ECCOVI UN ARTICOLO DEL DOTT. ERMANNO VISINTAINER CHE VI
TERRA’ LETTERALMENTE INCOLLATI AL VIDEO, CATTURANDO LA VOSTRA FANTASIA ED
IMMAGINAZIONE … MENTRE FARETE LE SUE STESSE BELLISSIME ESPERIENZE, RICCAMENTE
PERMEATE DI SPIRITO AVVENTUROSO.
L’ascensione della Montagna Sacra
Di: Dott. Ermanno Visintainer
Tratto da:
Mongolia,
luglio 2006.
Primo corso di massaggio thailandese organizzato in questo
paese dagli orizzonti infiniti.
Una breve premessa, onde spiegare al lettore le motivazioni
che ci hanno indotto ad affrontare un’esperienza apparentemente così originale.
Innanzitutto questo progetto scaturisce dall’idea stessa che
presiede alla creazione del nostro sito:
www.al-thai.com, evocataci in primo luogo dalla fortuita assonanza tra l’etnonimo
thai, e l’oronimo altai, questo imponente sistema montuoso, che si sviluppa
proprio nel centro geografico dell’Asia, costituendo il confine naturale tra
Khazakhstan, Mongolia e Cina.
Quindi dal tentativo, esposto in altri scritti, di coniugare
in un accostamento ideale le due prospettive morfologico-geografiche: quella
mongola, prettamente continentale, algida, simbolicamente legata
all’inviolabilità ed alla ieraticità delle vette e agli strati superiori
dell’atmosfera su cui risiedono divinità uraniche come Tängri, Kara Khan (Khairakhan)
e Bay Ülgen, e l’altra, quella thailandese, legata in antitesi alla qualità
cosmica dell’acqua, alla mutevolezza dell’elemento liquido, alla sacralità delle
acque e alle civiltà del Sud-Est, all’area del Pacifico ed agli spiriti
Nāgas.
Riguardo al massaggio, non che esso in Mongolia rappresenti
un’anteprima assoluta, esistono beninteso, ad Ulaan Bataar, centri, saune,
ambienti in cui lo si pratica da tempo. A dire il vero, però, in maniera
alquanto spuria. Le massaggiatrici che praticano il massaggio thailandese
affermano di averlo appreso in Cina, paese del resto dove, a dispetto di una
forte tradizione autoctona di Anmo e Tuina, esso sta ridestando una notevole
risonanza.
Di certo non vi si può trovare nulla di simile e di completo
come la sequenza proposta all’interno del programma formativo della Sunshine
Network, la scuola dello scomparso maestro di fama internazionale,
Asokananda, ai cui principi, essendone i rappresentanti, ci ispiriamo anche
noi.
Atterrati in Mongolia all’aeroporto Chinggis Khan, dopo aver
attraversato la capitale di questo affascinante paese, immersa nella frenesia
dei preparativi per l’allestimento dell’ottocentesimo anniversario della
fondazione dell’Impero Mongolo, ci dirigiamo verso una valle situata nelle
vicinanze di Ulaan Baatar e ci insediamo presso l’abitato di Gachuurt, nel
campeggio attrezzato con le ger o yurte tradizionali di Shin Mongol-Nuova
Mongolia, dove siamo accolti dalla proprietaria Chodmaa.
Il paesaggio è incantevole, incastonato in una cornice di
rilievi montuosi, ammantati di un’erba verdissima che sembra quasi muschio da
presepe. Il giorno stesso iniziamo quindi il corso di Thai massage, lambiti da
un’amabile brezza che pare quasi darci il benvenuto.
Le lezioni poi proseguono nelle lunghe giornate dell’estate
mongola, abbacinate da una luce boreale, che si protrae fino quasi alle undici
della sera, con una condizione termica che ti impone di indossare il maglione
durante la mattina, salvo poi risalire con impennate che raggiungono i trenta
gradi nel pomeriggio, interrotte da improvvisi acquazzoni che non bagnano la
terra più di tanto. Un monte si staglia maestoso, imponente davanti al nostro
campo.
