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La seconda parte dei campionati del mondo Wako a Dublino è finita in gloria. In un’Irlanda mai così gradevole, l’Italia batte l’Ungheria a squadre di semi contact e rompe un tabù che durava da qualche anno. 6 ori, 3 argenti e 6 bronzi il bottino pregiato della nostra spedizione. L’Italia al terzo posto al mondo nello speciale medagliere dietro Russia e Ungheria.

Un Mondiale Finito In Gloria!

Di: Ennio Falsoni

Siamo partiti dall’aeroporto di Linate in una mattina di tempo rigido, dove la rugiada aveva già imbiancato i prati e i vetri delle macchine parcheggiate all’aperto, primo annuncio dell’arrivo dell’inverno,  e siamo arrivati in una Dublino dal clima direi quasi primaverile, tiepida,  anche se leggermente ventosa com’è del resto normale che sia per essere un’isola a ridosso dell’Atlantico. In trent’anni che vengo da queste parti, non mi era mai capitato di vedere così a lungo il cielo azzurro e soprattutto il sole come quel giorno. Incredibile – mi sono detto - , come se qualcuno da lassù sembrasse intenzionato a mandarci un segnale del tipo : questa volta sarà diverso. E così è stato, perché lo scorso anno, nello stesso periodo, l’Irlanda era sotto una coltre di neve di 20 centimetri! Non che mi aspettassi chissà cosa da questa seconda parte dei Mondiali 2011 della Wako, venuti dopo due eventi straordinari come gli Europei Cadetti e Juniores che abbiamo organizzato a Lignano Sabbiadoro nel mese di settembre (1500 persone) e la prima parte dei Mondiali a Skopje (Macedonia) nel mese di ottobre, con altre 1300 . Anzi, quei due avvenimenti erano come Jano bifronte per quanto riguarda i risultati delle competizioni: bene gli Europei e maluccio i Mondiali, se si tiene conto che per la prima volta nella storia l’Italia era uscita dalle prime dieci nazioni al mondo. Ma semi e full contact erano gli stili di kickboxing con cui abbiamo iniziato la nostra avventura in questa federazione  internazionale e sapendo quanta passione e quanto impegno ci mettono atleti, coach e tecnici, speravo  in qualche risultato  positivo a Dublino e il cuor mio mi diceva  di essere ottimista. Nella città dunque di straordinari letterati come George Bernard Shaw,  James Joyce, Samuel Beckett, tra antiche e celebri università come il Trinity College , spettacolari chiese come la St. Patrick Cathedral e vie turistiche come la Temple Bar che ogni week-end ospitano fiumi di giovani uomini e donne , bevitori impenitenti e smodati  di Guinness e whisky, si è consumata la seconda parte, come dicevo, dei Mondiali 2011 della Wako che hanno portato al City West, a 20 minuti dal centro cittadino  (uno straordinario centro dotato di 2000 stanze d’albergo con annesso enorme centro congressi capace di ospitare 15.000 persone e adatto per qualsiasi grande evento e campo da golf di 18 buche),  quasi altre 1000 persone, di cui 530 gli atleti provenienti da 42 paesi diversi in rappresentanza di 4 continenti. L’Italia aveva mandato a Dublino un’altra folta delegazione, seconda solo alla Russia di 5 unità  e composta di 65 persone, agli ordini dei tecnici Gianfranco Rizzi e Emanuele Bozzolani per il semi contact, di Donato Milano e Massimo Liberati nel full e di Alberto Leonardi nelle   forme musicali (che ha anche gareggiato, ma senza entrare in medaglia), tecnici cui si sono aggiunti a sostegno dei rispettivi atleti impegnati Riccardo Wagner , Giorgio Lico e Roberto Montuoro. In un clima di grande collaborazione, che è sempre una delle ‘conditio sine qua non’ per ben figurare, la squadra azzurra si è ottimamente comportata e ci ha offerto emozioni a iosa. Cominciamo dunque da quella finale a squadre di semi contact che è stato il suggello di tutto il campionato ed organizzato come fosse una Gala in maniera impeccabile da Roy Baker, presidente della Federazione irlandese, in una sala secondaria di 2000 persone di questo magnifico centro che ci stava ospitando. La gara a squadre era iniziata il pomeriggio e vedeva ai nastri di partenza 14 nazioni. Purtroppo la competizioni veniva subito dopo   che Domenico De Marco, uno dei nostri migliori e spettacolari atleti nella specialità, aveva perduto in