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Psicologia

In tutti gli sport da combattimento (ma non solo) la figura dell'allenatore e/o coach é certamente basilare, non soltanto per quanto  riguarda la preparazione fisica e tecnica dell'atleta, ma soprattutto  per il sostegno psicologico di cui ogni atleta-guerriero, sappiamo sentire,  impellente e continuamente… la necessità!

“L’ALLENATORE”

Di: Beatrice Guardati

 L'allenatore apparentemente, sembra si occupi o debba occuparsi soltanto ed unicamente degli aspetti atletici, tecnici e strategici, nell’ attività agonistica dei propri assistiti. Ma dovremmo forse invece comprendere, che il suo ruolo gli conferisce naturalmente e fisiologicamente, uno “status” di “leader” nei confronti del team affidatogli e che dirige, così come  nei confronti di ogni suo singolo componente, che segue o che forse dovrebbe seguire “anche e soprattutto” (sarebbe auspicabile…) individualmente, anche se non unicamente credo, nel solo aspetto tecnico-tattico-atletico.

  

Possiamo quindi comprendere  come naturalmente egli  si ponga  perciò, in una relazione interpersonale “complementare” con ogni atleta componente il proprio team. Ciò dovrebbe forse, farci evincere come l’allenatore possa quindi in pratica, divenire per molti propri giovani allievi, un punto di riferimento, un modello e motivo di identificazione. Tutto questo  non solo dal punto di vista agonistico, tattico e tecnico, ma anche  e soprattutto penso, sul piano umano. Sempre più frequentemente sulle pagine della letteratura specializzata si legge   infatti,  che sul piano psicologico  l'allenatore possa divenire per gli atleti ed essere identificato dai propri assistiti, come una specie di “sostituto edipico”.   Conosciamo tutti credo, l’annosa e difficile questione edipica… e fin dall’adolescenza, quando i ragazzi iniziano una qualsiasi pratica sportiva, portano in sé… nel rapporto con gli altri “pari” del gruppo e nei riguardi del proprio coach  ( come una qualsiasi altra  figura che riveste una certa autorità nel suo ristretto ambito “sociale”… come può essere intesa appunto quella dell' allenatore) le proprie vicende, eventuali problemi e  forse anche e persino numerose dinamiche familiari, ancora e momentaneamente irrisolte.

  

Sono in molti quindi gli studiosi-scrittori sull’argomento di psicologia sportiva (con l’esperienza finora acquisita) ad abbracciare e rafforzare l’idea che ogni atleta, riviva alcuni dei propri conflitti personali passati… nella situazione specifica agonistico-sportiva e nei suoi rapporti interpersonali con gli altri eventuali componenti del proprio team. Si legge infatti che l' allenatore o il coach, in questa chiave di lettura, viene vissuto interiormente da ogni  atleta forse, anche e persino come sostituto delle figure genitoriali. Se forse ci risulta facile comprendere ed accettare il motivo per cui lo sostituisca all’autorità  paterna ( autorità che dirige e programma l’allenamento) dobbiamo comprendere però che lo stesso, dovrebbe possibilmente essere capace di trasferire anche un senso di “protezione”… Ecco da dove dovrebbe o potrebbe derivargli credo, l’analogia psicologica ed interiore, con la figura materna.

  

Dobbiamo però notare credo, che l'attività sportiva e l’importantissimo apporto dell' allenatore e/o coach, sono o potrebbero essere anche  un elemento “mediante” tra il “sistema familiare” e il “gruppo dei pari”… Ma soprattutto che queste eventuali e naturali mediazioni, potrebbero anche avere situazioni interattive di disturbo, nell’assolvenza del compito affidato all’allenatore. L' allenatore ed il coach sembrano quindi divenire un punto di incontro tra le figure familiari (autorità e  affettività) e l’intero sistema sociale del nostro ragazzo-atleta. Quindi, molto spesso  l'attività sportiva, con tutto ciò che ne consegue e gli obiettivi agonistici raggiunti o ricercati sotto le direttive dell' allenatore e/o del coach, possono divenire persino una prevenzione nei  contesti socialmente ed affettivamente svantaggiati (le due cose purtroppo molto spesso si sommano) che se lasciati negligentemente andare e senza una benché minima, opportuna e preventiva considerazione, potrebbero forse anche dare luogo a comportamenti di  “devianza” nel contesto sociale più ampio di appartenenza. Si legge forse per questo credo… che l’attività sportiva sia o possa essere altamente formativa ed educativa? Possiamo quindi dire che forse l’allenatore riveste anche un ruolo ed un compito educativo e mediatore tra l’istinto ribelle giovanile ed il bisogno di conformazione per l’ altrui accettazione? Forse si… (ce lo auguriamo) ma sicuramente la sua figura rappresenta per il giovane che si fida ciecamente di lui, l’elemento adulto che “sente” più vicino alle sue passioni ed intenti.

