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Da una mail arrivata in redazione, con la quale ci veniva presentato il nuovo libro del maestro Ciro Varone, abbiamo trovato nel web altre informazioni con le quali abbiamo ritenuto opportuno presentare ai nostri lettori un ulteriore strumento per la crescita della propria conoscenza

KARATEDO
ESPERIENZE DI PRATICA

“SEPARARE LE NUVOLE TROVARE LA VIA”

Di: Ciro Varone
http://ilmiolibro.kataweb.it/storage2/vetrina/18829_webprv.pdf

PREFAZIONE

Un libro come “separare le nuvole trovare la via” non poteva scriverlo un giapponese ma solo un italiano che ama veramente il karatedo in tutte le sue più intime sfumature. Il maestro Ciro Varone con schiettezza e senza peli sulla lingua fa un quadro reale e, purtroppo, futuristico reale del karate. Un presente che, continuando di questo passo, ci porta lontano dalla Via per avvicinarci allo sport/karate.

Tecnicamente parlando il maestro Varone è oggi uno dei tecnici più preparati in Italia e, chi si allena con lui, scopre sensazioni e sapori antichi, riportati magistralmente nel presente libro, che ci fanno riflettere. Il maestro Varone è uno studioso profondo dell’Arte e i grandi maestri che ha frequentato e che ancora frequenta sono la testimonianza reale del suo amore per la ricerca. Lo studio attento dei testi che fanno da corolla alle Arti Marziali, hanno creato in lui una mentalità aperta e flessibile raramente riscontrabile in un maestro di una specifica arte marziale.

E’ un libro che, va letto e riletto, cercando di approfondire quegli aspetti che non fanno più parte della nostra quotidianità di karateka, un libro che sicuramente sarà di aiuto e di guida ai numerosi insegnanti di karate e delle Arti Marziali.

Maestro Gianni Vittonatti
cintura nera 6° dan karate shotokan

Ho letto con grande interesse il libro dell’amico Ciro con il quale ho avuto esperienze di pratica e di cui conosco molto bene la serietà e la dedizione alla nostra arte. La chiarezza e la semplicità con cui esplora aspetti mai trattati se non marginalmente da altri autori, pone questa opera tra quelle più interessanti che io abbia mai letto, in cui si intuiscono deduzioni proprie di chi pratica con costanza.

Ritengo che questo libro possa aiutare molto quei praticanti esperti che ad un certo punto perdono il senso e la passione del karate solo perché non riescono a trovare motivazioni più profonde o perché nessuno ha indicato loro il giusto percorso.

Maestro Michele Scutaro
cintura nera 7°dan karate Shotokan

PREMESSA

Negli ultimi anni diversi ricercatori, storici e maestri hanno scritto libri sul karate.

Un’arte marziale antichissima, arrivata dalla Cina come forma di kempo, kung-fu, quan–fa, ma probabilmente non proporzionata all’antico bisogno del popolo okinawense, che per tale motivo la trasformò, nel corso degli anni, in “te, to de, te jutsu”, karate jutsu, karatedo.

Una primitiva arte di combattimento tramandataci da generazioni di maestri okinawensi, prima, e giapponesi dopo, “si dice che il kanji usato risalga addirittura alla dinastia Tang (618-907 d.C.)”.

La prima pietra posta alla nascita del “te” fu favorita dal re di Chuzan, Satto (1353-1395) il quale istaurò un primo rapporto di vassallaggio con la Cina favorendo l’arrivo dell’arte marziale denominata Kempo ad Okinawa.

Molte sono le speculazioni che accreditano, in diversi periodi, l’arrivo di distinti funzionari cinesi ad Okinawa i quali già esperti di arti marziali insegnarono agli abitanti del luogo i primi rudimenti dell’arte del “te” che poi si fusero con altri sistemi di lotta autoctona, amalgamandosi e dando vita al karate jutsu.