maniera incredibile una  medaglia d’oro che ci aveva lasciato profondamente amareggiati. Di fatto, era come se gli avessero sfilato la medaglia d’oro dal collo all’ultimo secondo di un incontro che fino ad allora aveva dominato dall’alto di una classe e  una tecnica cristallina . E’ successo contro il sempiterno avversario ungherese Alex Veres, del formidabile team di Istvan Kiraly, nei 69 chili. Dopo aver battuto brillantemente il cipriota Lazaros Kostantinou al primo turno, l’irlandese Jay Daniels al secondo e il greco Konstainou Tampoureas in semifinale, Mimmo si trovava in vantaggio di un punto a due secondi dalla fine del tempo regolamentare, insomma era campione del mondo, un sogno che inseguiva da diversi anni. Ma proprio allo scadere, l’ungherese rientra con un colpo di dorso della mano su un’azione di calcio dell’italiano e con una tecnica di solo braccio (ossia senza che vi fosse movimenti di anche o di piedi) che tra l’altro gli va a sbattere sul gomito , ma che i giudici ritengono valida e che riporta in parità l’incontro. Un vero scandalo, per dirla tutta, ma che obbliga Mimmo al tempo supplementare. E qui, purtroppo, lui perde la trebisonda. Lo si può capire umanamente: sei a un passo dal raggiungere l’obiettivo che ti eri prefissato, stai già pregustando la vittoria e che ti cancellino tutto per un errore arbitrale forse non lo sopporti, perché ti senti derubato. Ma questo è lo sport, dove a volte per vincere ci vuole anche un po’ di fortuna, fortuna che questa volta non c’è assolutamente stata. Fatto è che Mimmo si smarrisce e subisce persino un calcio al volto che gli fa perdere l’incontro. Il nostro è furente dentro di sé,  è  amareggiato, incazzato col mondo, tanto è che non si presenta alla proclamazione del verdetto, lascia il quadrato ( e ovviamente questo è un atteggiamento poco sportivo…) e in lacrime si rifugia lontano dalle aree di gara. Tornerà più tardi e abbraccerà   l’avversario come si conviene ad uno sportivo vero, ma certo è che tutto il gruppo italiano ha gli occhi lucidi  e soprattutto pensano che i giudici ce l’abbiano avuta con l’Italia. In questo clima poco entusiasmante abbiamo cominciato la competizione a squadre, dove Mimmo De Marco sarebbe dovuto essere una delle colonne della squadra. Era chiaro che a quel punto i due tecnici italiani Rizzi e Bozzolani non se la sono sentita di farlo scendere in campo e hanno puntato su due cavalli di razza che di fatto, pur preparati, erano venuti a Dublino col solo scopo di continuare a respirare l’aria di un Mondiale. Parlo di due palermitani d’hoc, anche se ormai uno è trapiantato a Milano: rispettivamente di Andrea Lucchese e di Gregorio Di Leo , due atleti che non avevano preso parte alle competizioni individuali e che erano belli freschi e scalpitanti, nonché vogliosi di entrare nell’agone. Insieme ai due, un’altra palermitana, Luisa Gullotti (oro nei 55 chili  contro la norvegese Eirin Dale) e il napoletano Stella Neri (fuori negli ottavi dal bulgaro Emanoil Dimitrov) . L’Italia così formata va dritta in finale, battendo nell’ordine la Germania e l’Irlanda che giocava in casa. La finalissima, come s’è detto, anziché disputarsi al Centro Congressi, era stata spostata la sera nel corso del Gala finale che poi ha chiuso i Campionati. I tecnici avevano confermato la stessa squadra con la sola sostituzione di Stella Neri col veneto Paolo Niceforo che aveva perso la finale individuale contro un altro ungherese, Krisztian Jaroskievicz nei -94 chili. Contro di loro, i campioni mondiali uscenti, i soliti ungheresi che da qualche anno ci avevano spodestato dal primo posto al mondo nella specialità. Tra noi e gli ungheresi la rivalità è sempre alle stelle, anche se occorre riconoscere che hanno una compagine di giovani davvero formidabile e molto unita intorno al loro ‘guru’ e maestro Kiraly. La sala è gremita, il tifo alle stelle, alti i cori delle rispettive tifoserie. Io sono insieme a Hein Verbruggen, presidente di Sportaccord che è intervenuto in un nostro Mondiale per la prima volta nella storia e che è rimasto particolarmente affascinato dalle nostre discipline, tanto che non aveva voluto andare a cena per godersi tutto lo