Essendo così costantemente avviluppati da quella magica
atmosfera, accresce in me e nel resto del gruppo un’irrefrenabile attrazione
verso quel rilievo montuoso. Rimaniamo come ammaliati da una sorta di fascino
che quella montagna emana, sembra quasi che ci chiami, c’inviti a relazionarci
con essa. Elaboriamo così a poco a poco la decisione di fare un'escursione fino
alla sua sommità, scevra ovviamente da velleità alpinistiche, con l’intento
piuttosto di onorare l’-Ezen-, ovvero il Nume tutelare, il potente Spirito
padrone di quel magico luogo.
Un giorno chiedendo a Chodmaa informazioni sul rilievo scopro
che il suo nome è Bogd Uul-Bgda AAgola, ovvero in mongolo: Montagna Sacra.
Lì per lì in conformità a quella sorta di accostamenti che
nella nostra mente scaturiscono sulla scia dei pensieri associativi, tale nome
evoca automaticamente in me immagini tratte dal vecchio, omonimo film di
Alejandro Jodorowski: “La Montagna Sacra”. Un film veramente suggestivo in cui,
attraverso i simbolismi più disparati, con il suo inconfondibile stile onirico,
Jodorowsky conduce lo spettatore verso un percorso iniziatico sui generis.
Subito dopo però facendo mente locale rinvengo nella mia
memoria un riferimento a quel nome, e non mi pare vero di trovarmi proprio lì di
persona, in quello stesso luogo. In conformità a letture fatte, la capitale
della Mongolia, Ulaan Baatar, fondata quasi quattrocento anni fa nella posizione
attuale; già prima di allora era considerata un luogo spiritualmente potente. La
città è ubicata in una vallata circolare, cinta da quattro montagne sacre che
sono onorate in tutta la Mongolia: il Bogd Uul, la Montagna Sacra a sud, il
Songino Khairakhan, ad ovest, il Chinggeltei a nord e il Bayanzurkh ad est. Bogd
Uul è la dimora dell’uccello del tuono, il Khan Garid, l’uccello Garuda di altre
tradizioni, l’ongon ornitomorfo che può coprire con le ali la distanza fra il
sole la luna e volare nello spazio.
Il luogo, inoltre, è già stato in passato, mèta di raduni
sciamanici. La posizione della città, situata in questo cerchio fra quattro
montagne sacre, una per ciascuna delle quattro direzioni, assicura la protezione
e le benedizioni di tutti gli spiriti che risiedono in questo luogo
spiritualmente molto forte.
Così quella sera, all’imbrunire, con il cielo un po’coperto,
memore delle mie precedenti esperienze sciamaniche, invito i miei compagni di
viaggio nell’unirsi a me per compiere alcune offerte rituali nella cavità di un
albero abbattuto da un fulmine, che si trova proprio nelle vicinanze del campo,
chiamato in mongolo ongon mod. Un luogo questo particolarmente propizio, in
quanto ancora pregno della ierofania di Tenger, la massima divinità uranica del
pantheon sciamanico.
Così dopo aver eseguito alcune aspersioni di latte e vodka,
notiamo sopra di noi il cielo aprirsi, le nubi diradarsi e disporsi in una forma
circolare quasi fosse una sorta di anfiteatro celeste, quindi allargarsi sempre
di più, fino a comprendere tutta la sezione di cielo a noi visibile. Bene
-allora dico io- ciò significa che abbiamo stabilito il nostro primo contatto
con il mondo degli spiriti mongoli. Tenger ha accolto le nostre preghiere e ci
invita ad ascendere il sacro monte.
L’indomani c’incamminiamo, ma la nostra piccola spedizione
non è del tutto scontata, sebbene il monte non presenti alcuna difficoltà
alpinistica e si trovi ad un distanza che noi approssimativamente valutiamo in
un’oretta di marcia. Il primo scoglio che ci si presenta è costituito da un
particolare che in Europa sarebbe fra le ultime cose da prendere in
considerazione: tra noi e la montagna ci separa il corso del fiume Tuul che
scorre verso Ulaan Baatar; tuttavia pur chiedendo alla gente informazioni non
risulta esistere nella zona alcun ponte che lo attraversi.
Così l'unica cosa che ci resta da fare è quella di guadarlo,
come del resto là fanno molti, ma, considerando la nostra totale inesperienza di
fronte ad un tale imprevisto accidente, nonché il timore di far cadere i nostri
zaini tra i flutti della corrente, siamo piuttosto disorientati e così ci
mettiamo alla ricerca di un guado senza grosse difficoltà.
