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IL NOSTRO COLLABORATORE REDAZIONALE FRANCO PICCIRILLI CI PARLA DEL TAMBURO GIAPPONESE, IL “TAIKO”. ATTRAVERSO LA NARRAZIONE DI UNA ANTICA LEGGENDA CI FA IMMAGINARE LE POSSIBILI ORIGINI E LA QUASI SACRALITA’ DI CUI SI AMMANTA LO STRUMENTO DEL “TAIKO”.  MALGRADO OGGI SIA DIVENUTO E DIFFUSO QUASI ESSENZIALMENTE COME UNA FORMA DI SPETTACOLO, NON DOBBIAMO PERO’ DIMENTICARE CHE AFFONDA LE SUE RADICI NELLA STORIA E TRADIZIONE GIAPPONESE, PORTANDO CON SE TUTTE LE PECULIARITA’ CULTURALI ED ARTISTICHE DI ORIGINE. NEL SUO PRECISO E RICERCATO RESOCONTO CI ILLUSTRA GLI ANTICHI USI PRATICI A CUI ERA DESTINATO… E, NON ULTIMI, ANCHE QUELLI “SPIRITUALI” E RELIGIOSI.

i tamburi giapponesi

Di: Franco Piccirilli
foto tratte da "Kodò - Live at the Acropolis" DVD Sony Entertainment 1995

Un’antica leggenda ci introduce e ci fa scoprire le possibili origini del… Taiko.

In un remoto passato, il dio dell’uragano Susanowo-no-Mikoto decise di lasciare la propria dimora per andare a devastare la terra. La sua collera impetuosa sconvolse anche la sorella, dea del sole, Amaterasu Ohmilkami, che, terrorizzata, trovò rifugio in una caverna davanti al cui ingresso fece rotolare un pesante masso e si ripromise di non uscire più da quel rifugio.

Così calò sul mondo un buio totale che favorì l’uscita dai loro nascondigli dei diavoli i quali, con la protezione del buio, poterono girovagare indisturbati sulla terra. Tutti gli dei della terra e del cielo capirono che ogni forma di vita sarebbe stata irrimediabilmente condannata se la dea del sole non fosse nuovamente uscita dalla caverna in cui si era rifugiata. Così andarono davanti all’entrata della caverna per cercare di far ragionare la dea, pregandola e infine arrivando addirittura a minacciarla. Sembra che alla fine fossero riusciti a spostare l’enorme masso che ostruiva l’entrata alla caverna, ma la dea non voleva saperne di uscire. A questo punto pareva davvero che tutto il creato fosse destinato a soccombere sotto le ire del dio della tempesta e a quanto egli aveva scatenato.

Gli dei non sapevano che fare e, mentre cercavano una soluzione per convincere la dea del sole ad uscire, si fece largo in mezzo a loro Ame-no-Uzume-no-Mikoto. Questa era una piccola dea, ormai vecchia e piena di rughe che dichiarò davanti a tutti che sarebbe riuscita a far uscire Ameterasu dalla caverna. Naturalmente gli dei più potenti la guardarono con superficialità, sogghignando per le dichiarazioni di quella piccola e insignificante dea.

Ma questa non si perse d’animo, sorrise loro e si avviò verso una enorme botte di sakè, la capovolse e ci saltò sopra, iniziando a danzare selvaggiamente, quasi senza controllo. I suoi piedi si muovevano freneticamente sulla botte di sakè, con un ritmo martellante, producendo un forte e violento suono che mai si era sentito prima. Quel ritmo frenetico cominciò a coinvolgere anche gli altri dei, tanto che in breve tempo tutti i presenti avevano cominciato a muoversi, a ballare e cantare, trascinati da quei suoni e ritmi incalzanti della dea Ame-no-Uzume-no-Mikoto.
Quel suono così forte si propagò per tutta la terra, tanto che Ameterasu Ohmikami, la dea del sole, non poté fare a meno di affacciarsi dalla caverna e, vedendo tutti quei volti gioiosi, ritornò sulla terra ridandole finalmente la luce. Susanowo-no-Mikoto, il dio della tempesta, fu esiliato.

E così nacque la musica Taiko.

Questa fantastica storia sembra sia stata tratta dal Nihon Shoki, una cronaca giapponese del 7° e 8° secolo d.C..

Naturalmente la storia è puro mito, ma dietro ogni mito c’è sempre una verità. Un significato di questa storia potrebbe essere che il Taiko ha il potere di dare gioia e quando c’è gioia non può esserci collera.

