Il Pankration e gli sport da combattimento nel mondo antico
Di: Davide Ferro (Direttore di Pankrazine.com)
Sezione: PANKRATION approfondimento da FIGHT! – RINGNESS
numero 2 febbraio 2010
GLI ALLENAMENTI, I METODI E LE TECNICHE
Gli allenamenti nel mondo antico greco-romano negli agoni da
combattimento, sono simili a quelli che vengono effettuati dai
professionisti ai giorni nostri. Simili perchè nell’antichità gli
esercizi, gli allenamenti, le metodologie nell' uso degli attrezzi
(sacchi e colpitori), ma anche di una certa mentalità
competitiva, non sono distanti da quelli usati attualmente dal
pugilato, dalle molte forme di lotta o dagli attuali sport da
combattimento totali, le MMA.
Molte volte nell'immaginario collettivo lo sport del mondo
classico è visto come qualcosa di barbaro, di rozzo e molto
"violento"...tante persone sbagliando lo confondono con il mondo dei
gladiatori o della guerra antica, a visioni di morte e momenti
oscuri. Ma lo sport, anche se in valenze diverse, ha avuto sempre
gli stessi concetti, la stessa complessità e lo stesso studio che
anche oggi qualsiasi atleta attua con il proprio agire.
Un allenamento di pancrazio vedeva esercizi per la
preparazione fisica come quella: muscolare, ossea-articolare e
nervosa. C'era una parte di "riscaldamento" (anche se il massaggio
con olio di oliva effettuato prima dell'allenamento aveva già
irrorato i muscoli di sangue), che come ci descrive Galeno, veniva
fatta con dei movimenti roteatori per le articolazioni, di
flessione per contrarre muscoli, e degli allungamenti di tensione
che abituavano pian piano il corpo allo sforzo successivo (il
cosiddetto stretching non esisteva come lo conosciamo noi).
Prima dell'allenamento di lotta veniva fatto un pre-potenziamento
particolare, per preparare i principali muscoli ad essere
sollecitati nella potenza in quella fase di combattimento.
Il potenziamento vero e proprio veniva effettuato a fine
allenamento ed era particolarmente duro. Prevedeva un unica serie
per esercizio, come flessioni e piegamenti ed altre prove, con
ripetizioni fino allo sfinimento dell'atleta. Oltre la parte fisica,
che prevedeva molte altre particolarità come l'allenamento al
"fiato" da lottatore, la parte principale, quella
metodologico-tecnica, era un insieme di pratiche ben distinte.
La shadow boxing, il pugilato dell'ombra, nome antico “Skiamachia”,
che consisteva nell' esercitazione di tecniche a vuoto statiche o in
movimento. Nel mondo antico, si usava un accompagnamento ritmico
effettuato da un flauto “Aulos” che ritmava le esecuzioni.
Con
il termine “Scemata” venivano invece indicate speciali "figure" o
combinazioni di tecniche, che venivano allenate con l'aiuto di un
altro atleta. I “korikos” erano invece i colpitori e i sacchi,
usati sia per aumentare la potenza esplosiva ma anche per il
condizionamento di determinate parti del corpo (pugni, tibie, polsi,
ginocchia, gomiti, collo, ecc.). Questi colpitori erano più duri di
quelli attuali e il lavoro di pugno veniva effettuato senza l'aiuto
di guantini, per irrobustire i tendini e le articolazioni dei polsi.
Lo sparring era diviso in leggero totale, “Akrocherismos”, e in
quello di pugni “Sphairomachia”, che come annuncia il termine,
veniva effettuato con l'uso di sfere, di guantoni rotondi, simili
ai quelli attuali da 10 once, ma dove il pollice era inserito nel
globo di pelle. Oltre a questo vi era anche il "grappling" proprio
della lotta e lo "sparring" a contatto totale tipico del Pankration.