spettacolo del gala. Luisa Gullotti è la prima  a scendere in   campo contro Mercedes Veres, una biondina graziosa, dagli ottimi calci e dall’ottima scelta di tempo, ma che in finale contro la nostra calabrese Giulia Cavallaro (allieva di Giorgio Lico) , aveva perduto l’oro al limite dei 50 chili precedentemente. Parte male l’italiana che in due minuti di combattimento si trova sotto di 4 punti, compromettendo dall’avvio le sorti del confronto. Ma Andrea Lucchese è sempre un gran bel vedere. Si muove danzando sugli avanpiedi  e sa blizzare come pochi. Ha di fronte Richard Veres che in una finale precedente, anche lui, aveva perso la finalissima nei 63 chili contro il nostro bravissimo Adriano Passaro (allievo di Gianfranco Rizzi, che è tornato alla vittoria mondiale dopo qualche anno di assenza proprio a causa dell’avvento in azzurro  di Lucchese in quella categoria). Lucchese rosicchia un punto a Veres e rimette in corsa l’Italia. Ma nel  terzo incontro   l’Ungheria cala il suo asso che è Zsolt Moradi , campione del mondo nei 79  chili,  atleta dalle leve lunghissime e che calcia divinamente con una facilità estrema. L’Italia risponde mandando in campo Paolo Niceforo, argento nei 94 chili e credo che questa sia stata la mossa vincente dei tecnici, perché se Moradi, come Kiraly sperava, faceva prendere il largo alla sua squadra, avrebbe forse reso inutile persino l’ultimo incontro. Invece Paolo, più grosso e potente dell’avversario,  è stato bravissimo a contenerlo e a far rimanere l’Italia attaccata al risultato precedente, a soli 3 punti dalla vetta: 10-7 per gli ungheresi. E nell’ultimo incontro scendeva in campo il nostro inequivocabile numero uno, Gregorio Di Leo, che aveva di fronte un altro fratello Veres, proprio quello che aveva battuto Mimmo De Marco. Ebbene l’azzurro è stato semplicemente straordinario. A pochi secondi dall’avio, gli ha piazzato un blitz di diretto destro che ha visibilmente scosso l’avversario che ha forse capito   subito che di fronte aveva un tipo più forte, più veloce e   con miglior scelta di tempo di lui. In poco più di un minuto, Grillo – andando a segno sempre di pugno -, aveva già recuperato lo svantaggio e ci stavamo giocando il titolo a squadre. L’ungherese, che era visibilmente scosso dalle bordate dell’italiano, prendeva tempo, accusava  un colpo prima al volto   e poi al gomito. Si vedeva che cercava di riordinare le idee, ma non era sera per lui, perché Grillo gli era ancora addosso, implacabile e lo centrava ancora una volta  di destro a pochi secondi dalla fine fermando il successo per 11-10 per l’Italia!, tecnica che ci mandava tutti in visibilio. Dopo qualche anno  di patimenti, tornavamo sul gradino più alto del podio tra la felicità di tutta la delegazione italiana. Scusate se mi sono dilungato un po’ su questa vittoria di gruppo, ma proprio perché tale, ritengo che essa sia simbolica di un fatto inequivocabile: uniti, si può vincere! E lo abbiamo fatto. Gli ori di Giulia Cavallaro, di Luisa Gullotti, di Adriano Passaro, quello appena sfiorato e che ci hanno sfilato di Domenico De Marco, la vittoria a squadre, sono frutto   di una grande lavoro collettivo e vada a tutto questo splendido gruppo il mio augurio più sincero di poter continuare così ancora per molti anni! Ma gli azzurri avevano gioito non solo per le vittorie dei semicontactisti, ma anche nel full contact,  che nonostante abbia meno visibilità del K-1 che oggi va di moda, resta la disciplina più praticata nella Wako con 227 atleti partecipanti a questi Mondiali. In questa specialità  eravamo partiti male, con sconfitte nette a causa di avversari più forti   pugilisticamente e fisicamente più che tecnicamente (commentavo la cosa insieme a Donato Milano tra un incontro e l’altro, e giustamente mi diceva che il problema del full italiano è a monte, nel senso che i due direttori tecnici  in generale,  dovrebbero essere messi in condizione di lavorare di più coi tecnici degli atleti stessi che a volte non seguono le loro direttive e che, una volta arrivati a competizioni di questo livello, non possono intervenire più di tanto e quindi non resta loro che accettare le condizioni fisiche e tecniche in cui si