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Nonostante il difficile momento  internazionale,  un nuovo circuito al via. Chiudono i grandi tornei  giapponesi di K1, i loro partner olandesi annullano importanti eventi, ma la Wako lancia un nuovo  circuito a squadre.

Entra il WAKO-Pro World Grand Prix

Di: Ennio Falsoni

Non vedremo più  i grandi tornei giapponesi di K1!

E’ quasi difficile crederlo perché ormai le immagini dei grandi tornei di K1 di Kazuyoshi Ishii erano entrate in tutte le nostre case e diventate popolari  attraverso Eurosport, ma forse sarà proprio così. E’ infatti di qualche giorno fa l’annuncio ufficiale della chiusura del K1 Grand Prix e del K1 Max, i due circuiti professionistici lanciati da Ishii e che nell’ultimo  decennio   avevano reso popolare questa ibrida forma di combattimento  che – da mixed martial art -, aveva messo insieme il pugilato inglese, i calci di karate e taekwondo, e le ginocchiate e le prese della Muay Thai , fondendole in quella nuova forma di combattimento che Kazuyoshi Ishii aveva chiamato K1, una delle montagne più alte dell’Himalaya.

Ma cosa è successo? Come è potuto accadere una simile jattura ?

Ritengo di poter dire che è tutta colpa… dell’insensatezza con cui, sin dall’inizio, Ishii aveva lanciato la sua creatura (borse incredibili pagate agli atleti per l’ingaggio, che sono via via sempre aumentate da inflazionare un mercato ch’era sempre stato molto sparagnino, tanto da far lievitare le borse degli stessi a tal punto che il Giappone era l’unico paese – con l’eccezione dell’Olanda per alcuni di essi – a potersi permettere di averli nei loro spettacoli). D’accordo che dietro a Kazuyoshi Ishii pare ci sia stata sin da subito la Yakuza, la potente mafia giapponese, ma è logico che lo sperpero di milioni di dollari per organizzare i suoi faraonici tornei (con perdite enormi per gli spettacoli al Bercy di Parigi come al MGM di Las Vegas, tanto per citarne due) , se da una parte riscuotevano ammirazione per l’imponenza delle risorse economiche profuse, dall’altra creava in me delle forti perplessità perché mi chiedevo sempre se il gioco valesse la candela, per dirla tutta fuori dai denti. Ossia, capivo la necessità della spettacolarizzazione, dell’ostentazione di forza, di potenza, che i suoi show volevano trasmettere (voleva battere il pugilato o, almeno, emularlo – mi aveva detto un giorno lo stesso Ishii). Ma non capivo come quegli enormi investimenti potessero   ritornare sotto forma in incassi al botteghino e di sponsorizzazioni. Insomma, Ishii è stato certamente bravo a fare quello che ha fatto, anche perché sembrava avere dietro di sé qualcuno che gli concedeva  una sorta di fido illimitato nelle spese. Finché, vuoi la crisi internazionale che attanaglia le società moderne, vuoi la congiuntura economica, ma l’eccesso di spesa a fronte di mancati introiti importanti, ha portato alla chiusura della società proprietaria del marchio.  A beneficiarne, in tutti questi ultimi dieci anni, sono stati in primis i migliori atleti olandesi che hanno monopolizzato il mercato giapponese (Branko Cikatic, unico croato, primo vincitore, era gestito da Tom Harinck dei Chakuriki, manager olandese), poi le varie organizzazioni  che si sono occupate di kickboxing  e, su tutte, la nostra, che ha fruito di una pubblicità gratuita  eccezionale che veniva dalla visibilità che il prodotto giapponese aveva trovato in tutte le televisioni del mondo. La notizia della chiusura del K1 Grand Prix giapponese, ha creato un effetto domino sui partner  olandesi  e non di Ishii, come “It’s Show Time” di Simon Roots o la Golden Glory che ha in Semmy Shilt (4 volte vincitore del torneo dei supermassimi) il suo più importante esponente. Infatti, sono stati subito annullati importanti Gala come quello famoso all’Amsterdam Arena e  il torneo dei supermassimi in programma della Golden Glory. Ma se da una parte simili notizie ci dispiacciono, dall’altra invece mi rafforzano nella convinzione che “fare sempre  il passo secondo la gamba”, è salutare e porta  lontano. Un esempio su tutti: anni addietro, sono stato il primo ad avvicinare Kazuoshi Ishii in Italia. Ero stato suo ospite in Svizzera ai tempi dei Gala con Andy Hug, quindi ospite in Giappone quando vinse Peter Aerts nella seconda edizione, quindi lui fu mio ospite a Milano e sembrava che dovessi essere coinvolto nell’organizzazione di un grande torneo del K1 Grand Prix a Milano, chiaramente in contrapposizione allo show che Carlo Di Blasi produceva da qualche anno nella capitale lombarda. Ma fortunatamente ( col senno di poi), in Italia non esisteva all’epoca nessun peso supermassimo di nome su cui potessi contare, salvo Franz Haller ch’era ormai  verso la fine della carriera. Mi chiesi se la Rai mi avrebbe mai aperto le porte, se avessi potuto trovare sponsorizzazioni  adeguate e ne dedussi che c’era il rischio di fare un bel buco nell’acqua. Rinunciai a Ishii e ai miei sogni. Ma subito dopo, altri  si buttarono a capofitto nell’impresa. Ci provarono  Marco Consolati e Harry Gorian, persone che conoscevo e frequentavo,  che organizzarono un grande gala a Bologna in un venerdì sera. Cercai di dissuaderli, ma invano. Pensavano che bastasse portare in Italia gente come Mike Bernardo (che poi diede forfait) , Stan “The Man” Longinidis, Peter Aerts,  per  riempire il palazzo dello sport, attrarre le televisioni. Si sbagliarono di grosso.  La loro promozione finì in un disastro annunciato . Fu una vera catastrofe:  solo 200 gli spettatori paganti  in un desolato palazzo dello sport di Bologna. Finì che gli organizzatori si trovarono in braghe di tela.  Ishii coprì le borse di alcuni atleti  sborsando 150.000 dollari (come mi disse lui stesso) , Harry Gorian  si eclissò nella notte riparando  in Croazia e non si fece più vedere in Italia per diverso tempo ( c’è qualcuno che lo sta ancora cercando).  Marco Consolati   fu l’unico corretto rimanendo al suo posto: pur costretto a vendersi un albergo-ristorante di sua proprietà,  ripianò tutte le  spese, ma  scomparve dalle scene come organizzatore.. Ciò detto, è chiaro che mentre il K1 imperversava in Giappone e sugli schermi di tutto il mondo nell’ultimo decennio,  Wako e Wako-Pro  nel frattempo sono cresciute in Italia e nel mondo e sono diventate le organizzazioni  di riferimento nell’ambito della Kickboxing  ufficiale grazie ai riconoscimenti del Gaisf (oggi Sportaccord) nel 2006 , dell’Olympic Council of Asia (con gli Asian Indoor Games)  e  degli African Games nel 2007 . Dialoghiamo ormai alla pari con altre importanti Federazioni Internazionali come si è visto nei  recenti  World Combat Games 2009 di Pechino ), e siamo certamente tra gli sport da combattimento di maggior successo al mondo coi nostri 120 paesi affiliati nei cinque continenti. Abbiamo oggi una validissima struttura in ogni continente e il futuro si prospetta roseo per la qualità e la quantità di iniziative che ormai settimanalmente avvengono in ogni parte del mondo. Ma il progetto sul quale abbiamo puntato e che dovrebbe garantire alle nostre organizzazioni quella visibilità mediatica che sin’ora ci è mancata è il  lancio del Wako-Pro World Grand Prix di K1 a squadre che partirà il 5 marzo prossimo a Belgrado per la promozione della Federazione Serba.

