|
IL PRESIDENTE WAKO DOTT. ENNIO FALSONI, CI AGGIORNA SUL SUO ULTIMO VIAGGIO IN INDIA. E’ QUESTO UNO DEI POCHI PAESI AL MONDO CHE NON AVEVA ANCORA VISITATO. L’OCCASIONE E’ STATA QUELLA DI UNO STAGE TECNICO ED ARBITRALE… MA IL SUO INTERESSANTE ARTICOLO INIZIA CON UN VERO E PROPRIO SPACCATO SULLA CULTURA, STORIA E RELIGIONE.Il Presidente alla scoperta dell'IndiaItalian GurusDi: Ennio FalsoniAlla scoperta dell’India, paese che non avevo mai visitato prima. Insieme a Emanuele Bozzolani nel paese di Mahatma Gandhi per una serie di stage che hanno avuto un successo straordinario.
Erano anni che desideravo visitare l’India, ma nello stesso tempo, non ero mai riuscito ad inserire il viaggio tra i numerosi impegni del fitto calendario internazionale della WAKO. Ma dopo le scadenti prestazioni degli atleti indiani nel corso degli ultimi Campionati del mondo WAKO di Belgrado e Coimbra del 2007, mi sono proprio detto che occorreva fare qualcosa per questo paese, molto arretrato dal punto di vista tecnico rispetto agli altri continenti.
Era di per sé evidente, per chi osservasse quelle prestazioni con occhi esperti, che gli atleti indiani, pur coraggiosi, pur determinati nei loro incontri, non avessero nemmeno le conoscenze tecniche fondamentali delle nostre discipline, senza le quali si fa ben poca strada in qualunque sport, tantomeno nella kickboxing. E vedere atleti letteralmente malmenati sul ring mi ha sempre reso triste. Insomma, era tempo che si intervenisse per cercare di far cambiare rotta ad una organizzazione, la IAKO, in un sub-continente come quello indiano che oggi conta 1 miliardo di persone, quindi un mercato potenzialmente enorme anche per le nostre discipline.
Così la WAKO, d’accordo col presidente della Indian Association of Kickboxing Organizations, Mr. S.S. Harichandan, ha deciso di organizzare un grande stage di aggiornamento tecnico e arbitrale ,inviando in India nella prima decade di agosto, oltre al sottoscritto che avrebbe dovuto occuparsi di arbitraggio e gestione federale, due tecnici di chiara fama: uno, Nasser Nassiri, iraniano di origine ma che vive a Parigi, già campione del mondo di light contact e vice campione del mondo di full contact, e il livornese Emanuele Bozzolani, 3 volte campione del mondo di semi contact. I due avrebbero dovuto coprire le tre principali discipline di cui si occupa l’organizzazione indiana.
Lo stage si è tenuto a Calcutta, città praticamente fondata dagli inglesi nel 18° secolo, una delle più popolose città dell’India coi suoi 13 milioni di persone (esattamente la seconda più popolata dopo Mumbay, ben 18 milioni !), già capitale dell’India per quasi 200 anni ai tempi della dominazione inglese che poi la trasferirono a Delhi. Poiché non ero mai stato in quel paese, sono partito una settimana prima dello stage per avere la possibilità di conoscere la realtà indiana, una realtà emergente al pari di quella cinese (anche se a mio avviso oggi sono molto indietro rispetto alla Cina).
Sono così stato a Delhi, e successivamente, ad Agra, Jaipur e Udaipur, ossia nelle tre principali città di quella che è stata la terra dei più importanti Maharaja : il mitico Rajasthan !
L’impatto col clima monsonico indiano d’agosto è pesante come un diretto al plesso. L’umidità è spaventosa e quando c’è il sole, il suo calore sembra che ti buchi la pelle. Delhi è una grande e bella città, immersa nel verde, con larghi parchi un po’ come a Londra cui deve essersi ispirata giocoforza, visti anche i due secoli di dominazione inglese. Arrivando di notte, mentre ci si dirige verso l’albergo, si ha modo di osservare che la strada principale che collega l’aeroporto a Delhi è dissestata a causa dei lavori per la costruzione della Metropolitana che dovrà essere terminata entro il 2010, anno in cui l’India ospiterà i Commonwealth Games, i Giochi che tengono ancora insieme sportivamente la Gran Bretagna alle sue numerosissime ex colonie, una manifestazione davvero importante.