trovano). Sono usciti al primo turno infatti il monzese Roberto Pizzagalli (contro il forte polacco Damian Lawniczak, medaglia poi d’argento nei 57 chili); Giuseppe Di Cuia  nei 63 chili contro l’ungherese Gabor Gorbics (anche se l’italiano qui ha fatto bene contro questo ‘pugile’ ungherese); Alessandro Marzi  contro il lituano Jan Romanovskij nei 67; Diego Sechi nei 71 chili contro l’ucraino  Mykola Osobskyi; Marco Di Flavio nei 75 chili contro il tedesco Artur Reis (e purtroppo per  KO ). Non facevano molto meglio le donne, perché anche Clarissa  Oddi veniva messa fuori al primo turno dalla russa Valentina Filatova nei 52 chili; Letizia Bitozzi nei 60 chili dall’inglese Ashley Brace. Le nostre speranze erano legate ad un manipolo di atleti, capeggiati  dalla fuoriclasse Valeria Calabrese nei 48 chili, dal bravo catanese  Gianluca Stitzer negli 81 chili  che al primo turno aveva battuto il turco Mehmet Nadir e il romano  Cristian Vedovelli negli 86 chili che aveva a sua volta battuto ai punti l’estone Rain Ruder, mentre Valeria, con la comoda vittoria sulla portoghese Carina Maio si era già issata in semi finale, in zona medaglia, dove avevamo già  Ivan Sciolla  per essere i partecipanti sino a 51 chili solo quattro. Si notava che in generale il livello agonistico era altissimo, che   i giudici prediligevano i colpi di pugno rispetto ai calci  e che per andare avanti dovevi essere terribilmente resistente  e forte. Vedovelli, pur comportandosi bene sul ring, veniva purtroppo messo fuori da Reinis Porozov, un atleta della Latvia molto solido più che spettacolare, mentre invece Ivan Sciolla veniva sovrastato   dal russo Alexei Trifonov, un atleta dalle incredibili qualità fisiche oltre che tecniche, ovviamente. Pensate che è alto un metro e settantadue (quasi come me) per 51 chili di peso!, una roba incredibile, ma che in più è anche in possesso di una tecnica eccellente dall’alto della quale scherza i suoi avversari, li irride combattendo a mani basse, danzando loro intorno, e poi sommergendoli con combinazioni di calci e pugno straordinarie. L’azzurro, che cercava di accorciare la distanza, lo ha blizzato un paio d volte, poi è incappato in un  calcio circolare all’indietro che lo ha colto  al volto e per lui  è stato il ko inevitabile. Non ci restava  che sperare nei due eccezionali allievi di Riccardo Wagner, ancora una volta i migliori della squadra azzurra. Valeria ha dominato la tedesca Yamile Castillo in semifinale e in finale la russa Maria Krivoshapkina, da lei già battuta in passato. Con il suo timing eccellente, il suo diretto sinistro sempre puntuale e doppiato dal gancio destro o dal circolare, Valeria non finisce di stupire  e dopo la vittoria nel light contact a Skopje, fa il bis anche a Dublino, portando a ben 5 i suoi ori mondiali. Straordinaria! Gianluca Stitzer, un bel viso da ragazzo su un  fisico scultoreo, si era sempre ben comportato nel corso di passate edizioni continentali e mondiali, ma questa volta si è davvero superato. In una categoria affollata di 19 atleti che lo hanno obbligato  ad affrontare 4 avversari diversi in 4 giorni, passato il primo turno come abbiamo detto, Gianluca  ha battuto nei quarti il norvegese Karl Martin (e solitamente i norvegesi sono atleti fortissimi, ed è  stata questa vittoria che mi ha acceso delle speranze), quindi il temibile ucraino Igor Prykohdko in   semifinale, un picchiatore contro il quale Stitzer è stato in difficoltà nella terza ripresa per aver perso lucidità) e  infine, il francese Kevin Thomas, la qual cosa lo ha  portato per la prima volta nella sua giovane carriera all’agognato titolo mondiale Wako tra il tripudio della squadra e mio personale. L’Italia dunque torna a suon di calci e pugni di diritto tra le prime nazioni al mondo, riscattando in parte le grame prove di Skopje, e per questo si torna a casa  felici di aver ritrovato forse il bandolo della matassa. Resta un’ultima considerazione statistica da fare, che  3 atleti su 4 della squadra campione del mondo di semi sono siciliani; 2 ori nel full sono siciliani: qualcuno mi sa spiegare qual è il segreto   di questa magica isola?

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