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Eccovi un interessantissimo lavoro inerente le varie responsabilità civili e penali a carico dell’istruttore di un corso di kickboxing. Il lavoro fatto da Christian Pugliese e presentato come tesi ad un suo esame federale della fikbms, costituisce un valido compendio sull’argomento per qualsiasi insegnante ed a cui raccomandiamo una attenta lettura.

Le responsabilità dell'Istruttore

Tesi per l’esame di Cintura Nera IV Grado di Kickboxing fikbms

Di: Christian Pugliese

Indice

Capitolo I

1.Responsabilità Civile

Responsabilità Civile

Responsabilità contrattuale

 

2.1 Esclusioni della responsabilità contrattuali

Misure ed accorgimenti utili

Responsabilità extracontrattuale

 

3.1 Esclusione della responsabilità extracontrattuale

Misure ed accorgimenti utili

Responsabilità extracontrattuale ex articolo 2048

 

4.1 Esclusione della responsabilità extracontrattuale ex art. 2048

4.2 Misure ed accorgimenti utili

 

Capitolo II

1.Responsabilità Penale

1.1 Elementi generali

1.2 Nesso causale

Elemento soggettivo

Lesioni personali colpose

LE RESPONSABILITA’ DELL’ISTRUTTORE

Capitolo I

1. RESPONSABILITA’ CIVILE –

 

1. 1 La responsabilità civile

La responsabilità civile si configura nell’ipotesi di commissione di un fatto che causa danno ad altri. Qualora ciò accada, chi ha cagionato il danno a mezzo della propria condotta commissiva od omissiva, è tenuto al risarcimento del danno medesimo. Il danno da risarcire consiste in: -“danno patrimoniale”, che si verifica quando si è determinata una diminuzione del patrimonio del danneggiato (quest’ultimo, è infatti costretto per esempio a sostenere spese relative alle cure mediche, ecc…); -“danno non patrimoniale” (che attiene alle sofferenze patite dal danneggiato, al danno alla sua vita di relazione, alla sua salute, ecc…) il cui ammontare è determinato dal giudice. La responsabilità civile si divide principalmente in due categorie: la responsabilità contrattuale (art. 1218 codice civile) e la responsabilità extracontrattuale (art. 2043 e seguenti del codice civile). Le predette responsabilità differiscono tra loro perché differente è la fonte che le genera (contratto nel primo caso; “qualunque fatto doloso o colposo”, nel secondo caso) e perché diverso è il regime probatorio finalizzato ad escludere la responsabilità, come meglio specificato in appresso.

 