   

Ma abbiamo mai provato a pensare quali sono le difficoltà che gli si prospettano   ed in cui si muove la figura dell'allenatore  e/o del coach ? Sicuramente senza alcun dubbio molte, ma credo sarebbe utile anche solo il fatto che, ognuno di essi possa cominciare anche semplicemente ponendosi la domanda nel tentativo di trovare in sé una risposta soddisfacente ed autoconsapevole perciò, del proprio effettivo ed importante ruolo… inconsciamente e spontaneamente  affidatogli, ma  sicuramente rivestito agli occhi dei propri tutelati.  Spesso però viene riscontrata una certa incapacità da parte degli allenatori e/o coaches nel comunicare le proprie reali “intenzioni” agli atleti. Ma si legge anche che l'atteggiamento che forse si osserva sempre più spesso mettere in atto, é purtroppo quello “autocratico”. Cioè dove l'allenatore nella sua e propria autodeterminazione del ruolo ricoperto, non é affatto disposto a perdere tempo o chiedere pareri ai suoi ragazzi, o seguire le loro eventuali  informazioni, convinzioni  e intuizioni tecniche o tattiche. Inoltre alcuni altri, tendono troppo spesso a sopravvalutare forse la parte tecnica e a non preoccuparsi di dare una consistente quanto importante “educazione sportiva” corretta, credendo di risultare per questo “essenzialmente efficace”.

  

Ma  mostrando ed esibendo invece in questo modo, forse solo scarsa preparazione  professionale nel settore generale del proprio ruolo. Si legge inoltre, che si osserva spesso molto poca sensibilità o superficialità nei confronti delle tante (reputandole futili) problematiche giovanili. Da quanto letto di osservato quindi, solitamente si prospetta una situazione forse non molto serena… nel rapporto fra atleti ed allenatori e/o coaches. Spesso infatti questa figura viene vista, dipinta e definita (ma soprattutto recepita dagli atleti) come un elemento di notevole ed ulteriore stress, da parte dell’intero team. Troppo spesso forse, gli allenatori sembrano infatti basare la loro attività esclusivamente sul rendimento fisico - atletico dei ragazzi o ancora peggio, sul rendimento indotto e prodotto da un atteggiamento estremamente autoritario nei loro confronti. In questi casi, si legge che  il suo comportamento viene percepito dai propri atleti come molto distaccato o superiore, ma anche  forse… incurante di quelle che sono le loro interiori quanto inconsce aspettative o bisogni, soprattutto a livello umano e psicologico. La troppa distanza “empatica” tra l’allenatore e gli atleti non facilita certo infatti,  la serena e trasparente, veritiera e importantissima, comunicazione interpersonale tra loro. No… non é sicuramente un compito facile quello dell’allenatore e/o coach!

