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IL CANTO DELL’ACCIAIOIl corso istruttori di Krabi Krabong: Mae Mai Muay Thaidi Roberto Fantasia.Aspettavo con ansia di poter finalmente accedere al corso istruttori del maestro Zadra e fondamentalmente per un unico motivo: ne avevo sentito parlare come di un corso estremo dove solo i più duri riuscivano ad arrivare fino in fondo (e non sempre a superarlo!!). Mi avevano detto che diplomarsi con lui era un po’ come laurearsi all’Università Normale di Pisa, una cosa difficile ed impegnativa. Avendo sempre cercato di praticare ogni tecnica con gli esponenti migliori ( Shin dae Woung per il kung fu tradizionale, Carlo Ippolito e maestri thailandesi per il muay thai sportivo) e sapendo che i migliori risultati si ottengono solo con un lavoro durissimo e costante, con dedizione e serietà, decisi di andare a tastare di persona la reale efficacia della scuola del maestro Zadra Valerio. Prima di partire dopo aver
salutato amici ed allievi (che per mia fortuna spesso sono la stessa cosa)trovai
ad attendermi sul binario della stazione il mio coach Stefano che aveva già
superato il corso nell’estate 2001 e che mi aveva insegnato le basi della
tecnica avvisandomi e ripetendomi più volte che la difficoltà più grande
sarebbe stata sconfiggere me stesso! Stefano oltre agli inevitabili auguri e
consigli da “fratello maggiore” ed una buona scorta di gatorade a voluto
lasciarmi i suoi calzoncini da muay thai, quelli con cui aveva iniziato la
pratica 9 anni or sono,che lo avevano accompagniato in thailandia, soprattutto
quelli con cui lui stesso aveva superato il corso che mi apprestavo a fare. Ulteriormente motivato partivo,
per così dire ,alla conquista della cintura nera I° Khandam. Arrivato alla stazione di
Vicenza trovai ad attendermi il maestro Zadra ed altri 4 allievi, miei compagni
di corso.Dopo le presentazioni iniziali, il maestro senza perdere un minuto ci
ha portato a casa sua dove abbiamo fatto conoscenza con gli altri pazzi e con la
maestra Pimchanok Wongwisut di cui avevo sentito parlare come di un “Shin”
in gonnella, ma con sbalzi di umore molto più estremi! Dopo
la consegna dei libri ed una rapida organizzazione dei posti letto iniziammo
subito con l’allenamento. Arrivati nella piazza pubblica
di Zovencedo, un piccolo paesino sperso tra i boschi deiColli Berici, davanti
alla chiesa e su un meraviglioso pavimento di pietra iniziammo subito la nostra
avventura per conquistare il grado di Istruttore di Krabi Krabong: Mae Mai Muay
Thai. Il primo pomeriggio
effettivamente ci ha dato un’idea abbastanza chiara di cosa sarebbero stati i
10 giorni intensivi di allenamento menzionati nel sito dell’I.K.K.A . Dopo un veloce riscaldamento a
base di corsa, ginocchiate saltate ed esercizi a coppie, abbiamo svolto tutto il
programma di cintura bianca ( pugni, gomiti, ginocchia e calci), per poi
dedicarci allegramente ai famigerati colpitori Pao con la Maestra
che ripeteva instancabilmente “più forte, no sufficiente, tu picchi meno duro
di donna, più forte…” e via di questo passo. Il risultato: alla fine del
primo pomeriggio di allenamento 600 calci sui pao tirati a piena potenza (il
maestro aveva specificato: voglio che ogni colpo sia il quadrato più potente
del precedente..),una vera gioia per anche,polpacci e quadricipiti…!A fine
serata, la prima defezione a sorpresa, un ragazzo proveniente da Francoforte
aveva ceduto agli allenamenti e dopo solo un assaggio della tecnica aveva
rinunciato nell’incredulità generale! “Iniziamo bene!” pensai guardando i
