ECCOVI LA RECENSIONE DI UN AVVINCENTE LIBRO “LA
STORIA DI ATLANTIDE” CHE POTREBBE FORSE FARCI RICREDERE SU MOLTE DELLE
ASSERZIONI STORICHE CONSIDERATE ORMAI VERI E PROPRI ASSIOMI. LA NOSTRA
COLLABORATRICE ROBERTA CERRUTI CE NE PARLA CON UNA TALE ENFASI, DA FARCI
COMINCIARE A DESIDERARE CHE SI POSSA FINALMENTE DIMOSTRARE UNA DIVERSA VERITA’
SULLA NASCITA DELLE RADICI CULTURALI DELL’UOMO NEL MONDO.
Le strade di Atlantide
UN LIBRO CHE SFIDA I DOGMI DELLA STORIA E DELL’ARCHEOLOGIA
UFFICIALI
L’articolo che segue non vuole essere una
fedele ricostruzione degli albori della nostra storia quanto piuttosto essere un
contributo, attraverso un diverso punto di vista, capace di alimentare il
dubbio: quando, dove, come nasce la civiltà? E ancor più forse, un modo per
convivere con i lettori di questa rivista le sensazioni che un altro lettore ha
provato nel leggere questo libro straordinario nella sua capacità di gettare un
sasso, una serie di quesiti forse scomodi nello status quo dell’ambiente
accademico.
Di: Dott.ssa Roberta Cerruti
La
prima civiltà conosciuta - ci insegna la storia tradizionale, quella che
studiamo sui banchi di scuola – fu la civiltà sumera: sviluppatasi intorno al
4000 a.C. in Mesopotamia, su per giù… l’attuale Iraq. Secondo le fonti
ufficiali, fu in questa mezzaluna di terra fertile che nacquero i primi
insediamenti urbani, le prime città insomma, la prima forma di scrittura,
l’agricoltura.
Eppure recenti ritrovamenti svelano che dietro
questo inizio ci deve essere qualcos’altro; un inizio ancora più remoto, che
affonda ormai le sue radici unicamente nel mito, tramandato di generazione in
generazione e giunto fino a noi. Racconti di eventi appartenuti ad un lontano
passato che, come tali, non sono considerati degni di considerazione dalla
storia ufficiale, e che, ciononostante, hanno avuto una forza tale da
attraversare intatti millenni, per esserci consegnati e raccontare - a chi
riesce ad ascoltare - un’altra storia. Storie straordinariamente simili di cui
sono depositari popoli differenti, sparsi su tutto il Pianeta, che insegnano per
esempio… come la civiltà, sotto forma di dei o semi-dei, sia sempre e comunque
arrivata dal mare a bordo di zattere e barche, per fondare nuove città sulle
sponde di molti differenti mari; storie che parlano di un immenso e catastrofico
diluvio che ha spazzato via i grandi insediamenti sorti sui litorali costieri,
di cui oggi non resta traccia, perché finiti sotto svariate decine di metri
d’acqua…
Medesima sorte, liquidata come mito privo di
rilevanza storica, è toccata anche al mito dei i miti: la favolosa civiltà di
Atlantide! Più volte cercata nel corso della storia, collocata nei posti più
disparati, ritenuta da alcuni realmente esistita e per questo bistrattati dagli
storici tradizionalisti e ridicolizzati dagli accademici.
(Ziqqurat sumero: la radice zqr significa
“costruire alto”. Queste piramidi presentano straordinarie analogie con quelle
trovate nel Centro America e attribuite ai Maya, ma probabilmente di origine
più antica.)
Questo libro, “Le strade di Atlantide”, vuole
ridare al mito di Atlantide la sua giusta collocazione nella storia: riportando
prove inconfutabili e facendo numerosi e puntuali collegamenti intende
dimostrare non solo l’esistenza, ma anche l’esatta collocazione di questa
civiltà di gran lunga precedente rispetto a quello che è considerato l’attuale
inizio della nostra storia. Una civiltà avanzata in diverse arti, dalla
navigazione all’astronomia, forse il suo vero punto di forza; una civiltà che
attraverso le rotte marittime è stata in grado di mantenere pacifici contatti
con tutti i continenti e ha esportato metalli, manufatti e soprattutto
conoscenze avanzate in campo astronomico, matematico, architettonico che si
possono tuttora osservare in diversi punti del Pianeta, dalle piramidi egizie,
ai cerchi di pietra di Stonehenge, dalle costruzioni megalitiche dell’Isola di
Pasqua, alle piramidi Maya del Centro America.
(Forma classica della città di Poseidone,
capitale di Atlantide, così come ci viene tramandata dalla tradizione.)
