INTERVISTA A MARCO FRANZA
di: Ennio Falsoni
(da www.fikb.it)
Quando ci si vedeva in qualche manifestazione, tra noi era solo una fugace
stretta di mano. Sapevamo entrambi di militare in organizzazioni concorrenti e
contrapposte e pertanto ci limitavamo a saluti di cortesia, ma nulla di più.
Mai una chiacchierata, mai uno scambio di idee. In fondo non ci siamo manco mai
conosciuti né frequentati, per le stesse ragioni. Del resto Marco Franza,
classe 1963, di Cirié, ha militato in Fenasco per 20 anni. Ne è stato una
delle colonne dal punto di vista tecnico ed organizzativo. Era amico di Carlo Di
Blasi ( “ mi faceva sempre contare i soldi – mi dice -, e non so perché.
Forse perché sono bancario e lo faccio di mestiere”).
Poi,
qualcosa si è incrinato nel loro rapporto e lui, molto onestamente, me lo
confessa : “Se non succedeva quello che è successo tra me e Carlo, sarei
rimasto in Fenasco a vita. Io non sono una banderuola. Pensa che poi io sono
stato anche colui che ha rimesso insieme Di Blasi e Rinaldi/Lallo che
successivamente hanno creato Cisco. Questo per farti capire che quando sposo una
causa, vado fino in fondo. Costi quel che costi.”
L’uomo è sobrio nelle parole. Parla pacatamente e mentre parla ti guarda
negli occhi : “Odio quelli che parlano e non ti guardano negli occhi. Sono
subdoli e di quelli non mi fido.”
Lo incontro nel Dojo Miura di Torino, in Via Aosta, a due passi da Porta Palazzo
che è considerata un po’ la Kaasba della città. Sta facendo lezione a un bel
gruppo di persone. La palestra è molto tradizionale, con bambù e carta di riso
alle pareti. Scritte in giapponese, il giardino Zen di sabbia all’entrata, mi
fanno andare con la mente a quando anch'io insegnavo karate. Bel tempo andato.
Guardo con avidità le numerose foto alle pareti delle diverse attività del
club ( tra cui ritrovo un mio vecchio associato, il maestro di kung fu Cucci
mentre sta facendo lezione) e mi piace respirare il puzzo classico della
palestra.
Franza è in pantaloncini thai. E’ basso e robusto . Fa lezione con autorità,
ma anche i comandi non sono urlati ( io invece li gridavo , e forse per questo
oggi ho due corde vocali tenorili).
Rapida doccia al termine del turno e siamo al ristorante con quello che ormai è
il suo braccio destro ed è riconosciuto come il miglior peso medio italiano di
thai boxe o di low-kick : Roberto Cocco, recente vincitore di un torneo Super
League nonché vincitore del mondiale Wako-Pro al Palalido di Milano nel marzo
scorso, certamente uno dei migliori atleti italiani di sempre.
La nostra conversazione è cordiale, allegra quasi dinnanzi a carne e vino
rosso. Ripercorriamo le nostre tappe, parliamo di alcuni personaggi torinesi che
abbiamo conosciuto entrambi, ricordiamo episodi , e parliamo delle nostre
passioni.
E’ in Fikb da un anno soltanto e nonostante sia riconosciuto come uno dei
miglior tecnici in circolazione, visti gli atleti che ha costruito nel tempo, mi
ha sempre stupito il fatto che , al contrario di altri, non abbia mai cercato
per sé posizioni di prestigio all’interno della Federazione.
“Sono un tipo che sa stare al suo posto - mi dice -. Io non chiedo mai di
ottener questo o quello. Aspetto
che mi si chieda e quando mi chiedono, in genere, riesco a dare. Sono nato in
una casa senza riscaldamento – continua con una certa fierezza - .”
A soli 6 anni infatti calcava già i tatami di una palestra di judo. Ma perché
il judo?
“Perché ci andava un mio vicino e fortunatamente mi è venuto comodo che
portasse anche me.”
Dal Judo alla kickboxing , il passo non è stato breve. Di acqua ne è passata
sotto i ponti. Ma un bel giorno lui riesce ad avere tra le mani un video
prodotto da una casa olandese. Era quello del famoso match tra l’americano
Benny “The Jet” Urquidez e l’olandese Ivan Spraang (era il 1983, se non
vado errato e fidandomi della mia memoria). Tra l’altro, io ero a bordo ring
di quel incontro e, come molti lettori sanno, subito dopo il match , portai in
Italia per la prima volta Benny Urquidez ( con tanto di ematomi spaventosi alle
gambe) per uno storico stage che tenni al Palasport di Milano e al quale, senza
che io lo sapessi – allora Carletto era Mister Nobody - , partecipò anche Di
Blasi.
Quel match, stupendo per intensità ed emozioni ( e che colpì profondamente
anche me) fu per Marco Franza un amore a prima vista. Cominciò ad allenarsi e a
viaggiare. Frequentò la Francia e l’Olanda, paesi certamente all’avanguardia
in quegli anni in quella disciplina . In Francia , grazie alla formazione
tecnica della Savate, furono molti che successivamente intrapresero l’attività
della “low-kick” – per usare un termine che ancora adesso Marco non
digerisce molto. In Olanda poi, grazie ai Chakuriki di Tom Harinck e alla
palestra Voss, cominciò a spopolare la Thai Boxe . Finì che Marco sostenne
molti incontri con buoni risultati per l'epoca (gareggiava intorno ai 78 chili
mentre oggi veleggia vicino ai 93) finché nacque anche la passione dell’insegnamento
che in fondo, attraverso la trasmissione del tuo sapere, è un modo per
perpetuare la tua giovinezza e rinnovare la tua passione: la kickboxing e la
thai boxe appunto.
Non ha rimpianti Marco. Farebbe esattamente tutto quello che ha fatto sinora.
Insegna in una bella palestra, ha il suo giro di allievi che a lui piace riunire
di tanto in tanto e che si cura come una chioccia fa dei suoi piccolini, segue e
allna personalmente gli atleti di punta del suo gruppo, come Roberto Cocco
appunto, un vero professionista nel nostro ambiente. I tre figli, i sempiterni
problemi familiari ( cui siamo alle prese tutti), fanno il resto : non gli
lasciano molto tempo. E’ anche per questo che l’uomo è quadrato, solido,
responsabile, senza fronzoli per la testa.
Un piemontese d’hoc insomma , che la Fikb farà bene a tenersi stretto.
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