miei compagni. Dopo una pizza e la visione di qualche filmato di combattimenti
di krabi krabong andammo a dormire ( chi in terrazzino, chi come me sul sacco a
pelo nel salotto del maestro…). La notte non posso dire sia stata delle
migliori, mi sono svegliato più volte in preda ad incubi e tirando calci all’aria!!! Al mattino la sveglia alle 6.00
in punto data dal Maestro fu un’autentica mazzata, 5 minuti per la colazione,
5 minuti in bagno, e poi via ad allenarsi! Ora di inizio le 7.00 e assicuro che
in 10 giorni non abbiamo mai sgarrato di un minuto! Il secondo giorno abbiamo
iniziato il riscaldamento correndo sulle scalinate della piazza e, con le gambe
provate dai Pao del giorno prima, l’impresa si è dimostrata molto più ardua
del previsto!! A seguire abbiamo ripetuto tutti gli esercizi del primo
pomeriggio inclusi 500 calci ai Pao, a mezzogiorno finalmente l’agoniata pausa
pranzo. Per tutti i 10 giorni i nostri pranzi erano costituiti da scatolette,
fette biscottate e tutto quello che di veloce riuscivamo ad acquistare nei
nostri rapidissimi raid al supermercato della cittadina a 6 km di distanza (dove
andavamo come profughi a 10 minuti dalla chiusura per rifornirci di viveri). Di
solito non si impiegavano più di 40 minuti per mangiare visto che il corpo
chiedeva impellentemente di riposare e che alle 14.00 sarebbe ricominciato
puntuale l’allenamento. Alle 13.50 il maestro veniva a
svegliarci dai nostri agitatissimi sonni per condurci nuovamente nella nostra
arena, dove sotto ad un terrificante sole, avremmo proseguito gli allenamenti
fino alle 19/20.00 di sera, a seconda di come si sviluppasse l’allenamento.
All’inizio di ogni giornata il maestro nominava un caposquadra il cui compito
era guidare l’allenamento e curarsi di finire tutto il programma svolto i
giorni precedenti entro mezzogiorno; diversamente il tempo della breve
pausa pranzo era visto dai nostri insegnanti come sacrificabilissimo…
Il pomeriggio e serata erano totalmente dedicati allo studio delle nuove
tecniche! Lo studio tecnico non era come si può pensare ( o meglio come mi
illudevo) la parte leggera dell’allenamento, le tecniche andavano ripetute
almeno 40 volte a testa, ed ogni volta andavano portate come se fossimo in
guerra, a massima potenza e velocità: proiettarsi, cadere e picchiarsi su in
pavimento di porfido per 10,12 ore al giorno è un’esperienza illuminante..! Alla fine del terzo giorno
sembravamo un gruppo di barbari scampati ad una battaglia campale: barba e
capelli inguardabili, lacerazioni, ferite e contusioni di tutti i tipi, vestiti
laceri, puzza di alce preistorica e sguardo tra il disperato e il depresso con
una punta in fondo di entusiasmo per le tecniche bellissime che stavamo
apprendendo: uno spettacolo! Il
quarto giorno fu qualcosa di indimenticabile: le tecniche di difesa su calcio! Difesa su calcio circolare al
viso? Semplice, calcio diretto nei testicoli ma dato con tanta forza da spaccare
le ossa illiache! Cento a testa! Ancora adesso non oso immaginare cosa
pensassero di noi i passanti che vedevano un gruppo di profughi prendersi a
calci nelle palle con fare entusiasta…! Questa era la prima e più semplice
delle difese, tutte le altre il maestro ce le illustrò con dovizia di
particolari usandomi come cavia ( ha poi ammesso di avere una predilezione per i
pesi massimi) demolendomi sistematicamente tutti i muscoli delle gambe (e
passando poi in rassegna tutti gli altri miei compagni di corso..). La sera ed
il mattino dopo furono la fiera dell’antidolorifico e dell’antinfiammatorio!