Atlantide sarebbe veramente esistita dunque e la
sua collocazione potrebbe essere il Centro America. Nei pressi del Costa Rica,
dove sono stati fatti ritrovamenti di oggetti rapidamente classificati dalla
storia ufficiale come “fuori contesto” in quanto chiaramente dimostrativi di una
tecnologia superiore che, secondo le nozioni largamente adottate come vere e
inconfutabili, non dovrebbe essere esistita in quei territori, nell’epoca a cui
presumibilmente sono fatti risalire questi strani oggetti, queste strane sfere
ritrovate nel delta del fiume Diquis. Oggetti misteriosi e scomodi per gli
accademici, in quanto confuterebbero la teoria secondo la quale il continente
che noi chiamiamo America, sarebbe stato disabitato fino a quando un gruppo di
uomini primitivi non sarebbe giunto attraversando migliaia di km di ghiacci, a
Nord, passando per lo Stretto di Bering e giungendo quindi fin qui dall’Asia.
(Stonehenge come si presenta all’alba del Solstizio d’estate
il 21 giugno)
Le enormi e perfette sfere ritrovate in Costa
Rica sembrano invece voler raccontare un’altra storia. La loro storia; la storia
di un popolo costituito da persone differenti tra loro per tratti somatici e per
colore della pelle che convivevano in armonia, che costruiva città prive di
mura, ma collegate da strade perfettamente dritte, e che navigava attraverso
oceani e mari. Un popolo la cui distruzione è arrivata improvvisamente intorno
all’11.500 a.C. probabilmente a causa dello sfioramento della nostra atmosfera
da parte di un corpo celeste, una meteora forse, che ha causato la rapida
distruzione di questa e altre civiltà che come essa - forse addirittura fondate
da essa! - si erano sviluppate lungo le coste. Un gigantesco maremoto che
avrebbe avvolto con la sua forza distruttiva l’intero globo, sommergendo sotto
centinaia di metri d’acqua, quelle che potrebbero essere le vere radici della
nostra storia e della nostra cultura comune. Sarebbe del resto molto improbabile
che tutti i popoli antichi, senza distinzioni, serbino memoria di un grande
diluvio, una storia straordinariamente simile raccontata ovunque, se si
accettasse la teoria del “nessun collegamento” tra popoli di continenti diversi.
(Le Piramidi di Giza, un tempo perfettamente allineate con la
Costellazione di Orione)
Il libro “Le strade di Atlantide” vuole mettere
in discussione l’ordine precostituito delle cose, per come ci vengono da secoli
presentate, raccontate, vendute per certe. I suoi autori, Igor Zapp e George
Erikson, fanno un viaggio a ritroso nella storia nota e meno nota per lanciarci
un messaggio che va al di là della stessa evidenza storica, delle prove sparse
qua e là, che dimostrano inequivocabilmente l’esistenza di una storia precedente
a quella che siamo abituati a pensare e ad accettare.
(Sfera del Delta del Diquis)
La nostra visione della storia è assolutamente
eurocentrica. Fa risalire l’epoca delle grandi esplorazioni a Colombo e alla sua
stirpe di grandi navigatori attraverso gli oceani. I conquistadores giunti nel
Nuovo Continente, espressione che già di per sé mostra l’assoluta arroganza di
questi esploratori-invasori, non solo non hanno compreso la ricchezza e la
bellezza delle culture che si trovavano di fronte, ma hanno sistematicamente
distrutto le espressioni materiali e spirituali di tali culture, appoggiati e
talvolta spinti da una Chiesa che forse aveva compreso l’importanza di ciò che
si stava scoprendo e aveva temuto di perdere il proprio potere, la propria
supremazia.
(Dipinto Maya raffigurante il Diluvio)
Un libro che vuole certamente far luce sui tanti
misteri che ancora avvolgono le nostre vere origini dunque, spiegando per
esempio che i contatti tra popoli posti su continenti diversi sono esistiti da
sempre e sono avvenuti per millenni via mare, con l’uso di semplici zattere e
barche di legno di balsa, che agevolmente riescono ad attraversare oceani,
soprattutto un oceano pacifico e percorso da correnti stabili qual è
l’Atlantico, ben più navigabile e meno insidioso dello stesso Mediterraneo. Le
sfere del Delta del Diquis ci dicono proprio questo. La loro disposizione sul
terreno era tutt’altro che casuale. Disegnavano, attraverso l’osservazione dei
cieli e degli astri, della loro posizione nel firmamento, rotte marittime. Rotte
precise che consentivano di centrare il bersaglio a migliaia di miglia di
distanza. Bersaglio rappresentato da destinazioni quali l’Isola di Pasqua,
Stonehenge, la Grande Piramide di Giza. Un caso? Improbabile… Più probabile che
i costruttori delle sfere fossero grandi astronomi, capaci di osservare per
millenni i movimenti del Sole, della Luna e delle stelle con tale precisione da
riuscire a calcolare la precessione degli Equinozi, che ha durata di ben 26.000
anni: è il tempo cioè impiegato dalla Terra per oscillare sul proprio asse e
tornare nella posizione di partenza. Un tempo infinitamente lungo se paragonato
alla vita umana, alla vita di una civiltà, di un popolo. Più probabile che
attraverso l’osservazione dei cieli, con cui vi era perfetta armonia,
riuscissero a calcolare le rotte marittime e tenere così stretti e pacifici
contatti… con il mondo intero.