Scegliamo di attraversare il fiume in un punto in cui,
qualche giorno prima, abbiamo scorto alcuni bagnanti che lo facevano. Ci
mettiamo in costume da bagno, solleviamo in alto gli zaini contenenti macchine
fotografiche e documenti, quindi poniamo il primo passo nelle gelide acque del
fiume e procedendo con il piede più aderente possibile al fondo sassoso e
sdrucciolevole, onde non essere travolti dalla corrente.
Ad un certo punto sento mancare il terreno sotto i piedi e
per un istante ho un timore di cadere ed essere travolto dai flutti, ma poi mi
riprendo riuscendo a guadagnare la sponda opposta. Lo attraversiamo tutti però,
una volta giunti di là del fiume, ci accorgiamo di trovarci su di un'isoletta
spartiacque; perciò rimane un altro tratto di fiume da guadare, cerchiamo quindi
un altro passaggio che però non riusciamo a trovare, e pertanto nasce nel gruppo
una tacita intenzione di abbandonare l'impresa.
Camminando fra la vegetazione si trova un po’di tutto,
soprattutto ossa, resti di animali, fra cui un cranio di bue. All’improvviso
sull'altra sponda del fiume notiamo alcuni nomadi con i loro armenti ai quali
chiediamo dove si trovi un altro guado. Ci fanno cenno di proseguire e così
andiamo avanti finché notiamo due persone che attraversano il fiume in groppa al
loro cavallo in un punto preciso e così anche noi entriamo in acqua seguendo
quel passaggio.
Colmi di soddisfazione raggiungiamo l’altra sponda, il nostro
entusiasmo aumenta: è già stata una grande esperienza, un modo per metterci alla
prova con le forze della natura, impresa che in Europa non sarebbe stata usuale.
Proseguiamo la nostra marcia, tra noi e la montagna ora si estende un pascolo
che poi diviene alpeggio.
L'erba ci appare familiare: emana un forte profumo di
artemisia, quindi scorgiamo del tarassaco, bardana ed equiseto e poi altre
varietà a noi sconosciute; attraversiamo frequenti chiazze di sabbia che
evidenziano la prossimità dei grandi deserti. Oltrepassiamo un ruscello,
intravedo la presenza di un khadag, una sciarpa cerimoniale blu, che ci indica
che il ruscello è una fonte sacra. Allora m'inchino ed eseguo alcune abluzioni
rituali sciamaniche, di dovere, prima di porre il piede sul suolo della Montagna
Sacra. Sul nostro tragitto c'è ancora una mandria di yak e cavalli che pascolano
e di nuovo un piccolo guado che ci separa dai pendii sacri del Bogd Uul.
Finalmente giungiamo alle pendici, ed a questo punto informo
i miei compagni di viaggio che dovremmo scegliere una pietra da portare in
omaggio sull’Ovoo situato sulla vetta del monte, dove dimorano i potenti spiriti
della montagna e l’Ezen il padrone del luogo. Individuiamo un sentiero che
s'inerpica lungo una valle che conduce verso la vetta.
Fa molto caldo il che ci induce a fare una prima sosta. Più
avanti, sul fianco delle pendici notiamo che gli alberi sono tagliati in un modo
che lascia parte del tronco infisso al terreno, creano uno strano effetto,
quasi fossero una moltitudine di paracarri neri. Al contrario di quanto potessi
immaginare, vista la scarsità di vegetazione, lungo il percorso troviamo della
legna secca che raccogliamo allo scopo di accendere un fuoco sacro sulla vetta,
vicino all'Ovoo, per omaggiare gli spiriti.
Di tanto in tanto, soprattutto in prossimità di biforcazioni
del sentiero, scorgiamo dei Khadag cinti attorno agli alberi, quasi a voler
ulteriormente ribadire la sacralità del luogo.
Giunti su uno dei colli prossimi alla cima, dobbiamo uscire
dal sentiero per guadagnarci la vetta, quindi ci inerpichiamo sul fianco della
montagna fino a giungere ad un crinale da cui si può ammirare l'intera vallata,
la vista spazia svelandoci un panorama mozzafiato che si estende fino alla città
di Ulaan Baatar.
