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Il mito di Ergenekon
Di: Ermanno Visintainer
Tratto da:
Ergenekon
è un nome suggestivo, evocativo, pregno di risonanze e significati
ancestrali per il mondo turco. Esso è ubiquitario e la sua notorietà
si estende dalla mitologia alla letteratura, senza tralasciare le
strumentalizzazioni[i][1]
politico-ideologiche con vicissitudini recenti e attuali della
Repubblica laica fondata da Kemal Atatürk.
In origine il mito si riferisce all’etnogenesi
dei Turchi o dei Mongoli, tuttavia in esso confluiscono
amalgamandosi elementi archetipici e motivi sciamanici di natura
eterogenea, quali: l’animale totemico, il monte di ferro[ii][2],
la caverna[iii][3],
il dominio del fuoco e l’arte segreta della metallurgia.
Quest’ultima, come riferisce Mircea Eliade, ricorda i segreti
dell’arte che gli sciamani trasmettono attraverso l’iniziazione[iv][4].
Essendo
impossibile sviscerare esaustivamente tutti i corollari di questo
complesso mitologema eurasiatico, ricorderemo soltanto la valenza
alchemica della metallurgia quivi catalizzata dalla presenza degli
elementi sciamanici, ovvero dall’accostamento fabbro-sciamano[v][5],
che un proverbio yakuta unifica in una sorta di endiade: “Fabbri e
sciamani sono dello stesso nido”[vi][6].
Venendo al mito, esso è riportato dalla testimonianza dello storico
persiano Rašiduddin (1248-1318) nella sua opera, “Ğami’ ut-Tawarikh”,
tramandato ai tempi della dinastia ilkhanide in Iran. Secondo il
parere dello studioso Bahaeddin Ögel[vii][7]
la leggenda, di cui esistono diverse varianti, è un’epopea
originariamente turca che fu successivamente mongolizzata dallo
stesso Rašiduddin. Sta di fatto che essa intreccia il destino dei
Turchi con quello dei Mongoli, nel senso che entrambi se ne
appropriano, sviluppandola poi nelle rispettive tradizioni
letterarie. Venendo alla narrazione, Ergenekon, termine glossato
come “monte o passo impervio[viii][8]
”, è il nome di una valle sperduta nella terra dei T’u-küe, 突厥 Tūjué,
o Turchi Celesti, ovvero la Mongolia. Il mito, in realtà, potrebbe
anche possedere una chiave di lettura evemeristica, secondo cui gli
elementi leggendari ivi contenuti sono riconducibili ad un
avvenimento storico, riferentesi all’affrancamento dei T’u-küe, che
erano i fabbri dell’Altai, dal giogo degli Zhuan-Zhuan o Àvari[ix][9].
Secondo la versione mongola, due
ilkhanidi: Qïyan[x][10]
e Nüküz[xi][11],
sopravvissuti a una guerra contro i Tatari[xii][12],
fuggono trovando rifugio in una valle circondata da cime impervie.
Qui rimangono per alcune generazioni[xiii][13]
moltiplicandosi fino a suddividersi in varie tribù. A un certo
punto, venendo meno lo
spazio
vitale, cercano una via per uscire dalla vallata ma invano.
Così si presenta un fabbro che indica
loro di aprire un varco facendo fondere un filone metallifero
all’interno della montagna, dicendo: “Qui c’è una montagna di ferro,
la fonderemo!”[xiv][14].
Così accatastano una gran quantità di
legna e di carbone cui accostano un mantice, quindi soffiando verso
il monte riescono a liquefare il filone creando un passaggio. Nella
versione turca mentre escono sono guidati da un lupo, di nome
Börtečine, ovvero “lupo grigio”[xv][15].
Conseguentemente, ottenuta la loro vendetta, fondano il proprio
impero[xvi][16].
Una menzione a questo lupo, tuttavia, non manca anche nella Storia
Segreta dei Mongoli. L’opera si apre con l’asserzione: “L’origine di
Genghiz Khagan è Börte[xvii][17]
Čino, il lupo grigio o azzurro”[xviii][18].
Dal momento che un’esegesi del mito
riguardo alla presenza del lupo accanto a quella del fabbro finora
non è stata formulata, ne proporremmo una noi.
