Intervista a: CRISTIAN “Crischiai”
DAGHIO
Abbiamo approfittato
della fugace e purtroppo, casuale presenza di Cristian
“Crischiai” Daghio in Italia, dovuta al bisogno di accompagnare
un giovane atleta tailandese del camp dove si allena, chiamato per un tour di
stages di due mesi nel nostro Paese, per porgli 10 domande e fare felici tutti
quelli che lo conoscono e gli appassionati di Muay Thai in genere.
Di: Roberto Fragale
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Dato che, solo dopo aver
conquistato la corona iridata di Muay Thai nella WAKO, hai deciso di trasferirti
stabilmente in Tailandia … come ti sei trovato da “campione mondiale”...
ad allenarti e combattere in questo paese?
Naturalmente sapendo a cosa andavo incontro, ho semplicemente
dimenticato di esserlo… considerandolo solo un buon pre-requisito per iniziare
a fare le cose serie… sul serio e mi sono sempre astenuto dal dirlo ove non ce
ne fosse stato bisogno, ma non per modestia o per vergogna… L’obiettivo
WAKO ha significato molto per la mia autostima e crescita interiore… gli sarò
sempre grato! Questo è tutto un altro mondo, altri livelli tecnici, atletici e
spirituali. Per poter tentare di divenire come loro, ho cercato di vivere come
un thai… “con” questi, mischiandomi ad essi e cercando di farmi
considerare come uno di loro, farmi accettare e conoscere… per quello che
sono! Vivo nel “Pedh Rung Rang boxing
camp” di Pattaya, come tutti gli altri boxers. Questa, ritengo sia una
delle prime cose per poter imparare la vera Muay thai… l’umiltà! In
Tailandia ho disputato oltre 30 incontri… i primi ai “boxing bars”, poi allo stadio di Pattaya e cittadine della zona… tutti considerati
periferici rispetto a quelli di Bang Kok i quali invece, erano il mio vero
obiettivo da raggiungere. Invece che continuare solamente a sognarlo e parlarne
come tanti altri… ho iniziato a lavorare umilmente e con tenacia per tentare
di riuscirci! I primi incontri sono stati molto difficili per il diverso modo di
combattere dei thai. Qui vengono premiati solo i colpi precisi e potenti,
inoltre i pugni ed i low kicks non sono molto apprezzati come in Europa, poi ci
sono le gomitate… ho dovuto farmi “aprire” otto volte, prima di diventare
sufficientemente abile da evitarlo! Al camp non ci possiamo allenare con i
gomiti… quindi si impara negli
stadi. Inoltre i giudici thai, osservano e valutano anche il comportamento
dell’atleta sul ring, chi accusa i colpi, chi indietreggia, chi si
risparmia… viene penalizzato (dicono che ha il cuore piccolo). Chi anche in
difficoltà, continua a combattere stoicamente, viene premiato (dicono che ha il
cuore grande).
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Visto che conosci entrambi
gli ambienti, potresti illustrarci brevemente le più sostanziali differenze e
particolarità tra l’ambiente della Muay Thai nel nostro paese e quello
tailandese?
Guardando all’ambiente italiano da questo privilegiato punto di
osservazione, direi che non ci sono ancora atleti a livelli professionistici.
L’ambiente và di pari passo ed a
questo… si adeguano gli atleti che vi nascono e crescono, si crea così una
specie di circolo vizioso difficile da spezzare. L’Italia, pur avendo iniziato
poco dopo la Francia e l’Olanda, ma prima ancora della Bielorussia e tanti
altri… a differenza di questi paesi, noi non abbiamo inviato atleti in
Tailandia a professionalizzarsi e
specializzarsi seriamente. Gli italiani che lo hanno fatto, sono stati spinti da
iniziativa personale… ma senza una guida seria, motivante e pianificante, sono
finiti a fare qualche combattimento ai boxing bars per fermarsi subito dopo,
pensando di aver già fatto grandi cose, forse per il fatto che gli altri
connazionali non erano andati oltre. Spero tanto che con il mio esempio, possa
iniziare l’interrompersi di questa consuetudine e che gli avventurosi più
intraprendenti trovino maggiore stimolo per emularmi, fino a divenire migliori
di me. Ci conto molto e farò di tutto per aiutare chiunque voglia provarci!