In cosa consiste?

Mentre altri circuiti continueranno a puntare sulle individualità (vista la presenza di un atleta come Giorgio Petrosian) in alcune categorie di peso, la Wako e la Wako-Pro hanno puntato sul coinvolgimento delle squadre nazionali. 5 gli atleti maschi che la comporranno, nelle categorie sino a 60 kg, quindi, 66.800, 75, 81 e -94 chili. I match saranno sulla distanza di 3 round da 3 minuti con la possibilità di avere un extra round in caro si parità. Le squadre vinceranno per maggioranza di vittorie semplice. 8 le nazioni che parteciperanno al Wako-Pro World Grand Prix 2011 , scelte tra le migliori in Europa che è il continente pilota dove si effettuerà questa sperimentazione, ossia: Russia, Serbia, Ungheria, Croazia, Romania, Spagna, Grecia e Italia, ovviamente. Poiché le teste di serie erano Russia e Serbia, effettuato il sorteggio, questi gli abbinamenti del torneo: la Serbia, che inizia il circuito il 5 marzo prossimo a Belgrado, se la vedrà con la Grecia; quindi toccherà la Romania ad ospitare a Bucharest l’Italia il 18 marzo , sarà poi la volta dell’Ungheria ad ospitare la Croazia il 30 aprile a Budapest  e infine la Spagna organizzerà lo scontro con la Russia a Madrid o Barcellona in giugno, con data da destinarsi a seconda della disponibilità dei palazzi dello sport. Le nazioni vincitrici poi, si accorderanno tra loro per date e luoghi dove svolgere le semifinali, mentre per la finale, ove le 2 squadre finaliste si giocheranno 50.000 dollari in palio,  si parla di Mosca (Russia)  o di Las Vegas (Usa) o Dubai (Emirati). Tutti gli eventi saranno dati in diretta televisiva da un forte   gruppo televisivo romeno con cui il  noto promoter Eduard Irimia, che si è incontrato col sottoscritto  a Belgrado recentemente, ha  un accordo esclusivo. Ma anche Samuel Pagal, giornalista di Eurosport, è interessato al progetto che potrebbe andare ad alimentare la sua nota rubrica “Fight Club”, per non parlare delle varie TV nazionali delle squadre coinvolte nel circuito. Se questo progetto avrà successo, come tutti pensano  ( e della qual cosa pochi dubitano), verrà esteso l’anno prossimo a 4 continenti (oltre all’Europa, ad Africa, America e Asia) per arrivare .- un po’ come nella Champions’ League di calcio -, ad un torneo planetario in uno o due anni al massimo, al termine del quale sarà incoronata la miglior quadra al mondo di kickboxing con un sostanzioso premio in denaro. Questo progetto sta riscuotendo un sacco di consensi ed ovviamente genererà in ogni nazione coinvolta, a veri e propri circuiti nazionali di qualificazione per arrivare a designare i titolari in ciascuna categoria di peso, con gli innegabili benefici che vi lasciamo immaginare. Insomma, morto il re, viva il re! Ogni cosa è ciclica nella vita. Finito quello del K1 giapponese, si schiude qualcosa di diverso, forse meno appariscente, ma certamente più duraturo e longevo: il Wako-Pro World Grand Prix.

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