Le tecniche vedevano quelle di attacco e difesa proprie del
pugilato “Pygmachia”. I pugni erano di solito caricati simili a
quelli tirati dal pugile moderno Rocky Marciano ed essendo o a mani
nude o con l' uso di guanti di pelle leggeri, si puo' dire che
quella chiamata al giorno d'oggi "dirty Boxing", era la pratica
comune.
Le tecniche di lotta si dividevano in quelle in
piedi “Orthepale” o “Stadaia pale”, di lotta a mezza
altezza “kuliosis” (con lo stesso termine era indicata anche una
fase della lotta a terra quella "dell'arrotolamento") e di lotta al
suolo chiamata “Alendisis” o “kato pale”. C'erano inoltre tecniche
tipiche e caratteristiche solo del pancrazio, le “Pankration teche”;
queste vedevano lo studio dell' uso dei gomiti, della testa, delle
ginocchia, dei calci e di altre particolarità "miscelate" per un
combattimento totale, e che fino all'avvento di discipline come
il Vale Tudo o le odierne MMA, non esistevano, cosi organizzate, nel
panorama sportivo moderno e contemporaneo.
Anche se suddivise nell'insegnamento, le tecniche di lotta,
erano di gran numero secondo il tipo di altezza di combattimento;
c'erano nella lotta in piedi: quelle a contatto “Hamma” e quelle a
distanza “Stadaia”, i famosi strangolamenti “Achein”, le spazzate “Apopternizein”,
le prese al collo “Trachelizein”, le proiezioni al suolo “katabletike”,
le leve “Echein”, le prese ai polsi “Dialam Banein” e leve alle
dita “Akrokerismos”, speciali agganci agli arti “Ankyrizein”, prese
al tronco “Meson Echein” e alle gambe “Hyposkelizein”. C'erano
anche i trascinamenti “Reiyon”, le spinte “Drattein” e
le proiezioni “Rassein”, nella lotta a mezza altezza come anche gli
strangolamenti “Achein”, le spinte “Helkein” e
le prese “Echein” nella lotta al suolo “Kato pale”.
IL SACRIFICIO E IL DOLORE DELL'ATLETA ANTICO
Uno dei primi poeti epici, Esiodo, scrive: "I Dei immortali lo
hanno creato: per ottenere l'eccellenza atletica, prima dobbiamo
sudare". Il sudore e' il simbolo stesso dello sforzo e della fatica
corporale atletica. Molte altre categorie di uomini hanno a che fare
con lo sforzo e la fatica ma solo per gli atleti l'agonia fisica
diventa uno "strumento" per raggiungere la vetta. E non ha caso il
termine agonia deriva dal greco Agon, competere con dolore; infatti
lo sforzo e il sudore sono solo ruote che girano attorno al dolore
fisico e mentale.
L'atleta degli sport da combattimento nel mondo antico era una
sorta di celebrità proprio perchè era uno dei maggiori conoscitori
del sacrificio umano con il solo scopo di eccellere.
Nell' Anacarsi dello scrittore greco Luciano, un importante
sapiente Persiano si trova con il legislatore greco Solone in una
palestra nel momento in cui gli atleti del pugilato, della lotta e
del pancrazio si allenano. Il barbaro-guerriero rimane incredulo
quando il sapiente greco gli dice che quegli uomini si
stanno sforzando al massimo, stanno dando il meglio di sé per poter
vincere solo una corona di ulivo. Per lui che era stato addestrato
ad una mentalità guerriera, gli atleti sembravano dei pazzi.
Infatti, non solo i persiani apostrofavano con timore, ateniesi e
spartani, come "quelli del ginnasio"...
La dedizione e il sacrificio quotidiano degli atleti era
proverbiale, diventando così anche messaggio per i guerrieri, come
Platone (il quale era stato un importante lottatore, Platon significa
"dalle larghe spalle") ci ricorda nelle sue Leggi.
