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Storica decisione a Copenhagen

UN CODICE PER BATTERE  IL DOPING

Comitato Olimpico Internazionale, le Federazioni internazionali ( tra cui la Wako)  e i Governi di tutto il mondo  uniti in un nuovo Codice contro la piaga del doping nello sport.

di Ennio Falsoni

Tutti uniti appassionatamente , sarebbe proprio il caso di dirlo, tutti uniti contro  quella che ormai era una vera e propria cancrena – il doping - che sta distruggendo l’immagine stessa dello sport mondiale.  E’ successo a Copenhagen, dal 3 al 5 marzo scorso dove sono stato in qualità di presidente Wako perché invitato . Ho quindi assistito a tutti i lavori  e al termine  della “World Conference on Doping in Sport “, promossa da WADA ( World Anti-Doping Agency) – un organismo voluto dal CIO nel 1999 , all’indomani   dello scandalo Ben Johnson all’Olimpiade del 1988 – è stato trovato un accordo unitario sull’accettazione di un nuovo Codice mondiale dello sport che impegna lo stesso CIO, le Federazioni Internazionali sportive e i vari  Governi del pianetain un nuovo  sforzo unitario nel tentativo di battere  la piaga  del doping nello sport.

 Quello di Ben Johnson è stato forse uno dei casi più eclatanti, lo ricordiamo tutto, che suonò come un campanello d’allarme forte: gli atleti , in tantissime discipline, pur di arrivare ad agguantare l’oro, pur di arrivare alla gloria sportiva che molto spesso si trasforma in migliaia e magari milioni  di dollari di sponsorizzazioni , dimostravano di infischiarsene   proprio dello spirito stesso dell’Olimpiade e dello sport in generale. Ma quello che è ancora più grave, è che quegli stessi atleti sembravano ignorare i rischi cui la loro salute andava incontro  perché , purtroppo è ormai assodato, di doping  si muore anche. 

Ma  in questa nostra tribolata società conta solo il successo: come arrivarci è di secondaria importanza. Sono cadute tutte le barriere etiche: a certi atleti lo spirito del “fair play”, la loro salute, l’immagine dello sport   che praticano e che tramandano alle future generazioni, non importa nulla. E allora, ecco che qualcosa andava fatto se si voleva salvare l’immagine dell’Olimpiade stessa e dello sport in generale, occorreva un segnale forte per dire “adesso basta!, si volta pagina”. E il CIO, attraverso il lavoro di un’équipe della WADA – che oggi è un organismo indipendente dal CIO seppur sponsorizzato da esso, guidato dal suo presidente Richard Pound, seppur faticosamente lo ha dato consegnando alle future generazioni questa pietra miliare, questo Codice che da Copenhagen tutti i Governi , il CIO,  tutte le Federazioni Internazionali  si sono dato. Arrivare a questo testo unitario che come molti interventi hanno chiaramente detto, altro non è che una base di partenza verso un lavoro colossale che resta da fare a tutti i livelli per renderlo attuabile , non è stato facile.

Esistevano purtroppo troppe diversità di regole tra sport e sport in fatto di doping , tra pese e paese, tra CIO e Federazioni sportive internazionali. L’équipe di WADA ha lavorato molto in questi ultimi quattro anni, ha ascoltato migliaia di atleti, confrontato migliaia di leggi e ha   fatto la sua proposta alla Conferenza, ben sapendo  che ci sarebbero state molte perplessità, molte domande, anche divergenze.

Ma l’importanza del tema – e la presenza di 1100  congressisti lo dimostra – il gotha dello sport mondiale -, è stato richiamo troppo forte perché fosse lasciato cadere nel vuoto. E così , poiché  tutti erano d’accordo sul fatto che  “the general picture of sport  is disarming ...” – l’immagine generale dello sport  è davvero disarmante -  ecco che nessuno ha osato rifiutarlo o criticarlo. Al massimo qualcuno ha chiesto l’inserimento di questa o quella correzione, ma nulla di più. Un nuovo Codice ci voleva, diciamocelo francamente , che eventualmente si potrà correggere col tempo poiché tutto è perfettibile, ma occorreva andare via da Copenhagen con alcuni punti saldi nella lotta a questo male e tutti sono stati felici dell’unanimità che il Codice ha raccolto. Lo sono stati gli atleti, rappresentanti a questa Conferenza da prestigiosi nomi quali Sergey Bubka ( presidente della Commission Atleti del CIO), da Frank Fredericks (atletica), da Johann Koss (pattinatore), Susie O’Neill (nuoto), Mikako Katani (nuoto sincronizzato), Harmish McDonald (sport disabili), Roland Baar (canottaggio) e il Principe  Albero di Monaco (bob), i massimi dirigenti dello sport mondiale , Mario Pescante in testa per il nostro Paese.

