logo ilguerriero.it

Cultura

[ Home ] Precedente ] [ Forum ] [ La bacheca ] [ Ricerca nel portale ] [ Ricerca nel web ] [ Video ] [ Prossimi eventi ] [ Contatti ]

Stampa questa pagina Stampa la pagina

Ci scrive un nostro lettore, incuriosito dai racconti del guerriero. Alek è uno studioso di Alessandro Magno e perdutamente innamorato delle Culture (nel senso onnicomprensivo del termine) dei popoli dalla millenaria tradizione storica (con una predilezione per quelli nord-africani ed orientali – Egitto, Persia, India, Cina). Ci omaggia di uno stralcio estrapolato da un suo libro, per la pubblicazione sulla nostra rivista. Lo ringraziamo sentitamente, complimentandoci con lui per la qualità letteraria di cui mostra di essere capace e siamo ben felici di poter ospitare i suoi lavori sulle nostre pagine elettroniche. I suoi "guerrieri" reali o presunti che siano, potrebbero sembrare essere tutta un’altra cosa dai nostri, ma ogni reale guerriero, non crediamo possa essere poi tanto diverso da tutti gli altri… ed ogni essere è potenzialmente un guerriero. Questi, forse hanno la fisicità e la forma mentis della nostra latitudine del mondo e la loro spiritualità è spesso commisurata alla loro umanità terrena… ma all’umanità terrena delle loro certezze, delle loro convinzioni e dei loro dei.

ALESSANDRO IL GUERRIERO

Di: Alek Laiolo

In groppa alla baia tessala, percorrevo senza sosta il tratto di fiume, come un qualsiasi soldato di pattuglia. Bucefalo si era fatto una sobbattitura all’anteriore destro e marcava vistosamente, dunque era a riposo.

Dafne era uno dei miei cavalli da parata, una femmina giovane, nervosa ed infuocata come tutte le femmine. Era impaziente di rompere al galoppo e si metteva continuamente di traverso, eseguendo mezze impennate e piccoli scarti ed io, grazie alla sua maestosa irruenza, mi mettevo in mostra di fronte ai Persiani. Parevo impetuoso come la puledra, nella mia panoplia lucente, concepita apposta allo scopo di essere riconosciuto dal nemico e tanto aborrita dai miei compagni d’arme, per lo stesso motivo.

Procedevo soffocando gli ardori del mio destriero, per poter osservare meglio lo scenario che mi si prospettava davanti. Facevo calcoli a stima, sulle distanze e sui numeri dell’esercito rivale. Osservavo i particolari dell’ambiente circostante, quali la corrente impetuosa dell’acqua, le rive scoscese di argilla infida, le pareti del Monte Ida a ridosso del Granico, le asperità del terreno dall’altra parte del fiume, la sistemazione delle piante più grandi ed ingombranti per la nostra manovra. In lontananza, il bagliore seducente del metallo delle armi persiane, colpite dai raggi pomeridiani del sole, mi corteggiava rendendomi folle di brama e d’ impazienza.

Avevo fatto più volte avanti ed indietro lo stesso tragitto, poi ero tornato al mio accampamento, avevo affidato il mio cavallo coperto di schiuma ad uno scudiero ed ero entrato sotto la tenda dove i miei generali aspettavano ansiosi di discutere con me i tempi e la strategia dell’attacco. Mi ero tolto l’elmo sovrastato di un cimiero centrale rosso e di due lunghe piume bianche laterali, ma lo avevo tenuto sotto il braccio, come se avessi avuto di lì a poco, l’impellenza di rimetterlo.

    

Sorridendo avevo battuto una mano sulla spalla di Tolomeo ed avevo esordito:

<Non sarà una passeggiata attraversare quel fiume, ma se saremo veloci, la battaglia volgerà a nostro favore, né sono certo!>

Filota con la sua aria perennemente beffarda, aveva avuto l’ardire di chiedermi:

<Te lo ha detto Aristandro, "le cui profezie sempre il Re ama avvalorare"? Le vittime sacrificali erano di buona qualità, dunque?>

Mi ero voltato verso di Lui ed avevo dovuto soffocare la solita voglia di ucciderlo, che mi si scatenava ogni qualvolta apriva bocca:

<No! Ho la vista buona e so contare! Questa volta credo siano meno di noi, trenta, trentacinque mila…>

Avevo ruggito, mostrando il mio disappunto.

Cratero, Tolomeo, Perdicca, Clito, Leonnato, Eumene e Nearco si erano guardati l’un l’altro, in silenzio, oppressi dallo strano presentimento che fossi in procinto di impartire loro l’ordine di prepararsi. Quasi all’unisono, si erano voltati con aria interrogativa verso Efestione, che aveva alzato le spalle, indicando di essere all’oscuro delle mie intenzioni.