Correre sulle scalinate la mattina del quarto giorno era talmente drammatico da
essere comico, sembrava una delle gare aziendali di Fantozzi! Intanto le
defezioni proseguivano e da i 15 che eravamo inizialmente rimanemmo in 6 di cui
2 non presenti (conoscendo le tecniche sarebbero arrivati solo gli ultimi 4
giorni) ed io riuscii finalmente a conquistare militarmente il divano( la mia
schiena non sopportava più il pavimento)!! Gli allenamenti proseguivano
sempre più duri e più aumentavano le tecniche più capivo che non sarebbe
stato facile superare l’esame finale, i Maestri pretendevano il massimo da
ognuno di noi e ci spronavano continuamente a cercare di superare i nostri
limiti, tutto sembrava studiato per costringerci a cedere, il brevissimo tempo
di riposo tra un allenamento e l’altro, l’alto grado di concentrazione che
dovevamo mantenere costantemente onde evitare spiacevoli incidenti (visto che
come ho detto le tecniche andavano portate a piena potenza), il caldo torrido
che tagliava letteralmente il fiato, il pavimento di porfido, le schivate con
armi vere, più che un allenamento era un corso di sopravvivenza! Arrivammo all’ottavo
giorno in 3; Io, Gianluca un simpaticissimo ragazzo svizzero ( ma che parlava
come Aldo di Aldo Giovanni e Giacomo) e Max, insegnante di muay thai e kali
nonché esperto in tecniche di lotta e brazilian ju jitsu! Nell’assolato
pomeriggio di questa giornata alla maestra Pimchanok sfuggi uno dei suoi
rarissimi complimenti; osservandoci mentre tiravamo sui pao disse: “ sono
arrivati in mandria, sono andati via i conigli, sono rimaste le tigri” inutile
dire che appena il maestro ci ha riferito il complimento lei si è affrettata a
dire che stava scherzando…ai posteri l’ardua sentenza! Le nostre giornate diventavano
sempre più corte vista la mole di tecniche che dovevamo ripassare e quelle che
dovevamo ancora apprendere, la fatica continuava ad accumularsi e, come aveva
previsto il mio “fratello maggiore” Stefano, lo stress diventava sempre più
pesante da sostenere. Ogni giorno spingersi alla ricerca del proprio limite,
continuare a ripetere i movimenti cercando l’applicazione perfetta e
ricordando che, un errore nel Mae Mai, spesso significa farsi molto male. Nonostante la durezza degli
allenamenti fosse tale da aver ridotto il nostro gruppo da 15 a 3 elementi, non
si viveva in un clima di terrore, quando finiva l’allenamento era come
ritrovarsi in un gruppo di amici con interessi comuni, ed il maestro apprezzava
questo fattore tanto da passare più tempo con noi che con la maestra ( la quale
oltre ad insegnare doveva occuparsi delle faccende di casa vista l’invasione
di farang ..!). Indimenticabile
poi, è stata la lezione di difesa da pistola dove per schivare i proiettili
usavamo una pistola da soft air e nell’ilarità generale più che dei novelli
Remo Williams o Matrix sembravamo dei bersagli neanche troppo mobili e pieni di
bollini rossi su petto e schiena che sono rimasti per diversi giorni anche dopo
la fine del corso. Ormai alla sera dopo cena, sia
io che i miei compagni rinunciavamo alla visione dei video di combattimenti e
restavamo alzati a ripassare il programma fino a mezzanotte ed oltre ben consci
del fatto che l’esame si faceva sempre più vicino e per noi sarebbe
stato fondamentale ricordare le tecniche in maniera automatica e senza
esitazioni di sorta. Ottavo giorno di corso, il cedimento psicologico arriva
inevitabile come l’interrogazione del lunedì. Dopo la mattinata di ripasso in
cui grazie al mio metodo di memorizzazione visiva riuscivo a ricordare subito
tutte le tecniche ( le ho disegnate tutte su un block notes!!!) al pomeriggio