2. Responsabilità contrattuale.

La responsabilità contrattuale sorge a seguito dell’inadempimento di un obbligazione assunta con contratto. L’articolo 1218 del Codice Civile, definisce la nozione di inadempimento in questi termini:“Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. In buona sostanza, ogni obbligazione assunta con contratto deve essere adempiuta secondo criteri di correttezza e diligenza, pena il risarcimento del danno. Peraltro, come previsto dall’articolo citato, il contraente non adempiente, può provare che l’inadempimento non è dovuto al suo comportamento ma a causa a lui non imputabile e non subire così le conseguenze connesse in termini di risarcimento. Da quanto sopra emerge che per il sorgere di questo tipo di responsabilità, deve sussistere, a monte del rapporto istruttore-allievo, un contratto, avente per oggetto la fornitura di un servizio, dietro il pagamento di un corrispettivo. L’istruttore di kickboxing, non ha con l’allievo un rapporto contrattuale, bensì associativo. Non essendoci contratto, non dovrebbe sorgere in capo all’istruttore una responsabilità contrattuale. Tuttavia, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 9346 del 27/06/2002, ha statuito che nella specifica ipotesi di danno autocagionatosi dall’alunno, la responsabilità dell’insegnante va ricondotta nell’ambito della responsabilità contrattuale e non extracontrattuale, con conseguente applicazione del regime probatorio desumibile dall’articolo 1218 del Codice Civile. In particolare, la Suprema Corte, ha evidenziato che nel caso di danno cagionato dall’alunno a se stesso, la responsabilità dell’istituto e dell’insegnante non ha natura extracontrattuale, bensì contrattuale, atteso che – quanto all’Istituto scolastico – l’accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell’allievo a scuola, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge a carico dell’Istituto l’obbligazione di vigilare sulla sicurezza ed incolumità dell’allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l’allievo procuri danno a se stesso; e che -quanto al precettore dipendente dell’Istituto – tra insegnante e allievo si instaura per contatto sociale, un rapporto giuridico, nell’ambito del quale l’insegnante assume, nel quadro del complessivo obbligo di istruire ed educare, anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, così da evitare che l’allievo si procuri da solo un danno alla persona. Il vincolo che si instaura tra insegnante e alunno deriva non da un contratto, ma da un “contratto sociale”, che fa sorgere in capo all’istruttore un’obbligazione, in particolare l’obbligazione di vigilare gli allievi, pena – in caso di autolesioni dell’alunno – il risarcimento del danno a titolo di responsabilità contrattuale. Da ciò deriva che, nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da autolesione nei confronti dell’Istituto scolastico e dell’insegnante, è applicabile il regime probatorio desumibile dall’articolo 1218 del Codice Civile, sicché mentre l’attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sull’altra parte incombe l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola né all’insegnante. Tale sentenza – pur essendo riferita al rapporto “insegnante scolastico ­alunno” – contiene però principi che in via analogica si possono applicare anche al rapporto “istruttore sportivo-allievo”, nelle ipotesi, come sopra specificato, di danno autocagionato dall’alunno a se stesso. Abbiamo visto che l’eventuale obbligazione gravante sull’istruttore, deriva da un “contatto sociale” con l’allievo, con il conseguente nascere di un obbligazione a carico dell’istruttore, che sorge per rapporti contrattuali “di fatto”. In altri termini: per il fatto stesso che l’istruttore entra in contatto con l’allievo, deriva in capo all’istruttore medesimo un obbligo di comportamento volto a garantire che siano tutelati gli interessi emergenti o soggetti a pericolo in occasione del contatto in questione. L’istruttore in buona sostanza ha un obbligo di protezione nei confronti dell’allievo, un obbligo idoneo a produrre -in caso di danno in sfavore dell’allievo – una responsabilità contrattuale. Abbiamo visto che la Suprema Corte, con sentenza n. 9346 del 27.06.2002, ha affermato che circa l’onere probatorio, nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da autolesione, l’attore (colui cioè che agisce in giudizio per ottenere il risarcimento, nel nostro caso l'allievo) dovrà soltanto provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, mentre sarà onere del convenuto (colui contro il quale l'attore agisce, nel nostro caso l'insegnante) dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa a lui non imputabile. In buona sostanza – per la Suprema Corte ­opererebbe una sorta di presunzione di responsabilità in capo all’insegnante per il solo verificarsi del fatto lesivo, fatta salva la dimostrazione -da parte dell’insegnante medesimo – che il fatto è avvenuto per causa a lui non imputabile. Recentemente tuttavia la giurisprudenza ha osservato che le affermazioni, della Suprema Corte, in relazione all’onere probatorio, sono in una certa misura approssimative, perché da altre sentenze si desume il principio secondo cui non è possibile imputare ai soggetti tenuti alla vigilanza del minore i pregiudizi che il minore medesimo – nell’ambito della propria libertà di autodeterminazione -procura a se stesso. Si evidenzia pertanto che ciò che accadrà è che in relazione alla concreta natura della lesione e alle circostanze nelle quali essa è stata causata, potrà ovvero non potrà ritenersi sussistere quella “presunzione” in ordine all’inadeguata prestazione dell’insegnante. In altri termini – e per quanto qui interessa -il fatto che un alunno si faccia male durante l’allenamento, non è fatto che di per se stesso dimostra l’inadempimento, da parte dell’istruttore, del suo obbligo di vigilanza, perché molte sono le situazioni – incolpevoli, dal punto di vista degli obblighi di vigilanza – nelle quali in una palestra un fatto del genere può accadere. Per fare un esempio, se a fine allenamento viene restituito ai genitori l’alunno di sette anni, ferito, e non si è in grado di spiegare come si sia procurato quelle ferite, si è legittimati a presumere (salvo prova contraria) che l’istruttore non abbia esattamente adempiuto al compito di vigilare sull’allievo affidatogli. Ma se un ragazzino più grandicello, nell’ambito dei consueti esercizi, si cagiona una lesione, nessuna presunzione di responsabilità può sorgere in capo all’istruttore. Tali considerazioni sono confermate da certa giurisprudenza, ad avviso della quale non può certo sostenersi che l’obbligazione dell’insegnante sia quella di impedire in assoluto qualsiasi tipo di danno che i suoi alunni possano subire, essendo invece la sua obbligazione quella di svolgere le lezioni in maniera corretta ed adeguata. Il solo farsi male, in buona sostanza, non fonda alcuna presunzione di responsabilità in capo all’istruttore, contrariamente a quanto sembrerebbe evincersi dalla lettura della motivazione di cui alla sentenza n. 9346 del 27.06.2002.

