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Da una mail arrivata in
redazione, con la quale ci veniva presentato il nuovo libro del
maestro Ciro Varone, abbiamo trovato nel web altre informazioni con
le quali abbiamo ritenuto opportuno presentare ai nostri lettori un
ulteriore strumento per la crescita della propria conoscenza
KARATEDO
ESPERIENZE DI PRATICA
“SEPARARE LE NUVOLE TROVARE LA VIA”
PREFAZIONE
Un
libro come “separare le nuvole trovare la via” non poteva
scriverlo un giapponese ma solo un italiano che ama veramente il
karatedo in tutte le sue più intime sfumature. Il maestro Ciro
Varone con schiettezza e senza peli sulla lingua fa un quadro
reale e, purtroppo, futuristico reale del karate. Un presente che,
continuando di questo passo, ci porta lontano dalla Via per
avvicinarci allo sport/karate.
Tecnicamente parlando il maestro
Varone è oggi uno dei tecnici più preparati in Italia e, chi si
allena con lui, scopre sensazioni e sapori antichi, riportati
magistralmente nel presente libro, che ci fanno riflettere. Il
maestro Varone è uno studioso profondo dell’Arte e i grandi maestri
che ha frequentato e che ancora frequenta sono la testimonianza
reale del suo amore per la ricerca. Lo studio attento dei testi che
fanno da corolla alle Arti Marziali, hanno creato in lui una
mentalità aperta e flessibile raramente riscontrabile in un maestro
di una specifica arte marziale.
E’ un libro che, va letto e riletto,
cercando di approfondire quegli aspetti che non fanno più parte
della nostra quotidianità di karateka, un libro che sicuramente sarà
di aiuto e di guida ai numerosi insegnanti di karate e delle Arti
Marziali.
Maestro Gianni Vittonatti
cintura
nera 6° dan karate shotokan
Ho letto con grande interesse il libro
dell’amico Ciro con il quale ho avuto esperienze di pratica e di cui
conosco molto bene la serietà e la dedizione alla nostra arte. La
chiarezza e la semplicità con cui esplora aspetti mai trattati se
non marginalmente da altri autori, pone questa opera tra quelle più
interessanti che io abbia mai letto, in cui si intuiscono deduzioni
proprie di chi pratica con costanza.
Ritengo che questo libro possa
aiutare molto quei praticanti esperti che ad un certo punto perdono
il senso e la passione del karate solo perché non riescono a trovare
motivazioni più profonde o perché nessuno ha indicato loro il giusto
percorso.
Maestro Michele
Scutaro
cintura nera 7°dan karate Shotokan
PREMESSA
Negli
ultimi anni diversi ricercatori, storici e maestri hanno scritto
libri sul karate.
Un’arte marziale antichissima,
arrivata dalla Cina come forma di kempo, kung-fu, quan–fa, ma
probabilmente non proporzionata all’antico bisogno del popolo
okinawense, che per tale motivo la trasformò, nel corso degli anni,
in “te, to de, te jutsu”, karate jutsu, karatedo.
Una primitiva arte di combattimento
tramandataci da generazioni di maestri okinawensi, prima, e
giapponesi dopo, “si dice che il kanji usato risalga addirittura
alla dinastia Tang (618-907 d.C.)”.
La prima pietra posta alla nascita
del “te” fu favorita dal re di Chuzan, Satto (1353-1395) il quale
istaurò un primo rapporto di vassallaggio con la Cina favorendo
l’arrivo dell’arte marziale denominata Kempo ad Okinawa.
Molte sono le speculazioni che
accreditano, in diversi periodi, l’arrivo di distinti funzionari
cinesi ad Okinawa i quali già esperti di arti marziali insegnarono
agli abitanti del luogo i primi rudimenti dell’arte del “te” che poi
si fusero con altri sistemi di lotta autoctona, amalgamandosi e
dando vita al karate jutsu.