crollai davanti all’ultima delle tecniche da imparare: la Ram Muay, la danza
tipica che i lottatori thailandesi eseguono per trovare la concentrazione e
richiedere la protezione degli spiriti prima del combattimento. In teoria dopo
anni di forme di Kung Fu (con un maestro esigente come Shin!) avrei dovuto
imparare quei pochi movimenti con una facilità quasi imbarazzante, invece
crollai! Non riuscivo più a legare i movimenti, mi sfuggiva un dettaglio senza
il quale la sequenza non poteva proseguire e, da buon sardo cocciuto, continuavo
a ripetere inutilmente il pezzo iniziale bloccandomi regolarmente allo stesso
punto; la mia mente si era chiusa e sentivo la rabbia e l’impazienza salire
dentro di me come l’acqua che bolle in una pentola a pressione. Alla fine,
quando ormai mi ero rassegnato dopo cena a passare la notte ad allenarmi, ebbi l’illuminazione,
talmente semplice da farmi sentire un imbecille, ma capace di trasformare la
rabbia in gioia per il superamento dell’ostacolo!! Ultimo giorno di allenamento, al
mattino, veloce ripasso delle tecniche e lavoro a coppie nel quale sono
stato aiutato da Francesco altra cintura nera di krabi krabong ed esperto di
judo ed aikido, nonché responsabile del Krabi Krabong in Giappone! Il
pomeriggio del nono giorno vedeva me ed i miei intrepidi colleghi chini sui
libri stracolmi di appunti a studiare e ripassare le sequenze tecniche (circa
140 ). Ormai eravamo arrivati in fondo e il nostro corpo non vedeva l’ora di
potersi finalmente guadagnare il riposo e sostenere una volta per tutte l’esame!
Dopo cena il solito rito del ripasso vedeva me, Max e Gianlu, ripassare nel
salotto del maestro, più che mai intenzionati a chiudere in bellezza il nostro
incubo marziale. L’ultima notte ( come sempre)
invece di contare le pecore, ripassavo mentalmente le tecniche ( quando si dice
un allenamento completo) e finalmente il sonno arrivò… dopo parecchio, ma
arrivò… La sveglia del decimo giorno fu
fantastica, appena sentita la voce del Maestro, balzai dal divano come se fossi
stato attaccato alla corrente, mi sentivo carico e fiducioso e sentivo in
sottofondo la musica di Conan il barbaro ( sfido chiunque ad allenarsi così 10
giorni e non dare segni di squilibrio..). L’esame non si sarebbe svolto nella
piazza pubblica, ma nell’arena dei guerrieri, una cava di pietra in mezzo al
bosco come nella migliore tradizione dei film di arti marziali, il maestro
e alcune cinture nere erano precedentemente andate ad arredare il luogo sacro.
Le armi: spade, asce e scudi erano state disposte su un lato della cava, al
centro troneggiava un immagine del buddha, il guerriero perfetto, colui che
aveva battuto il nemico più potente: se stesso! Altre immagini dei più forti e
rispettati guerrieri del passato erano state disposte per assistere al tentativo
di passaggio di grado di tre lottatori, oggetti sacri e camice antiche con sopra
scritti dei mantra di protezione terminavano l’affascinante quadro. Il maestro venne a prenderci e
ci condusse alla cava. Ad ogni passo nel bosco sentivo
il carico di tensione e l’energia fluire in me , era come se anche le pietre e
le piante cercassero di trasmettermi forza. Arrivati nella cava, dopo aver
porto rispetto alle immagini sacre, mi bendai le mani con la stessa
concentrazione che raggiungo prima di un mach poi, davanti all’altare sacro,
il Maestro diede ad ognuno di noi tre bastoncini di incenso con il quale
invocare la protezione degli spiriti. La concentrazione e lo spirito combattivo
che cresceva in noi era palpabile, l’aria sembrava inspessita dalla nostra
energia ed il mio cuore pulsava calmo e ritmico come un tamburo di guerra.