 

2.1 Esclusione della responsabilità contrattuale.

L’applicazione dell’articolo 1218 del Codice Civile pone un regime probatorio agevolato a favore dell’insegnante, tale per cui l’insegnante medesimo non è tenuto al risarcimento del danno a titolo di responsabilità contrattuale, se dimostra che ha provveduto alla vigilanza degli allievi con la dovuta diligenza ed ha altresì adottato le misure organizzative e disciplinari idonee ad evitare situazioni di pericolo. In buona sostanza deve dimostrare di aver adottato tutte le cautele e le precauzioni necessarie e che quindi l’eventuale danno comunque prodottosi, non è imputabile alla sua condotta.

 

2.2 Misure ed accorgimenti utili.

Una idonea vigilanza presuppone l’adozione di misure organizzative e disciplinari atte ad evitare situazioni di pericolo. Neutralizzare eventuali fonti di pericolo così da garantire l’integrità degli allievi o assicurarsi che la palestra/spazio prescelto per gli allenamenti, sia idoneo per l’attività da svolgersi al suo interno, sono alcune delle misure precauzionali utili ad evitare l’addebito di responsabilità in capo all’istruttore. Ancora: nell’ipotesi di riscontro di non conformità rispetto alle norme sulla sicurezza, è bene che l’istruttore provveda a segnalare al locatore o proprietario degli spazi, le irregolarità a suo avviso riscontrate. Occorre inoltre essere sempre presente tra gli allievi e utilizzare ogni accorgimento utile per evitare eventuali incidenti. Per esempio quando ci si assenta per forza maggiore, è necessario farsi sostituire da un collega o da un ausiliario. E’ buona regola trovarsi in palestra prima dell’inizio dell’allenamento per assistere all’ingresso degli allievi e rimanervi finché gli stessi non siano usciti, accompagnandoli fino all’uscita della palestra. Infine, si richiama l’attenzione sull’opportunità di tenere conto della capacità di apprendimento propria di ciascun allievo, indipendentemente dall’età anagrafica del medesimo.

 

3. Responsabilità extracontrattuale.

Ai sensi dell’articolo 2043 del Codice Civile “Qualunque fatto doloso o colposo che cagioni ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. Prima di addentrarci nelle problematiche relative alla responsabilità extracontrattuale e per meglio comprendere il disposto normativo di cui all’articolo 2043 c.c., è necessaria una breve premessa riguardante le nozioni di “dolo”, “colpa” e “danno ingiusto”. Dolo. La nozione di dolo è offerta dall’articolo 43, comma 1, del codice penale, che recita “Il delitto è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso…è dall’agente preveduto è voluto come conseguenza della propria azione o omissione”. Un soggetto agisce dunque con dolo, quando vuole compiere una determinata azione perché dal compimento di quella azione deriva un determinato evento, voluto dal soggetto agente. Colpa. La nozione di colpa è offerta dall’articolo 43, comma 2, del codice penale, ai sensi del quale “Il delitto è colposo, o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto, non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza, imprudenza o imperizia ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”. Da tale disposto si evince che per l’esistenza della colpa, occorre che il fatto non sia voluto dall’agente, ma -ancorché non voluto -si verifica a causa della negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di disposizioni normative da parte dell’agente medesimo. Per “imprudenza” s’intende l’agire in maniera avventata, senza effettuare una adeguata ponderazione della situazione. Per “negligenza” s’intende la mancanza o comunque insufficienza di attenzione e/o sollecitudine. Per “imperizia” s’intende una insufficiente preparazione o una inettitudine, di cui l’agente, anche se consapevole, non ha voluto tenere conto. Danno ingiusto: occorre precisare che ai fini del risarcimento, è “ingiusto” il danno che consiste nella lesione di una situazione soggettiva meritevole di tutela e pertanto protetta dall’ordinamento in quel dato momento storico.