In merito alle vere origini del Taiko, penso sia più realistico affermare che non sono chiare, ma sicuramente si perdono in tempi antichissimi.

Sembra che in molti popoli primitivi il tamburo sia stato lo strumento musicale più diffuso. Possiamo pensare anche che venisse utilizzato come mezzo di comunicazione tra i villaggi. Tuttavia sono certo che vi siano anche altri motivi della sua diffusione.

Nella tradizione giapponese, così come forse anche in altre tradizioni antiche, il tamburo va oltre quello che potrebbe sembrare uno mero strumento musicale. Ad esso sono legati miti e tradizioni antichissime.

Con il termine “Taiko” viene indicato uno stile di percussione di origine giapponese. Letteralmente Taiko indica un grosso tamburo (vedi la botte di sakè di Ame-no-Uzume-no-Mikoto), ma esistono varie tipologie di Taiko e varie misure.

Il termine "Taiko" in generale è spesso usato anche per rappresentare la relativamente moderna arte del Giappone dei tamburi (kumi-daiko). Infatti, mentre diversi tipi di Taiko (tamburi) vennero usati in Giappone per oltre 1.400 anni, lo stile del Taiko che oggi conosciamo ha una breve storia iniziata appena negli anni '50.

Per il Giappone il Taiko rappresenta qualcosa di intimamente e profondamente legato alla propria cultura e quindi alla propria tradizione.

Si dice che il potente suono di questi tamburi sia simile al tuono e che addirittura possa giungere nel cielo, là dove dimorano gli dei (kami – divinità). Anche il materiale con cui sono costruiti i tamburi, il legno, è parte di quella natura, di quel sacro essere di cui anche l’albero stesso si compone.

Questo potrebbe anche spiegare uno dei motivi per cui fin dai tempi antichi il tamburo sia stato parte importante di cerimonie di vario tipo, da quelle religiose a quelle legate a riti per la fertilità della terra e i prodotti che da questa venivano. Ma anche feste sociali in cui gli uomini godevano della vita, ma sempre e comunque in comunione con le divinità.

Inoltre il Taiko veniva utilizzato anche in battaglia per spaventare i nemici, oltre che per incitare, dare forza e vigore all’esercito. Altre fonti  riferiscono che il Taiko veniva usato sul campo di battaglia per far udire gli ordini anche a grande distanza.

Oggi tutte quelle condizioni e motivazioni contenute nei riti e nelle feste stanno forse scomparendo o si sono ridotte notevolmente. I giapponesi, legati da sempre alle antiche tradizioni, continuano però a celebrare questi riti, nei quali il Taiko rimane parte rilevante.

In questi ultimi tempi si sta verificando una riscoperta di queste origini e tradizioni antiche, quindi anche il Taiko torna ad acquisire nuova importanza.

Recentemente, inoltre, si sta diffondendo anche una nuova corrente di musica per percussioni chiamata sôsaku Taiko ("Taiko creativo") in cui si possono avvertire influenze occidentali, specie provenienti dal jazz, producendo una mescolanza di suoni suggestivi che incantano e trasportano l’ascoltatore, catturando la sua attenzione per tutto il tempo dello spettacolo.

Negli ultimi cinquant'anni, da quando si è riscoperta l’arte del Taiko, si è avuto anche un enorme incremento di scuole di Taiko: sembra che abbiano addirittura raggiunto gli ottomila gruppi sparsi in molte città.

Infatti spettacoli di sole percussioni stanno riscuotendo sempre più successo, non solo in Giappone ma anche all'estero dove, anzi, sta diventando il genere di musica "tradizionale" giapponese più conosciuto.

   

Alcuni spiegano questo successo con il fatto che il suono ritmato del tamburo ricorda il battito cardiaco della madre percepito dall’interno del suo grembo. Questo accomuna tutti gli esseri umani che di fronte al suono del tamburo non possono che emozionarsi e inconsciamente tornare indietro nel tempo, forse proprio a quel periodo della vita in cui si percepisce protezione e calore. Addirittura si potrebbe pensare di poter tornare ad essere… bambini. Bambini inteso qui come purezza, come non-contaminazione da parte del mondo e dei suoi condizionamenti. Quella purezza che forse semplicemente vive nel momento presente e non prima o dopo: adesso. Sembrerebbe essere questa la felicità…

Oggi il Taiko, come ho detto, è diventato essenzialmente una forma di spettacolo e, pur ritrovando sonorità tradizionali, ha risentito dell’influsso di altre culture, soprattutto quella occidentale.