Si ha modo di vedere anche che molte persone dormono sui marciapiedi così, completamente vestite poggiando la testa sul pavimento, nemmeno su un pagliericcio o qualche straccio, proprio sull’asfalto. Alla luce del sole, scopri anche che Delhi è letteralmente divisa in due: da una parte la vecchia città, coi suoi quartieri mussulmani sovraffollati, fatti di bottegucce di 2 metri quadri, di poveri, dalle case fatiscenti, dalla sporcizia dilagante, dalle vacche magre che vengono sloggiate dalle grandi arterie di traffico, dai moderni “risciò”, veri e propri taxi popolari, ape a tre ruote che possono caricare normalmente solo 2 persone, ma sui quali a volte ne vedi anche 4 o 5. Dall’altra, la Delhi moderna, fatta di edifici tecnologici, vetro e cemento come si vedono in tutte le parti del mondo ormai , di strade ampie e pulite, insomma la modernità che avanza, simbolo di quell’India che ha uno sviluppo del Pil di 10 punti l’anno almeno (quando l’Italia è ormai in fase di stagnazione se non di recessione).
Le due anime dell’India moderna, il vecchio e il nuovo che convivono mirabilmente, anche se l’occidentale si sente a disagio a volte di fronte a tanto degrado, a tanto squallore. Ma è qui che parlando con le varie guide che ho avuto e con gli amici indiani, che viene fuori la filosofia indiana che tanta parte ha avuto anche su celebri studiosi e autori occidentali. In fondo tutto sta scritto – diremmo noi - , nel senso che se sei quello che sei, tutto dipende dal tuo “Karma” precedente, dalle tue azioni passate. Sconti o meno, i tuoi comportamenti, le tue scelte. Le sfortune della nostra vita presente sono il risultato di azioni da noi commesse in passato. Se in questa vita sei Brahmino (Religioso) oppure Ksatriya (Guerriero) o comunque un membro di una delle 4 caste fondamentali o addirittura un Paria, ossia un fuori casta, tutto dipende dalle tue vite precedenti.
E’ la loro religione millenaria che fa accettare all’indiano la realtà che si dipana sotto i nostri occhi, a volte persino un po’ increduli. L’India è la terra dello Yoga, del Buddismo, della reincarnazione. L’India è la terra della tolleranza religiosa, del rifiuto dell’uso della forza, come Mahatma Gandhi ha insegnato, un paese altamente spirituale come lo testimoniano i 330.000 dei di cui si compone la cosmogonia induista, una religione interessantissima ancorché complicata.
Visitati i principali monumenti di Delhi, tra cui la principale Moschea e il Forte Rosso (sede dei Moghul – Mongoli – che avevano invaso l’India portandovi l’Islamismo verso la fine del 1500 soggiogandone una parte per 200 anni, prima dell’avvento degli Inglesi) , la sede del Parlamento, l’Arco di Delhi (The Delhi Gate) ci siamo spostati ad Agra e quindi a Jaipur, due delle principali città del Rajasthan.
Viaggiando in auto, hai la possibilità di vedere il paese, la gente, i villaggi e immaginare come vivono. Ciò che sorprende è la mancanza di una rete stradale efficiente. Le strade sono tutte a doppio senso, strette, molto trafficate e pericolosissime. Per coprire 200 km., ci vogliono dalle 5 alle 6 ore. Sei continuamente obbligato a rallentare in mezzo ad un traffico pazzesco cui si aggiunge sempre il pericolo di avere un animale in mezzo alla strada. I villaggi che attraversiamo sono rurali, poveri.
Lungo le strade, ancora una grande povertà, fatta di uomini magri, sporchi e vestiti veramente male. Villaggi pieni di banchetti di frutta, di cose anche moderne, ma vendute in situazioni igienico-sanitarie davvero preoccupanti. Una cosa però balza agli occhi: i mille colori dei vestiti delle donne indiane. Le donne indiane, davvero stupende per portamento ed eleganza, sono sempre fasciate nei loro coloratissimi Sarhi . In tutto il viaggio avrà visto solo una volta una donna indiana in jeans.