(Tempio di Kukulcàn a Chichén Itzà, Messico. Datata intorno ai
primi secoli dopo Cristo, pare in realtà di origine di gran lunga più antica.)
Verità scomode per i conquistatori del XVI secolo
e per la Chiesa, in pieno periodo di Inquisizione e bramosa di conquistare terre
occupate da popoli ritenuti selvaggi, animali da addomesticare attraverso una
religione a loro estranea, ma che una volta imposta, avrebbe significato
sottomissione. Desiderio di potere e ignoranza hanno condannato questi ed altri
popoli all’oblio, hanno fatto in modo che dimenticassero, che dimenticassimo le
nostre origine, custodite dal mito che ha avuto però ben triste sorte, relegato
a fantasia di qualche antico popolo considerato troppo primitivo per poter
essere credibile, o invenzione di qualche filosofo del passato, come Platone,
per esempio, principalmente grazie al quale Atlantide è giunta fino a noi. Come
mito appunto. Non come verità storica accettata.
(Particolare della misteriosa mappa dipinta dall’ammiraglio turco
Piri Re’is nel 1513: riporta con estrema accuratezza la costa del Sud America e
quella dell’Antartide libera dai ghiacci. A quanto si dice fu disegnata sulla
base di informazioni tratte da carte geografiche dell’antichità.)
Oggi l’ignoranza non è più accettabile. Emergono
prove, reperti archeologici, seppur in minima parte rispetto a quanto
sicuramente si trova sommerso dai mari e dagli oceani, che ci costringono a
mettere in discussione la storia così come è stata scritta. Che dovrebbero
quanto meno porre dei dubbi. Che dovrebbero spingerci a riassettare e mettere
indietro gli orologi della Storia.
La forza di questo libro, che potremmo definire,
se gli vogliamo dare una collocazione di genere, di archeoastronomia, va al di
là della necessità di ridare la giusta importanza al mito, al di là dell’obbligo
storico oltre che morale, di ridisegnare il cammino della storia di fronte a
ritrovamenti e prove che mettono in discussione dati e date considerati fino ad
ora certi. Al di là della giusta rivalutazione di quegli studiosi che nel corso
degli ultimi secoli sono stati ridicolizzati per le loro teorie troppo
“azzardate” ed esclusi dai circoli accademici.
(Strutture megalitiche sui fondali del Mar del Giappone,
risalenti ad almeno 11.600 anni fa. Sono stati ritrovati una piramide a gradoni,
un palazzo e diversi utensili da lavoro, nonché oggetti che mostrano segni
inequivocabili dell’uso del fuoco.)
La sua vera forza sta nel riuscire a far
comprendere che l’approccio a qualcosa che non conosciamo deve necessariamente
avvenire con la mente aperta, libera da pregiudizi, dai pesanti fardelli di ciò
che ci è stato insegnato e imposto da altri. Perché solo così si può essere
veramente pronti a ricevere ciò che ci viene dato dalle piccole e grandi
scoperte di ogni giorno. Dai piccoli gesti quotidiani così come, a maggior
ragione, dai contatti con altri popoli e con altre culture. L’archeologia e la
storia devono riappropriarsi di questo stupore, di una mentalità aperta e pronta
anche ad uno stravolgimento, di fronte all’evidenza, di quanto è stato scritto
finora, per ricollocare infine ogni cosa al suo posto, nella sua giusta
dimensione e per vedere finalmente sotto una luce diversa e più brillante forse
popoli del passato e loro eredi del presente che troppo a lungo sono stati
ignorati e sottovalutati.
Gli autori:
-
Ivar Zapp
è docente di archeologia all’Università del Costa Rica. Ha trascorso gli
ultimi venti anni a indagare le antichissime sfere del Delta del Diquis,
considerate uno dei più affascinanti misteri dell’archeologia moderna.
-
George Erikson,
antropologo, studia da anni i miti e la cultura della antiche civiltà
precolombiane
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