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BELLISSIMO ARTICOLO, QUESTO INVIATOCI DAL NOSTRO LETTORE TOMMASO NOVI, musicista nonchè musicoterapista, CHE CI PARLA ED INDUCE A RIFLETTERE SULLA MUSICA E TANTI DEI SUOI BENEFICI EFFETTI DA TUTTI RISCONTRATI ED USATI… MA CREDIAMO MAI DA NESSUNO SCANDAGLIATI. ECCOVI SPIEGATI I NATURALI E FISIOLOGICI MOTIVI CHE INDUCONO ALLE EMOZIONI, AI RICORDI, AI SENTIMENTI E PERSINO AL BALLO… UN ARTICOLO CHE INDUCE AD UNA PROFONDA RIFLESSIONE INTERIORE, MA RIVOLUZIONARIO PER LA SUA SEMPLICITA’ DI ESPOSIZIONE E LA NATURALE FACILITA’ DI COMPRENSIONE.

La memoria e il tempo, nell'ascolto della musica

Di: Tommaso Novi
(http://tommasonovi.vai.li/)

La mente umana, usando termini molto spicci, genera pensieri assemblando pezzi di conosciuto, è  infatti impossibile immaginarsi realmente qualcosa che non si conosce, che non si è mai visto sentito o odorato o provato.

Quando dobbiamo andare in un posto sconosciuto o conoscere una persona mai vista tendiamo ad immaginarci come potrebbe essere assemblando in uno pseudo modello  con un incredibile abilità del cervello svariati elementi a noi conosciuti ottenendo un immagine diversa dalla realtà ma che in qualche misura ci soddisfa. Se infatti cercassimo di indagare a quale esperienza appartiene realmente la nostra immagine costruita riusciremmo certamente a scovarvi elementi di già vissuto.

Se cerco di immaginarmi come sarà la casa al mare di un mio amico al quale dovrò far visita inevitabilmente costruirò un immagine costituita da tanti pezzi di tante case al mare presenti nella mia memoria.

Ma anche se cercassi di immaginare un drago volante, un mostro a 3 teste o comunque qualcosa di non esistente sarò parimenti in grado di costruire una sorta di modello attingendo ad immagini e componenti presi quà e là da libri , racconti, sogni.

Ma se pronunciassi parole come "Gupleca" o  "Cadindro" oppure  "Plarote" nella mia immaginazione non avrò altro che una bella immagine buia.

Se allora provassi ad immaginare un "Quadrapofite" forse, per un istante potrei avere un flash di una strana creatura con la testa quadrata o con 4 arti... questo perchè nonostante la parola non esista, il suffisso “quadra” ci rimanda immediatamente ad un ipotetica immagine.

Credo che la musica non sia in se per se un linguaggio ma che lo diventi inesorabilmente per nostra necessità e per nostro limite.

Lo diventa immediatamente nello stesso istante in cui cominciamo a rapportarcisi, poichè la nostra inconscia  necessità di  dare una spiegazione e una collocazione agli eventi, non ci permette di avervi un rapporto puro, incondizionato, ma pretende di spiegarla e di razionalizzarla associandola appunto ad altre realtà da noi conosciute come sentimenti, immagini, emozioni e sensazioni.

Pensiamo a come le civiltà primitive ne abbiano sempre fatto un simbolo, uno strumento e un linguaggio vero e proprio.

Fra le più accreditate teorie sulla nascita della musica è qui illuminante quella secondo cui la prima forma di musica sia nata dall'esigenza di comunicare in lontananza, di descrivere gli elementi e gli eventi naturali.

Subito l'uomo ha individuato e sfruttato questo enorme potenziale e, forse, per sua natura, non se n'è mai liberato.

Un linguaggio è composto da simboli i quali per essere tali devono poter essere sostituiti da altri simboli.

Un segno, un vocabolo o un segnale  viene scelto da più persone per diventare simbolo acquistando così un significato oltre che un significante già posseduto a priori.

In tal modo il nostro famoso  suono "gupleca" potrebbe domani arricchirsi di chissà quali contenuti se divenisse una parola.

Chiediamoci se realmente la musica non compia questa trasformazione troppo velocemente celandoci il suo misterioso significante dietro ad un significato talvolta troppo invadente.

Credo fermamente che esistano contenuti innati, reali, non accostativi a priori simbolicamente, ma intrinseci ad essa nel suo essere fisico in relazione alla nostra percezione, che non abbiamo ancora ascoltato attentamente...

La grandezza e l'intensità dell' impatto emotivo che una musica ha nei nostri confronti, sono direttamente proporzionali al numero di volte che l'ascoltiamo.