Una teoria abbastanza attendibile è quella delle 36 famiglie: scienziati, medici, ingegneri e artisti, che approdarono nel villaggio di Kune vicino al porto di Nawa, stabilendo contatti e scambi con gli okinawensi; di fatto, esistono tuttora certi kata che portano i nomi di alcuni funzionari (Peichin) sbarcati ad Okinawa con diverse mansioni politiche e sociali.

Questi maestri forieri, a loro volta, trasmisero i primi rudimenti ad altri maestri che nel momento attuale vengono considerati vere e proprie leggende, per citarne uno su tutti Soken Bushi Matsumura: eccelso guerriero che diede, con la sua autorevolezza marziale, grande impulso alla formazione del processo d’addestramento (keiko) che costituì l’impalcatura dell’arte della mano vuota.

Il karate che oggi pratichiamo è stato oggetto di notevoli cambiamenti e mozzature sia nella sua terra natia, Okinawa, che in Giappone, e purtroppo ancora oggi nel nostro paese e in tutto il mondo.

Le prime modifiche vennero apportate dal maestro Itotsu, il quale attraverso la semplificazione di alcune tecniche avanzate, che estrasse dai kata superiori, creò “un karate a misura di “bambino” e codificò, di fatto, i cinque kata Pinan (Eian) come una sorta di programma scolastico educativo adattato all’esigenze scolastiche del periodo, ma con la consapevolezza che quel programma “stringato” era solo, per ovvi motivi, un introduzione all’arte originale del karatedo.

Fu così che il karate, pervenutoci dal lontano Oriente, in parte già modificato da Anko Itotsu da Gichin Funakoshi, e in seguito rivisto dal figlio Yoshitaka, è stato di nuovo ritoccato e reso, per alcuni, uno sport di massa e per altri un semplice business da intraprendere come qualsiasi altra attività commerciale senza alcuna implicazione filosofica e spirituale.

Il karate, oggi, viene praticato in tutto il mondo, e si stima che i praticanti siano circa una decina di milioni.

Da molti anni alcune organizzazioni per aggiudicarsi la “gestione del karate” polemizzano, litigano tra loro per essere ammesse alla corte del C.I.O, sperando di aggiudicarsi, da parte di un organismo sportivo, la licenza di stravolgere ancora di più una disciplina che come sappiamo è un prodotto straordinario di un epoca ricca di grandi fermenti storici e culturali e che rappresenta nella storia dell’uomo, assieme allo zen, la più alta constatazione della perfettibilità dell’animo umano.

Probabilmente se il “movimento karate” continuerà su questo percorso finirà perdendo anche l’ultimo filo storico-culturale e filosofico che lo teneva legato al passato, trasformandosi in un semplice sport da combattimento oppure in una forma di ginnastica dimagrante con il sottofondo musicale.

La speranza vana di alcuni politici di trasformare il karate in uno sport olimpico, per ricavarne dei profitti politici e materiali, ridurrà a brandelli, come è già capitato al Judo, anche le ultime fragili speranze di annoverarlo, di diritto, tra le arti del budo giapponese.

Essendo io un accanito lettore, penso di avere letto quasi tutto ciò che è stato scritto sul karate, dal libro tecnico a quello storico-culturale, fino ad arrivare al libro che parla della filosofia delle arti marziali in generale e del karate nello specifico.

Non che ci fosse bisogno di un altro libro, tuttavia, questo testo è partito da un idea di alcuni amici e compagni di pratica che ritenevano fosse importante mettere nero su bianco alcune informazioni, a loro dire, interessanti per tutti quelli che come noi sono alla ricerca di un karate non sportivo, non alterato, ma al tempo stesso non arroccato su false credenze

che impediscono la normale e necessaria evoluzione dell’arte del karate verso una forma più completa di pratica marziale che è possibile comparare al budo classico giapponese.