  

Trovarsi a dover gestire una situazione così complicata e strutturata, oltretutto  con moltissime variabili di cui tener conto.  Ma non è finita certo qui… perché inoltre, dovrebbe  riuscire a farlo contemporaneamente e consapevole dei risvolti risultanti, indotti ed inducenti a modifiche comportamentali desiderate o indesiderate! Bisognerebbe forse perciò… saper mantenere in equilibrio dinamico tutti gli elementi che comportano la conduzione di un team come il nostro.   Si richiederebbero quindi da parte di tutti i dirigenti e soprattutto dall' allenatore  e/o coach, adeguate  doti umane, psicologiche, metodologiche, tecniche, strategiche, tattiche e  organizzative. La funzione umana e psicologica assunta eventualmente dall’allenatore e dal coach, diventa così una chiave in grado di aprire ogni situazione si voglia indurre. Uno strumento importantissimo per aiutare a risolvere e finanche forse prevenire, le eventuali situazioni che possono nascere tra allenatore, coach, atleti, dirigenti del team. Ma non solo… potrebbe  arrivare forse, o aiutare  a prevenire quelle con i  familiari degli atleti con i ragazzi stessi e nei confronti dell’associazione sportiva di appartenenza. Per non parlare della spinosa problematica che ciclicamente e fisiologicamente purtroppo, si legge che  pare si ripeta in ogni figura dirigenziale di tutte le associazioni sportive. Quando cioè questa  esaurisce la sua energia psicologica e motivazionale e non riesce più a contenere, assolvere e far fronte a tutte le numerose esigenze, richieste e bisogni della propria attività in seno alla associazione sportiva di appartenenza e del team agonistico.

  

Anche il coach  quindi, svolge il suo compito e mansioni in un ambiente difficile e molto stressante.  Caratterizzato forse, soprattutto dalla responsabilità consapevolmente assunta della preparazione fisica e tecnica della squadra aginistica. Ma non solo… inconsapevolmente anche dalle frequenti interferenze dei dirigenti ed eventualmente le pressioni, consigli e convinzioni degli amici o degli stessi atleti. Poi ci sono e spesso intervengono nel gioco, anche i rapporti delle famiglie con  i ragazzi  atleti, oltre anche agli eventuali problemi disciplinari e comportamentali che possono sorgere all' interno della associazione sportiva di appartenenza e del team, con i propri ruoli, diversi compiti e così via. Si legge che nei numerosi quanto importanti studi e ricerche, oltre alle indagini e osservazioni condotte al riguardo, sono stati individuati forse, alcuni comportamenti che possono contribuire all' insorgere della perdita motivazionale da ambo le parti e onnidirezionali.

Come per esempio voler essere troppo perfezionista e non tollerare i possibili eventuali errori dei  ragazzi e  finanche i propri. Oppure totale mancanza di capacità ottimistiche o mostrare loro di essere costantemente insoddisfatti. Ma anche far capire di avere delle aspettative, reputate forse troppo elevate o farsi assorbire troppo e solo dall' attività agonistica esasperata può portare a questo genere di problema… ma soprattutto giudicare il proprio e l’altrui  lavoro dal risultato agonistico di gara in se stesso!  Da queste numerose indagini, studi e osservazioni fatte sull’argomento, sembrerebbe inoltre che sia stato rilevato un più alto livello di perdita motivazionale negli atleti  praticanti sport individuali che non in quelli di squadra e che la causa più consistente di questo sia forse, proprio l' evidente  incapacità a sviluppare un adeguato e sereno rapporto tra allenatore,  atleti e dirigenti dell’associazione sportiva. La persona preposta a sentirsi in dovere di “mediare” per riuscire ad attuare questo connubio sinergico di intenti… potrebbe essere anche e soprattutto proprio il coach, l’allenatore! Secondo queste indagini quindi, si evincerebbe facilmente che la mansione di allenatore debba essere intrapresa possibilmente (sarebbe auspicabile) da soggetti positivi ed estroversi, che resistono per questo meglio, alle frustrazioni derivate anche o soprattutto dagli inevitabili e continuamente possibili insuccessi di percorso che siamo costretti spesso purtroppo a riscontrare.  