L'insieme di sensazioni e di pensieri che abbiamo al primo ascolto (e come primo ascolto intendo una particolare verginità dell'orecchio a tale impulso, da qui l'assenza di una collocazione della  stessa, all'interno di contenitori già conosciuti) è diverso da quello assai più ricco e complesso che otteniamo all'ennesimo ascolto dello stesso evento sonoro, poichè la memoria subentra nel meccanismo con molta più consistenza.

Se non fossimo dotati di memoria, probabilmente la musica ci apparirebbe come un quadro o  una scultura e non mi riferisco alla ovvia ragione secondo cui un processo temporale non può essere concepito senza memoria (per avere un idea è un po’ come se ascoltassimo un brano un secondo alla volta ed ogni volta a distanza di un mese) ma proprio al fatto che non avremmo a disposizione quell'immenso e dettagliatissimo calderone in cui ribollono miriadi di immagini, pensieri e sensazioni al quale attingere involontariamente ed incondizionatamente, ogni volta che ascoltiamo musica.

Molto probabilmente se avessimo una capacità di memoria ridotta ad un lasso temporale di pochi minuti, riusciremmo ad avvicinarci ad  una sorta di ascolto vergine. Saremmo in grado di avere un rapporto molto più puro con un vero e proprio flusso temporale fatto di suoni denudati di superflui significati e sgargianti del loro naturale significante.

Troppo spesso gran parte del piacere o la tristezza che proviamo quando ascoltiamo musica, ci deriva non da chissà quale arcana essenza insita nella musica stessa, ma da ciò che vi abbiamo inconsapevolmente legato nei precedenti ascolti.

Se durante un ascolto consapevole e attento cerchiamo di analizzare a fondo ciò che riceviamo, potremmo sicuramente riconoscere elementi della nostra esperienza passata siano essi soffusi, separati e mal riconducibili ad un preciso evento, siano invece quasi tangibili, chiarissimi e assai evocativi di particolari immagini, sentimenti e perfino odori.

Una semplice dimostrazione la riceviamo confrontando le assai diverse sensazioni percepite all'ascolto di una musica non ascoltata da molti anni e di un'altra ascoltata quotidianamente.

Scegliamo un brano a noi ben conosciuto non ascoltato da molti mesi o meglio da anni.

Durante l'ascolto riceveremo nitidissime sensazioni strettamente riferite al contesto risalente a tale periodo: sarà possibile provare emozioni molto forti dovute all'improvvisa breccia venutasi a creare nella memoria; una chiave  apre una porta remota: immagini, odori, pensieri e sentimenti che non ricordavamo di possedere, si presentano a noi  improvvisamente e assai dettagliatamente.

Prendiamo invece un brano e ascoltiamolo quotidianamente e per un periodo di tempo piuttosto lungo (parlo di settimane e mesi).

A meno che, come nel primo caso, non sia stato ascoltato in un passato remoto, man mano che procediamo nel tempo con successivi ascolti,  siamo in grado di percepire tutta una gamma di sensazioni in qualche modo aggiornate costantemente. 

In questa dinamica entra in gioco un meccanismo di priorità: nell'insieme di vari strati,che appunto quotidianamente andiamo ad aggiungere, decidiamo inconsciamente quali dovranno emergere e quali sprofondare, coperti dagli altri. 

Non sono sicuro però quali siano, a parità di valore (emotivo, di significato o altro) gli strati che avranno la meglio sugli altri.

Come nel primo caso proviamo ad ascoltare un brano non ascoltato da tanto tempo e cerchiamo di individuare la determinata sensazione o ricordo da cui siamo pervasi.

Ripetiamo un ascolto costante e programmato per un periodo di tempo di circa 2 mesi e poi lasciamo che per un altro mese il brano non venga più ascoltato.

Ad un nuovo ascolto ci renderemo conto che ciò che riceviamo non appartiene più all'insieme dei primi ricordi (almeno che per particolari frangenti questi siano di gran lunga più consistenti o importanti)  ma si arricchisce,  se non addirittura sostituisce, con nuovi contenuti... quelli appunto riconducibili alla seconda fase di ascolto programmato.

In presenza di particolari ricordi complessi come situazioni, interi stralci di vissuto trascorso (come un'amicizia, una storia d'amore, una persona particolare, un preciso periodo della nostra storia) la musica ci da l'accesso a vere e proprie cattedrali di ricordi tanto che ne ricerchiamo sovente un ascolto per poter ritornare a riviverli (credo che questo sia il vero e proprio motivo per cui l'essere umano abbia un bisogno vitale della musica).