Questi spettacoli vengono rappresentati da un numeroso gruppo di percussionisti che, proprio per la varietà dei tamburi, danno luogo a coreografie esaltanti ed emozionanti di sole percussioni.

La posizione del percussionista, così come la misura e la forma del tamburo sono varie e particolari. Ci sono diverse posizioni del percussionista forse quanti sono i tipi di tamburo, i principali dei quali sono:

  • O-daiko: è il tamburo che produce il suono più forte e più basso. La cassa è di legno di canfora, di zelkova e di quercia; la pelle di cavallo o di mucca è fissata da fermi alla cassa del tamburo. Il suo diametro è tra i 40 e i 90 centimetri, l'altezza può variare da 50 centimetri a un metro. Il tamburo può essere posato a terra o su un piedistallo. Come ci sono diversi tamburi, così ci sono diversi tipi di bacchette con cui percuotere il tamburo per produrre suoni differenti.

  • Chu-daiko: è un tamburo di media grandezza, ma ha la medesima forma dell'O-daiko.

  • Shime-daiko: è un tamburo che emette un suono acuto. La pelle è tesa da corde che s'intrecciano intorno alla cassa del tamburo (del diametro di 30 centimetri e dell'altezza di 15) in legno di zelkova e pino. Le bacchette sono di legno di magnolia e cipresso giapponese.

Ma quello che forse impressiona e che cattura il pubblico, è il modo con cui il Taiko viene percosso.

E’ l’energia del percussionista che trasmette particolari sensazioni. Sembra che egli parli al Taiko o meglio che parli attraverso il Taiko. Parlare di quello che sente, di come sente. Così trasmette attraverso il suono, attraverso la percussione, le sue emozioni, il suo gioire, in un fluire di suoni prodotti dal martellare delle bacchette sulla pelle del tamburo. Ora rapido ed energico, ora lento e dolce… Ecco che la percussione diventa comunicazione interiore, quella comunicazione interiore che ritorna ad essere battito cardiaco.

Forse quel battito, quel pulsare non è poi così diverso dal ritmo della vita, dal ritmo delle nostre intime pulsioni: ci fa ricordare e forse prendere consapevolezza che potremmo anche essere proprio e soltanto quello… pulsione di vita.

A questo credo si possa legare anche la danza, come espressione del sentire quel ritmo dentro di noi e del muoversi in armonia con quel ritmo.

Ecco che i percussionisti di Taiko, sembrano danzare con lo strumento o meglio si fondono con lo strumento, diventando strumento del ritmo, loro stessi sono il… ritmo.

Può la mente in quanto pensiero voler esprimere il ritmo, quel ritmo? Credo che possiamo sentire il ritmo della vita solo se siamo liberi dal pensiero. Altrimenti quello che sentiremo sarà solo… rumore, forse piacevole ma solo rumore. E il rumore è qualcosa che spesso dà fastidio. Simile al conflitto interiore con cui spesso siamo costretti a convivere, o forse crediamo di essere costretti…

       

La libertà di cui parlo non è quella dei diritti della persona, ma qualcosa che va oltre la persona, che è parte dell’essere… ciò che sentiamo.

L’acqua non ha forma eppure essa è tutte le forme, così forse anche il nostro Essere non ha forma, non ha schemi sociali, regole, condizionamenti, ma l’Essere li comprende tutti, per questo non può essere limitato in nessun schema. E il pensiero per sua natura è limitato, in quanto è esso stesso il risultato di uno schema.

Forse per gli antichi il Taiko era il mezzo per andare oltre il limite terreno (gli schemi, i condizionamenti, le regole morali e culturali di ogni società) per raggiungere attraverso il suono prodotto dalla percussione quello che loro chiamavano cielo, dimora degli dei, ma che potremmo anche intendere come quella libertà di espressione che sembra ci venga negata in questo mondo, quella libertà che invece non ha limiti e quindi può arrivare là dove il pensiero non vede… oltre il cielo, verso gli dei, verso l’infinitamente intimo.

Probabilmente quel suono prodotto dalle percussioni ci fa tornare, anche se solo inconsciamente, ad essere integri, cioè a ritrovare quell’unità indivisibile che siamo, non negando quello che sentiamo di essere.

Il ritmo ci fa sentire semplicemente liberi e puri, vivendo quei momenti profondamente uniti al tutto… così in terra come in cielo… empaticamente assonanti con l’universo. Quindi forse si potrebbe anche intuire e sentire il ritmo come… Vita, e se la Vita siamo anche noi, allora anche noi siamo il ritmo della Vita.

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