Non ho la pretesa di stabilire a priori che queste mie esperienze di pratica, sviluppate in trenta anni di completa abnegazione, all’arte siano verità assolute e neppure è nelle mie intenzioni scrivere un libro storico o tecnico; oramai esistono sul mercato una quantità infinite di pubblicazioni e video tecnici da accontentare chiunque, anche il più esigente dei 6 praticanti e la stessa rete internet dà possibilità illimitate di reperire informazioni in tal senso.

Quello che mi interessa è, senza nessuna presunzione, suggerire, per quanto lo strumento libro lo permetta, alcune nozioni di movimento marziale dal punto di vista di immissione al karate budo che si basa sull’efficacia e sul mantenimento di uno stato di salute protratto nel tempo di suggerire quindi quegli indizi che potrebbero tornare utili a quanti hanno già maturato venti o trent’anni di pratica e che si trovano in una situazione di stallo o di regresso fisico e spirituale, arrivato per una mancata progressione nell’apprendimento o per una errata interpretazione.

Con questo libro vorrei stimolare il lettore a ricercare nella pratica di tutti i giorni, fatta anche nel proprio dojo, aspetti e nozioni marziali dimenticate, trascurate per rincorrere programmi federali o allenamenti prettamente sportivi al mero fine di acquisire un grado in più, una coppa o una medaglia.

In questo manuale cercherò di dare alcuni suggerimenti tecnici che non hanno nessuna pretesa di essere assoluti, in quanto ritengo che nelle arti marziali non esiste nulla di completamente certo se non il continuo allenamento e perfezionamento, nondimeno, il lettore potrà trovare in queste indicazioni lo spunto e perché no anche qualche provocazione che lo sproni ad approfondire la propria ricerca personale.

INTRODUZIONE

Per capire il karate budo tutto è importante, ma ciò che lo è maggiormente è praticarlo non unicamente come attività fisica, ma come arte di modificazione di quelle virtù legate non solo all’essere ma al divenire.

Lo studio teorico è un aspetto fondamentale ma deve arrivare dopo anni di serio lavoro fatto sotto la guida di maestri preparati i quali sono veramente ciò che dicono di essere: esempi di come il karate può trasformare l’essere umano tecnicamente, fisicamente e spiritualmente. Molti sono i maestri che detengono la qualifica di “maestro” ma ben pochi lo sono veramente: alcuni di essi pretendono dai loro allievi rispetto, mentre loro stessi lo negano in primis, vogliono che l’allievo sia leale con loro ma essi non lo sono con l’allievo, si propongono come guida spirituale ma fuori dal dojo si ubriacano, sono maleducati e approfittano della loro posizione per ricavarne vantaggi materiali giocando sulla filosofia e sulla spiritualità utilizzano la leva psicologica del tipo “ se non capisci il mio modo di fare è perché non hai ancora raggiunto un livello da potere afferrare i miei insegnamenti e quindi non li meriti”, per coprire i loro misfatti spacciano queste bassezze per “mondo”.

La filosofia classica orientale affonda le sue radici nelle movenze marziali, il pensiero filosofico orientale è improntato sia sulle arti marziali che sulle arti espressive e culturali, in questo direzione lo zen è stato il collante che ha unito in un’unica assenza all’arte di combattere a mani nude o con le armi, la fisicità la spiritualità e la dottrina filosofica.

La mancanza di una storia filosofica tipo quella occidentale di origine greca o romana, (secondo, terzo secolo a.C.) ha permesso una fusione di più pensieri e religioni generando dottrine particolarmente sensibili anche all’aspetto marziale della vita dell’uomo orientale, ma tutto ciò non ha niente a che vedere con la soggiogazione intellettuale che certi maestri

esercitano sui propri adepti.

Le arti marziali e lo zen si sono influenzate vicendevolmente, modificando positivamente l’attività dell’uomo vista nella sua completezza: mente spirito e corpo, ed ogni cosa legata ad esse serve per elevare l’uomo ad uno stato superiore di coscienza, satori.