Ma dopo ore e ore di questo spettacolo di un’umanità in difficoltà , tutto diventa naturale, tutto fa parte di un’unica realtà. Il contraltare a questa miseria, sono le grandi pubblicità dove su tutto troneggia sempre il marchio Tata, una famiglia che, come gli Agnelli in Italia, domina nel mercato dell’auto, delle assicurazioni, dei grandi alberghi e con interessi così diversificati da chiedersi se di fatto non possiedano quasi tutto. Mi diranno poi che no, vi sono altre famiglie che sono ancora più ricche e famose come i Mittal (sede a Londra e tycoon dell’acciaio nel mondo o di quell’altra, di cui non ricordo più il nome, che hanno enormi interessi nel campo del petrolio e nella telefonia mobile.
Insomma, poche famiglie che si spartiscono interessi colossali. Veramente una situazione tipica di un paese del terzo mondo dove pochissimi hanno quasi tutto, e il resto tira veramente la cinghia per campare. Una situazione analoga a Russia, Cina, Messico o Brasile, tanto per intenderci. Della serie insomma : così va il mondo.
Agra, ex capitale di un regno Moghul, o Jaipur, non si discostano da questo quadro. La cosa sorprendente dell’India è che viaggi per ore in mezzo allo sfascio, alla sporcizia e al putridume, e poi giri un angolo, entri in un cancello e ti sembra di essere – come in una fiaba-, entrato in un nuovo mondo fatto di sorprendenti costruzioni come il Forte Rosso di Agra, o di palazzi come il Taj Mahal (un mausoleo costruito in 20 anni nel 1600 riconosciuto come una delle sette meraviglie del mondo, sempre ad Agra)
o il Rambagh Palace di Jaipur che sono un’autentica meraviglia, con giardini perfettamente curati , con uomini compitissimi e gentilissimi che ti ricevono vestiti come i lanceri del Bengala, di giovani donne sinuose, eleganti avvolte nei loro coloratissimi vestiti.
Ma è a Udaipur (che abbiamo raggiunto in aereo questa volta) dove, dopo tanta arte musulmana, veniamo in contatto con la vera anima induista. Sino a quel momento infatti c’era il sospetto che in fondo di tipico indiano ci fosse veramente poco da vedere. In fondo, tutto quello che avevamo ammirato sino ad allora, era arte musulmana . Ebbene, mentre il Maharaja di Jaipur si era addirittura imparentato col Moghul straniero attraverso le alleanze matrimoniali tipiche anche del nostro Medioevo e Rinascimento, quello di Udaipur aveva sempre combattuto i Moghul invasori e fieramente, persino non aveva mai riconosciuto la sovranità inglese.
Proprio nelle vicinanze di Udaipur vi sono templi induisti che risalgono all’8° secolo d.C. che sono una vera meraviglia. Da ricordare che l’Italia, nello stesso secolo, era in pieno oscurantismo, percorsa com’era dai Barbari che provenivano dal centro dell’Europa. I templi induisti ti danno allora esattamente l’idea del grado di civiltà che essi avevano raggiunto ed è stata una piacevole scoperta dopo che avevamo persino dubitato che ne fossero stati capaci.
Lasciamo, dopo questo escurso culturale il Rajasthan per ritornare alla ragione fondamentale per cui ci trovavamo in India: lo stage internazionale. In aereo, da Udaipur siamo tornati a Delhi e quindi , dopo due ore di viaggio, siamo arrivati a Calcutta dove all’aeroporto abbiamo trovato ad attenderci Harichandan con una ventina dei suoi associati che mi hanno letteralmente sommerso di petali di rosa e di ghirlande di fiori coloratissimi.
Poco prima di partire per Calcutta, vengo a sapere che Nasser Nassiri, in possesso di passaporto iraniano, non è riuscito ad avere il visto in tempo e quindi non sarà della partita. Peccato, pensavo tra me, vorrà dire che Emanuele cercherà lui di fare qualcosa per coprire la mancanza dell’esperto di full contact.