Gli
atleti seguivano un ciclo di allenamenti di quattro giorni dove il
primo e il quarto erano meno pesanti dei restanti, ma senza nessun
giorno libero doveva essere veramente massacrante come ci raccontano
le cronache antiche. L'atleta del passato classico era abituato già
da fanciullo a trovare la forza, per superare gli sforzi, nella
congiunzione "spirituale" con Ercole ed Hermes, figure presenti, con
dei busti, nelle palestre Greche e Romane. Quasi quotidianamente
l'atleta faceva una sorta di meditazione e preghiera rivolta verso
queste figure, cercando di introiettare in se stesso l'energia di
cui aveva bisogno.
Il dolore era uno dei simboli degli eroi greci. Solo chi aveva
sofferto fisicamente e mentalmente poteva dirsi eroe. L'eroe
e' colui che si è cimentato con la sofferenza e ne uscito vincitore.
Ecco perchè per i greci vedere un' atleta che superava la sofferenza
era qualcosa di eroico che superava qualsiasi mortale.
Ma dove non arrivava l'atleta si presentava la disciplina.
Nell’antichità la disciplina insegnata dagli istruttori ad un atleta
poteva far rabbrividire anche un guerriero come ben sapevano
spartani greci e legionari romani. Nei racconti antichi ci viene
detto che molti allenatori portavano allo sfinimento e talvolta alla
morte gli atleti pur di non abbassare il livello di sacrificio a cui
erano imposti. L'allenatore e la sua parola erano sacri, nessun
atleta poteva contraddirlo. Dagli Spartani fino ad Alessandro
Magno, da Socrate fino a Sant'Agostino, da Tacito fino a
Diocleziano, la descrizione della disciplina atletica era quasi
sovraumana e vista come qualcosa tra il divino e l'infernale.
GLI ANTICHI IDEALI
I pancrazisti come i pugili ed i lottatori erano tra gli atleti
più ammirati del mondo antico. Imperatori e tiranni, filosofi e
religiosi, guerrieri e calzolai, tutti vedevano in questi uomini
l’essenza eroica umana: cercare di arrivare alla vittoria, piegando
ed abbattendo qualsiasi ostacolo si trovi sulla strada del trionfo.
Il mondo Greco e Romano si svilupperà nella guerra come nel
commercio con questa idea. E non per caso ritroviamo in tutti i
luoghi passati, statue di atleti, innalzate per ricordare, in ogni
momento della giornata, quali erano i valori fondanti della
società; la corona di ulivo, simbolo principale dell’atleta,
diventerà l’emblema di chi e’ innalzato, simbolo dell'onnipotenza
dall’imperatore al Santo.
Il motto moderno “l’importante non e’ vincere, ma partecipare”
per un antico sarebbe stato un vero insulto, una bestemmia.
L’importante era vincere a qualsiasi costo, perdere era una
vergogna. Sulla lapide di un pancrazista morto in una di quelle
arene in cui si combatteva sotto il sole dei pomeriggi d’agosto,
senza soste, rounds, acqua ed ambulanze, finché uno solo restava in
piedi, fu scritto: “Aveva pregato Zeus di dargli o la corona o la
morte”, ed era stato accontentato.
L’atleta era l’emblema dell’ uomo che metteva in gioco tutto se
stesso, dopo ogni supplizio, ogni sofferenza e ogni sforzo, era
sopravvissuto, e si poteva coronare con il simbolo della: la
vittoria.
Lo sforzo e il dolore per giungere al trionfo, in greco “Agon”,
era la base della cultura antica greca. In tutti gli ambiti umani,
l’Agon era solidamente strutturato all’esistenza. Il concetto di
lottare per vincere era correlato a quello della virtuosità: “Aretè”. Intraducibile in
un solo concetto, il termine Aretè ha il suo significato nei
diversi: virtù, eccellenza, coraggio, prodezza, audacia, cioè
dell’eccellere, del primeggiare, del distinguersi sia in gara come
in guerra. Infatti, come anticipato già all'inizio
dell'articolo, sia nell’etica guerriera che in quella sportiva, sia
nella dimensione retorico-filosofica come in quella politica, o in
generale, in tutte le faccende quotidiane, lo sforzo di essere il
primo, il migliore era il fondamento di un modo di essere, che
divenne il principale “motore” degli avvenimenti storici greci e poi
romani.