Ci arrampichiamo ancora lungo la ripida salita, allorché
staccatomi dal gruppo, avanzando più spedito riesco a scorgere l'Ovoo situato
sulla cima del Sacro Monte, attorno alla quale volano in circolo alcune aquile
che sembrano delle sentinelle, dei custodi dell’ongon ornitomorfo, il nume
tutelare della montagna stessa, il Khan Garid.
La scena mi pare in senso letteralmente etimologico di buon
auspicio (dal latino avis specio, ovvero guardare gli uccelli, pratica di
derivazione etrusca).
Raggiungo per primo la vetta, trafelato e alquanto
disidratato ma l'emozione è grande. L’Ovoo mi si concede in tutta la sua
maestosità e sacralità, avvolto dai khadag azzurri si staglia imponente verso il
cielo blu, mentre un blocco granitico, raffigurante la testa di un leone, mi
fissa imperterrito e minaccioso.
Subito m'inchino verso l’Ovoo in segno di rispetto e comincio
ad aspergere vodka e latte sulle sue antiche e ruvide pietre. Poi mi siedo un
attimo per aspettare gli altri, li vedo arrivare anch'essi esausti, dopodiché
cominciamo insieme ad officiare i tre giri rituali, aspergendo vodka verso l’Ovoo.
Quindi offriamo il latte, riso, tabacco, ed altro, quindi vi poniamo la pietra
raccolta alla base della montagna.
Dentro di me provo un turbinio di emozioni così intense, dopo
essere già stato in Mongolia un paio di volte e dopo lunghi anni di frementi
quanto intense aspettative, posso finalmente realizzare il mio sogno: officiare
un rito su una vetta sacra di questo mitico paese. L'unica cosa di cui sono
dispiaciuto è di non avere presso di me tutti gli attributi necessari all'uopo,
la sola cosa che indosso è la khamgalal, la maschera sciamanica che copre il
volto.
Dopo le offerte rivolte all’Ovoo, là vicino, sui resti di un
precedente fuoco sacro, con la legna che abbiamo portato a mano fin su la cima,
accendiamo il nostro. È il mio primo fuoco sacro in Mongolia. Quindi ripetiamo
il rituale delle offerte di tabacco, vodka ecc., per il potente e primigenio
Ezen, il padrone di questo luogo sacro.
Anche qui provo un leggero senso di vertigine, di ebbrezza
sacra ed estatica che s'impadronisce della mia mente raziocinante. Mi distacco
da tutto quanto mi circonda, avverto un forte calore che mi pervade e mi sento
proiettato al centro dell’universo. Dal cuore della sua dimora intuisco la
presenza del potente Ezen, verso cui, formulandolo mentalmente, invio il mio più
sincero ed intimo atto d’ossequio. Mi rammarico che il buio della notte, o
quantomeno l’imbrunire, non mi avvolgano nel loro manto d’oscurità, facendo
risaltare meglio i bagliori ed i colori delle fiamme, perché questi sono i
momenti in cui riesco a percepire, in maniera più distinta certe presenze
numinose. L’esperienza è breve ma intensa.
Alla fine ci sediamo in un punto da cui si può ammirare la
vallata, mangiamo qualcosa prima di iniziare la discesa che si prospetta molto
ripida. Infatti mette a dura prova le nostre gambe indolenzite, tuttavia
raggiungiamo abbastanza rapidamente la base del monte. Una volta raggiunta la
zona pianeggiante però ci troviamo di fronte al solito problema del guado.
Purtroppo, essendo venuti giù qualche chilometro più in là ristretto al punto da
cui siamo saliti, dobbiamo trovare un altro passaggio attraverso cui l'acqua del
fiume ci permetta di superarlo senza far cadere le nostre cose della corrente.
Cerchiamo ma invano, così dopo un po', esausti e disidratati
a malincuore chiediamo ad un gruppo di giovani che stanno facendo un picnic nei
dintorni, se con un appropriato compenso, ci accompagnano fino al campeggio, con
la loro macchina.
Dopo una breve trattativa, i ragazzi accettano di
accompagnarci e così quello che sembra essere un modo un po' compromettente di
concludere una giornata tanto fantastica, alla fine si rivela essere un'altra
avventura dentro l'avventura.
All'improvviso la strada si trasforma in un’qualche cosa che
cozza contro le nostre coordinate di ciò che noi concepiamo che essa sia. C'è di
tutto: sassi, buche, curve improvvise, fossati e soprattutto molti guadi nel
fiume, che affrontiamo con il fiato in gola, nel timore di rimanere bloccati
dentro il flusso della corrente.