Parmenione aveva preso atto del tentennamento di quelli che chiamava ancora "ragazzi" e si era deciso a parlare per primo:

<Perché non ti levi l’armatura e non ti siedi con noi a ragionare, Alessandro?>

Sapendo che aveva intuito i miei pensieri, gli avevo sorriso scoprendo i denti ferino.

<Perché dovrei costringere i miei attendenti a faticare, impiegando un’eternità a spogliarmi, quando fra poco mi servirà di avere addosso tutta la "protezione" possibile?>

Il vecchio generale aveva scosso il capo:

<Lo sospettavo! Non avrai intenzione di attaccare prima dell’imbrunire…>

<Sì, se qualcuno non mi da motivo di ripensamenti!>

Nessuno aveva commentato, solo un brusio aveva agitato i miei compagni, facendomi intuire un tiepido dissenso. Aspettando che qualcun’altro si decidesse a parlare, avevo camminato avanti ed indietro per la tenda, meditabondo, con le mani incrociate dietro la schiena ed avevo alzato lo sguardo una volta sola, su Efestione, che mi aveva sorriso affettuosamente con gli occhi e mi aveva fatto un lieve cenno di diniego con il capo.

    

Avendo appreso il parere del mio alter ego in merito alla faccenda, avevo chiesto l’opinione del generale più anziano, mostrando così giudizio di fronte ai veterani:

<Cosa mi consiglia, dunque, Parmenione, il padre di tutti noi?>

<Di far riposare i tuoi uomini, che oggi hanno marciato per quasi dieci miglia.
Di far riposare i tuoi generali, perché il Granico è largo solo venti metri, ma la discesa e la salita dei suoi argini è difficoltosa, le sue rive d’ argilla melmosa sono un’autentica trappola per cavalli e truppe pesantemente armate. Perché dietro la prima linea dei Persiani, sono schierati i ventimila mercenari greci di Memnone, pronti a scattare in avanti appena scoppierà l’attacco ed a farci a pezzi, guidati dal furore di un odio cieco contro i Macedoni. Perché data la conformazione del campo di battaglia, i tuoi Eteri non potranno caricare e non si potranno usare neppure le sarisse. Per tutti questi motivi, che tu hai già sicuramente considerato, i tuoi comandanti dovranno essere ristorati, lucidi e scattanti per poter guidare il tuo esercito alla vittoria. Infine, se me lo permetti, ti consiglio come avrebbe fatto tuo padre Filippo, di far riposare il tuo spirito, giovane Alessandro, perché mi sembri troppo eccitato ed il tuo sprezzo del pericolo è noto a tutti noi…
>

Non vi era stata alcuna polemica con Parmenione, né io mi ero comportato in maniera presuntuosa ed irragionevole, come il nipote di Aristotele aveva scritto arbitrariamente nella sua cronaca. Non avevo mai avuto bisogno di ingaggiare fantasiosi scrittori di novelle, al fine di creare leggende, per dare rilievo al mio coraggio ed alla mia intelligenza, ma i miei storici ufficiali, lo spocchioso Callistene, Tolomeo che pure era mio amico d’infanzia ed il vecchio Aristobulo non se lo erano mai messi in testa.

Così mi avevano fatto a volte passare per uno spaccone ed un megalomane, a volte per un grande uomo mediatico, tutte immeritate etichette per uno come me, che come è noto, alla fine dei miei giorni, avevo superato in prodezze Achille ed Eracle e che, tenendo conto delle conoscenze del mio tempo, dei mezzi e delle possibilità, ero andato in proporzione, più lontano di quanto qualsiasi uomo passato o futuro avrebbe mai fatto.

Proprio in grazia della mia indole, priva di qualsiasi vanagloria, quella volta avevo tenuto conto dell’esperienza di Parmenione e dunque ci eravamo accampati sulle rive del Granico ed avevamo atteso l’alba per attaccare. Mi ero coricato presto, completamente sobrio, come facevo sempre prima di una battaglia ed avevo riposato malamente, agitato da incubi oscuri.

Mi ero svegliato di soprassalto, in piena notte ed avevo visto i fuochi del campo mantenuti vivi per scongiurare le tenebre, mandare un tenue baluginio di luce, attraverso la cortina sollevata della tenda: tutto intorno mi era parso falsamente quieto. Quanto mi piaceva quella vita!

