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World Association KickBoxing Organizations

Ah, l'America... dove finisce il mito

Di: Ennio Falsoni

Dopo 40 anni, scopro che la situazione delle Arti Marziali  negli USA è… sempre peggio (dal mio punto di vista, ovviamente), ma  in continua evoluzione.

Sono cresciuto nel mito dei cow-boys, dei film western, dei nordisti Yankees in giacca blu contro i Federali sudisti in giacca grigia, ho sognato gli spazi sconfinati dell’Arizona, ho visto  le bellezze naturali del Grand Canyon o le superfici lunari dei vulcani delle Haway, mi sono riempito gli occhi e l’anima dei grattacieli di Manhattan come di quelli di Chicago, Denver o di Miami. Ho amato i libri di Henry Miller e di Ernest Hemingway, gli scrittori della Beat Generation, le poesie di Ezra Pound e di Ferlinghetti, insomma culturalmente l’America mi ha sempre avvinto, fors’anche perché mi sono laureato in Lingua e Letteratura Inglese alla Bocconi di Milano. Negli Stati Uniti mi trovo bene come fossi in Italia per certi versi, salvo… quando ci vado per osservare il mondo marziale. Senza tornare al 1968, anno del mio primo sbarco in California (a Los Angeles e S. Francisco) come membro della squadra europea di Karate che partecipava  al primo  Mondiale Shotokan  organizzato da Hidetaka Nishiyama (recentemente scomparso), è dal 1978 che vado su e giù per gli States per ragioni legate alle attività della WAKO, la federazione mondiale che dirigo dal 1984. E ogni volta che ci vado, volente o nolente,  mi imbatto in questo o quel “famoso” personaggio, oppure mi portano a vedere questo o quel torneo di cui si dicono meraviglie.

E sempre, costantemente, resto profondamente deluso dell’esperienza. Questa volta ero stato invitato quale ospite d’onore nientemeno che da Mike Sawyer e Mark McCoy, gli organizzatori del più famoso torneo americano, gli US OPEN della ISKA, che da diversi anni ormai si tiene al Coronado Springs Resort, all’interno di Walt Disney World a Orlando in Florida,  nel week-end dell’Indipendence Day americano (3-4 Luglio di ogni anno). Desideravano parlarmi perché, essendo la WAKO ormai la Federazione mondiale ufficiale di Kickboxing, volevano sondare il terreno su possibili convergenze e cooperazioni. Per me era anche  un’occasione ghiotta per andare a vedere nel frattempo quello che in fondo faceva la “concorrenza” (cosa che di solito non faccio mai) .  ISKA infatti è una delle tante sigle che ormai  popolano il mondo dell’Arte Marziale in generale, ma anche della Kickboxing in particolare. E’ una sigla storica, diretta da persone per bene (Mike Sawyer è avvocato), competenti (sono nell’ambiente da 32 anni ormai) e in passato erano molto più attivi di oggi anche nel mondo professionistico della kickboxing, in particolare ai tempi in cui in Europa la sigla era rappresentata dallo svizzero Olivier Muller che sapeva il fatto suo. Purtroppo, dopo che sembrava letteralmente scomparsa dalla scena europea, ci ha pensato il “chiacchierato” austriaco  Fritz Exenberger a resuscitarla, ma con scarsi risultati da quanto ci è dato vedere. Conosco Disney World per avere organizzato, molti anni fa, un campionato del mondo di karate della sigla che dirigevo allora, la WKO che poi ho lasciato quando la FIAM divenne FIKB ed entrò al CONI.  Organizzai quei Campionati nel bel impianto del Walt Disney World Sports Centre in collaborazione con Joe Mirza, anche oggi a capo di un’importante associazione di Karate tradizionale. Fu una bella esperienza per certi versi, ma traumatica per certi altri. Dall’Italia si pensa che Disneyworld sia sì un grande centro, ma pur sempre a misura… d’Europa! Invece Disneyworld è un’area enorme dove chi non ha mezzi di trasporto propri è veramente fottuto. Vi sono distanze incredbili da percorrere per andare da un posto ad un altro e se aspetti i “mezzi pubblici” per farlo sei bello che fritto. Coronado Springs Resort, dove si tengono gli US OPEN dell’ISKA è all’interno dunque di questo enorme parco dei divertimenti. Gli alloggi sono superiori certamente a quelli che mediamente offrono gli organizzatori nostrani, senza ombra di dubbio. Ma il luogo dove si tengono le gare, così come nel resto degli Stati Uniti per dirla subito papale papale,  sono gli spazi delle Grand Ball rooms (così si chiamano) del Resort. Si spostano le pareti mobili dell’enorme edificio e hai tutto lo spazio che vuoi per farci quello che vuoi, dai Congressi ai tornei di Arti Marziali appunto. L’unico piccolo problema è che il suolo è “flat”, ossia piatto. Non una gradinata che è una.

Siccome tutti i quadrati di gara (ben 40!) –  materassine di 5 metri quadrati ciascuna – erano posati al suolo (salvo uno “stage” sopraelevato per le Forme Musicali -il pezzo forte degli US OPEN- e per lo spettacolo finale), una volta cominciata la baraonda delle numerosissime gare, era inevitabile l’assembramento degli aficionados e dei famigliari intorno ai vari quadrati che formavano una vera muraglia che impediva la vista  a tutti coloro che non erano attorno a quel quadrato. Insomma, quello che nel corso dei Campionati Italiani FIKB svoltisi a Rimini nel 2008 con quegli assembramenti intorno alle aree di gara e che per noi rappresentò “un fatto insolito”, negli USA sono la norma.