Finalmente dopo dieci giorni di durissimi allenamenti il giorno tanto atteso era
arrivato, il momento di vedere il risultato dei nostri sforzi era giunto. Dopo il saluto ai Maestri
iniziammo subito, spostamenti di base, schivate contro avversario armato
(ovviamente con spada vera maneggiata ad altissima velocità e senza alcuna
intenzione di bloccare il colpo….), pugni, calci ginocchiate e gomitate tirate
alla massima potenza prima a vuoto e poi sui pao, e poi tutte le applicazioni
tecniche in risposta ai diversi tipi di attacco ( anche qui ogni tecnica andava
portata come in guerra a piena potenza), difesa sul clinch, lotta a terra,
difesa da aggressore armato di coltello ( un kukri affilato, niente giocattoli
di gomma o legno, l’I.K.K.A fa sul serio..) difesa da aggressore armato di
pistola ( porto ancora una piccola cicatrice in ricordo dei primi allenamenti..)
difesa personale thailandese e Ram Muay. Sudato, dolorante per le
innumerevoli cadute sul pavimento di pietra, con i muscoli contratti per lo
stress accumulato in 10 giorni di allenamento commandos style, mancava solo la
parte finale per poter guadagnare il titolo di istruttore: il combattimento
libero! Ridotto in quelle condizioni non era il massimo combattere in un mach
senza alcuna regola o limite di tempo contro una delle cinture nere del Maestro.
Indossai le protezioni minime ed
allacciai i miei Krhuang ruang( i bracciali magici) pronto a dare battaglia!
Complice il mio maggior peso, vinsi senza troppi problemi, forse per questo il
Maestro decise di farmi fare un ulteriore combattimento contro un altro
avversario, l’istruttore albanese Cili Gentian, persona squisita nella vita
normale ma in combattimento un toro di 96 kg, cattivo e privo di scrupoli,
decisamente un brutto cliente! Per mia fortuna, o meglio, ringraziando la mamma,
anche io come toro da combattimento non scherzo essendo alto 1,90 e pesando 94
kg di muscoli! Nonostante una drammatica mancanza di ossigeno e la durezza dell’avversario
riuscii a vincere anche contro il terribile Cili con i complimenti dei Maestri e
dei miei avversari; finalmente il mio esame era finito! Dopo i miei
combattimenti toccò ad i miei fratelli di scuola Gian e Max dar vita ad un
duello senza esclusione di colpi degno della migliore tradizione del Krabi
Krabong. Dopo circa quattro ore durante
le quali avevamo versato fino all’ultima goccia di sudore e distrutto gli
ultimi muscoli sani che erano rimasti, inginocchiati davanti ai Maestri ai piedi
dell’altare di Buddha, aspettavamo con ansia di sapere l’esito dell’esame:
promossi tutti ed io quasi con il massimo 9,50( tutta colpa di un maledetto
errore negli spostamenti!), io Gian e Max eravamo Istruttori dell’I.K.K.A,
solo noi tre su 15 persone, decisamente non male! La
gioia e l’orgoglio di essere finalmente diplomati è indescrivibile, perlomeno
a chi non abbia provato un corso duro come questo ( e non credo siano in tanti). Finito l’esame tutti e tre
abbiamo deciso di fare il Wai Khru, la cerimonia dell’ubbidienza in cui si
giura fedeltà ed onestà alla scuola ai Maestri fondatori dell’arte e si
richiede la protezione degli spiriti perché ci assistano nel nostro operato e
ci affianchino durante i combattimenti. Un momento magico ed irripetibile, come
tutto l’esame del resto che non dimenticherò mai e che ho deciso di non
descrivere per non rovinare ai futuri candidati l’incredibile atmosfera della
cerimonia. Era finita e mi apprestavo a
tornare tra i miei amici e al mare che tanto mi mancava durante gli allenamenti
sotto il torrido sole di agosto. Durante il viaggio di ritorno
mille pensieri si affacciavano nella mia mente, da come impostare le lezioni in
palestra ad un ulteriore ripasso mentale delle tecniche (anche a fine esame!!)
al volto dei miei genitori, dei miei amici ed allievi a cui avevo promesso di
ritornare da vincitore, in tutto questo maremoto di pensieri ed emozioni
spiccava il ricordo di una poesia thailandese che avevo letto nel libro donatomi
dal Maestro Zadra: “Chi vuol essere forgiato È costretto a passare tra l’incudine e il martello. E proverà così sulla sua pelle quanto è forte, quanto è dura la sofferenza del ferro. Solo allora potrà narrare con voce leggera che anche l’acciaio sa cantare” Roberto Fantasia |