Erroneamente, il termine Agon è associato, da molti, solo e
unicamente al contesto agonal-sportivo del mondo ellenico, che
invece usava il termine Athlion per indicare l'atto di competere per
un premio.. Questa confusione deriva dal fatto che l’atletica era la
principale forma di acculturamento all’Agon; il concetto stesso di Agon intendeva
anche un “condurre”, un educare, un allenare allo sforzo per il
raggiungimento di una meta. Il filosofo Nietzsche osserva come i
Greci vivevano identificandosi con la lotta competitiva, la loro
pedagogia era l’agonismo. La stessa terminologia atletica era la
base del linguaggio, dell’espressione e della comunicazione
quotidiana delle diverse attività umane. I dibattiti, le dispute, le
riflessioni avvenivano nel gergo atletico.
L’Aretè, nell’ideazione antica, richiedeva un ostentamento, un
sorta di esibizione, un mostrarla in particolari eventi come nelle
battaglie o durante i festival atletici.
Nel mondo contemporaneo, gli antichi atleti in Arete', sarebbero
visti come dei propri esibizionisti dell’azione, degli ostentatori,
degli spacconi dell’impresa.
Aretè era la funzione critica dell’Agon: vivere per l’azione,
mostrandola. Erigere statue, lapidi o produrre creazioni poetiche
agli atleti era un modo di ricordare ed educare al valore dell’Arete.
L’arte classica ha infatti come scopo principale quello di creare
attraverso l’immagine una sorta di educazione, di erudizione, di
insegnamento ai valori ellenici come quelli di identità e di ricerca
delle virtù.
Lo psicologo Riccardo Venturini scrive “allorquando un obiettivo
di vita venga soggettivamente vissuto con una amplificazione capace
di infinitizzarlo, esso può essere considerato un obiettivo in senso
lato religioso, capace cioè di fornire orientamento, senso e
devozione”.
Bisogna anche dire che la dimensione “corporale” antica era ben
diversa dalla nostra concezione moderna. Il lavoro sul corpo e lo
sviluppo di atti di esibizione, l’atletica in primis, portava alla
congiunzione tra azione e corpo. “Sei ciò che fai” era una
peculiarità basilare per capire l’immagine che avevano i greci
dell’essenza umana.
Gli Dei e gli Eroi erano identificati per quello che facevano:
Ercole per esempio produce forza, vigore, vitalità, quello era il
suo fine e il suo scopo…
Gli stessi eroi come i guerrieri o gli atleti servivano da
modello, in greco Paradeigmata, per la ripetizione di determinati
“atti corporali”. Questi davano un esempio di comportamento ai
cittadini, educandoli in tal modo. L’etica, i valori morali erano
strettamente collegati all’Agon, lo sforzo corporale; anzi si può
dire che l’etica greca è un etica “corporale” . L’uomo greco è un
uomo agonale.
Pindaro nelle sue odi di vittoria atletica, l’Epinikia, ci offre una
panoramica dell’essenza della virtuosità e della sua ricerca
attraverso lo sforzo.
Con questo autore si comprende che è proprio nel momento dello
sforzo, nel momento temporale dell’ Agon che si realizza l’Aretè,
che poi avrà la sua commemorazione delineando l’universo di tali
virtù e delle abilità per raggiungerla. L'Athlon, il premio
in danaro o di olio d’oliva o altro, che sarà tanto importante nel
mondo antico, era il raggiungimento dello scopo dell’Agon, la
materialità della vittoria.
Essendo Agon ed Arete dipendenti l’un l’altro e formando
l’essenza dell’uomo Greco e della sua cultura, si può capire bene,
l’importanza e la rilevanza dell’ atletica nel mondo antico. |