 

3.1 Esclusione della responsabilità extracontrattuale.

Posto che nell’ambito dell’esercizio dell’attività di istruttore di kickboxing, le ipotesi di condotta dolosa sono pressoché inesistenti, ci si limita ad evidenziare che ai fini dell’esclusione della colpa rilevante ai fini dell’insorgere di responsabilità extracontrattuale, è necessario dimostrare di avere agito con diligenza, prudenza e perizia.

 

3.2 Misure ed accorgimenti utili.

Valgono qui, le considerazioni espresse al punto 1.2, in quanto misure idonee ad escludere la sussistenza di colpa in capo all’istruttore e conseguentemente l’insorgere in capo al medesimo della responsabilità extracontrattuale che – come visto al punto 2 – richiede appunto una condotta (dolosa) colposa.

 

4. Responsabilità extracontrattuale ex articolo 2048 del C.C.

Solitamente l’obbligo di risarcire il danno, incombe su chi ha commesso il fatto. Tuttavia vi sono ipotesi in cui accanto alla responsabilità dell’autore del fatto , si ha anche quella di un diverso soggetto. Si tratta della cosi detta “responsabilità per fatto altrui” disciplinata all’articolo 2048 del Codice Civile, secondo cui “…i precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui son sotto la loro vigilanza. Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto”. Tale articolo prevede appunto la responsabilità di precettori e maestri d’arte per i fatti illeciti commessi dai loro allievi ed apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. In tali ipotesi la responsabilità sorge per “culpa in vigilando”e l’istruttore risponde dei danni cagionati dall’atto illecito compiuto da un allievo ai danni di un altro allievo nel tempo in cui essi sono sottoposti alla sua vigilanza, se non prova che l’evento è stato imprevedibile al punto da non consentirgli l’intervento per evitare il danno. In tema di responsabilità extracontrattuale ex art. 2048, è bene evidenziare che il dovere di vigilanza dell’istruttore va commisurato all’età ed al grado di maturazione raggiunto dagli allievi in relazione al caso concreto ed è da ritenersi esclusa oltre il limite temporale della minore età del danneggiato.

 

4.1 Esclusione della responsabilità extracontrattuale ex art. 2048 del C.C.

L’istruttore deve dimostrare di avere esercitato la vigilanza sugli allievi nella misura richiesta, adeguata alle circostanze e che gli sia stato impossibile impedire l’illecito stante la sua imprevedibilità e repentinità, tali da non consentirgli un tempestivo ed efficace intervento. Si tratta di una prova liberatoria rigorosa, che difficilmente riesce ad essere fornita, anche perché – come emerge da numerose pronunce giurisprudenziali – la commissione dell’illecito da parte del minore, dimostrerebbe "ex se" l’insufficienza del controllo.

 

4.2       Misure ed accorgimenti utili.

Ancora una volta si richiamano le considerazioni svolte al punto 1.2, aggiungendo che nel caso di specie – cioè di responsabilità per fatto commesso dai propri allievi minorenni -rivestono ancor più importanza le misure disciplinari apprestate

Capitolo II

1­RESPONSABILITA PENALE

 

1. 1 Elementi generali

La responsabilità penale, si configura nell’ipotesi di commissione di un fatto previsto dalla legge come reato. In tale circostanza, l’ordinamento giuridico prevede la comminazione di una sanzione, che può essere “detentiva” (reclusione o arresto) ovvero “pecuniaria” (multa o ammenda). Perché sorga responsabilità penale in capo all’agente, occorre che sussistano:

  1. il nesso di causalità tra condotta ed evento;
  2. l’elemento soggettivo.

