.
Dovremmo quindi iniziare a considerare l’atleta come un
soggetto “pro-attivo” e non solamente “re-attivo”,( quindi che pensa e previene…
non solo reagisce) indicargli anche i vari percorsi possibili da affrontare,
formargli perciò una mentalità divergente, adatta ad un percorso che può essere
sviluppato e controllato da lui stesso e senza “eterodirezione”. (la direzione
fatta da altri)
Nel campo dell’autoaffermazione e dei bisogni del sé, notiamo
che le azioni umane sono dettate da due esigenze:
-
“la motivazione al successo”
-
“il bisogno di evitare un fallimento”
La
motivazione al successo è strettamente legata ad una precisa conoscenza dei
propri limiti e risorse, ma il percorso verso l’obiettivo cambia se è vissuto
solo come un bisogno di evitare un fallimento.
Se per esempio l’individuo ha come obiettivo primario quello
di evitare un fallimento, questo sarò forse maggiormente motivato a scegliere
compiti molto facili ed alla sua portata per evitare il fallimento… oppure
molto, molto difficili, dove anche persino il peso di un insuccesso in un
compito difficilissimo, non sarebbe eccessivamente gravoso per il suo sè, mentre
la motivazione al successo esige la scelta di compiti di difficoltà intermedia,
progressivamente sempre più complessi, dove l’autostima rimane alta ed anzi,
cresce di volta in volta con i successi conseguiti.
Per arrivare infine ad una autovalutazione positiva del
soggetto osservato, finalizzata magari all’emersione di nuove rappresentazioni
di sé (della propria storia personale, bisogni, desideri, interessi, valori,
motivazioni, aspirazioni ecc) forse dovremmo anche fare un’analisi del presente
e del passato, sicuramente quindi partendo dai fatti, o per meglio dire,
partendo dalla percezione dei fatti ed arrivando in ultimo alla traduzione delle
“esperienze” in “competenze”.
La rappresentazione del sé di un’atleta, il proprio sé
come totalità delle esperienze vissute e percepite da lui fino a quel momento…
è un costrutto declinabile su tre piani corrispondenti alla rappresentazione del
sé reale, del sé ideale e del sé imperativo:
-
sul piano reale: “come è per me”,
-
sul piano ideale: “come vorrei che fosse per me”
-
sul piano imperativo: “come dovrebbe essere per me
secondo gli altri”,
Quando
il sé reale entra in contrasto con il sé ideale: l’atleta può deprimersi, non
riuscendo ad esprimersi come vorrebbe, rischiando il burnout. (demotivazione in
seguito a risultati non raggiunti rispetto alle aspettative)
Quando il sé ideale contrasta con il sé imperativo: l’atleta
può diventare ansioso, non riuscendo ad essere come gli altri lo vorrebbero e
pregiudicando in entrambi i casi la sua prestazione.
Una volta individuati gli eventi e le situazioni stressanti,
le quali creano stati emotivi spiacevoli, l’obiettivo da raggiungere non è
quello di reprimere l’ansia silente o fluttuante, l’angoscia e quindi lo
stato emotivo spiacevole che si presenta di volta in volta… Ma bensì, riuscire
a dirigere il “distress” (negativo) trasformandolo in “eustress” (positivo) per
sfruttarlo positivamente, stimolando nell’atleta una prospettiva evolutiva
positiva, portandolo quindi a conoscere (prendere coscienza) le proprie
competenze sportive e di vita.
Come nella vita aziendale quindi, anche nella vita sportiva è
importante conoscere e controllare il proprio “locus of control”, la “self
efficacy”, “l’empowerment”, l’autostima, il concetto di sé, identità
personale, sociale e di gruppo, senso di appartenenza ecc.. sviluppando
un “coping” (capacità di fronteggiare difficoltà ecc.) ampio e completo per
fronteggiare tutte le avversità che l’atleta può incontrare nel suo percorso…
verso gli obiettivi scelti.
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