Lo studioso Abdülkadir İnan riporta
come presso gli Yakuti l’anima dello sciamano possa metamorfizzarsi
in un lupo[xix][19].
Essendo, il fabbro e il lupo, due dei “temi mitici” essenziali della
leggenda, l’improvvisa comparsa di quest’ultimo nonché la sua
funzione dominatrice all’uscita della valle conseguente alla fusione
del filone metallifero, sembrerebbero rappresentare l’alter-ego del
fabbro, ovvero la sua trasformazione nel lupo, un motivo sciamanico
strictu sensu[xx][20].
Nondimeno il tema dell’attività
metallurgica, nella fattispecie legata all’elemento sideroso, non
può fare a meno di alludere a un allegorismo alchemico connesso con
una via realizzativa attiva, eroica, scevra, perciò, da sfaldamenti
misticheggianti.
Ziya Gökalp, il poeta-filosofo al
quale già abbiamo dedicato un precedente articolo[xxi][21],
volle rendere un omaggio al mito, idealizzandolo attraverso
un’omonima composizione, Ergenekon (1914-15)[xxii][22],
di cui riportiamo qualche verso:
(…)Kurt bir delik buldu, gitti; Una tana
trovò il lupo e vi entrò
Bir demirci ta’kip etti, Un
fabbro lo seguì
Ocak yaktı, taş eritti;
Accese un fuoco e sciolta fu la roccia
Açıldı yol kapağımız! Ed
un varco fu aperto al nostro passo!
Demirciye Bozkurt dendi; Lupo
grigio fu il nome di quel fabbro
Han tanıldı, taç giyindi;
Eletto Khan, fu cinto di corona
Yoldan önce kendi indi; Lui
stesso scese primo dal varco
Sağ elinde bayrağımız! Il
nostro vessillo nella sua man destra!
Börteçine kurdun adı;
Börteçine è il nome del lupo
Ergenekon yurdun adı;
Ergenekon il nome della patria
Dört, yüz sene durdun, hadi, O cento
mille delle nostre lance
Çık, ey yüz bin mızrağımız!(…) Troppo a
lungo assopite, è l’ora del risveglio!
Anch’egli
sembra suggerire una connessione fra i due elementi della leggenda,
il fabbro e il lupo, in una sorta di complesso sinergico e
sintropico.
I toni di stampo epico-apologetico e
di prorompente esaltazione dell’orgoglio nazionale che trasudano da
questi versi, saranno sintetizzati e immortalati dai suoi epigoni,
gli idealisti, nello slogan: Börteçine kurdun adı; Ergenekon yurdun
adı, che scandendo l’avvicendarsi delle correnti politiche nella
Repubblica di Turchia ne scuote le sue fondamenta.
Contatti e Informazioni:
Dott. Ermanno
Visintainer Pergine Valsugana, Trento
Asokananda's Authorized Teacher senior
www.al-thai.com
WaiThai®2004-2008 Cristina Radivo Asokananda’s
authorized teacher
ottobre ’08
[i][1] Ricordiamo,
per dovere di cronaca, che è anche il nome di
un’organizzazione ultranazionalistica, definita la “Gladio
turca”.
[ii][2] Bahaeddin
Ögel, Türk Mitolojisi (La Mitologia turca), Ankara 1993, pg.
60 e Mircea Eliade, Lo Sciamanismo e le tecniche
dell’estasi, Roma 1983, pg. 290.
[iii][3] Non
mancano in ciò riferimenti a teorie cosmogoniche
antichissime che insistono sul fatto che l’umanità sia nata
in Mongolia e che qui, occultato in una dimensione ipogea,
regni il Re del mondo. Tali leggende furono riportate
principalmente da esoteristi come René Guénon (1886-1951),
nel suo libro Il Re del Mondo, 1977. Ma in maniera più o
meno reticente anche dal laicissimo Kemal Atatürk
(1881-1933), il quale dichiarò: "Nella misura in cui la
discendenza turca avrà conosciuto i propri antenati troverà
in sé la forza per realizzare imprese più grandi", in Burhan
Yılmaz, Agarta’dan Ergenekon’a büyük Türk Bilgeliği - La
grande saggezza turca dall’Agarta a Ergenekon, Istanbul,
2008. Aspetti questi, che ribadisce il giornalista turco Nuh
Gönültaş, in un articolo pubblicato sul quotidiano 8 Sütun
dell’11 agosto 2008, intitolato Agarta,
http://www.8sutun.com/koseyazisi?id=305, nel quale
raffronta il mito di Ergenekon con quello dell’inaccessibile
Agartha, il summenzionato regno sotterraneo dove dimora il
Re del Mondo.