 

1.1 Nesso Causale.

La nozione di causalità dal punto di vista giuridico, differisce dal concetto di causalità in senso naturalistico. Dal punto di vista giuridico, un fatto è causa di un dato evento se questo ne costituisce l’effetto normale o l’ordinaria conseguenza. Per verificare se sussiste o meno tale nesso, è necessario rispondere a questo quesito: se fosse stata tenuta una condotta nel pieno rispetto delle norme e dei regolamenti in materia, l’evento si sarebbe comunque verificato? Se la risposta è affermativa, il nesso di causalità non sussiste. Invece se l’evento non si sarebbe verificato se la condotta dell’istruttore fosse stata rigorosa, allora l’istruttore medesimo sarà responsabile penalmente dell’evento lesivo, in quanto, ancorché involontariamente, ha contribuito alla sua realizzazione.

 

1.2 Elemento soggettivo.

La sola causa azione del danno, non autorizza la reazione punitiva prevista dall’ordinamento. Occorre infatti la coscienza e volontà dell’azione /omissione che ha determinato il danno: tale coscienza e volontà può assumere due forme fondamentali, cioè il dolo o la colpa. Abbiamo già esaminato le nozioni di dolo e colpa nella parte relativa alla responsabilità civile extracontrattuale. Occorre in questa sede approfondire altri aspetti. L’articolo 42, del Codice Penale così recita: “Nessuno può essere punito per una azione od omissione preveduta dalla legge come reato, se non l’ha commessa con coscienza e volontà. Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l’ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge. La legge determina i casi nei quali l’evento è posto altrimenti a carico dell’agente, come conseguenza della sua azione o omissione”. Il primo comma dell’articolo in questione, stabilisce che per la sussistenza della responsabilità penale è necessario che l’azione (o omissione) sia stata posta in essere con coscienza e volontà, si tratti cioè di un comportamento attribuibile alla volontà del soggetto agente. Risulta in altri termini indispensabile il concorso della volontà: senza volontà non vi sono né delitti dolosi né delitti colposi. Il secondo comma, afferma che per il sorgere della responsabilità penale per la commissione di delitti, occorre in genere il dolo. La punizione per colpa può avere luogo nei soli casi previsti da legge. Il terzo comma infine, disciplina le ipotesi di responsabilità oggettiva. Per una piena comprensione delle ipotesi delittuose che andremo ad analizzare, è opportuno evidenziare anche la nozione di reati omissivi “propri” e “impropri”. Si possono infatti verificare ipotesi in cui la lesione di interessi giuridici tutelati dall’ordinamento, avviene a causa di omissioni. Si parla di “reato omissivo proprio” nell’ipotesi di mancato compimento di una azione che la legge penale comanda di effettuare. Si parla invece di “reato omissivo improprio” nell’ipotesi di violazione di un obbligo di impedire il verificarsi di un evento. A tale seconda categoria (reati omissivi impropri) appartengono per esempio i reati commessi dall’istruttore che non vigilando, ovvero vigilando ma in maniera non adeguata, consente il verificarsi dell’evento lesivo. Nel caso che ci occupa, vale a dire nell’ambito dello svolgimento dell’attività di istruttore, per lo più gli eventi lesivi sono conseguenza di azioni colpose, cioè non volute dall’istruttore medesimo, ma avvenute a causa di negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di leggi e regolamenti. Tale condotta è sanzionata dall’articolo 43 del Codice Penale. Le principali ipotesi di reato che si possono configurare nell’ambito della pratica della kick boxing, sono: lesioni personali

 

