COME COMINCIA L’ALLENAMENTO SPECIFICO NELLA MUAY THAI
di: Roberto Bruno
Fu soltanto nel 1998 che Mathias
incontrò Mr. Deng (oggi purtroppo non sappiamo dove si trovi, trovandosi a
Puket proprio nel periodo dello Tsunami), nel SIT-PHU- YAI NAO CAMP di Ko Samui
(Thailand). Aveva appena 6 anni e con i pugni se la cavava benino per
essere un italiano (o meglio un FARANG, è così che i Tailandesi chiamano gli
stranieri) ma nonostante questo, i bambini tailandesi della sua età riuscivano
a metterlo in seria difficoltà. Anno per anno continuò ad allenarsi in quella
palestra e in altre che iniziarono a nascere nell’isola. Partecipando ad una
fiera locale… a 10 anni si trovò per caso ad essere invitato sul ring per un
gioco particolare e tutto tailandese: “combattere tra bambini con gli
occhi bendati (una sorta di mosca cieca, ma molto più pericolosa se pensate che
qua i bambini sono spesso dei pugili e sferrano calci, pugni, ginocchiate e
gomitate, con il massimo della loro forza).
Il papà di Mathias durante
l’incontro pensò che quella sarebbe stata la prima e l’ultima volta che
Mathias saliva sul ring, perché fu un vero castigo per il piccolo bambino
italiano, che ne uscì con le gambe nere di lividi …ma stranamente contento e
determinato a riprovarci! Così i genitori ed il maestro (Mr. Deng) decisero che
per riprovarci, doveva essere prima ben allenato ed iniziò così in
maniera più seria ad apprendere la nobile arte della MUAY THAI o Boxe
Tailandese, come si dice in Europa. In Italia fortunatamente, il papà
Roberto ha grande esperienza e conosce così bene il settore, che può
indirizzarlo verso i migliori istruttori, ma resta sempre lui il punto di
riferimento per Mathias ed è sempre lui a indicare i passi da compiere ed a
suggerirli agli istruttori stessi. Mathias si allena ad Orbassano con Francesco
ed è questo un primo passo, ma non sufficiente, perchè in palestra ci sono
solo adulti e perché Francesco è un istruttore di Kick Boxing e non di Muay
Thai. Servirebbe un istruttore che conosca bene
la Thailandia
e che abbia esperienza nell’insegnamento specifico per i bambini.
L’occasione si presenta con il compleanno del maestro dei maestri: Alfonso
Sgarro, per gli amici PIO (oggi imprenditore del settore con
la SAP
). Tutti gli ex allievi di PIO si riuniscono e tra tutti Remigio Fontana, detto
REMO è l’unico ad avere in palestra diversi giovanissimi allievi . (n.d.r. l’insegnante
Remo Fontana ha conseguito un titolo di studio professionale specifico e ci
sembra che svolga anche un lavoro concreto come educatore giovanile n.d.r.)Trovare
un istruttore che sappia seguire i ragazzini è una fortuna e Roberto affida
Mathias a Remo volentieri. Inizia così un allenamento più sistematico per
Mathias, ma anche per la mamma, che deve attraversare la città in orario di
punta, per portare il figlio agli allenamenti e che finisce anche lei per
allenarsi, pur quasi odiando all’inizio questo sport così apparentemente
violento. Il papà Roberto, impegnato nel suo lavoro è poco presente agli
allenamenti a Torino e si limita a riportare a Remo Fontana i risultati
degli allenamenti fatti in Thailandia e la strada, a suo parere, da percorrere.
Roberto sa che può fidarsi della guida di Remo e questo conosce bene Roberto.
Remo è un istruttore con molta pazienza e grande capacità comunicativa,
conosce Roberto dai tempi in cui gli atleti della palestra “Challenger
Center” facevano la storia del FULL CONTACT e tra questi, insieme a Sgarro e
Bortoloni c’era proprio Roberto Gallo.
Pian piano migliora
l’impostazione tecnica, ma non basta, Mathias deve iniziare a fare i primi
sacrifici. I calci sono ben dati ma non c’è quella potenza esplosiva, propria
dei thailandesi. Allora Roberto si procura un copertone usato di un camion e
alla maniera thailandese Mathias ogni giorno, compresi sabato e domenica, salta
sulla gomma per 15/20 minuti per irrobustire i polpacci e conferire la dovuta
“potenza esplosiva “. Certo è un bel sacrificio per un bambino di 12 anni,
che oltretutto è molto attento e dedito allo studio… ma lo fa con
grande determinazione e passione. Lo stesso vale per la palestra: deve partire
da un paesino di montagna, scendere a Torino e attraversare la città, 40 minuti
di auto con la mamma Nicasia, due ore di allenamento duro e poi il rientro a
casa.
