CI ERAVAMO GIA’ OCCUPATI E VI AVEVAMO PRESENTATO IN UN
PRECEDENTE ARTICOLO DI Giovanni Rossi e Roberto Luschi, QUESTA INTERESSANTE ARTE
MARZIALE (VEDI:
Lo Shintaido ) ADESSO E PER SPERNE DI PIU’, VI PRESENTIAMO UNA INTERVISTA DI
PAOLO CRESPI A MICHAEL THOMPSON, UNO DEI FONDATORI DELLA PRIMA ORGANIZZAZIONE DI
SHINTAIDO IN AMERICA… PIU’ DI 30 ANNI OR SONO!
Dieci domande a Michael
Thompson
Di:
Paolo Crespi
Chi è Michael Thompson
Nel 1975 Michael Thompson
insieme a Haruyoshi F.Ito-sensei fondarono a San Francisco la prima
organizzazione nazionale di Shintaido, conosciuta poi come Rakutenkai-Shintaido
della California ed ora chiamata "Shintaido of America". Nel 2004 diventa
Shintaido Master Instructor.
Dieci domande a Michael Thompson
Paolo Crespi: Che cos’è per te
lo Shintaido?
Michael Thompson: Pratico
questa disciplina da più di trent’anni e naturalmente, in questo lungo arco di
tempo, il senso di quello che faccio è mutato più volte. All’inizio si è
trattato soprattutto di un modo per riuscire a superare la paura fisica e i
limiti imposti dalla timidezza e da un organismo non particolarmente robusto.
Poi, un po’ alla volta, il mio corpo e il mio modo di sentire sono cambiati: di
pari passo, si è evoluto anche il rapporto con lo Shintaido.
Paolo Crespi: Come è avvenuto
il primo incontro con la pratica?
Michael Thompson: Ho
iniziato a praticare Shintaido in Francia, a Parigi, dove vivevo alla fine degli
anni Sessanta. In precedenza ero stato in Giappone, per il matrimonio di mio
fratello, e lì avevo appreso qualcosa che in seguito mi sarebbe tornato utile:
alcuni esercizi fisici di base, i rudimenti della lingua e della cultura
giapponesi. Di fatto, però, non sapevo nulla dello Shintaido, che all’epoca era
una scuola di Karate. E non avevo alcun tipo di background nelle arti marziali,
dalle quali tra l’altro non ero per nulla attratto. L’interesse, come spesso
avviene, è maturato gradualmente, attraverso il training fisico e la scoperta
dei processi che presiedono ai vari tipi di movimento. Ma confesso che
all’inizio il tutto mi lasciava piuttosto indifferente…
Paolo Crespi: Cosa ti ha
convinto ad abbracciare definitivamente lo Shintaido?
Michael Thompson:
L’incontro con Aoki, due anni dopo, durante il mio secondo viaggio in Giappone.
Lui era senza dubbio uomo di arti marziali, in particolare Budo, ma ciò che
colpiva l’interlocutore erano la sua intelligenza e la forza della vena
artistica della quale era dotato. Insomma, un’altra dimensione rispetto allo
stereotipo del karateka. A queste condizioni, mi disse, vale la pena di andare
più a fondo, di studiare e di cercare ancora.
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Paolo Crespi: In che senso
questa pratica ha cambiato la tua vita?
Michael Thompson: L’ha
cambiata in una molteplicità di aspetti, che probabilmente si possono riassumere
in alcune parole chiave. Prima di tutto confidenza. In secondo luogo
interazione, interazione umana. Ma è difficile codificare un impatto che è
differente per ogni persona. Nel mio caso la molla iniziale è stata di tipo
intellettuale, poi l’interesse si è spostato su altri piani.
Paolo Crespi: Nel tuo paese,
gli Stati Uniti, lo Shintaido ha una popolarità maggiore che da noi, in Italia?