Intanto che pensavo questo, avevo sentito un soffio tiepido e familiare sul collo: mi ero voltato con calma, sul giaciglio ed avevo visto gli occhi neri e lucidi di Efestione, che mi fissavano intensamente. Lo avevo salutato felice. Non ricordavo di averlo invitato a giacere con me, quella sera, ma non voleva dire nulla. Egli era l’unico che poteva andare e venire a suo piacimento nella mia dimora e nel mio letto. So che nel corso dei secoli ne hanno dette di tutti i colori sul nostro conto, specialmente sulla nostra intimità durata tutta la vita. "Alessandro è stato sconfitto solo dalle cosce di Efestione" hanno malignato i posteri, ma la verità è stata una sola: qualunque fosse il termine con cui si voleva chiamare il nostro rapporto, noi eravamo stati per eccellenza, l’esempio umano di un affetto profondo ed indissolubile. Se qualcos’altro vi era stato nel nostro legame, non aveva avuto un’impronta tanto profonda da scalfirne la vera essenza.

    

Io avevo amato Efestione con purezza, Lui era stato parte di me, del mio coraggio, delle mie scoperte, delle mie vittorie ed anche della mia pazzia, per questo non gli ero sopravvissuto che pochi, intollerabili mesi. Ma non divaghiamo.

La notte prima del combattimento, solevamo sempre farci compagnia, per farci coraggio a vicenda soprattutto. Eravamo solo ragazzi. Per esorcizzare la paura della morte, a volte stavamo abbracciati, in silenzio ascoltando l’uno il respiro dell’altro ed al Granico non era stato diverso. Lui era venuto durante il mio sonno, si era coricato accanto a me e quando mi ero accorto della sua presenza, avevo cercato conforto e protezione fra le sue braccia forti e ci eravamo riaddormentati, finché Eos non ci aveva chiamati e ci aveva riportati alla realtà.

Fuori i rumori del campo nelle primissime ore antimeridiane, mi erano parsi rassicuranti, benché forieri dell’evento che sarebbe susseguito in quella giornata: i miei Macedoni e tutti i greci convenuti, tranne gli Spartani, erano già affaccendati nelle loro incombenze quotidiane. Un clangore di scudi e di spade approntate per la futura battaglia, i comandi urlati con voce nasale da Tolomeo ed uno scalpiccio di destrieri nervosi, nell’andirivieni dei drappelli della cavalleria tessala, cullavano il mio risveglio ogni giorno, da quando avevo lasciato la Macedonia ed avevo varcato l’Ellesponto.

Benché desti non ci eravamo alzati subito. Io avevo cercato a tentoni, con la mano la mia spada per terra e l’avevo sollevata tenendola dritta davanti a me. Mi ero appoggiato su un gomito ed avevo fatto un cenno con la testa ad Efestione:

<Sai Patroclo, ho fatto un sogno strano! Non so dove fossimo fisicamente, ma so che eravamo molto lontani nel futuro! Era come se fossimo rinati dopo tanto tempo. Non eravamo più guerrieri, ma semplici, anonimi uomini di cultura, però eravamo ancora insieme. Io studiavo le nostre gesta di oggi, ma nelle conoscenze storiche, nella testa e nel cuore di quest’altro Alessandro, ero un glorioso condottiero ed ero diventato padrone del mondo: pensi che sia un sogno premonitore?>

Efestione si era girato su un fianco, verso di me, i suoi occhi erano guizzati in una scintilla. Si era passato la lingua sulle labbra ed aveva percorso con un dito il filo della lama, in un gesto strano e sensuale:

<Mmm! Aléxandre, penso che un giorno sarai il padrone del mondo e penso che dilagherai nello spazio e nel tempo come sei in grado di fare nella mia anima. Io e te vivremo per sempre! Ho fatto lo stesso sogno, ti ho visto in quelle vesti, ti sono stato accanto nel futuro! Dunque essere il figlio di Ammone significa questo, "la lunga vita nell’occhio del falco", poter vivere per sempre rigenerandoti di generazione in generazione, arrivando a perpetuare te stesso e chi ami, nell’eternità?>

    

Avevo posato la spada e mi ero rabbuiato:

<Può darsi, anche se ho sempre la sensazione che il nostro viaggio su questa terra sarà breve quanto intenso, come lungo e tenebroso sarà quello che condurremo noi due da soli nell’Ade…>

Avevo sospirato ed avevo di nuovo cercato il suo corpo nudo, per godermi gli ultimi scampoli del tepore delle coltri, prima di alzarmi.

Per la prima volta, avevo sperato davvero che non fosse l’ultima notte in cui sognare di essere un uomo qualunque. Eravamo a pochi stadi di distanza dal fiume Granico ed il cielo ad Oriente iniziava ad incendiarsi.


www.ilguerriero.it
Le riviste elettroniche

Il Codino Parlante Il Codino Parlante
Arti Marziali
Il Codino Parlante
Preparazione atletica
Il Codino Parlante
Pugilato
La rivista della
FESIK eDA
The Fighters Scrimia

mailContatti

note

note

Inizio pagina

stella www.ilguerriero.it