Bozzolani è radioso quando mi vede all’aeroporto. Era arrivato un’ora prima dall’Italia e l’idea di questa esperienza indiana lo emozionava. Erano anni, visto che segue da tempo gli insegnamenti di un Guru Yoga, che voleva venire in India per seguire il suo percorso spirituale, e non stava nella pelle dalla gioia. L’appuntamento per tutti era per il giorno dopo dove avrei dovuto tenere una lezione sui regolamenti arbitrali a un centinaio di corsisti che erano arrivati da Nepal, Bangladesh, Butan e da tutta l’India. Alcuni di loro provenivano da zone così remote del paese che ci avevano impiegato 5 giorni di viaggio! Davvero incredibile.
Mi ero portato alcuni DVD e ho intrattenuto per quasi 3 ore i corsisti che tra l’altro erano impegnati, a partire dal giorno dopo, nei 22esimi Campionati Indiani di Kickboxing che si svolgevano in un centro sportivo polivalente lì vicino. Dopo le centinaia di foto di rito, ci hanno portato a cena ovviamente dove abbiamo sperimentato la cucina locale. In verità, nulla di nuovo per me che ero in India ormai da 8 giorni, ma il povero Emanuele aveva la bocca letteralmente in fiamme.
Ridacchiavo dentro di me, ma senza sapere le conseguenze cui sarei andato incontro. Il giorno dopo infatti doveva cominciare lo stage tecnico fissato, visto il caldo umido del paese, alle 7 del mattino e lui doveva esserne il protagonista. Prelevatolo al suo albergo, me lo trovo davanti con occhi stralunati. Sembrava uno straccio, un cencio. Si vedeva che stava soffrendo. “Ho passato la notte in bagno e ho la febbre” – mi dice il poveretto - . Era stato chiaramente il cibo della notte precedente che il suo corpo ha letteralmente rifiutato, ma allora che si poteva fare?
Nessun problema, gli ho detto. Stati tranquillo, cercherò di sbrogliarmela da solo. Ebbene, cari amici, sono tornato in pista, mi sono rimesso ad insegnare, cosa che francamente non facevo, per una precisa scelta, da ormai 20 anni. Avremmo dovuto tenere lo stage nello stesso palazzetto dov’erano in corso di svolgimento i campionati nazionali indiani, ma purtroppo quel giorno il Badminton aveva soffiato agli organizzatori la struttura, sicché siamo stati costretti a rifugiarci sotto una gradinata dello stadio di calcio locale che era un vero disastro.
Mi sono messo di fronte a quel gruppo eterogeneo di kickboxers indiani (chiamarli un’armata brancaleone renderebbe bene il termine, perché erano non solo malamente vestiti, ma manco in possesso – molti di loro -, dei guantoni fondamentali per un qualunque allenamento di kickboxing avanzato) e ho fatto del mio meglio per dare loro le nozioni fondamentali delle nostre discipline, cosa di cui gli indiani avevano un tremendo bisogno. 30 anni di insegnamento ininterrotti nelle mie varie palestre non si dimenticano e anche se era parecchio che non indossavo più un pantalone da full e dei guantoni, ho fatto ancora la mia onesta figura (almeno a detta dei presenti).
E devo anche dire che mi piace ancora insegnare, mi piace l’idea che quello che so passi ad altri e che tutto ciò possa loro servire per portare avanti il nostro sport.
Il giorno dopo, Bozzolani stava molto meglio e insieme abbiamo portato a termine un corso di aggiorna mento che gli indiani ci dicono resterà storico. C’è solo da sperare che ciò che abbiamo insegnato, venga davvero recepito da qualcuno e che si possa dare una svolta alla kickboxing di questo immenso paese che ha un potenziale enorme. Del resto, se non si hanno basi solide, si costruiscono case dalla vita breve. Questa legge vale anche per lo sport, qualunque esso sia. Solo attraverso dei buoni insegnanti che sappiano trasmettere le loro conoscenze si possono avere dei buoni atleti un domani. E’ la nostra speranza.
Ovviamente questo primo e storico stage internazionale di kickboxing non può restare isolato. C’è un enorme lavoro da fare in India e noi torneremo per portarlo a termine, anche perché le centinaia e centinaia di persone che ci hanno avvicinato, fotografati, idolatrati, quasi, ci hanno eletti a loro “Gurus” (colui che sa e passa ad altri la sua conoscenza). Insomma, incredibile a dirsi, ma questa volta i Guru siamo stati davvero noi!
|