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UN ENNESIMO ARTICOLO DI ENNIO FALSONI SU UN PERSONAGGIO EMBLEMATICO DELLA KICK BOXING MONDIALE… CI FA RIVIVERE E CONSEGNA UN PEZZO IMPORTANTISSIMO DELLA STORIA SPORTIVA DEL NOSTRO MOVIMENTO. UN ALTRO PICCOLO TASSELLO DA AGGIUNGERE A QUEL MOSAICO CHE CI CONSENTIRA’ IN ULTIMO DI COMPRENDERE COME SI SONO SVOLTI I FATTI E GLI ACCADIMENTI.

Il pioniere della moderna kickboxing

Il fuoriclasse americano pioniere della moderna kickboxing (low-kick)

di Ennio Falsoni

Avevo conosciuto Benny Urquidez nel 1978, quando mi recai negli USA per un mio viaggio esplorativo nel mondo “marziale” di quel paese. Mi ero da poco avvicinato alla WAKO in Europa. Avevo sentito un sacco di storie sul “karate all’americana”, ed era chiaro per me che l’unico modo per scoprire “la verità” su fatti e persone, era di andare a toccare con mano quel mondo.

Era nato nel 1952 ed era stato avviato alle arti marziali da suo fratello Arnold. A 14 anni prese la sua cintura nera e a 20 era già una stella di prima grandezza in tutti gli Open Championships che si organizzavano negli USA. Famoso una sua storica finale, quella del 1973, agli Internationals di Ed Parker contro Natividad che lo battè per un overtime interminabile, finito 13-12. Dal “point karate”, passò ben presto al full contact e quindi al full contact alla “giapponese”, ossia a combattere utilizzando anche i calci alle gambe. L’evento che lo spinse verso questa forma di combattimento, lui che è sempre stato un innamorato vero dell’arte marziale, fu un torneo Open alle Hawaii dove si combatteva praticamente senza regole. Vinse in finale contro un avversario che pesava 30 chili più di lui. Il combattimento era a mani nude, e Benny vinse per K.O.

Quando lo conobbi nel 1978, Benny aveva già combattuto in Giappone , il che lo rese famoso universalmente.

Quand’era a casa, Benny lavorava, tra un match “professionistico” e l’altro, come insegnante di full contact presso il centro che aveva preso il suo nome: il  “Jet Centre” a Los Angeles, una bella e grande palestra che aveva aperto con un amico immobiliarista e con suo fratello Arnold, il fondatore nel 1976 ,insieme a Howard Hanson, della World Karate Association (WKA).

Il Centro era veramente spazioso, e i fratelli Urquidez vi organizzavano all’interno, con cadenza mensile, manifestazioni di “full contact”. Piazzavano un ring al centro del complesso e 4/500 sedie intorno. Una bella cornice per un’attività regolare che serviva ad avvicinare . Ricordo che in quegli anni, erano decine gli atleti che si recavano al “jet center” per prendere lezioni da Benny. Tra questi, anche un australiano che ebbi modo di conoscere meglio anni dopo, Stan “The Man” Longinidis!, e tanti altri.

Realizzai un reportage su Benny quell’anno che apparve poi su molte riviste italiane e straniere e restammo poi in contatto epistolare. Il mio sogno era portarlo in Italia, prima o poi!

L’occasione si presentò qualche anno dopo e, per la precisione, nel 1983. Saputo che aveva in programma un match in Olanda contro Ivan Sprang, lo contattai per vedere se sarebbe stato possibile prolungare il suo soggiorno in Europa, per venire in Italia subito dopo l’incontro per una serie di stage che avrei organizzato per la mia organizzazione , che allora si chiamava Federazione Italiana Arti Marziali.

Benny acconsentì e ci accordammo perché andassi ad Amsterdam per vedere il suo incontro e l’indomani saremmo partiti per l’Italia.

Non avevo mai visto combattere Benny dal vivo. Lo aveva ammirato su alcune video-cassette, specie quelle dei suoi più famosi incontri col giapponese Kusimatsu Okao (messo k.o. nella 4° ripresa) risalenti appunto al 1977, nei suoi soliti pantaloni rossi lunghi – da full contact-, contro i suoi avversari in shorts e di lui mi aveva sempre impressionato la continuità d’azione, la sua abilità pugilistica e i suoi spettacolari calci all’indietro. Ma in Olanda, nonostante fosse ormai nella fase calante della sua carriera agonistica, assistetti ad una delle imprese più memorabili che io possa ricordare.