Sovrapponendo nuovi contenuti con altri ascolti le nitide immagini passate, che dai colori brillanti si presentano a noi sulle pareti di questa immensa struttura, cominciano ad attenuarsi progressivamente, prima sbiadendo lievemente, poi sfumando sempre più i contorni per iniziare un processo quasi dinamico di scambio, di sostituzione dovuta non ad una rimozione quanto invece ad una vera e propria sovrapposizione. Come se appunto ritornando alla nostra cattedrale, andassimo a stendere nuovi colori sugli affreschi che la decorano confondendone le forme e i margini e poi col tempo cominciassimo a delineare nuove figure.

E' ne più ne meno il processo che avviene normalmente nella nostra memoria, durante tutta la nostra esistenza. Immagazziniamo ricordi sui quali col tempo ne vengono sovrapposti di nuovi. Alcuni vengono ricoperti completamente (mai sostituiti del tutto) a tal punto da farci credere di averli effettivamente rimossi, mentre altri continuano ad affiorare quasi avessero una tridimensionalità, come fossero una vera e propria sporgenza, un bassorilievo per rimanere in metafora.

Il fatto strabiliante sta nel fatto che con la musica, questo processo avvenga (ovviamente con le  enormi differenze da soggetto a soggetto) ad una velocità sbalorditiva.

E' un po’ come se tutto ciò (in termini molto approssimativi) condensasse in sè il mestiere dello psicologo: prima c'è una fase di ricerca di una chiave che faccia accedere ad un elemento rimosso e poi si lavora per far nuovamente ricoprire (o meglio in questo caso "assorbire") con nuovi strati, il marcio venuto a galla per non generare un collasso.

Credo sia possibile utilizzare sistematicamente la musica per operare questa sorta di scavo e ricopertura, si scava alla ricerca del cadavere, lo si guarda bene in faccia per poi prepararci a risotterrarlo, magari due o tre metri più profondo.

Se lo sbiadirsi del ricordo passato durante un ascolto, potesse in qualche modo influire sui tempi e le modalità di sbiadimento dello stesso ...

Avviene poi un altro caso più complesso durante la seconda tipologia d'ascolto.

A tratti l'insieme di ricordi viene sostituito da altre componenti...

Con un continuo ascolto è come se, non riuscendo più ad attingere ad evidenti ricordi (proprio per il fatto di non dar tempo alla memoria di stratificare) la nostra mente cominciasse a muoversi in un' altra direzione, tentando di costruire nuove immagini (forse prese a caso tra quelle già possedute) fornendoci in qualche modo una nostra proiezione nel futuro... è come se la musica ci suggerisse quello che saremo o che vorremo essere, dandoci non più un quadro di ricordi passati, ma generando nuove immagini... proprio come quando cerchiamo di immaginarci qualcosa che dovrà ancora accadere.

Oggi nell'era della comunicazione e delle tecnologie, è teoricamente impossibile poter mantenere durante un ascolto questa " verginità" uditiva, poichè inevitabilmente, seppur sforzandoci, andremo a ripescare confronti laddove nemmeno ce lo saremmo immaginati.

Così, se fosse possibile ipoteticamente ascoltare una musica completamente a noi sconosciuta (intendo anche nei timbri, nel ritmo, nella sua forma e struttura) molto probabilmente potremmo essere protagonisti di un esperienza sonora completamente pura, immacolata, priva di qualsiasi intervento della memoria sul nostro modo di pensarla e viverla.

Per capire meglio, potremmo chiederci quali sensazioni vengono percepite da un bambino molto piccolo, il cui vissuto sonoro musicale sia quasi inesistente.

Abbiamo  poi a che fare con meccanismi molto più complessi e profondi, rispetto a quelli indotti dal ruolo della memoria durante un ascolto musicale:  il concetto di ritmo e la nostra interpretazione dello stesso.

Molto probabilmente, tutta la "magia" della musica potrebbe essere spiegata con quanto segue.

Uno dei più interessanti concetti creati dall'intelligenza dell'uomo è quello della formulazione e presa di coscienza, del concetto di tempo.

Sappiamo che  il tempo non esiste come entità fisica, reale, tangibile, ma che esso fa parte (sebbene la scienza gli attribuisca un....) di ciò che l'uomo si costruisce per dare logiche spiegazioni o collocazioni, agli eventi che lo vedono partecipe.

Il tempo è semplicemente il tentativo di dare una "dignità" allo spazio, il quale, molto probabilmente, senza il concetto di tempo non sarebbe comprensibile.

