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UNA VISITA ILLUMINANTEdi: Ennio FalsoniPerché i tailandesi sono così forti nella Muay Thai? E’ una domanda che mi sono posto anch’io. Dato per scontato che la Muay Thai è la loro arte marziale per eccellenza, che quindi ce l’hanno nel DNA, fa parte della loro cultura, è sufficiente per spiegare il loro strapotere, soprattutto nelle categorie sino a 75 chili? Penso di aver trovato una spiegazione nel corso di una mia visita al camp più famoso di Pattaya, quello di Yodtong Senanan. Sotto una grande tettoia, capace di contenere due ring, sul cemento si allenano a piedi nudi molti tailandesi di ogni età e molti “farang” – stranieri – che vengono da ogni parte del mondo e che sono ben accolti in cambio di 20/30 euro al giorno. Tra il folto gruppo di praticanti, mi scappa l’occhio su alcuni ragazzini. Sono giovanissimi, sono bambini. Avranno sì e no 8-9 anni(me lo confermeranno dopo) . Vengono dalle campagne. I genitori li affidano al camp perché diventino “boxers”. Studiano ( non saprei dire con quanto profitto), ma soprattutto si allenano. Due volte al giorno. Footing coi grandi prima di andare a scuola. Poi, una volta tornati da scuola, si allenano in mezzo ai grandi tutti i pomeriggi. Gli insegnanti al camp sono diversi e lavorano tutti insieme. C’è chi si occupa dei piccoli, chi dei grandi , chi dei “farang”. Il sistema è ottimo, perché ciascuno è seguito quasi individualmente ad un certo punto, specie quando viene il momento delle “passate”, ossia quando l’insegnante chiama le tecniche e le combinazioni all’allievo che sta allenando per creargli gli automatismi . I colpi vengono portati con la massima velocità d’esecuzione a bersaglio ( gambe, cosce, addome, tronco, capo) , il maestro è bravo frapponendo i colpitori che impugna oppure lasciandosi colpire sulla protezione che gli copre la pancia e l’addome. Vedere questi bambini tirare al sacco o fare il vuoto è affascinante. Hanno la fluidità che è tipica dei bambini. Tirano senza sforzo apparente e sono armonici, coordinatissimi, cosa difficilissima a quell’età. Ma non per loro. Ma se fino a qui non ci sarebbe alcuna differenza con tanti giovanissimi nelle nostre palestre, ecco che avviene una cosa per me assolutamente inaspettata. Non so se il tutto venga organizzato in mio onore. Ma non credo. Penso che quello cui ho assistito sia una prassi in quel camp come in tutti gli altri. Un insegnante sceglie due bambini. I due bambini vengono fatti entrare in un ring. Gli altri si fermano e guardano, “farang” compresi. I due bambini vengono fatti combattere. Indossano solo due guantoni, due piccoli guantoni, e nient’altro. Niente caschi, niente protezioni al corpo o di nessun altro tipo. Il maestro funge da arbitro centrale, altri due sono i rispettivi coach o secondi dell’angolo. Senza rituali o Wai Kruh, senza la musica che ritma le loro movenze, i bambini cominciano a combattere , a combattere sul serio. Si scambiano colpi duri, sia di calcio che di pugno. Si avvinghiano in clinch furibondi. Hanno una grinta incredibile. Soprattutto quello in pantaloncini gialli. E’ lui che attacca continuamente, nonostante i colpi di sbarramento dell’altro. Viene toccato, e anche duramente , di pugno da quello che sembra più alto e più vecchio, ma lui non fa una piega. Il suo viso resta sempre eguale, avanza senza temere i colpi, piazza calci, pugni , ginocchiate a ripetizione. Finisce la prima ripresa. Era di 5 minuti! All’angolo i rispettivi maestri li massaggiano con dell’acqua fredda, così come fanno sui ring veri al Lumphini o al Rajdamnoen, li incitano, li sollecitano a dare di più. Tutti coloro che si stavano allenando sono ora appoggiati alle corde. Ridono e
urlano i loro incitamenti mentre i due bambini riprendono il loro spietato
duello. Combatteranno per altri lunghissimi e interminabili minuti. Poi, a un
certo punto, l’arbitro centrale li ferma, e sorridendo alza le braccia ad
entrambi decretando l’incontro pari ( ma uno dei due stava quasi piangendo!). dal sito www.fikb.it |