ECCOVI UN ARTICOLO MOLTO INTERESSANTE INVIATOCI
DAL DOTT. MASSIMO BLANCO, RESPONSABILE DIPARTIMENTO SOCIOLOGIA DELLA WTKA, CHE
CI ILLUSTRA L’ASPETTO SOCIALIZZANTE CHE HANNO LE ARTI MARZIALI SUI NOSTRI
GIOVANI. CI AUGURIAMO POSSA DIVENIRE QUINDI, UNA RUBRICA FISSA E DA LUI CONDOTTA
PERIODICAMENTE.
Le arti marziali quali “agenzie di socializzazione”
Di: Dr. Massimo Blanco
Responsabile Dipartimento di Sociologia WTKA
Le
“agenzie di socializzazione” sono quelle istituzioni presenti all’interno della
società che hanno un ruolo determinante nei processi di organizzazione,
regolamentazione, sviluppo e mantenimento dei gruppi e che ne garantiscono
integrità e coesione.
La famiglia è la più importante agenzia di
socializzazione, in quanto in essa si costruiscono i primi legami affettivi e si
interiorizzano le norme e i valori più elementari.
Nella società occidentale, la scuola rappresenta
il secondo “step” di socializzazione in quanto la stessa si inquadra in un
ambito più formale dove si acquisiscono ruoli più istituzionalizzati e
competenze specifiche.
Possiamo
quindi parlare di socializzazione “primaria” nel caso della famiglia, dove il
bambino trova affetto, protezione, modelli e basi comportamentali semplici. Di
socializzazione “secondaria” quando ci riferiamo alla scuola, che è un ambito
più complesso, esterno all’ambiente familiare e dove i ruoli assumono una
valenza formale.
Si aggiungono, nella seconda fase della
socializzazione dell’individuo (socializzazione secondaria), numerose altre
agenzie, più o meno istituzionalizzate, che permettono l’aggregazione, la
condivisione di valori e ideali così come la maturazione della consapevolezza
dei propri obiettivi.
In questa nostra civiltà “post-industriale”, le
tradizionali agenzie di socializzazione che un tempo fungevano da fondamentale
punto di riferimento, hanno perso forza e importanza in considerazione del
cambiamento nello stile di vita e nell’organizzazione delle principali
istituzioni sociali.
Nell’ultimo ventennio abbiamo assistito ad un
inarrestabile disgregarsi dell’organizzazione sociale, più o meno generalizzato,
causato del mutato stile di vita e alla inconsapevole mancata trasmissione di
valori in special modo da parte della famiglia, che rappresenta per l’essere
umano il primo contatto con la realtà e la sua prima forma di socializzazione.
Oggigiorno,
la famiglia, che dovrebbe essere la base per un corretto sviluppo della
personalità, il modello dal quale attingere valori e il “luogo sicuro” dove
potersi “rifugiare” dopo le sconfitte che si possono presentare nel corso
dell’esistenza, sta perdendo, nella maggior parte dei casi, il proprio ruolo. Un
ruolo insostituibile ma che può essere in buona parte colmato da altre agenzie
di socializzazione forti e concrete, dove l’individuo può trovare, nella sua
fase “secondaria”, l’aggregazione, la condivisione di ideali, l’acquisizione di
valori e focalizzare al meglio i propri obiettivi.
L’esempio che calza meglio è lo sport, divenuto
agenzia di socializzazione secondaria “solo per definizione”, atteso che non
sono pochi i casi in cui soggetti predisposti a deviare verso altre forme di
adattamento devastanti sotto il profilo psicologico e sociale (“bravate”,
tossicodipendenze, se non addirittura atti criminali) hanno interiorizzato
valori e focalizzato scopi sportivi che hanno permesso loro di potersi
conquistare uno “status” conforme alle intese formali della società.
Invero, lo sport risponde al bisogno di
acquisizione di valori e, soprattutto, l’interiorizzazione di “regole”.
Sembra
paradossale a dirsi, visto che la “regola” assume talvolta un significato
impositivo e vessatorio, ma in realtà, inconsciamente, tutti abbiamo bisogno di
regole che ci dicano “cosa fare”. Senza regole, la società non potrebbe esistere
e l’essere umano stesso non potrebbe vivere in modo sociale.
Lo sport garantisce un corretto equilibrio
psicologico e stabili relazioni sociali tramite regole formali, anche se vi è da
ammettere che la maggior parte delle attività è legata, purtroppo, ai risultati
e alle aspettative del gruppo. Talvolta accade che, in mancanza di risultati, lo
sport diventi causa di difficoltà nell’adattamento dell’individuo, soprattutto
nel bambino e nell’adolescente (ancora emotivamente troppo fragili) i quali si
confrontano con una realtà che contrasta con la propria volontà di
realizzazione, innescando paura e sentimento di inadeguatezza generalizzati.
Questo provoca non pochi problemi sul piano
psico-sociale e quando l’insegnante (l’allenatore negli sport da competizione)
non è in grado di intuire il disagio o non è capace di motivare l’individuo, può
scatenare il rifiuto dell’atleta in erba e l’abbandono della disciplina.
Le arti marziali costituiscono un’eccezione di
grande importanza a quanto detto.
Nella pratica delle arti marziali l’individuo
sviluppa innanzitutto una grande consapevolezza del proprio io e innesca una
serie di reazioni positive dovute proprio al fatto che l’arte marziale, nella
sua più antica accezione, non è vittoria o sconfitta contro qualcun altro.
L’arte marziale è saper “vincere se stessi”.
Un antico proverbio orientale recita: “Chi
riesce a vincere se stesso è più potente di chi conquista una intera città”.
Il significato è che l’essere umano ha un
“potere illimitato”.
Ogni
individuo ha solo i limiti che esso stesso si pone. L’uomo, in pratica, è
talmente potente che riesce persino a limitare o sopprimere il proprio
potenziale.
Un “vero” maestro queste cose le sa. Un vero
maestro sa che con una sola saggia parola può attivare positività e reattività.
Sa che con un semplice gesto di apprezzamento può ottenere il doppio
dell’impegno.
Sa che i propri allievi lo stimano, lo rispettano
incondizionatamente e vedono in lui un modello da emulare.
Così gli allievi sanno che il loro “vero” maestro
non li apprezza per le medaglie vinte ma per l’impegno che dedicano alla pratica
dell’arte marziale.
Quando si pratica un’arte marziale c’è
aggregazione (amicizia e spirito di gruppo), condivisione di ideali (la passione
per l’arte), condivisione degli obiettivi (migliorare la propria tecnica e
“vincere se stessi”) e un punto di riferimento per la vita: il maestro.
Possiamo quindi affermare che le arti marziali
sono una vera e propria quanto efficiente “agenzia di socializzazione”. E
se al seguito di questa ci sono anche genitori, nonni, zii, amici ecc… che
partecipano con entusiasmo, possiamo considerarla una vera e propria “istituzione
sociale”.
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