Una teoria abbastanza attendibile è
quella delle 36 famiglie: scienziati, medici, ingegneri e artisti,
che approdarono nel villaggio di Kune vicino al porto di Nawa,
stabilendo contatti e scambi con gli okinawensi; di fatto, esistono
tuttora certi kata che portano i nomi di alcuni funzionari (Peichin)
sbarcati ad Okinawa con diverse mansioni politiche e sociali.
Questi maestri forieri, a loro
volta, trasmisero i primi rudimenti ad altri maestri che nel momento
attuale vengono considerati vere e proprie leggende, per citarne uno
su tutti Soken Bushi Matsumura: eccelso guerriero che diede, con la
sua autorevolezza marziale, grande impulso alla formazione del
processo d’addestramento (keiko) che costituì l’impalcatura
dell’arte della mano vuota.
Il karate che oggi pratichiamo è
stato oggetto di notevoli cambiamenti e mozzature sia nella sua
terra natia, Okinawa, che in Giappone, e purtroppo ancora oggi nel
nostro paese e in tutto il mondo.
Le prime modifiche vennero apportate
dal maestro Itotsu, il quale attraverso la semplificazione di alcune
tecniche avanzate, che estrasse dai kata superiori, creò “un karate
a misura di “bambino” e codificò, di fatto, i cinque kata Pinan
(Eian) come una sorta di programma scolastico educativo adattato
all’esigenze scolastiche del periodo, ma con la consapevolezza che
quel programma “stringato” era solo, per ovvi motivi, un
introduzione all’arte originale del karatedo.
Fu così che il karate, pervenutoci
dal lontano Oriente, in parte già modificato da Anko Itotsu da
Gichin Funakoshi, e in seguito rivisto dal figlio Yoshitaka, è stato
di nuovo ritoccato e reso, per alcuni, uno sport di massa e per
altri un semplice business da intraprendere come qualsiasi altra
attività commerciale senza alcuna implicazione filosofica e
spirituale.
Il karate, oggi, viene praticato in
tutto il mondo, e si stima che i praticanti siano circa una decina
di milioni.
Da molti anni alcune organizzazioni
per aggiudicarsi la “gestione del karate” polemizzano, litigano tra
loro per essere ammesse alla corte del C.I.O, sperando di
aggiudicarsi, da parte di un organismo sportivo, la licenza di
stravolgere ancora di più una disciplina che come sappiamo è un
prodotto straordinario di un epoca ricca di grandi fermenti storici
e culturali e che rappresenta nella storia dell’uomo, assieme allo
zen, la più alta constatazione della perfettibilità dell’animo
umano.
Probabilmente se il “movimento
karate” continuerà su questo percorso finirà perdendo anche l’ultimo
filo storico-culturale e filosofico che lo teneva legato al passato,
trasformandosi in un semplice sport da combattimento oppure in una
forma di ginnastica dimagrante con il sottofondo musicale.
La speranza vana di alcuni politici
di trasformare il karate in uno sport olimpico, per ricavarne dei
profitti politici e materiali, ridurrà a brandelli, come è già
capitato al Judo, anche le ultime fragili speranze di annoverarlo,
di diritto, tra le arti del budo giapponese.
Essendo io un accanito lettore,
penso di avere letto quasi tutto ciò che è stato scritto sul karate,
dal libro tecnico a quello storico-culturale, fino ad arrivare al
libro che parla della filosofia delle arti marziali in generale e
del karate nello specifico.
Non che ci fosse bisogno di un altro
libro, tuttavia, questo testo è partito da un idea di alcuni amici e
compagni di pratica che ritenevano fosse importante mettere nero su
bianco alcune informazioni, a loro dire, interessanti per tutti
quelli che come noi sono alla ricerca di un karate non sportivo, non
alterato, ma al tempo stesso non arroccato su false credenze
che impediscono la normale e
necessaria evoluzione dell’arte del karate verso una forma più
completa di pratica marziale che è possibile comparare al budo
classico giapponese.