Il Giappone a differenza dalla Cina non è imbevuto di ontologia e preoccupazioni moralistiche, anzi, la sua cultura attribuisce come base della conoscenza universale l’esperienza pratica e la libertà spirituale per fondersi con l’universo e l’universo con esso.

Oggi possiamo affermare, senza tema di smentita, che le arti bugei, lo zen, il taoismo, sono il risultato di una amalgama che ha dato corpo al bushido giapponese e con esso la formazione e la crescita delle arti marziali odierne.

In certi casi la filosofia orientale ha influenzato anche alcuni dei nostri più illustri filosofi: due anni prima della sua morte Arthur Schopenhauer scrisse: “Budha, Eckhart ed io insegniamo la stessa cosa”.

Oggi, la ricerca storica applicata al karate ha l’obbligo di non innalzare ulteriori barriere a quelle già esistenti, come ad esempio: “il mio stile è più antico del tuo, il mio è più efficace, il mio è più bello ect” al contrario il fine è di aprire un canale di comunicazione con la consapevolezza di attingere da esperienze di pratica fatte da maestri di un certo livello; non importa da quale stile o scuola di appartenenza, testimoni diretti di una trasmissione recepita da cuore a cuore ( I shin den shin)

Per questo motivo il campo di indagine non si può discostare dall’esperienza di pratica che si intreccia inevitabilmente con la metamorfosi dell’uomo con il principio di con-testualità e con caratterizzazione antropologica he tiene in considerazione i caratteri dei praticanti, le origini, le razze e tanto altro ancora.

Il significato di una determinata tecnica potrebbe dipendere, oltre a quanto scritto sopra, dal suo “contesto ambientale”, si provi infatti ad immaginare un attacco di pugno portato al viso, la relativa difesa subirebbe numerose variazioni quanto diversi sono i contesti e scenari ambientali in cui avviene lo scontro: una parata che nel kata viene eseguita facendo un passo indietro nella realtà per motivi ambientali e circostanziali potrebbe essere applicata avanzando o spostandosi lateralmente, in questo caso non significa che sia stato distorto il bunkai del kata, bensì la tecnica ha preso la ragionevole forma della realtà contestuale.

Tutto questo ci fa capire che per cercare la storia del karate, che come sappiamo è frammentata e per certi versi incompleta e a volte anche mitizzata, c’è bisogno di molta esperienza, il solo studio teorico erudito della materia karate non basta a determinare e a collocare con precisione alcuni concetti propri dell’arte.

E’ opportuno ricordare che l’arte si evolve con l’uomo, l’importante è conoscere il percorso da seguire per apprenderla e poi tramandarla nel modo giusto.

Ciro Varone

Ciro VaroneCiro Varone nasce in provincia di Napoli il 10 settembre 1964. Dopo una breve esperienza di pugilato si affaccia al karate all'età di 14 anni e ne rimane affascinato. In due anni e mezzo consegue la cintura nera davanti alla commissione guidata dal M° Hiroshi Shirai, partecipa, piazzandosi quasi sempre ai primi posti, a gare e trofei regionali e nazionali nella specialità del kumite.

Nel 2005 per chiudere la sua lunga carriera agonistica, durata oltre vent'anni, partecipa in Brasile ai mondiali WUKO di karate e si classifica al secondo posto nel kata over 40.

Nel 1997, (dinnanzi alla commissione tecnica presieduta dai M° Hiroshi Shirai e Takeshi Naito) supera brillantemente l'esame di 5° dan.

Attualmente il M° Varone e cintura nera 6° dan, ricopre l'incarico di componente della commissione tecnica nazionale della FESIK, insegna difesa personale (metodo Krav Maga) sia in ambito civile che militare ed è direttore tecnico nazionale del settore difesa personale della FESIK.

Fonti:

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