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DARE A CESARE QUEL CHE E' DI CESARE

Tutti i retroscena

La WAKO ha aperto le porte ai “calci alle gambe” solo nel 1991 e da pochi anni alla Thai. Tutti i retroscena.
di Ennio Falsoni

Siamo soliti dire che la “vita è un continuo cambiamento, e sopravvive solo colui che si adatta al cambiamento”.

In questo aforisma universale sta il succo di tutta la storia.

La WAKO comprende oggi ben 7 specialità sportive e precisamente: semi, light, full contact, low-kick, thai/kickboxing, forme musicali e aero/kickboxing. Qualcuno dice : “fin troppe”; per altri è ormai assodato che la WAKO kickboxing comprenda questa vasta gamma di possibilità sportive che hanno il compito di soddisfare le esigenze di qualunque appassionato che si avvicina al nostro mondo per la prima volta. A seconda delle sue qualità psico-fisiche, ciascuno, liberamente, sceglie la specialità che più si addice alle sue necessità. E si diverte. Praticare per igiene mentale e fisica, praticare per il solo piacere di sentirsi “in forma” è ormai una delle ragioni che spingono milioni di persone verso la nostra disciplina. Ma si può praticare anche per il desiderio di conoscere tecniche di difesa personale, oppure per cercare, attraverso l’agonismo, di eccellere in questa o quella specialità.

Ma, ovviamente, non è sempre stato così.

Nel 1974, Mike Anderson e soci ( tra cui George Bruckner), nella manifestazione che promossero a Los Angeles e che ormai è indicata come la pietra miliare della nostra storia, offrirono al mondo, per la prima volta, uno spettacolo che prevedeva solo il “full contact karate”.

Quando, nel 1978, pochi anni dopo, George Bruckner promosse il primo campionato del mondo WAKO ( World All-Styles Karate Organizations, una sigla che nelle sue intenzioni doveva fare concorrenza alla WUKO – World Union of Karate-Do Organizations), promosse solo “full contact” e “semi contact”. La stessa cosa dicasi nel 1979 a Tampa, Florida, nel secondo mondiale promosso da Mike Anderson.

Come si è arrivati allora, e perché, alla situazione attuale?

Detto, fatto.

George Bruckner , un autentico “rivoluzionario” nel mondo marziale – visto il gap che lui aveva contribuito a creare tra il karate cosiddetto “tradizionale” e il “full contact karate” che aveva contribuito a lanciare e ad affermarsi nel mondo-, era di fatto un grande “conservatore”. Aveva scelto il “full contact karate” come massima espressione tecnica della nuova disciplina? Ebbene, di lì non voleva più smuoversi. Riteneva innanzitutto che fosse pericoloso per gli atleti attaccarsi le gambe (perché avrebbe ridotto la loro carriera agonistica), poi , e a torto, che coloro che si colpivano “alle cosce”, di fatto lo facevano perché costretti dalla loro incapacità di calciare più alto. In altre parole, riteneva che i low-kickers, fossero quasi degli handicappati, persone che avevano problemi all’articolazione coxo-femorale. Degli scarsi “artisti” insomma e lui, ovviamente, riteneva che tutti i praticanti di full contact dovessero imitare Bill Wallace, la massima espressione, in quei giorni, del nuovo modo di intendere e interpretare il “full contact”. (Wallace non avrebbe mai potuto accettare di combattere coi low-kick nei suoi anni migliori, anche perché aveva già i legamenti della gamba destra compromessi da quand’era studente di lotta al college. Infatti Bill usava solo ed esclusivamente la gamba sinistra per calciare).

Chiaro che si sbagliava, anche perché disdegnava mettere il naso fuori dal suo nuovo mondo.

Non si era purtroppo accorto che nel mondo stavano avvenendo invece fatti importanti che avrebbero dovuto metterlo sul chi va là.

Mentre lui e Mike Anderson erano impegnati a consolidare la WAKO, sostanzialmente un organismo “amatoriale”, vi erano altri che , spinti dall’idea di imitare il pugilato professionistico, avevano dato vita a due organismi (professionistici) che si battevano per gli stessi scopi: promuovere e sanzionare gala in tutto il mondo, vendere i diritti televisivi delle principali manifestazioni. Queste due sigle erano la PKA ( Professional Karate Association) e la WKA (World Karate Association). Entrambe erano nate negli USA.

La PKA di fatto nacque all’indomani del famoso avvenimento promosso da Mike Anderson con la collaborazione di Don e Judy Quine (vedasi articolo apposito nella History di questo sito - W.A.K.O.). Proprio ai due, che erano stati i principali finanziatori della sua manifestazione, Mike Anderson cedette la PKA nel 1974. La WKA fu concepita nell’autunno del 1976, a soli due anni di distanza, da Howard Hanson e da Arnold Urquidez, fratello del più famoso Benny che divenne, di lì a poco, il vero testimonial della WKA nel mondo.

Che cosa differenziava la PKA dalla WKA? Il fatto che la prima si occupava essenzialmente di full contact (e Bill Wallace , classe 1945,divenne il testimonial di questa sigla finché durò), mentre la WKA trattava essenzialmente sì di full contact , ma anche con una variante alla “giapponese”, ossia con la possibilità di attaccare le cosce dell’avversario a suon di calci tirati con l’uso della tibia.

La PKA operò sostanzialmente nel Nord America e in Europa per qualche anno, specie in anni successivi, quando dai Quine la PKA finì per essere gestita da Joe Corley, un georgiano che oggi si occupa solo delle sue “Academies” e del suo torneo più famoso: The Battle Of Atlanta.