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Oltre a quella italiana e
tailandese, quali altre esperienze internazionali hai attraversato nella tua
carriera?
Con i campionati WAKO e IAMTF, oltre che per sporadici incontri
professionistici con la WKA e WPKA, ho avuto modo di combattere e quindi
allenarmi e conoscere, seppur sommariamente, le realtà sportive di paesi
europei come la Spagna, Francia, Austria, Olanda e dei paesi dell’est come:
Ungheria, Bielorussia, Russia, Lituania ecc. Ho potuto osservare che: mentre nei
paesi europei si è sviluppata una propria visione ed interpretazione della Muay
Thai, portando a dire e a far credere che esistono due tipi di Thai boxe; quello
tailandese e quello europeo… In quelli dell’est invece, si è cercato di
importare la Muay Thai originale. Fra questi, ritengo che la Bielorussia sia
quello che ha meglio saputo importare, interpretare ed adattare alla propria
conformazione fisica e sotto tutti gli aspetti, la vera Muay Thai. Ho trascorso
per questo, un periodo di pochi mesi ad allenarmi al “Kick Fight Gym” di
Minsk con i loro campioni, imparando molto anche da loro. Devo anche dire però,
che da anni e continuamente, nei camps di Pattaya c’è sempre la presenza a
rotazione, di un gruppo di atleti bielorussi ad allenarsi.
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Quale potrebbe essere
secondo te la strada percorribile dagli appassionati italiani per una corretta
comprensione dello spirito della Muay Thai?
Venire spesso in Tailandia, ma non come turista… per lavorare ed
allenarsi seriamente, misurando i progressi e stimolati da questi a rimanere
sempre più a lungo. Naturalmente armarsi e riempirsi di umiltà, pronti ad
imparare tanto anche da ragazzini di 16 anni che qui molto spesso hanno già un
centinaio di incontri ed esperienza da vendere e, dato che nei camps ognuno
insegna a quelli di un livello inferiore, degna dei migliori insegnanti italiani
se non superiore (senza voler niente togliere alla serietà di molti di essi)
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In Italia, sei legato a
qualche federazione?
Sono un campione della WAKO e come sopradetto ne ho grande rispetto e
gratitudine. In Italia questa, riconosce la FIKeDA, quindi ho maggiori e
continui contatti con questa sigla. Ho saputo che ultimamente è stata
riconosciuta e associata al CONI tramite la FPI… una grande cosa, complimenti
ed auguri quindi…! Sono comunque disposto e favorevole a lavorare con chiunque
altro dimostri serietà di intenti, passione e volontà di fare, per il bene
della Muay Thai in generale. Questo non conosce sigle e tutti si ergono a suoi
paladini, ma se lo volessero
sinceramente, esisterebbe una sola sigla federale e le cose forse, andrebbero
meglio già da tempo.
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Come ti mantieni in
Tailandia?
Ho iniziato a venire periodicamente in Tailandia fin dal “93” e per
periodi sempre più lunghi. Ho imparato da persone amiche molte cose del loro
modo di vivere, il quale non ha assolutamente bisogno di molti soldi. Dopo la
conquista del mondiale WAKO ho voluto provare a viverci con i proventi degli
incontri… sono ormai due anni che ci riesco sempre meglio. Io ho sempre minor
necessità di generi voluttuari e le mie “borse” sono cresciute
considerevolmente (nei primi
match prendevo mille bath, cioè 25dei nuovi Euro). Inoltre nel camp sono
trattato come un figlio ed ho una amicizia “fraterna” con NU Visnuchai Pedh
Rung Rang (il mio allenatore) figlio del padrone del camp ed a cui è succeduto
nell’incarico. Lui stesso ex atleta, allenato dal padre e “campione” del
“lumpinee boxing stadium” di Bang Kok nell’89 a soli 16 anni!
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Parlaci del match del Lumpinee
e del tuo avversario naturalmente.
“Pec Rung Reung” è un avversario ragguardevole, tutti mi davano per
“spacciato” prima del match, arrivando ad essere quotato per 5 a 1 nelle
scommesse, che qua non sono clandestine ma consuete ed insite nella loro cultura
e tradizione. Proviene dal “Gaew Samlit
Boxing Camp”, uno dei più titolati di Bang Kok, dove anche Mrs.