Michael Thompson: Non si
può dire che sia “popolare”, come per ora non lo è in Italia. La differenza
probabilmente è nella maggiore fedeltà di noi americani: una buona parte di
coloro che hanno iniziato a praticare lo Shintaido, seguono questa disciplina da
molti anni, chi dieci, chi venti. Insomma, una volta cominciato non si smette
più, o comunque capita di rado. E l’esperienza si fa via via più profonda. Da
voi lo Shintaido è ancora molto giovane, è naturale che ci siano più abbandoni o
più approcci “mordi e fuggi”. Ma contemporaneamente sta crescendo una nuova
generazione di allievi costanti, futuri maestri. E questo non può che influire
positivamente sullo stato delle cose.
Paolo Crespi: Qual è la
principale differenza tra il modo occidentale di praticare lo Shintaido e la sua
pratica in Giappone, in un contesto per così dire “naturale”?
Michael Thompson: Noi
procediamo in modo più dialettico e consapevole, ponendo continuamente domande e
interrogandoci su tutto. I giapponesi seguono un maestro, senza discutere. Siamo
allievi migliori? Forse, ma solo nel senso che quanto apprendiamo è frutto di
una precisa volontà e necessita continuamente di ragioni, nutrendosi anche di
sogni e aspirazioni individuali. Qui, in Occidente, l’accesso è più difficile,
ma se funziona, spesso è per sempre, indipendentemente dal carisma personale del
maestro, che risulta invece fondamentale nella trasmissione del sapere in ambito
giapponese.
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Paolo Crespi: Negli anni
Sessanta, lo Shintaido è stata una scoperta rivoluzionaria, poi, a quanto ci
racconti, ha assunto toni e contenuti leggermente più conservatori, in relazione
anche all’esigenza, da parte del fondatore, di proteggere il l’originalità del
“sistema” che aveva creato. Che cosa ci dobbiamo aspettare per il futuro?
Michael Thompson:
Dipenderà dalla prossima generazione di allievi e maestri. La creazione di Aoki
è quasi terminata. E Minagawa dedica la sua vita a trasmettere ad altri gli
insegnamenti del fondatore. Il futuro è nelle mani dei giovani, che potranno
prendere strade diverse e trovare nuove applicazioni dei principi base dello
Shintaido.
Paolo Crespi: Che ruolo
hanno le contaminazioni nella storia dello Shintaido e nei suoi sviluppi più
recenti?
Michael Thompson: Aoki
non ha mai nascosto la sua ammirazione per la danza Bhuto e si è interessato a
fondo di musica sinfonica e di pittura, anche occidentale. Nello Shintaido c’è
senz’altro una forte componente musicale, ritmica, così come c’è, per chi sa
coglierlo, un aspetto riconducibile alle arti visive e alla tradizione
calligrafica, tipicamente giapponese.
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Paolo Crespi: Lo Shintaido è
una disciplina valida per tutti, per molti o per un’élite?
Michael Thompson: Si può
dire, evangelicamente, che molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti. In altre
parole, tutti fisicamente possono praticarlo, ma ciò che conta è accostarvisi
con la giusta predisposizione mentale, senza accanimenti ma anche senza
sottovalutare le tecniche di base, che posso apparire fin troppo semplici,
elementari, ma che sono il mezzo per accedere a un livello significativo di
esperienza. Dal punto di vista delle abilità, invece, nessuno è inadatto alla
pratica dello Shintaido. Anche un handicap fisico può essere superato o aggirato
con una certa facilità.
Paolo Crespi: Con l’avanzare
dell’età diminuiscono le prestazioni di tipo atletico-sportivo. E’ così anche
per lo Shintaido?
Michael Thompson: Certo,
ma si possono conservare e affinare i tratti espressivi di quest’arte del
movimento. Vale in generale quello che si riscontra nei grandi danzatori
contemporanei, sia in Oriente che in Occidente, da Kazuo Onho a Merce Cunningham:
negli ultimi anni della loro vita, questi due maestri hanno continuato a
esibirsi comunicando uno stato di grazia che non aveva più alcun rapporto con la
precarietà della loro forma fisica. Inoltre lo Shintaido non ha spettatori, chi
vi si accosta ne è protagonista.
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