La cosa che a volte scoraggia
Mathias è che nessuno dei suoi amici e compagni di scuola conosce
questo sport e quando ne parla, ridono dicendogli “sei un nano e vuoi fare la
boxe, ma smettila che ti picchiano!!” . Passando circa 3 mesi all’anno in
Thailandia, ritrova però il suo equilibrio e l’amore per questo sport. Mathias
inizia ad essere elogiato un po’ da tutti per le sue qualità già
dall’inizio del
2004, in
Italia purtroppo non ha bambini di pari livello con cui misurarsi in palestra e
quindi il papà Roberto inizia a portarlo in giro per diversi CAMP (palestre) di
Pattaya (in cui lo ritraiamo in allenamento al Petch Roong Ruang) a
Bangkok e soprattutto a Ko Samui, dove è ormai di casa. Mathias comincia
così a fare da sparring a diversi bambini pugili professionisti molto bravi e
che lo mettono in seria difficoltà, avendo alle spalle da 30 ad oltre 100
incontri professionistici ciascuno. Quando incontra bambini del suo
livello e che non hanno ancora debuttato al professionismo se la cava molto
bene… ma la grinta dei thailandesi è superiore e alla fine, facendo leva
sulla loro determinazione e sul loro orgoglio (non dimentichiamoci che è lo
sport nazionale in Thailandia!), riescono sempre a sopraffare Mathias che dal
canto suo però, non molla mai, incassa i colpi e quando può colpisce duro e
intanto impara sempre qualcosa di nuovo e alla fine dell’allenamento ringrazia
sempre i bambini thailandesi con cui ha “fatto i guanti” e naturalmente il
maestro, per ciò che ha imparato. Spesso durante gli ultimi due anni, Mathias
riceve molti inviti a salire sul ring e incontrare un boxer professionista, ma
non se la sente e Roberto non vede ancora in lui quella grinta e quella
determinazione necessaria. Anzi, con l’andare del tempo Mathias cresce
tecnicamente moltissimo al punto che in Italia, riesce a mettere in difficoltà
anche ragazzi di età e peso superiore ai propri. In Thailandia ci sono altri
ragazzi europei che si allenano di tanto in tanto e quando incrocia i guanti con
qualcuno di loro, anche se bravo e più pesante, inizia a riuscire a metterlo in
difficoltà. Quando però si trova davanti ad una furia tailandese, che spesso
è solo un bimbetto molto più piccolo di lui e meno preparato tecnicamente, non
riesce ancora a spuntarla. Mathias pare abbia un limite psicologico: crede di
non poter affrontare un thailandese ad armi pari. Ogni volta che dietro
consiglio del maestro, colpisce duro un bambino tailandese, ne patisce poi
psicologicamente, la reazione “infuriata”. Si, perché per un bambino
thailandese incassare colpi da un “FARANG” è quasi una mortificazione
e gli amici che sono presenti, lo deridono durante l’allenamento, dopo e
ancora nei giorni di scuola successivi. E’ il loro sport nazionale e nessun
bambino farang conosce l’arte della muay thai, per cui incassare da un farang
è un’ umiliazione che nessun bambino thai vuole ricevere.
Il lavoro che Roberto deve
affrontare con Mathias è il più difficile, le chiacchierate in motorino, al
rientro della palestra, sono per entrambi molto formative, ma il blocco rimane
tale al punto che Roberto inizia a pensare alla storia dell’elefante ed a
spazientirsi dell’atteggiamento di Mathias verso i boxer thailandesi.
Storia tailandese dell’elefante: In
Thailandia si racconta che sin da piccoli gli elefanti da ammaestrare
vengono legati ad un picchetto in modo da non farli scappare. La prima
volta che vengono legati, provano disperatamente a staccare il picchetto
ma non ci riescono, perché sono troppo piccoli e perché il picchetto è
grosso e ben fissato al terreno. Dopo alcuni giorni in cui tentano
continuamente di liberarsi e scappare… finiscono per rassegnarsi e a
quel punto, i suoi ammaestratori non fissano più il picchetto così bene,
lo lasciano semplicemente piantato nella terra. Gli elefanti non provano
più a scappare e dopo anni ormai, il picchetto è molto esile
rispetto alla loro struttura, ma nessun elefante prova mai a staccarlo,
perché crede ormai che non ci riuscirà. |
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