| ANCORA IL DOTT. MASSIMO BLANCO, CHE CI PARLA AUTOREVOLMENTE 
DI UN ARGOMENTO QUANTOMAI DELICATO E DI ATTUALITA’… IL BULLISMO DEI NOSTRI 
GIOVANI. ANALIZZANDO CON LA SUA ESPERTA GUIDA IL PROBLEMA… CI ACCORGIAMO CHE 
SORPRENDENTEMENTE… LE ARTI MARZIALI POTREBBERO AIUTARE I BULLI A COMPRENDERE 
L’INADEGUATEZZA DEL LORO COMPORTAMENTO.Le Arti Marziali contro il “bullismo”Di: Dott. Massimo BlancoDirettore Dipartimento Ssociologia WTKA
 Il 
titolo del presente articolo non è un inno alla violenza, visto che il lettore 
potrebbe pensare che si vuole indirizzare le vittime dei bulli a intraprendere 
una disciplina marziale per “dare una lezione” ai coetanei che usano contro di 
loro violenza psicologica e fisica. Assolutamente no! Qui si vuole partire da una analisi circostanziata del 
fenomeno, per arrivare a comprendere come le Arti Marziali possono essere un 
mezzo per “aiutare” prima di tutto i bulli e non le loro vittime. 
 “Aiutare 
i bulli”? Ebbene sì, visto che l’etichetta, la società, su taluni 
bambini e adolescenti, l’ha già applicata, senza pensare al fatto che il 
comportamento del bullo non è altro che la reazione ad un disagio interno 
(disagio psicologico) che si manifesta nelle relazioni umane (disagio sociale). Invero, il bullismo è un comportamento antisociale, quindi un 
“disturbo del comportamento” che ha cause psicologiche e sociologiche di 
estrema importanza. Il termine “bullismo” deriva dall’inglese “bullyng”, 
usato dai ricercatori per identificare un soggetto che si rende protagonista di 
prepotenze nei confronti di altri individui. Il bullismo implica comportamenti aggressivi e vessatori che, 
spesso, possono sfociare in violenza psicologica o fisica nei confronti di altri 
soggetti. Per comprendere il fenomeno antisociale in questione, 
dobbiamo innanzitutto meditare su ciò che sta accadendo negli ultimi anni.  Infatti, 
il mito che il futuro criminale risieda in ambienti degradati e con alto tasso 
di delinquenza, è stato rivisto dall’insorgere di tendenze devianti e criminali 
in strati sociali che un tempo non destavano particolare preoccupazione. E tale 
aspetto fa riflettere, atteso che le nuove forme di delinquenza si esprimono 
spesso in quella parte di società cosiddetta perbene, caratterizzata da una 
condizione economica spesso abbiente e da uno status sociale di tutto rispetto.
 Il fenomeno del bullismo di cui tanto si parla oggi, è una 
condizione che si rifà a vecchie degenerazioni come il nonnismo militare o di 
alcuni luoghi di lavoro e si collega a tutte le devianze che hanno in comune il 
considerare l’ “altro” come un oggetto. Il bullismo è stato associato al mondo scolastico, ma tale 
assioma sembra non collimare alla vera essenza del fenomeno. Probabilmente se ne parla maggiormente, e fa più scandalo, 
poiché avviene in un contesto che dovrebbe avere un certo tipo di controllo (in 
quanto la scuola è considerata “ambiente protetto”), ma è una forma di 
comportamento deviante che può accadere in molti altri ambiti sociali. Normalmente, l’azione del bullo (che può essere tanto un 
bambino quanto un giovanotto di venticinque anni) si attiva contro soggetti 
“devianti”, a giudizio del bullo stesso (paradossale, ma è così) rispetto alla 
“normalità” del gruppo. 
 Così 
accade che la vittima predestinata sia un individuo (anche tra femmine vi è 
bullismo) che non si conforma alle “regole” del gruppo per il modo di 
abbigliarsi, di pettinarsi, di parlare, di bere ecc.... L’azione del bullo o dei bulli si realizza sempre alla vista 
di altri componenti del gruppo che si mostrano leali spettatori in quanto, a 
loro volta, non vogliono diventare vittime. Le cause psicologiche e sociali del bullismo, sono da 
ricercarsi nell’innata aggressività del soggetto determinatasi quasi sempre 
nell’infanzia e dovuta a carenze affettive e ad eccessive regole o punizioni o, 
come sovente succede oggi, alla troppa permissività da parte di una famiglia 
spesso assente sul piano relazionale. Infatti, un ruolo fondamentale è dato al modello genitoriale 
nel gestire il potere. L’uso eccessivo di punizioni fisiche porta il bambino e, di 
conseguenza, il futuro adulto, ad utilizzarle per far rispettare le proprie 
regole. Ma un dato certo è che attualmente, il fatto che i ragazzi 
attuino tali atteggiamenti, può non essere ricondotto in generale a fattori di 
punizioni fisiche subite in famiglia come poteva esserlo un tempo, atteso che i 
bulli di oggi, in controtendenza a ciò che sarebbe naturale credere, 
appartengono, come già detto, a quello strato sociale costituito da famiglie 
normali, rispettabili e anche benestanti. 
 Da 
svariati studi emerge che tali condotte si verificano quando i genitori, 
occupati dal lavoro e praticamente assenti o carenti nelle relazioni coi propri 
figli, non sono in grado di fornire in modo adeguato i limiti oltre i quali 
certi comportamenti sono consentiti. A livello sociale, il bullismo si può sviluppare anche quando 
i fattori di gruppo favoriscono certe condotte, nel senso che basta che nel 
gruppo vi sia un bullo, il quale gode di stima e rispetto da parte degli altri 
(più che altro per la paura di diventarne vittime), al quale ispirarsi come 
modello. 