Un dejà vu. Era così già 30 anni fa  e purtroppo non è cambiato niente. Tanto per fare un esempio, anche l’altro famoso torneo “The Battle of Atlanta” di Joe Corley si tiene all’Hyatt (altro grande albergo) con lo stesso cliché, ossia negli USA  costa molto meno agli organizzatori svolgere i loro tornei nei grandi alberghi che nei palasport, troppo grandi e costosi per le Arti Marziali. Ma la cosa che maggiormente mi ha sorpreso è stato il constatare che nell’ambito degli US OPEN, un po’ come avviene ormai nei tornei di  Karate di casa nostra, a farla da mattatore dell’interno Campionato sono stati i Kata e le Musical Forms – come vengono chiamate là (che poco hanno a che vedere con quelle della WAKO. In America, la musica è un sottofondo, nella WAKO la “forma” dev’essere costruita sul ritmo della musica che hai scelto). Su 2000 concorrenti (che poi diventeranno 3000 “entries”  perché la stessa persona può iscriversi a più categorie di peso e  “divisions” o specialità – pensate che un tizio si è iscritto a ben 11 prove diverse!), 2000 erano di Forme!

Dopo qualche ora di Kata tradizionali, forme musicali individuali, a squadre a due e  a tre (“sinchronized” le chiamano qui), con e senza musica, con e senza armi (di ogni genere) non ce l’ho fatta più a seguirle. Ho cominciato allora a girare tra i vari quadrati, unica vera possibilità di vedere qualcosa perché intorno ad ognuno  c’era una vera e propria siepe umana. Ho visto frugolini cimentarsi nel “point fighting” (qui vi è una divisione per ogni anno di età a partire dai 5 anni!!), che è la seconda specialità di questi US OPEN. E’ il classico karate all’americana, con delle protezioni alle mani e ai piedi come nel nostro semi-contact, con l’obbligatorietà del casco ovviamente, con l’unica differenza che tutti gli incontri erano sulla distanza di 7 punti . Ogni calcio al corpo o al volto valgono 2 punti , ogni pugno 1 punto. Vince chi totalizza per primo i fatidici 7 punti. Ho cronometrato i tempi, e sono rimasto sbalordito: il tempo medio di ogni gara era di 55 secondi! Insomma, vieni negli USA  da ogni parte del mondo (c’erano anche atleti WAKO dell’Irlanda, del Sud Africa, dell’Ungheria e dell’Italia), spendi quello che spendi tra viaggio, vitto, alloggio e iscrizione alle gare, e in 55 secondi puoi essere fuori, si torna a casa.

Essendo ormai abituato ad altre distanze (2 riprese da 2 a livello italiano – parlo di campionati italiani) o addirittura di 3x2’ a livello Europeo e Mondiale, è chiaro che quel tipo di gara è completamente diverso dal nostro. Per questo poi gli americani buscano quando vengono nei nostri tornei. Infatti, è come se un centometrista gareggiasse poi nei 400 metri. Un altro mondo! Per la cronaca, hanno vinto la gara a squadre gli americani di Raymond Dianels che ho ospitato allo stage nazionale di Cattolica due anni or sono. Ecco, venuto a vedere il Mondiale di Kickboxing della ISKA, mi sono trovato ad osservare solo gare di “point fighting” e di “musical forms”  (le sole specialità che in qualche modo potessero essere riconducibili alla nostra Kickboxing). Il resto, è stato tutto Ju jitsu, demo team, prove di rottura, grappling, MMA (davvero incredibile lo sviluppo che sta avendo questa forma di Arte Marziale  praticata nella tanto criticata “cage” – gabbia - che grazie agli enormi introiti della “pay per view” della UFC in questo paese, sta conquistando persino intere pagine di quotidiani , cosa mai riuscita a nessun’altra arte marziale prima) , self defense , stage con rinomati campioni. Sarà felice il mio ex amico Michele Panfietti, ma ho pensato subito a lui e alla sua Maratona Marziale di Carrara. Lo stesso grande risotto, un calderone ottimo  certamente come business, ma per il resto…  (i giudici di gara, i loro variopinti abbigliamenti, le giurie, il tizio che segna i punti a mano, le mogli o le amiche dei vari maestri che tenevano il tempo ai tavoli), meglio lasciar perdere.

Bravi comunque Mike Sawyer e Mike McCoy che nel corso degli ultimi 30 anni hanno saputo “vendere” gli US OPEN agli appassionati di quel genere di arti marziali e a fare i numeri e gli introiti che fanno. Per quanto mi riguarda, devo francamente dire che è stata un’altra “esperienza”, certamente non nuova, ma che mi ha lasciato felice solo per una cosa: la certezza che di “concorrenti” della WAKO – perdonatemi l’immodestia – davvero non ne abbiamo nel mondo in fatto di kickboxing! Ho invitato a mia volta i due Mike a venire ai nostri prossimi Mondiali di Villach (Austria) o di Nantes (Francia) perché se ne rendano conto anche loro. Il viaggio di ritorno in macchina sino a Miami, per il rientro,  è stato breve e lieve come  mai  prima.

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