La WKA, invece, nacque proprio per il fatto che Benny Urquidez, classe 1952, un indio-americano di poco più di 63 chili, un atleta eccezionale, dalla tecnica sopraffina e dallo spirito indomito, aveva aperto “la via d’Oriente”. Era cioè stato invitato in Giappone per una serie di incontri, che vinse quasi tutti contro i più forti atleti locali . E in pochi anni, Benny “The Jet” Urquidez, com’era soprannominato, divenne una leggenda negli anni 80. Da notare che il background sia di Wallace che di Urquidez, era il “karate” , arte marziale che ben presto lasciarono per occuparsi professionalmente della nuova “moda” ch’era diventata più lucrativa per loro.

Mentre dunque in Europa negli anni 80 la WAKO, che nel frattempo era stata costretta a cambiare nome per evitare problemi legali con la WUKO divenendo World Association of Kickboxing Organizations, continuava a crescere e ad organizzarsi nei principali stati europei, in America e in Asia prosperavano PKA e WKA che sostanzialmente si occupavano solo dell’aspetto “professionistico” di alcune delle nostre discipline attuali.

La svolta venne verso la fine degli anni 80.

Innanzitutto la WAKO era guidata sin da 1984 dall’italiano Ennio Falsoni, ex vice-campione del mondo WUKO di karate (1972) che aveva idee più “aperte” di quelle di George Bruckner e meno preconcetti. Poi, mentre la PKA stava esaurendo la sua spinta propulsiva anche per la scomparsa dalle scene agonistiche dei suo gioiello più prezioso, Bill “Superfoot” Wallace , che la WKA – scomparsi dalle scene sia Howard Hanson che Arnold Urquidez, entrasse in Europa con l’olandese Fred Royers e cominciasse ad occuparsi di “semi, light, full contact”, discipline che prima erano esclusivo appannaggio della WAKO.

Ennio Falsoni tentò una “mediazione” con Fred Royers. L’idea era che WAKO e WKA firmassero un patto di collaborazione esclusiva in cui la WKA non entrava nel territorio della WAKO e la WAKO passava alla WKA sia l’esclusiva dei “calci alle gambe” che eventualmente i suoi migliori atleti per gli incontri professionistici.

La risposta della WKA fu negativa su tutti i fronti. Evidentemente si sentivano forti e siccome la proposta era partita dalla WAKO, pensavano che la WAKO fosse debole.

Per tutta risposta, nel corso di un’Assemblea tenutasi a Madrid nel 1991, fu deciso l’apertura ufficiale in casa WAKO di una nuova specialità che prende il nome dalla sua tecnica principe: low-kick , calcio in linea bassa. E da allora, è un crescente successo. Nonostante pochi fossero i paesi, in quegli anni, interessati alla nuova disciplina, occorre subito dire che la mossa fu vincente. La WAKO aveva un’offerta in più per i suoi soci e un’arma in più per controbattere la concorrenza della WKA.

Chi pratica utilizzando i calci alle gambe usando la tibia e che per questo è costretto ad imparare a bloccare tali colpi, sa molto presto che il tutto viene dall’arte siamese per eccellenza: la Muay Thai.

L’avvicinamento di un low-kicker alla Thai ,oseremmo dire che viene quasi spontaneamente, naturalmente. Un po’ quello che viene nelle palestre di sport a contatto pieno: tutti si avvicinano al pugilato perché è una assoluta necessità; tutti provano sia il full che la low-kick; tutti cominciano poi ad usare i clinch, a colpirsi con le ginocchia e a provare, in pratica la Thai. Ogni atleta di sport da combattimento deve conoscere il maggior numero di tecniche e di combinazioni. E’ una necessità personale, fa parte di un percorso quasi obbligato per chi si occupa professionalmente di queste discipline. Poi, che uno prediliga questo o quell’aspetto del nostro sport, è un’altra cosa. Ma tutti masticano conoscono le differenze , tutti conoscono la storia e la tecnica. Era quindi ovvio che, in anni recenti (2000), la WAKO aprisse ufficialmente anche alla Thai/kickboxing e quindi all’aero/kickboxing.

Per non parlare della WAKO-PRO, nata appunto insieme all’ingresso ufficiale della low-kick in casa WAKO.

Abbiamo detto di PKA e di WKA , operanti sul piano “professionistico”. Ma vicine a queste due sigle, altre ben presto se ne aggiunsero: la WKC, la ISKA ecc. ecc., organizzazioni che si professavano “sanctioning bodies “ mondiali, ma dietro alle quali c’era ben poca sostanza.

Purtroppo abbiamo assistito, impotenti, ad anni di emorragie in casa WAKO. Noi creavamo i grandi campioni, ed altre sigle ne beneficiavano, infarcendo coi loro nomi i loro magri “ranking internazionali”.

Fu chiaro che la WAKO doveva occuparsi “anche” di “professionismo”, o avremmo fatto una brutta fine. L’attività istituzionale della WAKO, che è quella di organizzare un campionato del mondo ogni due anni, più campionati “regionali” ogni due anni, si riduce a ben poca cosa, assai poco visibile. Con l’attività della WAKO-PRO invece, non solo possiamo pubblicizzare la nostra sigla settimanalmente ovunque nel mondo, ma abbiamo tra le mani un mezzo e una ragione per avvicinare i media ed avere più lustro sia per noi che per i nostri migliori atleti.

Con le ultime scelte in fatto di politica-sportiva, la WAKO insomma ha inteso soddisfare sia delle necessità intrinseche che quelle del mercato. Anche per evitare di trovarsi impreparata nel caso di future concorrenze.

Ma riteniamo che tutto ciò sia stato fatto nell’interesse dei suoi associati: più “servizi” la WAKO riesce ad offrire, a parità di costi, più sarà competitiva . Una semplice legge economica, ma che ha cambiato la vita e l’immagine all’organizzazione.

Per maggiori informazioni www.fikb.it


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