Non ho la pretesa di stabilire a
priori che queste mie esperienze di pratica, sviluppate in trenta
anni di completa abnegazione, all’arte siano verità assolute e
neppure è nelle mie intenzioni scrivere un libro storico o tecnico;
oramai esistono sul mercato una quantità infinite di pubblicazioni e
video tecnici da accontentare chiunque, anche il più esigente dei 6 praticanti e la stessa rete internet
dà possibilità illimitate di reperire informazioni in tal senso.
Quello che mi interessa è, senza
nessuna presunzione, suggerire, per quanto lo strumento libro lo
permetta, alcune nozioni di movimento marziale dal punto di vista di
immissione al karate budo che si basa sull’efficacia e sul
mantenimento di uno stato di salute protratto nel tempo di suggerire
quindi quegli indizi che potrebbero tornare utili a quanti hanno già
maturato venti o trent’anni di pratica e che si trovano in una
situazione di stallo o di regresso fisico e spirituale, arrivato per
una mancata progressione nell’apprendimento o per una errata
interpretazione.
Con questo libro vorrei stimolare il
lettore a ricercare nella pratica di tutti i giorni, fatta anche nel
proprio dojo, aspetti e nozioni marziali dimenticate, trascurate per
rincorrere programmi federali o allenamenti prettamente sportivi al
mero fine di acquisire un grado in più, una coppa o una medaglia.
In questo manuale cercherò di dare
alcuni suggerimenti tecnici che non hanno nessuna pretesa di essere
assoluti, in quanto ritengo che nelle arti marziali non esiste nulla
di completamente certo se non il continuo allenamento e
perfezionamento, nondimeno, il lettore potrà trovare in queste
indicazioni lo spunto e perché no anche qualche provocazione che lo
sproni ad approfondire la propria ricerca personale.
INTRODUZIONE
Per capire il karate budo tutto è
importante, ma ciò che lo è maggiormente è praticarlo non unicamente
come attività fisica, ma come arte di modificazione di quelle virtù
legate non solo all’essere ma al divenire.
Lo studio teorico è un aspetto
fondamentale ma deve arrivare dopo anni di serio lavoro fatto sotto
la guida di maestri preparati i quali sono veramente ciò che dicono
di essere: esempi di come il karate può trasformare l’essere umano
tecnicamente, fisicamente e spiritualmente. Molti sono i maestri che
detengono la qualifica di “maestro” ma ben pochi lo sono veramente:
alcuni di essi pretendono dai loro allievi rispetto, mentre loro
stessi lo negano in primis, vogliono che l’allievo sia leale con
loro ma essi non lo sono con l’allievo, si propongono come guida
spirituale ma fuori dal dojo si ubriacano, sono maleducati e
approfittano della loro posizione per ricavarne vantaggi materiali
giocando sulla filosofia e sulla spiritualità utilizzano la leva
psicologica del tipo “ se non capisci il mio modo di fare è perché
non hai ancora raggiunto un livello da potere afferrare i miei
insegnamenti e quindi non li meriti”, per coprire i loro misfatti
spacciano queste bassezze per “mondo”.
La filosofia classica orientale
affonda le sue radici nelle movenze marziali, il pensiero filosofico
orientale è improntato sia sulle arti marziali che sulle arti
espressive e culturali, in questo direzione lo zen è stato il
collante che ha unito in un’unica assenza all’arte di combattere a
mani nude o con le armi, la fisicità la spiritualità e la dottrina
filosofica.
La mancanza di una storia filosofica
tipo quella occidentale di origine greca o romana, (secondo, terzo
secolo a.C.) ha permesso una fusione di più pensieri e religioni
generando dottrine particolarmente sensibili anche all’aspetto
marziale della vita dell’uomo orientale, ma tutto ciò non ha niente
a che vedere con la soggiogazione intellettuale che certi maestri
esercitano sui propri adepti.
Le arti marziali e lo zen si sono
influenzate vicendevolmente, modificando positivamente l’attività
dell’uomo vista nella sua completezza: mente spirito e corpo, ed
ogni cosa legata ad esse serve per elevare l’uomo ad uno stato
superiore di coscienza, satori.