 L’assenza 
di regole in un bambino non è certo una “colpa” del bambino stesso. Del resto, 
il bambino interiorizza delle regole se queste vi sono all’interno della 
famiglia, dove avviene il primo stadio della socializzazione. Ma se le regole 
sono troppo rigide, ambigue o assenti che succede? Una famiglia troppo rigida nell’educazione può portare il 
bambino ad essere troppo rigido con gli altri e, soprattutto, con se stesso. Nel 
peggiore dei casi lo può condurre ad una forma di ribellione all’esterno del 
contesto familiare con l’attuazione di comportamenti antisociali anche gravi. Una famiglia dove le punizioni sono “la norma”, quindi la 
regola, porterà il bambino a sviluppare tale sentimento nei confronti degli 
altri, punendoli se in contrasto con le proprie aspettative. In un contesto familiare dove le regole sono ambigue, il 
bambino avrà solo confusione e sarà portato ad adattarsi alla regola meno 
vessatoria e più gratificante. Questo capita ad esempio quando i genitori hanno 
comportamenti educativi diversi o si contraddicono davanti al bambino stesso. In una famiglia dove le regole sono deboli o assenti, ovvero 
dove la gestione del potere da parte dei genitori non viene svolta correttamente 
(es. impegni di lavoro, assenze prolungate ecc…), il bambino dovrà trovare altri 
punti di riferimento dai quali attingere delle regole. E i punti di riferimento, 
nella nostra epoca, sono spesso quelli meno indicati, come alcuni programmi 
televisivi. In questi casi si può verificare il comportamento antisociale 
che, oggi, definiamo “bullismo”, giunto alla ribalta delle cronache 
giornalistiche proprio perché, come sopra menzionato, i bulli provengono, nella 
maggior parte dei casi, proprio da contesti familiari giudicati “normali”. 
 La 
condanna al genitore che non sa gestire il potere potrebbe essere subito data, 
ma anche in tale frangente bisogna fare i conti con le aspettative della nostra 
società, improntate al successo, al denaro, alla realizzazione personale e, 
quindi, ad una certa forma di egoismo che diventa l’ “adattamento” della persona 
alle mete Istituzionali da raggiungere. Talvolta in maniera conformista e in 
altri casi in maniera innovativa. Il benessere economico, lo status sociale ecc…, per quanto un 
genitore possa considerarli di fondamentale importanza per dare un futuro 
migliore ai propri figli, sono solo apparenze che si scontrano con ciò di cui 
hanno davvero bisogno i bambini: tanto affetto, dialogo e partecipazione attiva 
e consapevole alla loro vita. L’aggressività del bambino prima, dell’adolescente poi e, 
purtroppo, dell’adulto alla fine dello stadio evolutivo, sono ciò che oggi 
chiamiamo comportamento antisociale, che non è una patologia clinica ma un 
disagio che, se capito in tempo, può essere combattuto e debellato. Quindi, se è vero che il bullismo è determinato 
dall’aggressività e dalla mancanza di regole, si può affermare che una attività 
di “segno contrario”, come la pratica delle arti marziali e degli sports da 
combattimento, può costituire il bilanciamento al disturbo antisociale. Bisogna tenere presente che l’aggressività del potenziale 
bullo è un sentimento che deve trovare sfogo all’esterno, poiché i cosiddetti 
“agenti inibitori” del bambino non sono ancora sviluppati e l’unica via per 
riacquistare pace interiore e avere appagamento psicologico, è adottare azioni 
di violenza verso qualcun altro. Se si parte da questo concetto, è facile capire come un 
bambino aggressivo può divenire un adolescente ribelle e, in seguito, un adulto 
violento. 
 Il 
bambino che non ha interiorizzato le regole della società, sarà predisposto a 
vedersi etichettare presto come soggetto deviante. E, come ci spiega la teoria 
dell’etichettatura, tale status viene man mano interiorizzato giungendo alla 
fine a fare credere all’individuo, divenuto adolescente e poi adulto, di essere 
davvero anormale, portandolo, nel migliore dei casi ad essere un “prodotto” 
antisociale e, in condizioni peggiori, ad adottare veri e propri comportamenti 
criminali. Il ruolo del genitore e degli educatori deve essere quello di 
individuare tempestivamente nel bambino un determinato tipo di comportamento 
aggressivo e antisociale. Considerando il bambino come una sorta di “pentola a 
pressione” dove il vapore interno è l’aggressività, la valvola di sfogo deve 
essere azionata tempestivamente in modo che il sentimento possa essere sfogato 
sia fisicamente che psichicamente. Il comportamento antisociale è poi determinato dalla 
condizione di assenza di regole. Nella pratica, al bambino manca la “bussola”, 
lo strumento di riferimento sociale in grado di farlo muovere in un ambiente 
dove le regole garantiscono il pacifico svolgimento di qualsiasi attività umana. 
 Le 
arti marziali e gli sports da combattimento sono proprio ciò che serve al 
bambino aggressivo e carente di regole: le palestre sono il luogo dove poter 
sfogare i propri impulsi violenti; gli insegnanti, nella loro duplice veste di 
allenatori ed educatori, sono gli “agenti catalizzatori” di un processo di 
“regolazione” del bambino. Non vi sono altri sport dove per i bambini sussistano queste 
due grandi forze di risocializzazione che agiscono sia a livello fisico che a 
livello mentale. Ricordiamoci che i bambini di oggi sono gli adulti di domani. 
Pertanto, anziché apporre una poco dispendiosa etichetta sui bulli, adoperiamoci 
affinchè siano proprio loro ad essere aiutati ancora prima delle loro vittime. |