  

Ma non possiamo, né dobbiamo dimenticare infatti, che il coach ha anche il delicato ed importantissimo compito di sostenere l’atleta nei momenti di maggiore sconforto e difficoltà, non solo  fisica ma soprattutto psicologica. Dovremmo forse oltretutto comprendere che  alla prima, ne consegue di solito sempre, anche e complementarmente la seconda, come del resto  è altrettanto vero il contrario. L’allenatore dovrebbe essere capace di prevenire quindi, con il suo importantissimo e immancabile supporto emozionale, soprattutto  la possibile perdita motivazionale da parte del  team affidatogli, potenzialmente conseguente negli atleti di ogni livello e disciplina sportiva. E’ ormai noto e stabilito perciò, da tutta la varia letteratura (ora fortunatamente sempre più vasta) sul delicato e annoso argomento, che gli atleti durante la propria attività agonistica, sperimentano continuamente la presenza di molteplici forze stressanti, dovute in parti uguali: all'incertezza del risultato, alla paura del fallimento ed al timore costante di non riuscire a sostenere le aspettative che forse pensa, altri  abbiano su di lui e quindi di non dare il meglio di sé nella prova di gara.  L' allenatore forse, dovrebbe affrontare quindi, le inevitabili e ricorrenti richieste (implicite anche se non palesate) degli atleti seguiti, sviluppando ed arricchendo oltremodo e soprattutto,  la propria capacità di esprimersi e comunicare adeguatamente nei confronti dei propri ragazzi le sue intenzioni e convincimenti, proponendoli magari al vaglio consultivo in apposite e periodiche riunioni con essi.

 

Non solamente consigliandoli quindi, ma forse anche e soprattutto ascoltandoli e prestando moltissima  attenzione alle problematiche, anche o spesso apparentemente futili (ma evidentemente per loro estremamente importanti anche laddove lo fossero)  che  potessero sottoporre o presentare come attenuante di loro eventuali defaiances e difficoltà.

E’ risaputo ed affermato dai più grandi studiosi ed esperti infatti, che  una buona e adeguata  comunicazione interpersonale, è in grado di allentare ed eventualmente finanche prevenire, le tensioni che potrebbero continuamente  insorgere fra il singolo atleta o tutto il team e l’ allenatore o tra i componenti stessi del team, per possibili pericolose, quanto consuete incomprensioni. E’ risaputo ed affermato invece, che le stesse  potrebbero sicuramente e facilmente crearsi in un ambiente non adeguatamente “attento” e sensibile a queste problematiche, con scarsa attenzione e di ascolto superficiale quindi. Oppure con atteggiamenti troppo aggressivi o invasivi da parte di chi è preposto alla guida ed all’organizzazione dell’allenamento e di tutte le altre attività agonistiche o conviviali del team. Siamo d’accordo quindi credo, sul fatto che un buon allenatore dovrebbe essere tecnicamente preparato e costantemente aggiornato… ma dovrebbe forse, anche aver acquisito una certa consapevolezza  personale sulla propria figura societaria, che gli permetta quindi di impostare con una certa sicurezza il suo allenamento. Improntandolo forse prima di tutto sulle esigenze umane come pre-requisito e poi (dal primo derivante e scaturente) sull' obiettivo finale ed estremamente composito e complementare della vittoria specifica in gara.

  

Egli dovrebbe forse, aver sviluppato soprattutto autoconsapevolezza propria del ruolo e status effettivo che ricopre nell’associazione sportiva di appartenenza e che continuamente rappresenta all’esterno di essa, dei suoi obiettivi, metodi, limiti e possibilità… ma anche e soprattutto una sincera giusta autostima. Né sopravvalutata… ma soprattutto, mai altrettanto deterioramente sottovalutata! Personalmente  credo che forse, senza queste caratteristiche di partenza, non si possa sperare di relazionarsi  correttamente  ed in maniera  ottimamente funzionale con gli atleti del team che dovrebbe seguire e che nemmeno  si possa credere o sperare di raggiungere risultati di eccellenza in campo agonistico di gara. Da tutto quanto esposto e discusso, ne deriverebbe forse un quadro generale piuttosto complesso e problematico credo… che forse alcuni non avrebbero neanche minimamente sospettato potesse esistere. Fosse anche solo questo… sarebbe il risultato sperato dagli autori affinché gli allenatori stessi comprendessero l’opportunità di approfondire adeguatamente l’argomento specifico, anche  e soprattutto con ricerche personali in merito e naturalmente valutando continuamente gli eventuali riscontri metodologici “sul campo”.


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