Il Giappone a differenza dalla Cina
non è imbevuto di ontologia e preoccupazioni moralistiche, anzi, la
sua cultura attribuisce come base della conoscenza universale
l’esperienza pratica e la libertà spirituale per fondersi con
l’universo e l’universo con esso.
Oggi possiamo affermare, senza tema
di smentita, che le arti bugei, lo zen, il taoismo, sono il
risultato di una amalgama che ha dato corpo al bushido giapponese e
con esso la formazione e la crescita delle arti marziali odierne.
In certi casi la filosofia orientale
ha influenzato anche alcuni dei nostri più illustri filosofi: due
anni prima della sua morte Arthur Schopenhauer scrisse: “Budha,
Eckhart ed io insegniamo la stessa cosa”.
Oggi, la ricerca storica applicata
al karate ha l’obbligo di non innalzare ulteriori barriere a quelle
già esistenti, come ad esempio: “il mio stile è più antico del tuo,
il mio è più efficace, il mio è più bello ect” al contrario il fine
è di aprire un canale di comunicazione con la consapevolezza di
attingere da esperienze di pratica fatte da maestri di un certo
livello; non importa da quale stile o scuola di appartenenza,
testimoni diretti di una trasmissione recepita da cuore a cuore ( I
shin den shin)
Per questo motivo il campo di
indagine non si può discostare dall’esperienza di pratica che si
intreccia inevitabilmente con la metamorfosi dell’uomo con il
principio di con-testualità e con caratterizzazione antropologica he
tiene in considerazione i caratteri dei praticanti, le origini, le
razze e tanto altro ancora.
Il significato di una determinata
tecnica potrebbe dipendere, oltre a quanto scritto sopra, dal suo
“contesto ambientale”, si provi infatti ad immaginare un attacco di
pugno portato al viso, la relativa difesa subirebbe numerose
variazioni quanto diversi sono i contesti e scenari ambientali in
cui avviene lo scontro: una parata che nel kata viene eseguita
facendo un passo indietro nella realtà per motivi ambientali e
circostanziali potrebbe essere applicata avanzando o spostandosi
lateralmente, in questo caso non significa che sia stato distorto il
bunkai del kata, bensì la tecnica ha preso la ragionevole forma
della realtà contestuale.
Tutto questo ci fa capire che per
cercare la storia del karate, che come sappiamo è frammentata e per
certi versi incompleta e a volte anche mitizzata, c’è bisogno di
molta esperienza, il solo studio teorico erudito della materia
karate non basta a determinare e a collocare con precisione alcuni
concetti propri dell’arte.
E’ opportuno ricordare che l’arte si
evolve con l’uomo, l’importante è conoscere il percorso da seguire
per apprenderla e poi tramandarla nel modo giusto.
Ciro Varone
Ciro
Varone nasce in provincia di Napoli il 10 settembre
1964. Dopo una breve esperienza di pugilato si affaccia
al karate all'età di 14 anni e ne rimane affascinato. In
due anni e mezzo consegue la cintura nera davanti alla
commissione guidata dal M° Hiroshi Shirai, partecipa,
piazzandosi quasi sempre ai primi posti, a gare e trofei
regionali e nazionali nella specialità del kumite.
Nel 2005 per
chiudere la sua lunga carriera agonistica, durata oltre
vent'anni, partecipa in Brasile ai mondiali WUKO di
karate e si classifica al secondo posto nel kata over
40.
Nel 1997,
(dinnanzi alla commissione tecnica presieduta dai M°
Hiroshi Shirai e Takeshi Naito) supera brillantemente
l'esame di 5° dan.
Attualmente
il M° Varone e cintura nera 6° dan, ricopre l'incarico
di componente della commissione tecnica nazionale della
FESIK, insegna difesa personale (metodo Krav Maga) sia
in ambito civile che militare ed è direttore tecnico
nazionale del settore difesa personale della FESIK. |
Fonti:
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