Dopo alcuni chilometri arriviamo finalmente alla strada
asfaltata, quindi all'unico ponte esistente ed in un baleno, tramite
quest’ausilio tecnologico che è l’automobile veniamo nuovamente proiettati nella
modernità, ci risvegliamo da quel percorso a ritroso nel tempo e nello spazio,
che abbiamo fatto sulla vetta sacra, e velocemente raggiungiamo il nostro
campeggio.
Una volta arrivati però, consapevoli di aver vissuto
un’esperienza molto particolare e coinvolgente, rivolgiamo ancora una volta il
nostro sguardo verso il monte, stanchi ma soddisfatti e colmi d’entusiasmo, ci
rallegriamo di aver trascorso una giornata così straordinaria.
-A distanza di qualche mese, sia a me che agli altri, il
ricordo di quest’emozionante giornata non appare affatto sbiadito bensì si
ripresenta fulgido nella mente, quasi a volerci rammentare la sua eccezionalità
e sacralità.-
L’AUTORE: Chi è Ermanno Visintainer?
Asokananda's
Authorized Teacher senior della scuola: “The Sunshine Network”
vd.
http://thaiyogamassage.infothai.com/thaimassage.html
Nato in Italia nel 1961,
laureato in Lingue Orientali all'Università di Venezia, con il massimo
dei voti, è un’orientalista eclettico ed appassionato, con un’autorevole
formazione universitaria alle spalle. Dal 1981 pratica Kung-Fu, Aikidō,
Tai Chi Chuan, Chi Kung e attinenti tecniche di meditazione. Nel 1986,
analogamente alle arti marziali, si interessa alle varie tecniche del
massaggio. Durante un viaggio in Thailandia, si accosta, per la prima
volta, al massaggio tradizionale thailandese, il Nuad Borarn, verso il
quale avverte un immediato e profondo coinvolgimento. In Italia,
intraprende il percorso di formazione e di studio riguardante varie
tecniche inerenti sia al massaggio che alla medicina naturale, che porta
a termine nell'anno 1991, con il conseguimento del Diploma triennale in
medicina naturale ed iridologia, presso l'”Accademia Galileo Galilei”, a
Trento. Nello stesso anno ritorna in Thailandia dove, non dimentico del
fascino, nonché dell'originalità, del massaggio thailandese, si dedica
allo studio del Nuad Borarn e all’approfondimento dei segreti di
quest’antica arte. Segue i programmi di varie scuole ed alla “Foundation
of Shivago Komarpaj” presso l'Old Medical Hospital di Chiang Mai, nel
nord della Thailandia, consegue il diploma.
Al
suo ritorno in Italia comincia a praticare il massaggio Nuad Borarn e
nel 1994 diviene allievo ed amico di
Asokananda (Harald Brust), l'esponente di maggior rilievo a livello
internazionale di questa disciplina e autore di vari libri
sull'argomento, precursore e leader del Thai Yoga Massage in Occidente.
Nel 1997 consegue il “Certificate of Achievement” per il livello di
Istruttore autorizzato della scuola di Asokananda, la “International
Society for Traditional Yoga And Thai Massage”, con sede a Chiang Mai,
in Thailandia, e insegna il Nuad Borarn in numerosi corsi di formazione,
sia in Austria che in Croazia e in Italia. Nel 2003 su invito di
Asokananda, trascorre un lungo periodo in Nuova Zelanda, presso la
TYMANZ - “Thai Yoga Massage Association of New Zealand” di cui è membro,
e nelle città di Auckland e di Rotorua, dirige l'attività di
insegnamento per conto della succursale neozelandese. Attualmente
risiede tra Italia e Mongolia, paesi in cui pratica ed insegna il Nuad
Borarn. È Vice presidente e Direttore Tecnico nonché socio fondatore di
A.T.T.Y.M.I. l’Associazione di Thai Yoga-Massage Tradizionale Italia
Sul nuovo sito di Ermanno
www.al-thai.com
mailto:ermanno@al-thai.com troverai altre informazioni interessanti.
Dott. Ermanno Visintainer
- Pergine Valsugana, Trento -
erenvis@yahoo.it
Asokananda's Authorized Teacher senior
ermanvis@al-thai.com -
tel: 00393407667936 |
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