CRISTINA RADIVO, L’ULTIMA PERSONA ENTRATA (CON
NOSTRA GIOIA) AD AGGIUNGERSI ALLA SCHIERA DEI NOSTRI COLLABORATORI, (DOPO IL
BELLISSIMO ARTICOLO INVIATOCI SUL THAI MASSAGE) VISTA LA NUOVA SEZIONE
DA NOI APERTA SU “VIAGGI E CULTURA”… CI INVIA UN BREVE ARTICOLO SCRITTO
DA UNA SUA AMICA, IN OCCASIONE DEL SUO ULTIMO VIAGGIO NEL SUD-EST ASIATICO,
SPERANDO DI VEDERLO PUBBLICATO SULLA NOSTRA RIVISTA ELETTRONICA. (visita
www.waithai.it)
UNA “PUNTATINA” IN: MALAYSIA
Di: Clelia Fiano
Ma tu lo sai che le stelle non
esistono? Tu le vedi lì, ma loro già non ci sono più. Sono la luce di
qualcosa che è avvenuto tanto tempo fa. E così forse con i ricordi. Sono cose
vissute in passato che riaffiorano. Così come questo breve ricordo del viaggio
che ho fatto questa estate “a zonzo” per 40 giorni tra il nord e il sud
della Thailandia (e la Malaysia) tra villaggi tribali e isole…
Dal diario di viaggio: 10 Agosto 2004
…
“Tra un pò ci aspetta Ko Samui, un’isola che dicono sia molto turistica e
quindi poco affascinante perché ha perso la sua autenticità. Ci riserviamo di
visitare anche le altre isole dell’arcipelago (Ko Pha Ngan e Ko Tao), dopo una
sosta d’un paio di giorni. Ora abbiamo proprio bisogno di relax. Il contrasto
con la Malaysia è stato molto forte. Siamo partiti da Chang Mai in aereo. Scalo
a Bkk e coincidenze per Hat Yai. Da lì avremmo voluto prendere un pullman per
Narathiwat, villaggio di pescatori del sud, per una tappa di un giorno, e poi
scendere fino alle isole Perhentian in Malaysia. Ma arrivati all’aeroporto di
Hat Yai, dopo varie difficoltà per raggiungere la città da cui speravamo di
trovare il pullman, il conducente di un furgoncino di non so quale compagnia
(qui funziona così, si ingegnano con tanto di cartelli e biglietteria per
strada… e ti portano ovunque) ci ha informati che c’erano stati degli
scontri al sud e ci ha consigliato di proseguire per il confine e di puntare
direttamente alle isole. Siamo così saliti sul furgoncino con la gente del
luogo, e via… Ci siamo voluti fidare del conducente (che tra l’altro parlava
un ottimo inglese), anche perché non avremmo saputo cosa fare altrimenti. E
abbiamo fatto bene a fidarci. A parte le 5 ore di tragitto e di caldo infernale,
siamo giunti sani e salvi nella città sul confine, Sungai kolok. Abbiamo
cambiato un po’ di dollari con la valuta malese, e abbiamo salutato il nostro
amico. Alle 19 varcavamo a piedi il confine malese. E’ stata una sensazione di
forte soddisfazione. Un’altra tappa del viaggio. E con non pochi imprevisti,
tra cui una difficile contrattazione con il tassista. Superato il controllo
passeggeri abbiamo raggiunto l’altra parte della frontiera. Ormai buio,
abbiamo preso il primo taxi che ci ha condotto in un’ora a Kota Baru. Lungo il
tragitto abbiamo scoperto che la Malaysia ha un’ora in più della Thai, e quindi erano già le
otto di sera. Abbiamo così accettato il consiglio del tassista che ci ha
condotto in una modestissima guest house (ricordo che abbiamo dormito nei
villaggi tribali nella giungla che al confronto sembravano l’Hilton hotel).
Abbiamo poi scoperto che era un alloggio suggerito dalla Lonely Planet (ma?), e
che almeno era al centro città e il proprietario era una persona molto
disponibile. Ci ha prenotato il traghetto per l’indomani per le isole
Perhentian.
Dopo una doccia scendiamo a fare un giro dell’isolato. Tutto chiuso. Troviamo
aperto solo il Seven- eleven. Vogliamo bere una birra, dopo questo lungo
tragitto tour de force iniziato dal nord della thai e terminato al nord della
Malaysia in 12 ore. Ma tutto è rigorosamente musulmano. Al seven non le
vendono. E nell’unico posto gestito da un cinese, non molto lontano da lì…
le birre costano quasi 4 dollari a bottiglia. Rinunciamo e ci dirigiamo alla
guest-house. La sensazione che ci ha regalato Kota Baru al primo impatto
è desolante. Andiamo a dormire con l’immagine di enormi ratti che abbiamo
incontrato nelle strade buie e vuote. Il giorno dopo, di prima mattina, con il
taxi andiamo all’imbarco delle barchette per le isole. E finalmente alle 8
siamo a Kecil. Una lunga spiaggia di sabbia bianca, circondata di bungalow di
paglia, dove si dorme, si mangia e si fa snorkelling. Tutto è ridotto
all’essenziale per un turismo da zaino in spalla, mancano i comforts, non ci
sono vetri alle finestre, la doccia è un optional che paghi caro, e la
convivenza con iguana grandi come gatti, zanzare e sabbia fin sopra al letto…
è la norma. Ma dopo l’esperienza della giungla questo è il paradiso.
“Welcome to Paradise”, ci accoglie un giovane malese nel bungalow
informazioni. Ci sentiamo in un film, anche se a differenza dei film manca il
sottofondo musicale. E’ più forse una cartolina, un bellissimo posto in cui
ti trovi, ti puoi rilassare, ma manca una terza dimensione. Così restiamo lì 3
giorni, ci riposiamo, ci abbronziamo, ritroviamo giovani malesi cordiali come
quelli trovati in Thailandia, ammiriamo pesciolini coloratissimi in un fondale
da piscina, mangiamo barracuda e frutta. Paghiamo a caro prezzo le birre a fine
giornata. E cantiamo sulla spiaggia prima di andare a dormire. Ci manca la
musica. C’è tutto. Colori, caldo, sapori ma manca, manca il ritmo. Così dopo
3 giorni di lento relax decidiamo di risalire. Ci manca l’atmosfera trovata a
Chang Mai. Abbiamo bisogno di sentirci parte di un gruppo. E pensiamo già con
un po’ di nostalgia all’esperienza del trekking, e al gruppo capeggiato da
“Nooi”, la mitica guida del gruppo del trekking nella giungla. Ce ne è
rimasto un bel ricordo.”
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