Resta il fatto che però il tempo, pur essendo qualcosa di misurabile e forse controllabile, non esiste realmente.

L'uomo s'inventa il tempo perchè è dotato di memoria che, come suddetto, creando un ordine nel perpetrarsi degli eventi, ci da la possibilità di riconoscere il "prima", l' "ora" e il "dopo". Ma queste tre cose non esistono e possono realmente essere considerate come allucinazioni create da complessissime reazioni chimiche nel nostro cervello, dovute appunto al ruolo giocato dalla memoria.

Quindi, l'uomo non vede il tempo ma lo pensa e, oserei dire a questo punto , ne ha un incommensurabile bisogno.

Quando ascoltiamo ripetutamente una sequenza ritmica (da un semplice ticchettio di un orologio alla più complessa sinfonia per orchestra) avviene la magia. Improvvisamente si crea un reticolato, uno scheletro tangibile di ciò che non abbiamo mai visto ne toccato: il tempo. Inconsciamente l'abbiamo sempre ascoltato al nostro interno -nel cuore, nell'apparato respiratorio, nella peristalsi, in un batter di ciglia o nel grembo di nostra madre durante i primi 9 mesi della nostra esistenza (tant'è che se non avessimo ritmi interni naturali, molto probabilmente non sapremmo riconoscere quelli esterni) ma soltanto quando questo stimolo proviene dall'esterno, lo possiamo riconoscere e definire con precisione. Una ripetizione costante di un suono diventa quindi una diversa scansione della nostra concezione di" prima, ora e dopo" rispetto a quella dei nostri ritmi naturali.

La nostra grande esigenza di dare una fisicità a ciò che noi chiamiamo tempo, viene immediatamente soddisfatta

Questa caratteristica della musica potrebbe trovare spiegazione con il fenomeno del ballo.

Balliamo perchè trascinati da una piacevolissima sensazione indotta dal fatto di poter provare profondamente lo scorrere del tempo. Come se questa amplificata consapevolezza dell'inesorabile fluire del "prima-ora-dopo" ci violenti positivamente  a generare movimenti con il corpo, come se ci ricordasse ad altissima voce la nostra essenza, il fatto che siamo vivi, presenti e  partecipi del flusso temporale; e come potrebbe essere coronata questa consapevolezza se non con del mero movimento fisico che risulta, guarda caso, quella cosa che più di ogni altra possa dare senso al tempo?

Il movimento nello spazio, la soluzione dell' equazione: ci accorgiamo che il tempo c'è per cui ci muoviamo.

Questo avviene naturalmente quando le vibrazioni che assorbiamo dalla musica non possono più essere analizzate e comprese razionalmente durante l'ascolto, andando così ad incanalarsi in altri sistemi. La mente, incapace o non interessata a risolvere i quesiti proposti dal suono con i suoi bombardamenti di ricordi,  elaborando stimoli sonori nel tentativo di dargli una coerenza, si lascia cullare da questa conquista, aiutata dal corpo che, prontamente e in molti casi inconsciamente, reagisce all' input iniziando a muoversi.

Questo spiegherebbe il perchè gran parte delle musiche che più ci inducono al movimento fisico siano caratterizzate da un sovrastante elemento ritmico e da un quasi assente elemento melodico o armonico: saremmo troppo impegnati ad apprezzare ciò che la memoria sta elaborando durante l'ascolto, piuttosto che abbandonarci al flusso dello scorrere del tempo.

I più avanzati studi sulla trance indotta da ritmi frenetici nelle tribù primitive, possono essere ancora più illuminanti in riguardo -senza andare troppo a ritroso nel tempo pensiamo al fenomeno di massa della musica disco, un bombardamento di ritmi ossessivi in grado di generare modificare gli stati di coscienza.

Ed ancora:

  •  l'innata tendenza alla danza nei bambini che , non avendo ancora a disposizione un bagaglio di memorie sonore sufficiente a permettergli di ascoltare la musica,  sintonizzano immediatamente i loro movimenti con quelli dello scandire del ritmo ascoltato;

  • il fatto che molte pratiche di ipnosi utilizzino le oscillazioni di un pendolo o il suono di un metronomo;

ndr: si conclude così questa semplice ma efficace esposizione sulla memoria e tempo nell'ascolto della musica lasciando ancora aperti molti aspetti dell'intricato connubio tra musica e memoria, e come questa possa forse sottintendere, forse neanche troppo velatamente, ad una maggiore  conoscenza di se stessi, muovendoci al ritmo della... vita.


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