In cosa consiste allora questo nuovo Codice?

In estrema sintesi, il Codice innanzitutto armonizza e sostituisce da subito  tutte le precedenti leggi  in materia di doping ( e già questo non è poco se si pensa alla babele precedente) ; stabilisce le procedure per i test, stabilisce  quali sono i prodotti proibiti per tutti gli atleti ; obbliga gli stessi ad accettare test sulle loro urine e il loro sangue in ogni momento della loro vita sportiva; stabilisce  e commina le pene per i trasgressori.

Parlandone con alcuni colleghi, qualcuno ha detto subito che anche questo Codice sarà un palliativo, nel senso che il doping è talmente dilagato nella pratica sportiva a tutti i livelli, che per batterlo occorrerebbe  una società diversa ( e forse non a torto). Altri hanno rinforzato dicendo che la pena di morte, in atto in alcuni paesi, non è deterrente sufficiente per evitare che qualcuno finisca morto ammazzato. Altri ancora – e questo forse è ancora più grave – che le leghe professionistiche – specialmente quelle americane come la NBA o la NFL o  la NHL ( rispettivamente Basket, Football americano, Hockey) o quelle del Baseball americano  se ne infischieranno  del Codice e non lo sottoscriveranno mai. Purtroppo le televisioni americane sono tra le più ricche  al mondo e lo sport è una grande  macchina da soldi. Lo spettatore medio americano poi  vuole forti emozioni quando assiste ad una partita dal vivo o in televisione, e a lui  non frega nulla che quegli atleti siano cocainomani , o si facciano normalmente delle “canne” prima o dopo la partita, o si anabolizzino: quello che vuole sono record,  grandi prestazioni . E poiché quegli atleti sono lautamente pagati, sono scelte loro i rischi per la loro salute. Cinismo? Fino a un certo punto.

 Infine  un altro grande problema, sono le grandi case farmaceutiche che sui prodotti dopanti guadagnano barche di soldi. Mi diceva Laurent Rivier, un consulente scientifico svizzero che sedeva vicino a me il primo giorno del Congresso , che queste grandi compagnie hanno pronto decine e decine di nuovi prodotti che possono eludere le pur sofisticate attrezzature scientifiche che lui usa per trovare le sostanze dopanti nelle urine e nel sangue degli atleti sottoposti  a test. Mi diceva che molti atleti si anabolizzano tranquillamente durante la loro preparazione, quindi interrompono l’uso di anabolizzanti un bel po’ prima della gara dove sanno che saranno testati, prendono gli “ormoni della crescita” in sostituzione degli anabolizzanti e così mantengono alta la loro performance: insomma un trucco che fa apparire tutto nella norma, quando invece si è spudoratamente barato. Chiaro che questo è ”cheating” –  truffare -  i colleghi che sin da  ragazzi avevano sognato la vittoria  in maniera pulita, sportiva appunto. Una cosa davvero insopportabile, ma che purtroppo nel mondo sportivo è pratica talmente diffusa da lasciare di stucco. E impotenti.

Basterà dunque questo nuovo Codice a risolvere la situazione? Per ora, certo che no. Ma da oggi il mondo sportivo ha  un’arma in più per magari vincere la guerra  domani ( da segnalare che il Codice entra i vigore per tutti i firmatari il  giorno prima della prossima Olimpiade di Atene). Almeno così sperano tutti coloro che seriamente hanno a cuore il problema : uno sport pulito per una gioventù ( e forse una società) più sana, moralmente, spiritualmente e fisicamente.


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