[iv][4] Mircea
Eliade, Lo Sciamanismo e le tecniche dell’estasi, Roma 1983,
pg. 503.
[v][5] Mircea
Eliade, Făurari şi Alchimişti (Fabbri e Alchimisti),
Bucarest, 1977 e Jean Paul Roux, La Religione dei Turchi e
dei Mongoli, Genova, 1990, pg. 92-94.
[vi][6] Jean Paul
Roux, op.cit. pg.92 e Mircea Eliade, op.cit. pg. 499.
[vii][7] Anche
oronimo ovvero nome di montagna del Turkestan, in Gerhard
Dörfer, Türkische und Mongolische Elementen im Neupersischen,
Wiesbaden 1963, pg. 127-172 e Bahaeddin Ögel, op.cit. pg.
60.
[viii][8] Bahaedin
Ögel, Türk Mitolojisi, Ankara 1993, pg. 59.71.
Gerhard Dörfer, Türkische und Mongolische
Elementen im Neupersischen, Wiesbaden 1963, pg. 127.
In realtà non è escluso che l’etimologia
possa anche avere origini mongole: da erge<girare,
circumambulare e khöndii<valle.
D.Tömörtogoo,
A Modern
Mongolian-English-Japanese Dictionary 现在蒙英日辞典
, Tokyo 1977.
[ix][9] Jean Paul
Roux, La Religione dei Turchi e dei Mongoli, Genova, 1990,
pg. 93 e Andrea
Csillaghy, Elementi di Filologia Uralica e Altaica, Ed.
Cafoscarina, pg. 177.
[x][10] Esistono
varianti della leggenda in cui entrambi i protagonisti sono
maschi accompagnati dalle rispettive mogli. Altre in cui il
primo è il figlio e l’altro, la nipote di un sovrano
ilkhanide.
[xi][11] Nella
versione turca il nome è Tokuz e si riferirebbe alla
confederazione tribale turca dei Tokuz Oghuz , vd. Jean Paul
Roux , Storia dei Turchi, Milano, 1988, pg. 39.
[xii][12]
Gerhard Dörfer, op.cit. pg. 127e Ziya Gökalp, Türk Töresi,
pg. 109.
[xiii][13]
İl testo dice 400 anni.
[xiv][14]
Ziya Gökalp, Türk Töresi, pg.110.
[xv][15]
In turco anche Bozkurt, Ziya Gökalp, Türk Töresi, pg.110.
[xvi][16]
Jean Paul Roux, op.cit. pg 93.
[xvii][17]
Bahaeddin Ögel, op.cit., pg.43.
[xviii][18]
Jean Paul Roux, op.cit. pg.227.
[xix][19]
Scrive che la metamorfosi in un lupo o in un orso si chiama
“Börölöh eheleh oyuun – sciamano che diviene lupo o orso”,
in Abdülkadir İnan, tarihte ve bugün Şamanizm (Lo
sciamanismo nella storia e oggi), Ankara, 1995, pg. 81 e
Yuriy Vasiliev, Türkçe-Sahaca (Yakutça Sözlük- Dizionario
Turco-Yakuto , Ankara 1995.
[xx][20] Mircea
Eliade, Lo Yoga, Milano, 1995, pg 299.
[xxi][21]
Ermanno Visintainer, Il mito turanico nella poesia di Ziya
Gökalp, Vox Populi, luglio 2005 e Ziya Gökalp e il
mito turanico, in Letteratura e Tradizione. Agosto 2005
[xxii][22]
Ziya Gökalp, Kızıl Elma (La Mela rossa), İstanbul 1995.
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