Contro di lui, della scuderia di Tom Harinck, fondatore della famosa Chakuriki Gym, una delle più note in Europa, un campione di Thai, Ivan Sprang, nero delle Antille Olandesi, che solitamente gareggiava tra i 67 e i 70 chili. Sprang era sceso parecchio di peso per poter misurarsi con Benny (64 chili), ma si vedeva che strutturalmente era molto più grosso dell’americano.

Benny non aveva mai visto questo Sprang, né forse mai inteso parlare di lui. Ma da grande professionista qual era, non si impensieriva più di tanto. Sul ring, valeva sempre la legge del più forte.

Sprang partì fortissimo in quel match. Molto più potente, soprattutto di calcio, dell’avversario, cominciò a tempestargli le gambe coi suoi micidiali low-kick. Benny incassava senza batter ciglio, avanzava sempre a piccoli passi sull’avversario, quando poteva lo attaccava soprattutto di pugno.

Fu così per tre interminabili riprese durante le quali Sprang sembrava demolire l’americano. Come diavolo facesse Benny a sopportare tutti quei colpi alle gambe, lo sapeva solo lui. Ero seriamente preoccupato a bordo ring e la vedevo proprio brutta per lui.

Ma scoprii ben presto che Benny aveva una forza interiore assolutamente incredibile. Se voltete, era nella stessa situazione di Muhammad Alì quando a Kinshasa affrontò quell’autentico tritasassi che era George Foreman. Anche sul ring di Kinshasa, Alì incassò l’impossibile per 6 lunghissime, estenuanti round. E poi, capito che l’avversario si era praticamente cotto da solo, ebbe quel guizzò , gli appioppò un paio di cazzotti al volto e per Foreman fu notte.

Benny Urquidez, che fino a quel momento sembrava l’ombra dell’atleta che avevo ammirato in video, uscì dallo sgabello nella quarta ripresa e sull’ennesimo attacco dell’avversario, lo centrò d’incontro di pugno e lo mandò una prima volta al tappeto. Sprang fu contato, ma continuò l’incontro. In pochi secondi, il match risultò capovolto. Era adesso che Benny che danzava intorno a Sprang e che piazzava i suoi precisi colpi. Sprang finì per essere ridicolizzato: sull’orlo dell’auto esaurimento psico-fisico, bastò un altro pugnetto perché crollasse ancora al suolo e non rialzarsi più. Benny vinse per k.o. e fu un atto incredibile.

L’indomani partivamo per Milano dove ad attenderlo avevo 150 stagisti. Per l’occasione avevo affittato il Palazzo dello Sport, la più grande arena della città.

Penso che chiunque abbia gareggiato agonisticamente su di un ring e soprattutto dopo un match così intenso come quello che aveva sostenuto Benny, sappia che l’indomani ci si sente letteralmente a pezzi, che il nostro corpo è tutto un dolore. I tuoi muscoli non ne vogliono sapere di allungarsi, anche perché ti dolgono. Insomma è una pena.

Non per Benny. Puntuale come un orologio svizzero, Benny non si sottrasse all’impegno che aveva assunto, benché le sue gambe fossero tutte livide e piene di traumi. Diede una memorabile quanto storica lezione a tutti. Si allenò con gli stagers, fece ginnastica, stretching, tecniche di base e combinazioni, persino sparring. Presentò il “suo sistema” di full contact coi “calci alle gambe” che a ben guardare era un adattamento dei sistemi di karate, adattato alle esigenze della moderna concezione. Piacque a tutti moltissimo.

Restammo insieme qualche altro giorno, poi tornò negli Stati Uniti. Sempre come mio ospite, lo riportai in Italia (anche con sua moglie) ancora un paio di volte per stage nel centro e sud Italia finché il nostro rapporto rimase solo epistolare.

Ho saputo poi che il suo grande “Jet center” non esiste più, ma che lui continua a dare lezione a chiunque in un’altra palestra, con lo stesso nome, molto più piccola e dalle parti di Venice (sobborgo di Los Angeles).

Resterà per sempre nella mia memoria come uno dei più formidabili guerrieri che io abbia mai conosciuto.


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