2. Lesioni personali colpose-

L’articolo 590 del codice penale, stabilisce che colui che cagiona ad altri, per colpa, una lesione personale, è punito con la reclusione o con una la multa. Purtroppo quella della lesione personale (semplice o grave che sia) è una ipotesi che frequentemente può accadere nell’esercizio della pratica della kickboxing, specie in occasione di gare e/o dimostrazioni tecniche. Giova allora introdurre l’istituto delle “scriminanti”, soffermandosi in particolare sulla interpretazione offertane dalla giurisprudenza, ai fini dell’esclusione della responsabilità in certe lesioni sportive. Il Codice penale tipicizza le cause di giustificazione (o scriminanti) agli artt. 50 e seguenti. La sussistenza di una di queste cause esclude qualsiasi tipo di sanzione. In altri termini, il fatto penalmente rilevante, ove coperto da una di queste cause di giustificazione, diventa lecito. Le cause di giustificazione predette sono:

  1. il consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.);
  2. l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere (art. 51 c.p.);
  3. la legittima difesa (art. 52 c.p.);
  4. l’uso legittimo di armi (art. 53 c.p.);
  5. lo stato di necessità (art. 54 c.p.).

In dottrina si è a lungo discusso se tali “scriminanti” debbano considerarsi a numero chiuso o meno, vale a dire se è ipotizzabile una categoria di “scriminanti tacite o non codificate”. Certa recente Giurisprudenza, ha aderito a quella parte della dottrina che ammette la configurabilità di cause di giustificazione non codificate ed ha applicato tale principio per sostenere il fondamento della non punibilità di certe lesioni sportive. Il ragionamento seguito dai giudici parte dal presupposto che il criterio che informa le cause di giustificazione – vale a dire l’utilità sociale che si verifica quando tra due interessi in conflitto uno solo dei due può essere soddisfatto ed a costo del sacrificio dell’altro – ben può trovare applicazione nel caso delle attività sportive. In tale ultima ipotesi, si legge in numerose sentenze, una volta appurato che l’attività sportiva è permessa ed incoraggiata dallo Stato, ne conseguirà che essa costituisce una causa di giustificazione non codificata, desunta attraverso le regole dell’analogia, per cui diverrebbero leciti i fatti lesivi dell’integrità fisica commessi con l’osservanza delle regole del gioco. Dall’applicazione di tale ragionamento giurisprudenziale, discende quindi che nel comportamento dello sportivo rispettoso delle regole, che tuttavia cagioni un evento lesivo ad un avversario, viene a mancare quella antigiuridicità che legittima la pretesa punitiva dello Stato e la comminazione di una sanzione. Nella sentenza n.1951 del 2000, la Cassazione – abbandonando la ricostruzione illecito sportivo/causa di giustificazione -ha in ogni caso statuito che non sono penalmente perseguibili determinati illeciti sportivi, purché non superanti la soglia del “rischio consentito” nell’ambito dell’esercizio di una determinata attività sportiva. Si riconosce, in buona sostanza, efficacia esimente agli stati psicofisici dell’atleta e si delinea il discrimen tra illecito sportivo e fatto penalmente rilevante, sancendo che “il giocatore che sia stato però rispettoso delle regole del gioco, del dovere di diligenza nei confronti dell’avversario e della integrità fisica di costui, commette un illecito sportivo ma non è perseguibile penalmente, poiché in siffatta ipotesi non può dirsi superata la soglia del rischio consentito, in quanto è dato di comune esperienza che nel corso di una gara l’ansia di risultato, la carica agonistica o la stanchezza fisica, talvolta eccessiva, possono comportare delle violazioni non volontarie del regolamento di gara. Viceversa quando il fatto lesivo si verifica perché il giocatore viola volontariamente le regole del gioco disattendendo i doveri di lealtà verso l’avversario che, invece, dovrebbero costituire la caratteristica essenziale di ogni sportivo, allora il fatto…sarà penalmente perseguibile”. Da quanto sopra emerge che, ai fini della non punibilità per lesioni colpose, è necessario e sufficiente rispettare il Regolamento di gara e rispettare altresì il dovere di lealtà nei confronti dell’avversario.

RINGRAZIAMENTI

Devo i miei sentiti ringraziamenti al mio Maestro Roberto Ferrari ed a tutti i miei allievi dei corsi di Kick boxing.

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