Song Chiai Latanasuban tiene molti dei suoi pugili ad allenarsi. La
differenza tra gli stadi di Bang Kok e quelli di provincia si è notata subito.
Qui ci sono atleti più veloci, tecnici, potenti e preparatissimi atleticamente,
i migliori! Gli stadi della capitale infatti, sono il punto di arrivo per tutti
i pugili tailandesi e segnale di successo, tanto è vero che quando calano le
loro performances e vengono dirottati verso stadi periferici… si dice sia il
segnale che decreta l’inizio della fine… della loro carriera sportiva.
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La tua intenzione è di
tornare presto a vivere in Italia o la Tailandia è divenuta ormai la tua patria
adottiva?
Sicuramente, anche quando finirò la mia carriera di boxer
professionista, avrei intenzione di continuare a vivere in questo paese, che mi
ha dato tante soddisfazioni. Inoltre la grande amicizia che mi lega alla
famiglia Pedh Rung Rang, mi fa
sentire a casa mia e ben accetto. Preferirei quindi continuare a vivere qui,
magari lavorando per il mio paese e tornando in Italia solo per le vacanze o per
combattere. Già adesso ho iniziato a farlo, organizzando e promuovendo viaggi
studio nel camp dove vivo ed inviando in Italia, a chi ne faccia richiesta,
atleti thai per stages e combattimenti. Questa potrebbe essere una attività che
mi consentirebbe di continuare a
mantenermi qua anche a carriera conclusa e mi sto attivando per potenziarla,
assieme ad amici appassionati italiani.
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Progetti futuri?
Dopo l’incontro al Lumpinee ed
il
ricevimento ufficiale all’ambasciata italiana di Bang Kok, sono stato
contattato da Mrs. Song Chai Latanasuban
per un eventuale primo incontro anche al “Ratchadamnern
Boxino stadium”, cosa che mi consentirebbe di aprire una breccia anche li,
come primo italiano a calcarne il ring… ma la cosa più importante è che io
non rimanga l’unico! Se riuscissi ad avverare anche questo sogno… mi
rimarrebbe solo il più ambito: combattere nel torneo annuale per il compleanno
del re!
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Permettici
una morbosa curiosità: come sono i tecnici tailandesi all’angolo?
Strana domanda… la cosa è soggettiva, il mio (NU) rimane seduto al
suo posto osservando l’incontro in silenzio ed intervenendo solo
nell’intervallo per dirmi pacatamente dove ho sbagliato e che cosa devo fare
per evitarlo o per conformarmi all’avversario. Personalmente è una cosa che
apprezzo molto perché mi calma e trasferisce la necessaria sicurezza per
continuare bene l’incontro e portarlo a buon fine. Inoltre mi permette di
comprendere meglio ciò che mi chiede di fare. Ce ne sono anche di quelli che
incitano l’atleta ad alta voce come da noi o forse più, ma tutti guardano
solo ciò che fa il proprio atleta e non polemizzano per le eventuali
scorrettezza o ritenute tali, dell’altro. Quando un atleta perde, è solo per
propria colpa, deve allenarsi di più e migliorare… mai si imputa la causa
all’arbitro, oppure a dei giudici incompetenti, o causa scorrettezze
dell’avversario. Grandissimo rispetto per tutti quindi, ma soprattutto per se
stessi! Una volta ho assistito ad un match nello stadio di Pattaya in cui i
secondi dell’atleta vincente (data la notevole differenza tecnica) hanno
schernito l’angolo opposto con un termine thai: “MU”; che in italiano
potrebbe suonare come; “incompetenti” o “inetti”! Solitamente si usa
quando si compete vincendo facilmente e senza impegnarsi troppo! Ebbene,
pur essendo già stato proclamato il verdetto e prontamente liberato il ring…
sono stati richiamati i secondi e redarguiti pubblicamente, dopodiché invitati
al microfono per presentare le scuse all’angolo avversario, agli organizzatori
ed al pubblico… grande prova di civiltà e correttezza sportiva, che forse noi
ancora non abbiamo… o forse abbiamo perso, chissà!. Qualunque sia il livello,
lo svolgersi o l’esito dell’incontro .. c’è in generale, un profondo
rispetto e stima per “l’uomo” che sale sul ring e che combatte al massimo
delle proprie potenzialità con coraggio e determinazione.
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il video
del mio allenamento al
camp
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